Vol. 24, n. 4, novembre 2025 — pp. 1-8

EDITORIALE

I processi silenti dell’abilismo: Ripensare la scuola normocentrica

Per una riflessione critica sullo sviluppo di culture, politiche e pratiche orientate all’inclusione nel mondo della scuola, l’abilismo sta diventando un concetto di riferimento significativo e, nel frattempo, sta scaldando sempre più frequentemente i toni del dibattito pubblico.

L’abilismo — lo ricordiamo brevemente — rappresenta un vero e proprio dispositivo culturale e sociale che (ri)produce processi di marginalizzazione ed esclusione delle persone con disabilità, privilegiando modalità neuronormative di apprendimento, comunicazione e movimento (Bogart e Dunn, 2019). Tale processo opera attraverso la costruzione simbolica dei corpi e delle menti in termini di abilità forzata, contribuendo a definire e sostenere un ideale normativo di mente-corpo-sé inteso come perfetto, tipico ed essenziale per il pieno riconoscimento dell’umanità, rispetto al quale chi se ne discosta rappresenta uno stato ridotto dell’essere umano (Campbell, 2009). In questa prospettiva, il focus dell’analisi non è l’individuo con disabilità, bensì la rete di credenze, processi e pratiche — gerarchici e discriminatori — che privilegiano le persone cosiddette «abili» e legittimano esiti profondamente iniqui per le persone con disabilità.

Sebbene sia studiato prevalentemente, a livello teorico, all’estero, l’abilismo permea anche la società italiana. Dati recenti, raccolti con la Ableist Attitude Scale, sviluppata in un progetto di ricerca partecipativo con un panel di persone con disabilità, mostrano la prevalenza dell’abilismo in Italia in tutte le strutture culturali, inclusa l’istruzione (Bellacicco et al., 2022). Eppure di abilismo si parla ancora troppo poco in riferimento ai setting educativi, «complici» i meccanismi di segregazione con cui esso agisce, spesso silenti.

Vorrei quindi ora mettere in evidenza alcuni esempi di abilismo invisibile e strutturale — non certo esaustivi — che permangono nelle nostre scuole e che è necessario mettere sotto i riflettori proprio nel periodo in cui scriviamo, a partire in primis dal linguaggio.

L’abilismo viene infatti spesso espresso e rafforzato attraverso il linguaggio. Vera Gheno (2025), in un recente saggio, sottolinea che negli ultimi anni il dibattito politico e culturale ha avuto significative ricadute sul piano della lingua. Ad esempio, l’amministrazione Trump ha promosso un approccio che tende a limitare prospettive alternative a quelle tradizionaliste, marginalizzando ulteriormente soggetti già esclusi dal discorso pubblico e riducendone l’agency linguistica. I tentativi progressisti di promuovere un uso linguistico più inclusivo e attento alla diversity sono stati rovesciati in nome di una presunta «libertà di parola», volta in realtà a silenziare prospettive non conformi, vissute come minacciose nei confronti del potere e delle fondamenta strutturali: si pensi alle restrizioni imposte, negli USA, proprio nei settori della ricerca scientifica e dell’istruzione, ma anche all’Ungheria di Orban o alla destra tedesca che propone di rivedere le politiche di inclusione scolastica. In Argentina, addirittura, qualche mese fa il governo ha riabilitato termini come «idiota» e «imbecille», in una manifestazione scioccante della lotta contro quella che viene definita «cultura woke». Per quanto riguarda il nostro Paese, seppur con toni più velati, il «tradimento» di una logica inclusiva centrata sull’eterogeneità come dato di partenza si cela, ad esempio, nella nota ministeriale del 21 marzo 2025 Chiarimento circa l’uso del simbolo grafico dell’asterisco (*) o dello schwa (ə) nelle comunicazioni ufficiali delle istituzioni scolastiche, che limita l’uso di termini fondamentali per le rivendicazioni delle minoranze. Parallelamente, l’uso del maschile sovraesteso nelle Nuove Indicazioni Nazionali per il Curricolo 2025 (Scuola dell’infanzia e Scuole del Primo ciclo di istruzione) sembra riflettere una visione della scuola che normalizza le disuguaglianze di genere: una scuola che non lascia spazio a un approccio critico e libero nei confronti di chi si trova in una posizione di potere, finendo per escludere o marginalizzare altre e altri (Demo e Gross, 2025). Di conseguenza oggi regalare attenzione all’analisi critica del linguaggio può fare la differenza, a fronte del rischio che esso diventi vettore di pregiudizi abilisti, di stigmatizzazione e di discriminazione. È dunque necessario esaminarlo come potenziale strumento di perpetuazione dell’abilismo e promuovere pratiche di resistenza consapevole (Ziegler, 2020). A tal proposito, la ricerca sul tema evidenzia la necessità che gli interventi formativi supportino i professionisti scolastici nell’interrogare i discorsi che incontrano, in particolare quelli che inducono queste/i ultime/i a vedere gli studenti/le studentesse attraverso una lente deficitaria, stereotipata o categorizzante (Browning, 2018).

In secondo luogo, il tema dell’abilismo strutturale ci porta a una riflessione sui pregiudizi che, spesso inavvertitamente, guidano le azioni delle/degli insegnanti. Un recente studio (Dell’Anna, Parisi e Pedron, 2024), condotto nel contesto altoatesino, evidenzia che le/gli insegnanti con visioni abiliste — spesso risultate intrecciate anche a razzismo, sessismo e classismo — sono meno propense/i a promuovere ambienti inclusivi.

Sebbene in letteratura molte ricercatrici/ori abbiano teorizzato come migliorare l’atteggiamento delle/dei docenti nei confronti della disabilità (ad esempio, Forlin et al., 2009), sono pochissime le indagini che mostrano come sfidare e decostruire le pratiche delle/degli insegnanti che alimentano preconcetti e aspettative stereotipate negative nei confronti delle studentesse/ti appartenenti a gruppi marginalizzati (Stanczak et al., 2024a). Turetsky et al. (2021) hanno individuato tre meccanismi principali con cui i pregiudizi impliciti e le convinzioni sulla natura del talento condizionano le opportunità educative e didattiche offerte alle studentesse/ti, creando una forma di oppressione ciclica istituzionale. Questo accade sia in ambito valutativo (quando alunne/i appartenenti ai gruppi marginalizzati ricevono giudizi meno favorevoli a parità di prestazioni); sia nell’ambito delle interazioni (che si traducono in un insegnamento meno efficace e in un minor sostegno emotivo verso i membri appartenenti a tali gruppi); sia tramite quello che le/gli autrici/ori definiscono impatto differenziato (ossia quando pratiche educativo-didattiche sono applicate in modo uniforme a tutta la classe, ma vengono percepite ed esperite diversamente a seconda dell’appartenenza sociale o culturale delle studentesse/i, producendo così effetti diseguali su apprendimento, motivazione e rendimento). Ne risulta che le disuguaglianze educative non riflettono spesso differenze individuali, ma possono essere anche prodotte e veicolate, oltre che dai contesti socio-culturali, dalle visioni e dai meccanismi psicologici espliciti e impliciti sottostanti alle pratiche delle/degli insegnanti.

Questo discorso ci riporta alle complesse tensioni che ci pare di intravedere nuovamente nelle Nuove Indicazioni Nazionali per il Curricolo 2025 tra il principio meritocratico — inteso come sistema che premia il talento e l’impegno individuale —, ampiamente alimentato in esse, e il progetto di un orizzonte inclusivo. L’insistenza sul talento innato e sulla prestazione individuale, valutata in base a risultati standardizzati, rischia di contribuire alla riproduzione delle disuguaglianze sociali preesistenti e di legittimarle attraverso il linguaggio della «giusta competizione», promuovendo un processo di normalizzazione che definisce un modello unico di successo e abilità e che tende a negare la complessità dei percorsi e delle esperienze scolastiche, indebolendo al contempo la dimensione comunitaria e solidale. Una pressione assimilazionista richiamata nelle dimensioni sia dell’apprendimento sia della socializzazione — e ampiamente sviscerata in questo numero —, che sfocia nella richiesta di rientrare in uno standard predefinito dalle/dai docenti, in un tentativo di correzione e riparazione delle differenze. Un pensiero che porta con sé anche il rischio tangibile che i diritti all’individualizzazione e alla personalizzazione per le/gli studentesse/i tradizionalmente marginalizzati possano apparire come un trattamento ingiusto, poiché percepiti in contrasto con la «parità di opportunità» tipica della ideologia meritocratica, e generare il fenomeno del backlash, ossia la svalutazione del successo di tali alunne/i, come strumento di difesa dello status quo (Rudman et al., 2012; Stanzack et al., 2024b).

Infine, un’altra riflessione a mio avviso significativa è legata alla limitata attenzione alle persone che vivono intersezioni marginalizzanti (si pensi all’intersezione tra disabilità, etnia, orientamento sessuale o identità di genere non «conformi»). Nelle Nuove Indicazioni, la prospettiva con cui viene affrontato il tema delle biografie di alunne/i con storie di migrazione non sembra essere quella della loro valorizzazione. Non un’occasione di riconoscimento coraggioso delle molte e diverse lingue presenti in classe, ma una sorta di silenziamento, di impostazione assimilazionista del plurilinguismo, incapace di pungolare sconfinamenti rispetto agli immaginari di destini già scritti. D’altro canto, nel Decreto Legge Scuola e Sport (n. 71/2024), che prevede l’assegnazione di una/un docente dedicato all’insegnamento dell’italiano nelle classi con un certo numero di studentesse/i stranieri, si può intravedere, nella stessa direzione, una facile deriva verso fenomeni di delega e di ghettizzazione piuttosto che un’evoluzione inclusiva dei contesti.

Spostando l’attenzione alla struttura di questo numero, proponiamo una breve panoramica dei contributi qui raccolti.

Per la sezione «Prospettive e modelli internazionali», l’articolo di Andrea Fiorucci e Antonio Donno propone un’analisi comparativa di tre protocolli descrittivi per l’accessibilità dell’arte pittorica a persone con disabilità visiva. Il confronto tra linee guida statunitensi e italiane mette in evidenza approcci e finalità differenti, aprendo la strada a un protocollo descrittivo integrato che raccolga i punti di forza di ciascun metodo per una comunicazione più armonica e incisiva.

Spostandoci in ambito scolastico, come già anticipato, Heidrun Demo porta avanti, per la sezione «Prospettive e modelli italiani», un attento confronto fra le Nuove Indicazioni Nazionali per il Curricolo 2025 e quelle del 2012, tematizzando tre sviluppi critici e potenzialmente rischiosi: l’enfasi sull’autorealizzazione e sul talento individuale a scapito della dimensione comunitaria, la riduzione dell’inclusione a dispositivo normativo-burocratico e l’affermarsi di una pressione normalizzatrice e assimilazionista, da cui consegue una scuola più prescrittiva e meno attenta ai processi democratici e alle differenze.

Per la sezione «Ricerche, proposte e metodi», Silvia Dell’Anna e Anna Frizzarin presentano una rilettura dell’Universal Design for Learning (UDL) volta a renderlo concretamente attuabile nel contesto scolastico italiano. L’articolo illustra i risultati di un percorso biennale di ricerca-formazione, in cui i principi dell’UDL sono stati tradotti in strumenti operativi coerenti con le pratiche quotidiane delle/degli insegnanti, al fine di favorirne un’inclusione sostenibile nella progettazione didattica inclusiva.

Per quanto riguarda la sezione «Precursori», Alessandra Maria Straniero e Fabio Bocci soffermano l’attenzione sulla figura, attualmente poco nota ai più, di Mario Tommasini, protagonista dalla fine del secondo dopoguerra del Novecento di tante battaglie contro le istituzioni totali: ospedali psichiatrici (nota la sua collaborazione con Basaglia a Colorno), scuole speciali, case di riposo, carceri, orfanotrofi, ecc.

Ricordare Tommasini è, per gli autori, anche l’occasione per fare il punto della situazione sugli odierni processi di deistituzionalizzazione. La sezione «Intersezioni» si anima invece del contributo di Elisa Costantino, Barbara Centrone e Fabio Bocci, che approfondisce le dimensioni pedagogiche e politiche della vita indipendente, decostruendo i modelli dominanti — basati su presupposti abilisti e neoliberali — sottesi alle nozioni tradizionali di autonomia e indipendenza e valorizzando pratiche e teorie che, in diversi contesti, stanno aprendo la strada a una pedagogia crip ispirata ai Crip Studies. All’interno di questo orizzonte teorico e politico, diventa possibile rileggere il Progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato — previsto dal DL 62/2024 — come progetto pedagogico, teso a rendere possibile l’accesso a una vita piena, libera e desiderata anche alle soggettività considerate non autonome, secondo una logica abilista.

I successivi aggiornamenti normativi dell’avvocato Salvatore Nocera riguardano proprio il DL 62/24, che rinvia la sua attuazione al 2027. Inoltre si approfondisce l’art. 8 del DL 71/24.

Infine le recensioni — curate da Giulia Maria Bouquié, Alessandro Monchietto e Moira Sannipoli — sono dedicate al volume di Fiorucci (2024), Passi da funambolo. Equilibri instabili nell’assistenza educativa scolastica per l’inclusione, Lecce, Pensa MultiMedia e di Vanolo A. (2024), La città autistica, Torino, Einaudi.

Rosa Bellacicco

Bibliografia

Bellacicco R., Dell’Anna S., Micalizzi E. e Parisi T. (2022), Nulla su di noi senza di noi. Una ricerca empirica sull’abilismo in Italia, Milano, FrancoAngeli.

Bogart K.R. e Dunn D.S. (2019), Ableism special issue introduction, «Journal of Social Issues», vol. 75, n. 3, pp. 650-664.

Browning T.D. (2018), Countering deficit discourse: Preservice teacher experiences of core reflection, «Teaching and Teacher Education», vol. 72, pp. 87-97.

Campbell F.K. (2009), Contours of ableism. The production of disability and abledness, Basingstoke, Palgrave Macmillan. Trad. it., I contorni dell’abilismo. La costruzione della disabilità e della normalità, Milano, Mimesis, 2020.

Dell’Anna S., Parisi T. e Pedron E. (2024), Atteggiamenti discriminatori e propensione all’inclusione. Il ruolo della formazione in un’indagine esplorativa su un campione di insegnanti, «Scuola democratica», vol. 16, n. 2, pp. 211-234.

Demo H. e Gross B. (2025), Nuove Indicazioni Nazionali: quale idea di scuola inclusiva ed interculturale?, https://www.unibzmagazine.it/it/magazine/article/nuove-indicazioni-nazionali-quale-idea-di-scuola-inclusiva-ed-interculturale (consultato il 4 settembre 2025).

Forlin C., Loreman T., Sharma U. e Earle C. (2009), Demographic differences inchanging pre-service teachers’ attitudes, sentiments and concerns about inclusive education, «International Journal of Inclusive Education», vol. 13, n. 2., pp. 195-209.

Gheno V. (2025), I timori di una società normocentrica. Cinque argomenti fallaci contro il linguaggio ampio. In I. Biemmi e A. Viviani (a cura di), Le parole della discriminazione. Sessismo, omofobia, razzismo, «childismo», abilismo, Firenze, Firenze University Press & USiena Press, pp. 21-29.

Rudman L.A., Moss-Racusin C.A., Glick P. e Phelan J.E. (2012), Reactions to vanguards, «Advances in Experimental Social Psychology», vol. 45, pp. 167-227.

Stanczak A., Aelenei C., Pironom J., Toczek-Capelle M.C., Rohmer O. e Jury M. (2024a), Can students with special educational needs overcome the «success» expectations?, «Social Psychology of Education», vol. 27, pp. 687-708.

Stanczak A., Jury M., Aelenei C., Pironom J., Toczek-Capelle M.C. e Rohmer O. (2024b), Special education and meritocratic inclusion, «Educational Policy», vol. 38, n. 1, pp. 85-103.

Turetsky K.M., Sinclair S., Starck J.G. e Shelton J.N. (2021), Beyond students. How teacher psychology shapes educational inequality, «Trends in Cognitive Sciences», vol. 25, n. 8, pp. 697-709.

Ziegler M. (2020), Disabling language. Why legal terminology should comport with a social model of disability, «Boston College Law Review», vol. 61, n. 3, pp. 1183-1221.

 

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