Vol. 23, n. 2, maggio 2024

TEMI APERTI

Ripensare l’accessibilità museale per creare spazi esperienziali generativi di inclusione e innovazione

Barbara Baschiera1

Sommario

L’Italia vanta la maggiore presenza e la più capillare distribuzione di luoghi della cultura su tutto il territorio nazionale. Tuttavia, un terzo di questi siti non si può considerare inclusivo (ISTAT, 2022). Renderli accessibili, significa aprirli a uno scenario che pone il visitatore al centro, nel rispetto della sua autonomia e delle sue capacitazioni (Sen, 2000), studiando strategie che ne consentono la partecipazione e la co-progettazione inclusiva. A questo scopo, agli studenti del corso di Pedagogia e Didattica Speciale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, è stato affidato il compito autentico di ripensare l’accessibilità di un’istituzione museale a scelta, utilizzando i sette principi del modello dell’Universal Design di Ronald Mace (1985). Tale modello è stato integrato con quello di Sandell e Dodd (2010) per mettere a fuoco le barriere esistenti e quello del Hierarchy of Needs di Maslow (1954) per indicare possibili soluzioni volte a soddisfare l’eterogeneità dei bisogni dei pubblici. Il paper evidenzia come le pratiche museali possano essere rimodellate attraverso l’apporto della pedagogia speciale, facendo dell’accessibilità una risorsa collettiva e il prerequisito di ogni progettazione volta all’empowerment dei visitatori.

Parole chiave

Accessibilità museale, Partecipazione, Co-progettazione inclusiva, Autodeterminazione, Universal Design for Learning.

OPEN ISSUES

Rethinking Museum Accessibility to Create Experiential Spaces of Inclusion and Innovation

Barbara Baschiera2

Abstract

Italy can claim the largest presence and the most widespread distribution of cultural sites throughout the country. However, one third of these sites cannot be considered inclusive (ISTAT, 2022). Making them accessible would require a focus on visitors, respecting their autonomy and capabilities (Sen, 2000), by studying strategies that allow for participation and inclusive co-design. To this end, students on the Pedagogy and Special Education course at Ca’ Foscari University of Venice were given the task of actually rethinking the accessibility of a museum institution of their choice. To reach this goal, the students applied the seven principles of Ronald Mace’s universal design model (1985). This model was complemented by Sandell and Dodd’s model (2010), in order to focus on existing barriers, and Maslow’s Hierarchy of Needs model (1954), in order to identify possible solutions to meet the visitors’ diverse requirements. This paper illustrates how museum practices can be reshaped with the contribution of special pedagogy, making accessibility a resource and a prerequisite for any design aimed at visitor empowerment.

Keywords

Museum accessibility, Participation, Inclusive co-design, Self-determination, Universal Design for Learning.

Introduzione

A seguito della pandemia abbiamo tutti esperito nelle nostre pratiche quotidiane le possibili declinazioni del concetto di accessibilità: alcuni avvertendo la difficoltà di gestire un tempo lunghissimo e destrutturato, altri misurandosi con l’impossibilità di seguire routine necessarie alla stabilità psico-fisica, vincolati anche da un confinamento di natura affettivo-relazionale (Bocci, Caldin e d’Alonzo, 2020; Pieh et al., 2020; Addis, 2021).

«Un solo anno di misure anti-pandemiche è bastato a segnare una demarcazione tra un prima e un dopo determinando la rottura di un diaframma che ha prodotto profondi mutamenti nell’organizzazione dei sistemi di vita: da quello sanitario a quello socioeconomico, da quello dell’istruzione a quello dell’organizzazione del lavoro» (Batini e Iavarone, 2021, p. XV).

Sebbene nell’immaginario collettivo il concetto di accessibilità sia prevalentemente associato alla dimensione infrastrutturale e architettonica volta all’inclusione delle persone con disabilità, abbiamo tutti compreso che invece riguarda ciascun soggetto, indipendentemente da età, genere, o disabilità e tutti i contesti di vita personale e sociale, inclusi i luoghi della cultura.

L’Italia vanta la maggiore presenza e la più capillare distribuzione di luoghi della cultura su tutto il territorio nazionale, dai grandi ai piccoli centri. Nonostante ciò, ancora oggi un terzo di questi siti non si può considerare inclusivo, né accessibile (ISTAT, 2022).

Molti musei, ad esempio, strutturano contesti ed esperienze seguendo approcci codificati e poco accessibili; alcuni ripropongono a persone adulte con disabilità cognitive le attività destinate ai bambini (Ciaccheri, 2022). Nelle istituzioni più aperte la lenta conquista dell’accessibilità si realizza attraverso laboratori o percorsi guidati per tipologie di pubblico che, seppure volti a tutelare e garantire uno spazio protetto, finiscono con il creare luoghi ed esperienze separate.

Categorizzare pubblici di visitatori già riconosciuti dalle istituzioni museali come «fragili» o «speciali», proponendo modalità di fruizione e contesti come questi, contribuisce ad amplificarne la condizione di vulnerabilità e a limitarne la completa inclusione nel tessuto sociale, consolidando pregiudizi già culturalmente radicati sulla disabilità, secondo un approccio dogmatico che ne limita la comprensione (Giaconi et al., 2021a, 2021b).

Rendere accessibili i musei non significa creare nicchie separate di pubblico, né offrire strumenti di tipo compensativo, all’interno di una prospettiva che insegue sempre il mito di una presunta normalità, ma progettare soluzioni inclusive secondo i principi dell’Universal Design. Significa differenziare le opzioni a disposizione, offrendo alternative a visitatori diversi, e aprire i musei a uno scenario generativo che pone il visitatore al centro, nel rispetto della sua autonomia e delle sue capacitazioni (Sen, 2000), studiando strategie che ne consentono la partecipazione e la co-progettazione inclusiva.

Al fine di progettare soluzioni partecipative innovative, volte a fare dei luoghi della cultura spazi generativi di inclusione, agli studenti del corso di Pedagogia e Didattica Speciale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia è stato affidato il compito autentico di ripensare l’accessibilità di un’istituzione museale a scelta.

Non si vuole focalizzare in questa sede l’attenzione tanto sull’aspetto didattico dell’attività, quanto sul tema dell’accessibilità museale, prendendo in considerazione i risultati emersi dal compito autentico, alla luce della complessità e specificità che caratterizzano i contesti culturali.

Nel paper si ripercorrono le principali tappe della Pedagogia speciale nell’accompagnare lo sviluppo e l’evolversi nel tempo della cultura dell’accessibilità museale, evidenziando l’apporto dei Disability Studies. Si analizzano poi i risultati della rilevazione e della analisi condotte dai corsisti coinvolti nel progetto, al fine di definire le grammatiche del museo e gli strumenti per renderlo accessibile nel rispetto delle persone con disabilità.

Si indicano soluzioni e approcci volti ad accogliere e valorizzare le differenze e a fare del museo un dispositivo esperienziale, reale terreno di innovazione, inclusione e cittadinanza. Infine si indaga come le pratiche museali possano essere arricchite e potenzialmente trasformate attraverso l’apporto metodologico della Pedagogia speciale affinché l’accessibilità ai luoghi, ai contenuti e ai servizi museali, divenga condizione implicita e imprescindibile.

Accessibilità: un concetto dal carattere dinamico e multidimensionale

Il termine accessibilità presenta un carattere dinamico e multidimensionale. Se con l’art. 27 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948) si afferma il diritto di ciascun individuo a prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità e a godere delle arti, è con gli anni ’60 che la riflessione sul concetto di accessibilità subisce una radicale rivoluzione. Mentre negli Stati Uniti i movimenti sociali divengono protagonisti di un processo che conduce al riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità (Disability Rights) e all’approvazione nel 1990 dell’Americans with Disabilities Act, nel contesto britannico, invece, arrivano a mettere in discussione e a rifiutare il modello medico della disabilità, a favore di quello sociale.

Con la Classificazione Internazionale del Funzionamento della disabilità e della salute (OMS, 2001) si passa dalla dimensione clinica-nosografica a quella biopsicosociale, rovesciando la prospettiva della persona con disabilità come malata, a vantaggio di una visione che ne coglie il potenziale di sviluppo e che identifica nei contesti di vita un ambito determinante per il funzionamento di ciascuno (Pinnelli e Ruggieri, 2021). Non è più il solo parametro economico a incidere sullo sviluppo umano, inteso come risultante dell’interazione tra componenti biologiche, sociali ed ecologiche, ma una pluralità di fattori, anche di natura sociale e educativa. Si comprende che il benessere riguarda tutti i domini della vita umana, gli aspetti fisici, mentali e sociali (OMS, 2004) e che la qualità della vita implica l’esistenza di una dimensione partecipativa sulla quale si fondano gli stessi processi inclusivi (Zollo e Galdieri, 2022). La dimensione della partecipazione viene così a rappresentare un valore imprescindibile nelle società aperte e democratiche (WHO, 2001), la mèta di qualsiasi azione o progettualità personale, che va sempre scelta, implementata, rinnovata e sostenuta (Bianquin, 2020).

La partecipazione, definita sia come mezzo, sia come fine per l’espressione dei propri valori personali e collettivi, viene riconosciuta come un diritto che si contrappone a logiche di oppressione e discriminazione anche nell’articolo 9 della Convenzione dei Diritti delle persone con disabilità (ONU, 2006).

Se la Pedagogia speciale costituisce la base epistemologica del concetto di partecipazione, i Disability Studies, sviluppati principalmente nel mondo angloamericano e nordeuropeo negli ultimi quarant’anni, rappresentano la cornice di riferimento che consente l’esame critico dei diversi ambienti di vita, evidenziandone processi disabilitanti e barriere (Medeghini, 2013; Pinnelli e Ruggieri, 2021).

È proprio in questo contesto che inizia a maturare il pensiero che l’accessibilità vada estesa all’ambito culturale e comunicativo, garantendo il coinvolgimento e la partecipazione di ogni persona, e considerando le differenze come risorse e opportunità.

In ambito italiano è il Decreto del Presidente della Repubblica del 4 ottobre 20133 a ribadire il principio di accessibilità e a introdurre come suo corollario l’implementazione di tecniche per la progettazione universale di prodotti, ambienti, servizi, utilizzabili da tutti nel modo più esteso possibile, senza il ricorso a soluzioni speciali (Pinnelli e Ruggieri, 2021). A livello legislativo viene sempre più dato valore alla tutela del diritto di tutti ad agire e vivere in contesti capacitanti che tengano conto dell’insieme dei traguardi potenzialmente raggiungibili dalle persone (Sen, 1985, 2009; Nussbaum, 2011).

Oltre alla partecipazione, un altro pilastro portante della accessibilità è rappresentato dalla dimensione della sostenibilità. L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile (UN General Assembly, 2015) richiama fermamente tra i suoi obiettivi la necessità di progettare contesti in grado di garantire a tutti l’accesso alle istituzioni, alle risorse e alle opportunità che permettono di vivere pienamente nella società, nel rispetto delle generazioni presenti e future. Fa, inoltre, riferimento alla promozione della qualità di vita di ogni persona, al benessere inteso come capacità di realizzarsi e sentirsi realizzati con soddisfazione, consapevolezza e autonomia e come capacità di autodeterminarsi in un contesto sociale all’interno del quale un individuo cresce e si sviluppa (Cottini, 2016). Rendere la dimensione dell’accessibilità una componente strutturale dei luoghi della cultura, tra cui i musei, rappresenta l’impegno che una società civile è chiamata a perseguire, a differenti livelli di azione, per rimuovere ogni forma di diseguaglianza.

La lenta e imprescindibile conquista dell’accessibilità sul piano culturale e legislativo ha condizionato nel tempo progettualità e pratiche museali. Le prime esperienze in tal senso si possono collocare geograficamente negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.

L’accessibilità dei luoghi di cultura: i musei

È, infatti, con gli anni Settanta che la tematica dell’accesso inizia a inserirsi nella riflessione e negli obiettivi strategici delle istituzioni culturali americane e anglosassoni, in risposta al riconoscimento dei diritti civili delle persone con disabilità (Arenghi, Garofalo e Sormoen, 2016). L’affermazione dell’accessibilità museale rappresenta un processo tutt’altro che omogeneo nelle diverse aree geografiche: in Italia fa breccia solo a partire dagli anni Duemila, come tentativo di adeguare gli spazi delle istituzioni culturali e renderne fruibili i servizi anche dalle persone con disabilità fisiche, eliminando le barriere architettoniche.

Nonostante negli ultimi anni si stia facendo strada un paradigma dell’accessibilità promotore di una cultura aperta a tutti e per tutti (Tiberti, 2020) e la normativa che regolamenta la costruzione di edifici, spazi e servizi pubblici e privati abbia realizzato importanti progressi, sul piano pratico si nota ancora una forte resistenza nell’applicazione reale della legislazione.

Il 61,6% delle istituzioni museali risulta dotato solamente di strutture per superare le barriere architettoniche. Secondo l’Istat (2022) solo il 10,8% dei musei organizza percorsi e programmi di visita che includono chi ha disabilità cognitive e il 10% mette a disposizione un assistente che accompagna le persone con disabilità visive, cognitive e di comunicazione durante il percorso. Solo il 18,9% dei musei risulta avere attivato progetti destinati a persone con disabilità sensoriale, emotiva o con disturbi cognitivi.

Insomma, l’idea di accessibilità che si è finora radicata non è ancora in grado di cogliere la varietà dei bisogni dei suoi utenti e delle barriere che limitano la completa fruizione dell’esperienza culturale (economiche, culturali, sensoriali, tecnologiche, cognitive ed emotive), impedendo ai musei di essere spazi democratici e inclusivi. «Quello che è possibile riscontrare nel nostro Paese è come l’adozione di pratiche accessibili risponda il più delle volte a sensibilità di tipo personale data dalla presenza di personale attento a questi temi” (Ciaccheri e Fornasari, 2022, p. 37).

Se si compara l’organizzazione museale americana con quella italiana, si può notare che nei musei americani la maggior parte delle persone che si occupa di accessibilità presenta una disabilità: in questo modo si ha una consapevolezza più realistica dei bisogni e delle aspettative delle persone con disabilità e una maggiore probabilità di raggiungere risultati più mirati e funzionali. Nelle istituzioni museali italiane, invece, il personale che vi lavora non è diversificato tanto quanto il pubblico che le visita (Ciaccheri e Fornasari, 2022) e le iniziative che coinvolgono le persone con disabilità nei progetti formativi del museo sono ancora piuttosto limitate (Miglietta, 2017). I musei sono chiamati a «rinnovare il rapporto con i propri visitatori e interlocutori, e a divenire […] motore per lo sviluppo di una nuova cultura dell’inclusione sociale e della partecipazione alla vita culturale della società» (Salerno, 2013, p. 10).

Sono dunque necessari un clima di profondo rinnovamento e un nuovo approccio alla disabilità, che si innestino all’interno delle organizzazioni museali, arricchendole di una caratteristica fondamentale: la consapevolezza della pluralità dei bisogni dei pubblici, ovvero di ognuno di noi.

Il disegno della ricerca e i suoi strumenti

Il corso di Pedagogia e Didattica speciale con focus su ICF, Universal Design for Learning e accessibilità museale è stato frequentato da 36 partecipanti in presenza, di cui 4 maschi e 32 femmine tra i 22 e i 25 anni afferenti al primo e secondo anno delle Lauree magistrali in Scienze del Linguaggio e in Scienze Filosofiche e da sei studentesse di età compresa tra i 22 e i 34 anni che, per problemi di natura lavorativa o di salute, hanno frequentato online in modalità asincrona.

Come esercizio preliminare al compito autentico, attraverso un brainstorming, si sono definite le barriere presenti in un museo e si è sollecitata la riflessione sul fatto che queste non esistono di per sé, ma in relazione ai destinatari che possono percepirle con differente intensità, a seconda dei loro bisogni.

I risultati del brainstorming sono stati poi categorizzati in base al modello di Sandell et al. (2010), in modo da preparare una checklist che sistematizzasse la maggior parte degli aspetti da valutare durante la visita al museo.

A seconda del luogo di residenza, gli studenti hanno visitato da soli o in coppia un museo a scelta. I partecipanti online hanno condiviso l’esperienza con quelli in presenza, lavorando sull’accessibilità del sito web degli stessi musei visitati dal vivo. Sono stati presi in esame ventidue musei siti tra Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Puglia, Basilicata e Sicilia.

Mappare le barriere costituisce un passaggio prioritario, in quanto aiuta a ripensare alla complessità dell’esperienza di visita dal punto di vista dei diversi pubblici (Ciaccheri e Fornasari, 2022).

Sono state esaminate in aula e a casa alcune buone prassi, tra cui quelle relative a: Galleria Borghese di Roma, Uffizi di Firenze, Museo della Scienza e della Tecnologia «Leonardo da Vinci» di Milano, MUSE di Trento, Museo Tattile Statale Omero di Ancona, MAXXI di Roma, Museo Archeologico di Taranto, la Fondazione Sandretto di Torino, Museo Mambo di Bologna e istituzioni museali estere a scelta dei corsisti.

Questi ultimi, dopo avere riflettuto sulla necessità di una progettazione museale in chiave inclusiva, hanno delineato alcune possibili soluzioni volte a soddisfare l’eterogeneità dei bisogni dei pubblici, utilizzando il modello del Hierarchy of Needs di Maslow (1954) e i sette principi del modello dell’Universal Design di Ronald Mace (1985) per creare un ambiente accessibile. Si tratta di: equità d’uso (l’esperienza museale, il bene artistico e le sale sono fruibili da chiunque), flessibilità d’utilizzo (l’esperienza museale si adatta a diverse abilità), uso semplice e intuitivo (si comprende facilmente come farne uso), informazioni facilmente percepibili (trasmette chiaramente le informazioni sensoriali), limitazione dei rischi (minimizza i rischi o le azioni involontarie), sforzo fisico minimo (si usa con poca fatica), adattamento degli spazi (lo spazio è idoneo per l’accesso e per l’uso).

Due studentesse hanno visitato il museo con una amica con disabilità. Hanno poi raccontato, in forma di una scrittura autobiografica, la loro esperienza al museo e una propria riflessione sul concetto di accessibilità. Di quest’ultima si presenta l’analisi tematica secondo il modello di Braun e Clarke (2013), mentre degli altri risultati si fornisce una sintesi.

I risultati

Le barriere

Le barriere più diffuse, categorizzate secondo il modello di Sandell et al. (2010), risultano:

  • fisiche (mancanza di parcheggio in zona limitrofa al museo, difficoltà di accesso all’ingresso e ai servizi);
  • culturali (alcune collezioni, o esibizioni non riflettono gli interessi del pubblico, mancano proposte che differenzino livelli di conoscenza pregressa e motivazione, come se gli individui fossero caratterizzati unicamente dalla loro disabilità);
  • economiche (elevato costo del biglietto);
  • tecnologiche (si trovano con difficoltà informazioni relative all’accessibilità nei siti dei musei, non sempre i siti rispettano gli standard minimi per l’accessibilità web);
  • sensoriali (scarsa illuminazione, altezza delle opere poco consona, scarsa visibilità e leggibilità delle didascalie);
  • intellettive (alcune mostre escludono chi conosce limitatamente artisti o collezioni, le persone con disabilità cognitiva faticano ad accedere in parziale autonomia);
  • emotive (lo staff non sa relazionarsi con persone con specifiche necessità e adotta uno stile comunicativo poco inclusivo);
  • linguistiche (la lingua utilizzata non è comprensibile a tutti i visitatori);
  • alla partecipazione (il museo non consulta potenziali nuovi pubblici e/o non offre una rappresentazione dei pubblici che vorrebbe includere tra i propri dipendenti);
  • alle informazioni sul Sito web e ai materiali informativi non funzionali a una comunicazione efficace.

La «filiera» del museo accessibile

I corsisti hanno pensato alla catena dei servizi del museo come se si trattasse di una filiera strutturata in: Informazione prima della visita, Arrivo, Entrata, Cassa, Guardaroba, Area espositiva, Servizi igienici, Negozio, Informazione dopo la visita.

Tenendo in mente le barriere riscontrate durante la visita ai musei e la piramide dei bisogni di Maslow (1954), in particolare i bisogni fisiologici, di sicurezza, di appartenenza, di partecipazione, di riconoscimento e di autorealizzazione, hanno delineato i requisiti per una buona accessibilità museale:

  • input: informazioni sull’accessibilità, accessibilità dei contenuti web, pagine web con video nella lingua dei segni, prodotti stampati in Braille, segnaletica tattile e informazioni stampate in formato accessibile, inclusione di persone con disabilità tra il personale;
  • arrivo: parcheggi per le persone con disabilità limitrofi al museo, servizi di trasporto accessibili, piste tattili, segnaletica accessibile;
  • entrata: porte d’ingresso accessibili, scale ergonomiche, corretta altezza e la profondità dei gradini. Nel caso di scale, disponibilità di rampa/pedana elevatrice, controllo condizioni della pavimentazione, informazioni accessibili relative all’ingresso del museo;
  • cassa: bancone ergonomico e ben segnalato, spazi di manovra per muoversi, pista tattile/sensoriale, brochure, dépliant e scritte disponibili in diversi formati (facilmente leggibili, scritti in carattere grande, in Braille, multimedia, audio, ecc.), inclusione di personale con disabilità in tutti i ruoli;
  • guardaroba: altezza e profondità del bancone adatti a chi si muove con sedia a ruote, armadietti accessibili e provvisti di numeri e segni tattili/in rilievo/sensoriali;
  • area espositiva: pavimento adatto per chi usa sedie a rotelle, carrozzine, deambulatori ecc., presenza di rampa/pedana, sistema di orientamento della mostra (con percorsi tattili), stesso percorso per visitatori con o senza disabilità, posizione degli oggetti (altezza, vista ecc.), zone relax accessibili a persone con e senza disabilità, informazioni (guide, descrizioni degli oggetti) chiare e accessibili attraverso tatto, udito e vista, la realtà virtuale e aumentata, ausili (lenti di ingrandimento), guide e custodi formati ad accogliere persone con diverse disabilità, inclusione di personale con disabilità in tutti i ruoli;
  • servizi igienici attrezzati per persone su sedia a rotelle, informazioni e segnaletica chiara (in Braille, formato tattile, audio), personale formato a interagire con visitatori con disabilità;
  • negozio: porte scorrevoli e accessibili a passeggini, sedie a rotelle, deambulatori, spazi di manovra per muoversi, cassa adeguata alle persone su carrozzina, etichette ed informazioni facilmente leggibili, o in Braille, personale formato, inclusione di personale con disabilità in tutti i ruoli.
  • output: postazione per lasciare commenti ben visibile e accessibile, recensioni raccolte in diversi formati e supporti, personale formato, inclusione di personale con disabilità in tutti i ruoli.

Accessibilità: un obiettivo trasversale

Dall’analisi tematica della scrittura autobiografica, il cui stimolo era: «dalla visita fatta al museo ho capito che…», sono emerse risposte che pongono l’accessibilità come un obiettivo trasversale.

C’è chi punta il focus su come superare le barriere alla piena realizzazione dell’accessibilità e indica alcune strategie come quella di confrontarsi con altri musei attivi nell’ambito dell’accessibilità, o di elaborare strategie di accesso multisensoriali.

C’è chi pone l’attenzione sulla ragione per cui esistono le barriere, menzionando fattori che vanno dall’ignoranza e dalla permanenza di stereotipi, alla scarsa formazione del personale; dalla carenza di azioni di autovalutazione da parte della struttura museale, alla mancanza in sede progettuale del confronto con persone con disabilità.

Alcuni, rifacendosi al modello dell’UDL, richiamano la necessità di offrire molteplici mezzi di coinvolgimento come: ottimizzare l’autonomia di ogni visitatore; dialogare con le persone con disabilità e le loro organizzazioni; coinvolgere chi ha bisogni specifici, caregivers, organizzatori nella progettazione e valutazione finale della attività museale; assumere personale con disabilità; assegnare al personale un vademecum con indicazioni pratiche su come comportarsi con il pubblico con disabilità, progettare percorsi espositivi non separati.

Altri menzionano l’importanza di offrire molteplici mezzi di espressione, valorizzando il lavoro di artisti con disabilità.

La maggior parte sottolinea il ruolo della partecipazione. Esemplare la narrazione di una studentessa di Scienze Filosofiche: «Ho capito che l’accessibilità rappresenta la condizione necessaria per ogni forma di partecipazione che richiede di essere immaginata, contestualizzata e progettata con cura, tenendo conto anche dei fattori sociali e culturali che contribuiscono a garantire il valore dell’universalità dell’accessibilità, concepita come diritto umano». O quella di un corsista di Scienze del Linguaggio: «Perché sia vissuta in modo significativo, la partecipazione all’interno degli ambienti culturali, così come negli altri ambienti di vita, va intesa come un processo dinamico in cui bisogni e valori vanno costantemente negoziati».

Alcuni evidenziano il valore dell’inclusione, come una studentessa online di Scienze della Comunicazione: «[ho compreso] che ogni processo inclusivo, perché possa assumere i caratteri di universalità, efficacia e sostenibilità, debba derivare da un diffuso senso di responsabilità collettiva».

Dalla lettura delle scritture autobiografiche, il principio dell’accessibilità acquista una dimensione più ampia e significativa: diventa un paradigma culturale che non si esaurisce con l’applicazione di norme e l’osservanza delle regole; si fa forma mentis nel rispetto della volontà di autodeterminazione di ciascuno; dà origine a un atteggiamento verso una vita condivisa che ci chiede di assumere attenzioni e comportamenti che devono diventare parte di noi.

Conclusioni

I corsisti che hanno preso parte allo studio condividono l’opinione che l’audience development e l’accessibilità costituiscano un aspetto imprescindibile della fruibilità museale. Grazie allo sguardo reso più affinato, attento e sofisticato dallo studio della Pedagogia speciale (Pavone, 2010) apprezzano le realtà museali che utilizzano la partecipazione, non solo per dare voce ai visitatori, ma anche per sviluppare esperienze ricche di valore e significato, «come obiettivo e processo di democrazia e inclusione culturale, espressione del diritto umano di partecipare alla vita e alla produzione della cultura» (Zanato Orlandini, 2017, p. 128).

Laddove, invece, rivelano autoreferenzialità degli operatori e delle iniziative museali (Miglietta, 2017), i partecipanti evidenziano la necessità di aprire i musei a un pubblico che risulti il più vasto possibile, tenendo conto dell’alta variabilità individuale di interessi, linguaggi e cultura di provenienza (Zanato Orlandini, 2017), al fine di rendere i musei un luogo d’ascolto e di costruzione condivisa di contenuti, progetti e inclusione sociale (Iotti e Culcasi, 2024). Per ridefinire la grammatica dell’audience development ed engagement, i partecipanti concludono che le istituzioni museali debbano prendersi in carico il problema della propria rilevanza sociale, tenendo presente il potenziale educativo e trasformativo che deriva da progettazioni aperte e inclusive e l’innovazione nei processi di assunzione del personale rispetto a pubblici nuovi e a categorie svantaggiate (Bollo, 2017).

Tra crisi post-pandemia e necessità di inclusione, sono ancora molti gli interventi pedagogici da fare affinché si compia quel processo di democratizzazione culturale già delineato da Nuzzaci (2006), che rende i musei spazi inclusivi e polifonici (Ciaccheri e Fornasari, 2022) e l’accessibilità risorsa collettiva e prerequisito di ogni progettazione volta all’empowerment dei visitatori.

Non si tratta semplicemente di accogliere nei musei le persone con maggiore fragilità, ma di attuare le condizioni per una loro fattiva partecipazione, riconoscendo piena dignità all’essere umano e avvalorando la centralità dei diritti di cui è espressione.

Questo cambiamento di paradigma da una dimensione di esclusività e specificità a una di universalità e uguaglianza necessita dell’attivazione di una pluralità di risorse umane e professionali che supportino un ripensamento degli spazi e un rinnovamento dei percorsi museali, capaci di contribuire a delineare il nuovo volto del museo inclusivo.

Un museo la cui accessibilità non è quella che cancella le differenze, ma le valorizza; un museo che faccia accrescere la partecipazione della comunità alla vita culturale e al patrimonio artistico; che faccia della co-progettazione e della partecipazione il comune denominatore di un pensiero pedagogico finalizzato a sostenere e valorizzare la concreta realizzazione di contesti di vita significativi e a misura di ciascuno.

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  1. 1 RTDB Dipartimento di Filosofia e Beni culturali, Università Ca’ Foscari di Venezia.

  1. 2 RTDB Department of Philosophy and Cultural Heritage, Ca’ Foscari University of Venice, Ca’ Foscari University of Venice.

  1. 3 GU Serie Generale n. 303 del 28-12-2013. Si tratta di un decreto attuativo ai sensi dell’art. 3, comma 3, L. 3 marzo 2009 n. 18 e dell’art. 5 comma 2 del D.M. 167/2010.

Vol. 23, Issue 2, May 2024

 

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