Vol. 19, n. 2, maggio 2020

Cantiere aperto

Formazione degli insegnanti di scienze motorie. Posizione e situazione tra università e società scientifiche

Pasquale Moliterni, Lucia de Anna, Marta Sánchez Utgé, Marzia Mazzer, Alessio Covelli e Angela Magnanini1

Sommario

L’articolo presenta la fase esplorativa della ricerca «Proposta di un nuovo modello formativo per gli insegnanti di attività motorie e sportive», finanziata dall’Università di Roma «Foro Italico» su un modello innovativo di formazione degli insegnanti. Tale modello è rivolto in particolare agli insegnanti di scienze motorie e sportive sulla base delle novità normative che si sono susseguite a partire dalla legge 107/2015, con i cambiamenti nella formazione degli insegnanti e con nuove prospettive per le università. L’ipotesi alla base del progetto è di verificare innanzitutto se l’offerta formativa accademica sia adeguatamente orientata a sviluppare la consapevolezza degli studenti in relazione alle conoscenze e competenze necessarie per divenire insegnanti di scienze motorie e sportive, per ipotizzare un modello di formazione degli insegnanti più innovativo ed efficace in ordine allo sviluppo di competenze pedagogico-didattiche idonee a curare la dimensione educativa e formativa nella promozione degli apprendimenti attraverso le attività motorie e sportive.

Parole chiave

Insegnamento attività motorie e sportive, formazione degli insegnanti, competenze pedagogico-didattiche.

OPEN PROJECT

Motor and sport activities teachers training. Between universities and scientific societies

Pasquale Moliterni, Lucia de Anna, Marta Sánchez Utgé, Marzia Mazzer, Alessio Covelli and Angela Magnanini2

Abstract

The article presents the exploratory phase of the research «Innovative training model proposal for motor and sport activities teachers», funded by the University of Rome «Foro Italico» in order to develop more innovative and effective teacher training model. This model is aimed in particular at motor and sports sciences, responding to new regulations introduced by law 107/2005 and subsequent measures, which introduced several changes in teacher training, with new perspectives for universities. The hypothesis is to verify first of all whether the academic training offer is adequately oriented to develop students’ awareness in relation to the knowledge and skills necessary to become teachers of motor and sports sciences and to design a more effective teacher training model for a greater development of pedagogical and didactic skills oriented to the educational and training dimension and to the promotion of learning through motor and sports activities.

Keywords

Motor and sport activities teaching, teacher training model, pedagogical and didactic skills.

Introduzione e ratio

La ricerca finanziata dal nostro Ateneo su un modello di formazione degli insegnanti, in particolare di scienze motorie e sportive e di cui qui si presenta la prima fase, è stata concepita in vigenza della legge 107/2015, che ha introdotto diversi cambiamenti nella formazione degli insegnanti, con nuove prospettive per le università.

La prima fase esplorativa del nostro studio ha inteso indagare quali siano le ricadute delle riforme relative alla formazione degli insegnanti introdotte dalla legge 107/2015 e successivamente modificate dalla legge 145/2018 che ha eliminato i percorsi FIT, riducendo la formazione iniziale degli insegnanti all’acquisizione dei 24 CFU di area pedagogica, didattica, psicologica e antropologica.

Con particolare riferimento ai corsi di laurea nelle scienze motorie e sportive, considerato che i 24 CFU vengono quasi sempre riconosciuti sulla base della mera frequenza dei corsi di laurea ordinari (triennali e magistrali), l’ipotesi che si intende verificare nella seconda fase della ricerca è se l’offerta accademica in tale settore sia sufficientemente orientata a sviluppare le competenze necessarie per divenire un insegnante che abbia una solida preparazione professionale.

Evoluzione della formazione degli insegnanti in Italia nel quadro normativo

La formazione universitaria degli insegnanti in Italia è stata considerata importante fin dal 1973, con la legge delega n. 477. Insieme alla riorganizzazione della scuola in quanto comunità capace di interagire con la più vasta comunità sociale e civica, l’insegnante veniva considerato come figura centrale per ridurre il fenomeno dell’abbandono e della dispersione scolastica e dare spessore ad una scuola per tutti; per tale ragione già allora si delineava una concezione unitaria della funzione docente, caratterizzata da una formazione universitaria di base per gli insegnanti di ogni ordine e grado di scuola, pur nell’attenzione alle differenziate forme curricolari da mettere in campo, al fine di acquisire competenze pedagogiche e didattiche orientate al successo formativo di ogni studente.

La concretizzazione di una formazione universitaria per gli insegnanti ha visto però la luce solo a partire dagli anni Novanta, con la legge 341 del 1990 e i relativi decreti attuativi che hanno istituito dopo quasi una decina d’anni i corsi di laurea in scienze della formazione, per la scuola dell’infanzia e primaria, e i percorsi formativi aggiuntivi post-laurea, prima biennali (SSIS) e poi annuali (PAS, TFA), per gli insegnanti della scuola secondaria di primo e secondo grado.

Con il DLgs 59/2017, attuativo della legge 107, gli insegnanti di scuola secondaria in seguito a superamento di concorso pubblico nazionale avrebbero avuto accesso ad un percorso triennale di formazione iniziale, tirocinio e inserimento nella funzione docente (denominato FIT). Tale percorso aveva l’obiettivo di sviluppare e rafforzare in tali docenti: a) le competenze culturali, disciplinari, didattiche e metodologiche, in relazione ai nuclei fondanti dei saperi e ai traguardi di competenza fissati per gli studenti; b) le competenze proprie della professione di docente, in particolare pedagogiche, relazionali, valutative, organizzative e tecnologiche, integrate in modo equilibrato con i saperi disciplinari; c) la capacità di progettare percorsi didattici flessibili e adeguati al contesto scolastico, al fine di favorire l’apprendimento critico e consapevole e l’acquisizione delle competenze da parte degli studenti; d) la capacità di svolgere con consapevolezza i compiti connessi con la funzione docente e con l’organizzazione scolastica (art. 2, comma 4).

Per gli insegnanti di scienze motorie e sportive, in particolare, bisognava sviluppare competenze in ordine al «potenziamento delle discipline motorie e sviluppo di comportamenti ispirati a uno stile di vita sano, con particolare riferimento all’alimentazione, all’educazione fisica e allo sport, e attenzione alla tutela del diritto allo studio degli studenti praticanti attività sportiva agonistica» (legge 107/2015, art. 1, comma 7, lettera g).

La legge 145/2018 sostituisce il FIT con un «percorso annuale di formazione iniziale e prova». Questo cambiamento non solo riguarda la durata del percorso ma, di fatto, toglie la possibilità di ricevere una formazione universitaria specifica.

La formazione iniziale degli insegnanti di scuola secondaria, in particolare, continua dunque a non trovare una configurazione stabile e anche ciò fa sì che tale grado di scuola nei risultati OCSE-PISA si collochi ancora a livelli bassi di prestazione nel panorama internazionale.

In questo scenario l’unica formazione accademica propedeutica all’insegnamento nella scuola secondaria rimangono i 24 CFU di cui al DLgs 59/17 e al successivo DM 616/17 che dovrebbero mirare alla «[…] acquisizione delle competenze di base nelle discipline antropo-psico-pedagogica e nelle metodologie e tecnologie didattiche generali previsti quali requisiti d’accesso al concorso» (art. 3, comma 1 del DM 616/2017), con riferimento in particolare alle 4 aree di seguito indicate e in cui i futuri insegnanti devono conseguire un minimo di 6 CFU in almeno tre delle quattro aree, attraverso crediti curriculari, aggiuntivi o extracurricolari:

  1. Pedagogia, pedagogia speciale e didattica dell’inclusione
  2. Psicologia
  3. Antropologia
  4. Metodologie e tecnologie didattiche generali.

Di fronte a una situazione così variegata, abbiamo ritenuto necessario fare una ricognizione del panorama italiano per tentare di capire come è stata interpretata e attuata tale norma, con uno sguardo anche alla situazione internazionale, a partire dall’analisi dei documenti elaborati in proposito dalle società scientifiche accademiche di riferimento.

Valore formativo delle attività motorie e sportive e formazione degli insegnanti

La scelta di porre il focus sulle scienze motorie e sportive, a partire da uno sguardo più generale sulla formazione degli insegnanti, nasce per un verso dalla specifica collocazione del gruppo di ricerca all’interno di un ateneo come quello del Foro Italico di Roma, interamente orientato alle scienze motorie e sportive. Trova altresì la sua ratio sul piano epistemologico e scientifico in considerazione della sempre maggiore rilevanza che vengono ad assumere tali scienze nei contesti sociali e culturali.

L’attività motoria, fisica e sportiva, valorizzata già nella cultura classica, viene infatti ritenuta sempre più importante nella formazione della persona e assume i caratteri di trasversalità e specificità (Moliterni, 2012, pp. 229-236; Arnold, 2002; Alfieri, 1974). Grazie alle teorie interazioniste e sociocostruttiviste (Piaget, 1970; Bruner, 1972; Vygotskij, 1966) e alle acquisizioni delle neuroscienze in merito al sistema dei neuroni-specchio (Rizzolatti e Sinigaglia, 2006), l’azione motoria e il movimento assumono un valore fondamentale e strategico nella comprensione e promozione dello sviluppo umano.

Arnold (2002) assegna al movimento una triplice valenza, in quanto sapere suo proprio e specifico (in) che ha valore in sé, oggetto di studio e analisi (about) e forma e modalità trasversale di costruzione e sviluppo di altri saperi e conoscenze (through). Tale acquisizione, da noi combinata con la teoria dell’epistemologia genetica (Moliterni, 2012), fa assumere al movimento ed all’azione motoria rilevanza nello sviluppo della persona sul piano cognitivo, affettivo-relazionale, oltre che corporeo, ma anche sul piano sociale ed etico.

Anche per Dewey (1954, pp. 15-39) la coscienza è essenzialmente motrice e gli stati coscienti tendono a proiettarsi in azione. L’aver trascurato questo principio è la causa di gran parte dello spreco di tempo e di energia nel lavoro scolastico; anche i processi intellettivi e mentali derivano dall’azione. Ciò che chiamiamo ragione, infatti, è essenzialmente la legge dell’azione ordinata ed efficace: un’azione disciplinata.

Come evidenzia inoltre Gazzaniga (2009), il linguaggio ha origine nelle imitazioni motorie (dal gesto, alla lallazione e alla vocalizzazione, alla ripetizione di gesti, alla pantomima). Anche le interazioni sono frutto di azioni-tra il soggetto e l’oggetto «attraverso il movimento», elemento questo (il movimento) di connessione, interrelazione e interdipendenza, con effetti sul piano cognitivo ed emotivo-affettivo, ambientale e sociale. Come si vede, il movimento è pervasivo, trasversale e persistente (Moliterni, 2009a; 2009b); l’azione motoria è primitiva e preesistente rispetto alle altre forme di intelligenza ed è intrinseca a se stessa (Piaget, 2000, p. 17). Secondo Damiano (2009, p. 46), l’intelligenza motoria non è un’intelligenza alla pari di tutte le altre, come sostenuto da Gardner (1987), ma è l’intelligenza originaria, che contiene in sé tutte le altre; pertanto, non va sottovalutata.

Da qui il nostro interesse per la formazione di insegnanti che possano dare valore al movimento ed all’intelligenza motoria sul piano sia specifico sia trasversale. Pertanto, nella prima fase abbiamo analizzato i programmi di formazione per insegnanti di educazione fisica e sport, messi a punto per i precedenti corsi SSIS e TFA nel Lazio, al fine di identificare indicatori e descrittori di processo e sviluppare un modello innovativo di formazione degli studenti di scienze motorie e sportive sulla base della letteratura, della legislazione vigente e dei risultati della prima fase di ricerca, che verrà combinata nella seconda fase con l’approfondimento di alcuni studi caso.

La formazione di tutti gli insegnanti per una scuola inclusiva: uno sguardo internazionale

A livello internazionale ormai tutti i vari Organismi dall’Unione Europea, all’OECD, all’ONU e all’UNESCO stanno affrontando un dibattito sempre più intenso sull’inclusione e l’equità nell’educazione (UNESCO, 2017, pp. 23-26), analizzando le pratiche educative e le responsabilità degli insegnanti nonché la loro formazione. Molte ricerche e studi sono stati svolti sui sistemi di formazione degli insegnanti a livello internazionale. In alcuni paesi, come ad esempio la Francia che sempre di più in questi anni sta sviluppando una scuola inclusiva (Blanquer, 2018), i docenti devono aver già insegnato per alcuni anni prima di iscriversi alla formazione specializzata (de Anna, 2014, pp. 305-312; de Anna, 2016, pp. 57-90).

Per quanto riguarda l’inclusione, inoltre, quasi tutti i paesi stanno sviluppando innovazioni per la trasformazione della scuola, degli insegnanti e dei formatori verso un progetto di vita inclusivo. In particolare, nell’esperienza del Canada (New Brunswick e Quebec) si parla di approccio universale inclusivo (Fougeyrollas e Grenier, 2018). La concezione è quella di una responsabilità della comunità ad agire per tutta la collettività, per la sua piena partecipazione: dunque, non si tratterrebbe più di difendere i diritti di qualcuno, bensì di garantire quelli di tutta una comunità che viene coinvolta per la costruzione di una società inclusiva nella quale non occorre che tutti i giorni vi siano richieste da soddisfare o diritti da far valere in una logica di eccezionalità.

Si ravvisano, tuttavia nella maggior parte dei paesi, difficoltà nella formazione, anche inclusiva, proprio nella scuola secondaria. In Brasile fin dalla Risoluzione CNE/CP n. 1 del 2002, sulle Direttive Curriculari Nazionali per la formazione dei docenti dell’Educação Básica, si prevede che le istituzioni di insegnamento superiore debbano rivolgere l’attenzione «à diversidade e contemplarem conhecimentos sobre as especificidades dos alunos com necessidades educacionais especiais». Nel Piano Nazionale di Educazione (PNE), legge n. 13.005 del 25 giugno 2014 sulla formazione iniziale dei docenti dall’infanzia all’insegnamento superiore, viene focalizzata l’attenzione sulle varie forme di diversità (comprese le realtà indigene e campesinas) e contemplato l’accesso dei docenti a progetti di formazione continua. La Risoluzione CNE/CP n. 2 del 2015 definisce le Direttive Curriculari Nazionali sia per la formazione iniziale (Cursos de licenciatura, cursos de formação pedagógica para graduados e cursos de segunda licenciatura), sia per la formazione continua, includendo per tutti nell’area delle conoscenze interdisciplinari, insieme ad altri temi, la dimensione relativa all’educazione degli alunni con necessità educative speciali (de Anna, 2018c, pp. 65-73; Rahme, 2014).

Nella esperienza della formazione degli insegnanti di Scienze Motorie abbiamo sempre cercato di valorizzare gli aspetti pedagogico-didattici anche in forme congiunte con le diverse attività motorie e sportive, evidenziando gli aspetti della relazione di aiuto, dell’espressività e della conoscenza del sé, introducendo strategie didattiche integrate (de Anna, 2009; de Anna e Covelli, 2016).

Inoltre, si è lavorato fin dalla formazione iniziale sulle:

  1. competenze culturali, disciplinari, didattiche e metodologiche, in relazione ai nuclei fondanti dei saperi e ai traguardi di competenza fissati per gli studenti;
  2. competenze proprie della professione docente, in particolare pedagogiche, relazionali, valutative, organizzative e tecnologiche, integrate in modo equilibrato con i saperi disciplinari;
  3. capacità di progettare percorsi didattici flessibili e adeguati al contesto scolastico, al fine di favorire l’apprendimento critico e consapevole e l’acquisizione delle competenze da parte degli studenti;
  4. capacità di svolgere con consapevolezza i compiti connessi con la funzione docente e con l’organizzazione scolastica.

Tali competenze nella specializzazione vengono coniugate con quelle definite nel DM 30/9/2011 a confronto con la Raccomandazione Europea del 2006 sulle 8 competenze chiave e la successiva raccomandazione del 2018 (de Anna 2018a; 2018b).

L’esperienza di ricerca, di studio, di riflessione e di insegnamento delle scienze motorie si è posta principalmente lo scopo di mettere in evidenza l’opportunità di aprire un dialogo tra le discipline pedagogiche e motorie per scoprire come l’attività motoria possa sviluppare azioni educative nella formazione di ogni studente, anche in presenza di studenti in situazione di disabilità. In tale prospettiva, è stata considerata ovviamente la necessità di assumere fin dall’inizio un valore intrinsecamente educativo e formativo, attraverso la costruzione di progetti pedagogicamente fondati ed orientati, che potessero dar vita a relazioni in cui tutti siano coinvolti e rappresentati.

Le attività motorie e sportive vengono utilizzate come strumenti di una progettazione educativa ampia e intenzionale, volta alla crescita di tutti. In questo percorso, la sfida più grande è stata ed è tutt’oggi quella non solo di puntare sulla dimensione educativa dei percorsi delle scienze motorie, ma anche di mostrare come le stesse possano creare momenti e contesti inclusivi in cui ognuno possa esprimersi, avere pari opportunità, pari dignità e autonomia, accettando la prospettiva propria della pedagogia speciale. Una pedagogia dell’integrazione e dell’inclusione che sa trasferire all’interno delle scienze motorie le sue logiche di accoglienza, di partecipazione, di valorizzazione di sé e degli altri, di sviluppo delle autonomie, andando oltre gli aspetti tecnici e costruendo una vera e propria filosofia umanistica e inclusiva nelle scienze motorie (Ducart, 2018).

Altri studi in Brasile stanno sviluppando delle riflessioni sui processi di integrazione e inclusione per quanto riguarda la formazione degli insegnanti di scienze motorie e sportive costruendo contesti inclusivi nella scuola ordinaria (Fumes, Santos e Damato, 2019). Nonostante a livello internazionale si sviluppino concezioni che supportano anche lo sport inclusivo, il cammino è molto lungo, ancora lontano dal concetto di inclusione secondo le dichiarazioni internazionali e il dibattito internazionale dalla Conferenza dell’Unesco di Salamanca del 1994 ad oggi (Ainscow, Slee e Best, 2019).

In Italia, tali problematiche purtroppo non si riferiscono solo alle scienze motorie ma si estendono a tutte le discipline, soprattutto per quanto riguarda la formazione di tutti gli insegnanti della scuola secondaria per la quale, allo stato attuale, non sono previsti percorsi formativi inclusivi che tengano conto delle riflessioni su esposte. Di conseguenza questa impreparazione si riflette anche sull’accesso alla specializzazione sul sostegno.

Analisi dell’offerta formativa universitaria italiana nell’ambito delle scienze motorie e sportive

In questo paragrafo si presentano i dati relativi agli atenei nei quali sono attivi corsi di Laurea in Scienze Motorie. Si tratta del 36,4%, delle università italiane, di cui 31 sono statali e 5 non statali (fonte MIUR: http://ustat.miur.it/dati/didattica/italia/atenei#tabistituti, consultato il 29 giugno 2020). Tutti offrono il corso di laurea triennale L22, mentre, per quanto riguarda le lauree magistrali, l’offerta si concentra sulla LM 67 (attività motorie preventive e adattate), attivata in 28 atenei, e la LM68 (Scienze e tecniche dello sport) presente in 15 università. Invece, si riduce drasticamente il numero di corsi di LM47 (Management di impianti sportivi) offerti da solo 5 istituzioni e sono rari i casi di corsi di laurea magistrale interclasse; inoltre, solo quattro università (tutte statali) offrono sia la laurea triennale sia le tre lauree magistrali riconducibili alle scienze motorie.

La Conferenza dei Presidenti dei Corsi di Laurea in Scienze Motorie con il documento del 22 dicembre 2017 ha perorato il riconoscimento dei 24 CFU come crediti curriculari, acquisiti dagli studenti nei percorsi formativi di base.

I dati rappresentati sono stati ricavati dalle informazioni pubblicate nei siti istituzionali degli Atenei. È stata trovata informazione indubbiamente riconducibile al riconoscimento dei crediti curricolari in 21 siti dei 36 consultati, con modalità molto diversificate tra di loro che vanno dalla pubblicazione di elenchi relativi a insegnamenti, esami e ai riconoscimenti per ogni singolo studente che ne ha fatto domanda. Alla fine di questa raccolta si è proceduto a riformulare e quantificare il numero di crediti riconoscibili per ognuna delle quattro aree previste nel DM 616/2017.

Iniziando dall’area A «Pedagogia, pedagogia speciale e didattica dell’inclusione», nella quale possono essere acquisiti crediti in tutti i quattro settori scientifici disciplinari (ssd) dell’area pedagogica, si evince che non è riconosciuto alcun credito nel ssd M-PED/04 (Pedagogia sperimentale), probabilmente perché assente nei corsi di laurea dei quali ci stiamo occupando. Marginali anche i riconoscimenti in M-PED/02 (Storia della pedagogia), mentre M-PED 01 rappresenta il 64% dei crediti riconosciuti in quest’area. La presenza di M-PED/03 (Didattica e pedagogia speciale) sembra limitata, soprattutto tenendo in considerazione che è il settore specifico che si occupa di didattica e che i corsi di laurea in scienze motorie hanno tra gli sbocchi professionali l’insegnamento nelle scuole secondarie.

Anche nell’area B «Psicologia» possono essere riconosciuti i crediti appartenenti agli otto ssd della psicologia. M-PSI/04 (Psicologia dello sviluppo e psicologia dell’educazione) è quello più presente e affine con il percorso formativo e con la professione docente. A seguire abbiamo M-PSI/06 (Psicologia del lavoro e delle organizzazioni) principalmente presente nei corsi di laurea magistrale in Scienze e tecniche dello sport e in Management degli impianti sportivi. Risulta anche significativa la presenza della psicologia generale, M-PSI/01, presente principalmente nei corsi di laurea triennale. Seguono M-PSI/05 (Psicologia sociale) e la psicobiologia e psicologia fisiologica, M-PSI/02. Ci si domanda quanto le conoscenze e le competenze relative ai ssd M-PSI/06 e M-PSI/02 possano corrispondere a quanto previsto nell’allegato al DM 616/17, nel quale si afferma che i candidati devono «[…] aver acquisito conoscenze in relazione agli elementi di base del funzionamento psicologico, dei processi di sviluppo e di adattamento delle studentesse e degli studenti, con attenzione ai processi psicologici — cognitivi e affettivo/relazionali — della partecipazione, del benessere scolastico e dell’orientamento scolastico /professionale […]» (Allegato A, DM 616/17).

Per quanto riguarda l’area C «Antropologia», emerge che nei corsi di laurea, siano essi triennali o magistrali, non sono previsti insegnamenti in questo ambito; solo l’università di Brescia riconosce 1 CFU nel ssd M-FIL/03.

Infine, si presentano i dati rilevati sull’area D «Metodologie e tecnologie didattiche generali» nella quale possono essere riconosciuti, per tutte le classi di insegnamento, i ssd M-PED/03 e M-PED/04, e per scienze motorie i relativi settori M-EDF/01 e M-EDF/02, che nel DM sono stati dichiarati in via transitoria affini a M-PED/03. In tutti gli atenei consultati vengono riconosciuti crediti ai settori M-EDF/01 e 02, partendo da un minimo 6 CFU (Università di Bari) fino al riconoscimento di tutti i crediti nei ssd M-EDF (ad esempio: Università di Roma Tor Vergata e Università dell’Aquila).

La figura 4 evidenzia in merito all’ambito pedagogico un riconoscimento residuale di crediti, risultando presente unicamente in quattro atenei, mentre è significativo il riconoscimento nei settori riguardanti le scienze motorie (M-EDF/01) e sportive (M-EDF/02).

Di fronte a questi dati ci si interroga su come potranno essere acquisite le conoscenze, di cui all’allegato A del DM 616/17, relative a questa area che vanno dai fondamenti epistemologici e metodologico-procedurali della didattica, alla progettazione educativa e formativa, con tutto quello che comporta in termini di conoscenze sulla mediazione didattica, sulle scelte metodologiche e strategiche, sull’uso delle tecnologie, sulla docimologia, ecc.

Sembra che gli Atenei abbiano tenuto conto solo di quanto previsto nell’allegato B del DM 616/17 che, per quanto riguarda le classi di concorso A-48 e A-49 (Scienze motorie e sportive nelle scuole secondarie), prevede che i candidati acquisiscano le seguenti conoscenze specifiche sulle classi concorsuali.

  • Discussione critica delle principali metodologie per la costruzione di percorsi didattici nelle scienze motorie e sportive coerenti con gli obiettivi fissati dalle indicazioni nazionali e dalle linee guida.
  • Metodologie didattiche per lo sviluppo e la gestione di attività pratiche individuali e di gruppo modulate in funzione dell’età e delle capacità specifiche dell’individuo.
  • La didattica pratica come metodologia per l’insegnamento e l’apprendimento delle scienze motorie e sportive: ruolo ed esempi operativi.
  • Studio dei processi di insegnamento e apprendimento delle scienze motorie e sportive mediante strumenti e tecnologie anche digitali, con particolare attenzione allo specifico ruolo dell’insegnante e ai nodi concettuali, epistemologici, linguistici e didattici.

Le posizioni della SIEMeS e la SIPED sulla formazione degli insegnanti di scienze motorie e sportive

Il presente paragrafo ha l’obiettivo di rappresentare le posizioni della SIEMeS (Società Italiana di Educazione Motoria e Sportiva) e della SIPED (Società Italiana di Pedagogia), rispetto al dibattito sulla formazione degli insegnanti di scienze motorie e sportive. Per quanto riguarda la SIPED si farà riferimento, in particolare, al gruppo di lavoro di recente costituzione «Educazione motoria e sportiva» coordinato da Mario Lipoma e Carlo Macchi, i cui membri afferiscono anche alla SIEMeS e operano prevalentemente all’interno dei settori scientifico-disciplinari M-EDF/01 e 02 (Lipoma e Macchi, 2017).

Il ruolo delle attività ludiche, motorie e sportive nei percorsi di formazione degli insegnanti

Impegno principale degli esponenti della SIEMeS/SIPED è la valorizzazione, in chiave pedagogico-didattica, del ruolo che le attività ludiche, motorie e sportive assumono nei contesti formali o informali di apprendimento sia dal punto di vista epistemologico e metodologico che dal punto di vista euristico e applicativo. In questa prospettiva, la formazione degli insegnanti e degli operatori nell’ambito motorio-sportivo rappresenta una delle linee di ricerca di maggior rilievo (Lipoma et al., 2015).

Attualmente i contenuti curriculari universitari, afferma Lipoma (2018), non contribuiscono adeguatamente allo sviluppo delle competenze pedagogico-didattiche necessarie per l’insegnamento delle attività motorie e sportive in contesti educativi, sportivi e del tempo libero (es. progettazione, gestione e valutazione dell’attività tenendo conto dei contesti, delle dinamiche comunicative, relazionali e motivazionali e delle caratteristiche peculiari di ciascun individuo).

Nell’ambito del percorso universitario per gli insegnanti di scuola dell’infanzia e primaria (Scienze della formazione primaria — LM-85 Bis), tale valutazione assume un carattere prevalentemente quantitativo in riferimento all’insufficiente numero dei CFU dedicati ai Metodi e Didattiche delle Attività motorie e sportive (solo 9 CFU in M-EDF/01 e 02 durante tutto il percorso accademico) (Casolo e Lipoma, 2018).

Per quanto riguarda la formazione degli insegnanti di scuola secondaria, invece, la critica che viene mossa ai C.d.L di Scienze motorie (L-22, LM-67 e LM-68) è primariamente di natura qualitativa. La curvatura verso gli ambiti bio-medici e tecnico-addestrativi della gran parte degli insegnamenti presenti in questi C.d.L, infatti, rende spesso marginali i significati psico-pedagogici delle attività proposte. Il risultato è quello di preparare tecnici del movimento umano ma non esperti educatori (Lipoma, 2018; Casolo e Lipoma, 2018).

La centralità del corpo nell’apprendimento

Alla luce di quanto affermato nel paragrafo precedente, si rende necessaria un’inversione di tendenza che riconosca all’esperienza corporea un orizzonte più ampio, valorizzandola come matrice per l’evoluzione di apprendimenti concettuali — trasferibili in differenti alfabeti, linguaggi e contesti — e lo sviluppo cognitivo, emotivo e sociale. A scuola, infatti, non bisogna solo imparare a muoversi e ad acquisire uno stile di vita salutare (physical literacy) ma anche muoversi per imparare (Colella, 2018). A tale scopo, è fondamentale la presenza di insegnanti adeguatamente formati per promuovere una didattica interdisciplinare, innovativa e attiva che sappia utilizzare il movimento come volano per l’acquisizione dei saperi e delle competenze chiave (UE, 2006; UE, 2018).

A supporto di tale orientamento, concorrono le più recenti evidenze neuroscientifiche. Di particolare interesse, a questo proposito, risultano gli studi sui neuroni specchio condotti dal gruppo di ricerca dell’Università di Parma che hanno dimostrato empiricamente l’origine senso-motoria della cognizione, della relazione con l’altro, dell’empatia e, addirittura, del linguaggio (Rizzolatti e Sinigaglia, 2006). In contrapposizione alla dicotomia cartesiana mente/corpo che ancora permea in modo sostanziale il pensiero occidentale, svalutando l’intelligenza corporeo-cinestetica rispetto a quella logico-linguistica, in un’intervista Gallese afferma: «Se io dovessi sintetizzare in uno slogan quello che i dati sembrano suggerirci è che al «cogito ergo sum» andrebbe sostituita la formula «ago ergo sum»» (Gallese, in Lanni, 2007, p. 74).

L’idea che l’immersione esperienziale rappresenti una parte insostituibile di qualsiasi atto cognitivo (Nicolosi, 2014), chiama in causa anche il paradigma interazionista e socio-costruttivista che considera la conoscenza come risultato dell’interazione tra gli individui, i quali influenzano e vengono influenzati dal loro ambiente sociale e culturale.

In conclusione, è proprio a partire dall’incontro tra enattivismo e socio-costruttivismo (Light, 2008), che andrebbe ripensata la formazione degli educatori nell’ambito delle scienze motorie e sportive a tutti i livelli, affinché essi promuovano nelle nuove generazioni una più profonda consapevolezza delle potenzialità del corpo/movimento in relazione alle molteplici dimensioni che concorrono al benessere e alla maturazione complessiva della persona.

La dimensione inclusiva delle attività motorie e sportive

I documenti di cui abbiamo discusso nei paragrafi precedenti trascurano un aspetto fondamentale della formazione degli insegnanti legato alla dimensione inclusiva dello sport e dell’attività motoria. L’enfasi dei professionisti in M-EDF, infatti, è posta principalmente sull’adattamento delle attività in funzione dei Bisogni Educativi Speciali e sulla possibilità di utilizzare lo sport per intervenire in maniera mirata in favore di gruppi sociali specifici (es. migranti, persone con disabilità, classi svantaggiate) (vedi le linee di ricerca di M-EDF in Lipoma et al., 2015). Tale prospettiva rimane ingabbiata ancora in una visione ambivalente in cui l’attività motoria per «normodotati» è qualcosa di diverso rispetto a quella per le persone con disabilità, ecc. Come afferma Moliterni però: «Data la natura educativa dell’attività motoria e sportiva, è evidente che essa va condotta in forme non discriminanti ma rispettose della diversità, valorizzandole, e con modalità tali da consentire a tutti gli alunni la più ampia partecipazione nel rispetto delle peculiarità e dei bisogni educativi di ciascuno» (Moliterni, 2013, p. 235).

La valorizzazione delle diversità richiede l’acquisizione, da parte degli insegnanti, di competenze pedagogiche e didattiche trasversali che oltrepassano i confini disciplinari (de Anna, 2014; de Anna e Covelli, 2016). Un insegnante riflessivo, a prescindere dalla disciplina di cui si fa portavoce, «dovrebbe porsi in via prioritaria questi interrogativi:

  • Come posso organizzare il mio insegnamento per consentire a tutti di apprendere?
  • Quali metodi e strategie didattiche devo utilizzare?
  • Come devo agire per predisporre un contesto inclusivo?
  • Come devo trasformare la mia disciplina affinché diventi effettivamente un’opportunità di apprendimento per tutti?
  • Come devo intervenire per creare una relazione tra i compagni che favorisca l’apprendimento?» (de Anna e Covelli, 2016, p. 133).

È chiaro che l’attenzione, in questo caso, è rivolta ai contesti di apprendimento in senso più generale, all’interno dei quali bisogna puntare ad attivare i facilitatori e rimuovere le barriere presenti, in particolare quelle di natura culturale che nascono spesso dal pregiudizio e dalla paura (OMS, 2002).

Formare insegnanti di scienze motorie e sportive significa, allora, formare persone capaci di riconoscere e attualizzare il potere dello sport e del movimento come «opportunità di trasformazione nonché come fattore di umanizzazione per dare concretizzazione al bello e al bene e migliorare la salute, intesa nella sua ampiezza concettuale, la qualità della vita e l’inclusione sociale» (Moliterni, 2013, p. 237).

Formazione e abilitazione all’insegnamento scolastico: la prospettiva di SIRD e CUNSF

Le novità introdotte dal comma 792 della legge 145/2018 hanno condotto alla sostituzione del percorso FIT delineato dal DLgs 59 del 2017 con la reintroduzione del «percorso annuale di formazione iniziale e prova» il quale sostanzialmente era già in vigore prima della riforma della «Buona Scuola» (legge 107/2015). Tuttavia, questo ritorno al passato ha comportato una sorta di «cortocircuito» nel percorso formativo volto all’abilitazione all’insegnamento. Il cortocircuito è situato nella mancanza di percorsi abilitanti quali TFA e PAS volti allo sviluppo delle competenze pedagogiche, didattiche, psicologiche che dovrebbero essere proprie di ciascun insegnante poiché trasversali rispetto alle diverse discipline dell’insegnamento scolastico.

Si potrebbe obiettare che lo sviluppo di tali competenze sia assicurato dai percorsi di formazione cosiddetti «pre-FIT» volti all’acquisizione dei 24 CFU di natura pedagogica, didattica, antropologica e psicologica. In realtà, come evidenziato dalle rilevazioni esplorative condotte da Marta Sanchez Utgé (vedi il paragrafo «Analisi dell’offerta formativa universitaria italiana nell’ambito delle scienze motorie e sportive»), molti atenei, con particolare riferimento ai corsi di laurea in Scienze Motorie triennali e magistrali, hanno optato per il riconoscimento di tali crediti già all’interno dei C.d.L., bypassando in questo modo i percorsi formativi necessari ai futuri docenti per acquisire le competenze utili a svolgere la professione di insegnante.

Tali criticità sono state riconosciute anche dalle diverse società scientifiche delle discipline pedagogico-didattiche e dalla Conferenza Universitaria Nazionale di Scienze della formazione (CUNSF) sulle cui posizioni, insieme a quelle espresse dalla Società Italiana di Ricerca Didattica (SIRD), si concentrerà il presente contributo per rappresentarne gli elementi più significativi.

La deriva dei percorsi abilitanti e la necessaria strutturazione della formazione iniziale

CUNSF e SIRD hanno entrambe manifestato una forte preoccupazione verso la deriva dei percorsi formativi abilitanti riguardanti gli insegnanti di scuola secondaria. A tal proposito la CUNSF, nell’evidenziare l’importanza della formazione degli insegnanti riconosciuta sia a livello nazionale, sia a livello internazionale, sostiene la necessità di una strutturazione precisa e sistematica dei percorsi di formazione iniziale che non possono fondarsi sulla casualità o essere del tutto assenti poiché sostituiti dall’abilitazione all’insegnamento.

Come evidenziato dalla CUNSF, il personale neoassunto «risultava e in molti casi ancora risulta pressoché privo di qualunque preparazione pedagogica, didattica, psicologica e antropologica, nonché relativo alle didattiche disciplinari, indispensabili per una gestione responsabile e competente di processi di insegnamento-apprendimento, a diretto vantaggio di futuri studenti e studentesse e, dunque, dell’intero sistema Paese» (CUNSF, 2019, p. 1). A tal proposito la CUNSF ha proposto la creazione di un tavolo tecnico presso il MIUR al fine di riunire i diversi stakeholder per lavorare nella direzione di un progetto di formazione degli insegnanti condiviso.

La logica di sistema da adottare nella formazione iniziale degli insegnanti delle scuole secondarie emerge anche nel documento realizzato di concerto dalla SIRD con le principali associazioni degli insegnanti. Anche in questo caso, si sostiene l’importanza della formazione degli insegnanti e, in riferimento ai docenti della scuola secondaria, si ritiene necessario analizzare le esperienze pre-FIT già realizzate nelle varie Università per acquisire una visione di insieme utile a operare delle modifiche strutturali. Tali aggiustamenti dovrebbero condurre a una logica di sistema fondata sulla creazione di centri di ateneo o interateneo concepiti per la gestione condivisa della formazione iniziale tra Scuola e Università, l’accompagnamento dei neo-assunti e lo sviluppo delle competenze degli insegnanti già in servizio attraverso la formazione continua. Tale processo potrebbe e dovrebbe essere sostenuto anche attraverso maggiori investimenti e il «reclutamento di ricercatori ed esperti a supporto dell’innovazione educativa e didattica nella scuola», la presenza di dirigenti scolastici con un marcato profilo didattico-educativo piuttosto che amministrativo-burocratico, nonché un’attenzione all’inclusione scolastica e alla gestione educativo-didattica delle situazioni più complesse (AA.VV., 2018, pp. 13-15).

La mancanza di una strutturazione chiara e duratura della formazione iniziale e continua riduce le opportunità di formare insegnanti competenti. Per quanto riguarda la formazione iniziale, la sostituzione dei corsi abilitanti all’insegnamento con i concorsi abilitanti indebolisce le possibilità di dialogo tra teoria e prassi dal momento che i futuri insegnanti, se non hanno mai lavorato nei contesti scolastici, non avranno molte possibilità di riflettere sulle pratiche di insegnamento-apprendimento così come sulla propria professionalità.

Il tirocinio come opportunità formativa di riflessione e di dialogo tra teoria e prassi

Come sostiene John Hattie (2009, p. 22), i maggiori effetti sull’apprendimento degli studenti si verificano quando gli insegnanti pongono in discussione il proprio insegnamento divenendone essi stessi allievi, e quando gli studenti diventano loro stessi insegnanti. Tale visione rimanda al principio della coevoluzione quale dialogo tra istituito e istituente (Vasquez e Oury, 1975) alla base dell’azione trasformativa sui contesti anche attraverso la coeducazione degli attori che li vivono (Berlini e Canevaro, 1996), sulla quale si fondano l’educazione e la formazione. La prospettiva coevolutiva permette di recuperare il significato dell’educazione quale «processo bidirezionale e pluriprospettico attraverso il quale si esperiscono conoscenze, valori, costumi, che si materializzano in cambiamenti di natura emotiva, intellettuale, corporea, sociale, civile» (Moliterni, 2017, p. 253). Le possibilità per i futuri insegnanti di svolgere attività di formazione e tirocinio durante la formazione iniziale permettono loro di arricchire la teoria pedagogica in loro possesso di tutti quegli elementi presenti nelle prassi educative. Queste ultime, infatti, sono costituite «[…] da un groviglio così intricato di variabili da rendere impossibile fare altrimenti: tentare di controllarne tutti gli aspetti porterebbe alla paralisi. Per gestire la pratica educativa in situazione è perciò necessaria una competenza più ampia e informale di quella inerente alla teoria pedagogica, e che deve necessariamente riposare sulla rete consolidata di credenze e di abiti della pedagogia popolare [e della cultura pedagogica], grazie alla quale l’educatore può controllare in maniera naturale e semiautomatica la maggior parte delle variabili in gioco, concentrandosi su pochi aspetti cruciali» (Baldacci, 2012, p. 23).

In questo rapporto dialettico tra teoria e prassi, la formazione ha un ruolo centrale nel favorire la riflessività dei futuri insegnanti e quindi lo sviluppo delle loro competenze professionali. Come scrive Antonella Nuzzaci (2011, pp. 10-13), la formazione, nell’alimentare la propensione alla riflessività, permette di rendere consapevoli le «pratiche inconsapevoli» (Piaget, 1974), consentendo agli insegnanti di mettere in discussione e modificare il proprio lavoro a partire dall’analisi di pratiche apertamente e consapevolmente assunte, elevando il livello di competenza, di autonomia e di responsabilità di ciascuno nella relazione con gli altri attori i quali, con ruoli differenti, vivono e partecipano ai processi di istruzione.

La formazione degli insegnanti di educazione fisica e il dialogo tra Scuola e Università

Sebbene CUNSF e SIRD non facciano esplicito riferimento alla formazione degli insegnanti di educazione fisica, è evidente come le loro osservazioni sulla formazione degli insegnanti delle scuole secondarie riguardino anche questa disciplina la quale ha un valore strategico nei processi di insegnamento-apprendimento in qualsiasi ordine e grado di scuola. Nel caso della scuola secondaria, la formazione degli insegnanti sul versante pedagogico e didattico potrebbe costituire un’ulteriore opportunità per riconsiderare il significato e il valore dell’educazione motoria quale momento privilegiato per permettere alla persona di conoscersi e di essere riconosciuta nella sua globalità a partire dall’esplorazione e dall’espressione creativa della sua corporeità nella relazione con gli altri ai fini del proprio sviluppo identitario e della relazione con il mondo (Calidoni et al., 2004). Allo stesso tempo, le attività motorie possono sostenere la realizzazione dei processi di inclusione scolastica e sociale (de Anna, 2009; Morandi, 2016), facilitando le relazioni interpersonali e una progettazione curricolare interdisciplinare in grado di favorire gli apprendimenti situati e lo sviluppo delle competenze (Baldacci, 2010; Scapin e Da Re, 2014) attraverso la trasversalità e la trasformazione dei saperi con un utilizzo plurale delle strategie didattiche nelle quali privilegiare le mediazioni attive e analogiche (Moliterni, 2013).

In conclusione, le posizioni espresse da SIRD e CUNSF fanno riferimento anche al ruolo dell’Università, e in particolare al nodo problematico e per certi versi irrisolto del rapporto tra la funzione formativa e quelle di ricerca e innovazione. Come accennato nel secondo paragrafo, le esperienze realizzate all’Università di Roma «Foro Italico» nell’ambito della formazione iniziale degli insegnanti di educazione fisica sono state indirizzate verso il dialogo tra formazione, prassi, ricerca e innovazione mediante attività teoriche e pratiche in grado di stimolare lo sviluppo delle competenze pedagogiche e didattiche dei futuri insegnanti nel connubio con i propri saperi disciplinari delle scienze motorie. I percorsi formativi delle SSIS, TFA e PAS hanno dunque permesso di prendere in carico i fattori determinanti i processi di innovazione, superando i modelli lineari di innovazione a favore di un approccio sistemico basato sull’interazione e l’apprendimento cooperativo come fattori di innovazione reticolare per le organizzazioni (Margiotta, 2018a). Tale impostazione è a nostro avviso alla base dello statuto epistemologico delle discipline educative, così come dell’orizzonte inclusivo verso il quale sono chiamate a dirigersi la società e la scuola con i suoi molteplici attori professionali e non (Gardou, 2012). Inoltre, tale approccio potrebbe favorire un accrescimento della qualità del sistema scolastico in una relazione di reciprocità con la ricerca sull’educazione e sulla formazione degli insegnanti (Mincu, 2015). L’innovazione nella formazione dovrebbe essere al servizio di un processo di crescita e maturazione degli insegnanti rivolto al raggiungimento delle finalità educative, formative e inclusive della scuola attraverso «[…] la predisposizione di un contesto formativo idoneo a favorire la partecipazione attiva e la presa in carico di situazioni difficili anche da parte degli altri soggetti, quale strategia per consentire a ogni allievo un adeguato processo di crescita e di apprendimento» (Moliterni, 2007, p. 249). In tal senso, la formazione e la ricerca nella loro dialettica circolare devono favorire l’innovazione dei processi educativi di insegnamento/apprendimento, valorizzando gli insegnanti e le diverse figure professionali che ne sono coinvolte, rinnovando le forme di mediazione didattica per trasformare i saperi e costruire oggetti di conoscenza accessibili a tutti gli studenti (Moliterni, 2013; SIRD, 2013; de Anna, 2014; Margiotta, 2018a).

SIREF e formazione degli insegnanti

Il tema della formazione degli insegnanti è uno dei temi specifici e centrali della SIREF (Società Italiana di ricerca educativa e formativa),3 verso il quale sono state organizzate:

  1. attività di ricerca (2017 e 2018, in cooperazione con la SIPED — Tavolo Nazionale sulla Formazione degli insegnanti secondari);
  2. attività di formazione scientifica (come ad es., la Summer School del 2001: La formazione degli insegnanti. Evidence Based Research and European Benchmarks 2020) volte ad esplorare nuovi orientamenti e percorsi di formazione improntati alla qualità della didattica e all’identità del ruolo dell’insegnante, anche come ricercatore;
  3. attività editoriali, attraverso l’organo ufficiale della Siref: Insegnamento&Forma­zione e la pubblicazione del volume Teacher Education Agenda (2018).

Effettuando una ricerca degli articoli indicizzati sul sito della rivista Insegnamento&Formazione dal 2014 al 2019, ben 91 articoli sono stati dedicati al tema della formazione docente, sia in servizio, sia iniziale, sia continua, anche con specifica attenzione agli insegnanti di scienze motorie (3) e di sostegno (9). La prospettiva della SIREF è ben sintetizzata dalle riflessioni di Margiotta circa la legge 107/2015 ed il previsto percorso FIT (Margiotta, 2017). Margiotta ne evidenza l’innovazione sottolineando che «La struttura ipotizzata non si limita a esaltare il ruolo trainante del Tirocinio, ma ancor più lega Università e Scuola nella condivisione sia dei progetti di inserimento lavorativo sia delle azioni di monitoraggio, valutazione formativa e valutazione conclusiva dell’idoneità sia culturale che professionale dei futuri insegnanti. Siffatto intreccio obbliga, sia sul piano concettuale che su quello dell’etica sociale, a progettare l’intero percorso triennale come un curricolo formativo integrato, che individua nell’analisi dei referenziali del profilo culturale e professionale dell’insegnante secondario sia la propria leva epistemica che il proprio criterio di qualità» (Margiotta, 2018b, p. 27). Nella sua riflessione critica individua nel Laboratorio come «forma concettuale e logica strutturante» (p. 27) e nell’utilizzo del capability approach gli elementi chiave di questo sistema integrato. Il percorso FIT intende costruire un profilo degli insegnanti che permetta loro «di porre in essere un set di funzionamenti (o capacitazioni) che esprimano le capacità di agire in situazioni complesse, mai solo riducibili alla certificazione di coerenza degli apprendimenti disciplinari. La qualità dell’istruzione e le opportunità di apprendimento diventano così raggiungibili come esito della costruzione intenzionale di un profilo agentivo in grado di rendere capacitanti i contesti dell’apprendimento e dell’insegnamento» (p. 28). Da qui, l’importanza del Laboratorio e delle competenze, soprattutto quelle definite trasferibili (Alessandrini, 2016), per affrontare i diversi cambiamenti che la realtà impone, insieme alle meta-competenze fondamentali affinché il soggetto non perda mai di vista la visione globale ed olistica (Capobianco, 2017), lasciandosi inghiottire dalla spirale dell’iperspecializzazione. I Laboratori durante il FIT dovrebbero, secondo Strollo e Capobianco (2018), mirare alla formazione del docente-ricercatore in grado di trasferire nella scuola la passione per la ricerca didattica, educativa e scientifica, promuovendo la cultura dell’innovazione nel rispetto dei nuclei fondanti delle discipline: un’«innovazione consapevole» che apre al cambiamento le menti delle giovani generazioni (p. 183). Il docente-ricercatore è un modello auspicabile nella scuola del futuro, in quanto sa concepire, co-progettare e sviluppare un approccio interdisciplinare allo studio, favorendo un attivo processo di ricerca, di documentazione e di sviluppo di idee, anche in senso inclusivo. Una formazione quella del docente, volta, quindi allo sviluppo della capacità di fare ricerca costante per coniugare elementi pedagogici, didattici, progettuali e disciplinari inclusivi, al fine di promuovere il successo formativo di ogni alunno.

Problematiche e prospettive

Dall’analisi dei prodotti documentali, condotta fino all’estate 2019, risulta che la formazione universitaria degli insegnanti si è via via consolidata, ma permangono aree critico-problematiche, accentuatesi con il passare del tempo, soprattutto dopo la mancata attuazione del decreto MIUR n. 249 del 2010, che prevedeva l’attivazione di specifici corsi di laurea magistrali per i futuri docenti della scuola secondaria, compresi i docenti di scienze motorie e sportive, e il riavvio dei corsi post-laurea, denominati TFA. È stata sicuramente un’occasione persa ai fini della tanto auspicata promozione di un unitario sistema di formazione universitaria di tutti gli insegnanti, utile a sviluppare significative e accomunanti competenze professionali e a rendere possibile la continuità formativa e educativa, sia diacronica sia sincronica. Se i percorsi universitari di scienze della formazione primaria si sono progressivamente consolidati, non altrettanto è accaduto, infatti, per la scuola secondaria di primo e secondo grado. I relativi curricoli formativi continuano a risultare deboli, infatti, in ordine alla presenza delle scienze dell’educazione e, in particolare, della pedagogia generale e speciale e della didattica. La formazione degli insegnanti di questi due rilevanti gradi di scuola è centrata ancora sulla conoscenza contenutistica delle discipline, anzi delle «materie», e anche laddove sono presenti insegnamenti di didattica, essi attengono alle didattiche disciplinari o, meglio, alle metodologie didattiche di ogni singola disciplina e/o parti di essa. Così facendo si viene a costruire una sorta di babele didattica, frutto della giustapposizione di proposte fortemente specifiche e non coordinate. Vi è il rischio, tutt’altro che recondito, che venga a mancare lo sviluppo di una cultura didattica generale; pertanto, per gli insegnanti diventa difficile far riferimento a un necessario linguaggio comune, idoneo a promuovere forme di progettazione condivisa e integrata e, dunque, utile alla messa in campo di un efficace team-teaching e di un curricolo unitario e significativo per gli studenti. È noto (Moliterni, 2009c, pp. 344-351) come alla base della debolezza della scuola secondaria vi sia proprio la mancanza di tali forme di coordinamento progettuale e valutativo tra i docenti, dovuto sia a percorsi formativi differenziati che pongono le basi per una frammentazione delle proposte didattiche, sia alla non previsione di un obbligo di servizio settimanalmente dedicato alla progettazione condivisa, così come avviene per la scuola primaria da ormai quasi tre decenni, in seguito all’approvazione della legge 148/1990.

Ulteriori problematicità emergono con il sistema dei 24 crediti formativi (cosiddetto PF 24), i quali risultano largamente insufficienti quando vengono erogati in forma aggiuntiva, ma ancor peggio quando essi vengono riconosciuti, in una estensiva e discutibile disposizione transitoria presente nel decreto ministeriale n. 616/2017, per analogia con corsi erogati non già nell’ambito del settore scientifico M-PED/03 di didattica e pedagogia speciale, quanto da parte di insegnamenti disciplinari quali lingua, arte, educazione fisica, ecc., facendo leva sugli insegnamenti nella cui dizione compaia l’espressione «metodologia…». Così facendo non vengono poste le basi per mettere in gioco una forte e significativa cultura professionale didattica, frutto della condivisione di linguaggi, conoscenze e sistemi concettuali comuni, così come avviene per altre professioni pienamente riconosciute nel sistema economico e sociale.

È una carenza che riguarda in particolare quegli aspetti pedagogici e didattici che dovrebbero costituire la cultura professionale di tutti gli insegnanti, al fine di far loro condividere forme e modalità di mediazione didattica e pedagogica per trasformare i saperi e predisporre oggetti culturali significativi ed accessibili per ciascun alunno, all’interno di contesti formativi inclusivi e proattivi.

Va preso atto, comunque, che negli ultimi mesi, a seguito dell'eliminazione del FIT con la legge 145/2018, è aumentata una attenta produzione di documenti e contenuti propositivi da parte delle Società scientifiche e accademiche prese a riferimento. Oltre alla Sird, alla Sipes e alla Siped, a marzo 2020, in particolare, la CUNSF si è fatta carico di una proposta ampiamente condivisa da parte di altre società scientifiche, oltre che dalle associazioni professionali degli insegnanti più largamente rappresentative. Ciò è confortante perché fa leva su quell’impegno congiunto dei mondi della ricerca e della professione docente che negli anni Settanta e Novanta nel nostro Paese ha favorito l’implementazione di significativi processi di innovazione scolastica.

In conclusione, si precisa che nella seconda fase la ricerca è tesa a incrementare tale patrimonio di riflessioni, utilizzando approcci misti di indagine per analizzare l’incidenza dei percorsi di formazione precedenti e attuali nello sviluppo delle competenze funzionali alla progettazione didattica e all’insegnamento.

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Scapin C. e Da Re F. (2014), Didattica per competenze e inclusione. Dalle indicazioni nazionali all’applicazione in classe, Trento, Erickson.

SIRD (2013), Manifesto per la ricerca educativa e l’innovazione didattica, «Giornale Italiano della Ricerca Educativa», vol. 11, n. 20, pp. 9-13.

Strollo M.R. e Capobianco R. (2018), I «laboratori delle competenze» per la formazione del docente ricercatore nel percorso FIT, «Insegnamento&Formazione», vol. 3.

UE (2006), Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente (2006/962/CE).

UE (2018), Raccomandazione del Consiglio del 22 maggio 2018 relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente (2018/C 189/01).

UNESCO (2017), Une guide pour assurer l’inclusion et l’équité dans l’éducation. Education 2030, Parigi, Unesco.

Vasquez A. e Oury F. (1975), L’educazione nel gruppo classe. La pedagogia istituzionale, Bologna, Gli esclusi.

Vygotskij L. (1966), Pensiero e linguaggio, Firenze, Giunti.


1 Laboratorio di Didattica e Pedagogia speciale, Università di Roma «Foro Italico». Pasquale Moliterni, autore dei paragrafi «Introduzione e ratio» e «Problematiche e prospettive»; Lucia de Anna, autrice del paragrafo «La formazione di tutti gli insegnanti per una scuola inclusiva: uno sguardo internazionale»; Marta Sánchez Utgé, autrice del paragrafo «Analisi dell’offerta formativa universitaria italiana nell’ambito delle scienze motorie e sportive»; Marzia Mazzer, autrice del paragrafo «Le posizioni della SIEMeS e la SIPED sulla formazione degli insegnanti di scienze motorie e sportive»; Alessio Covelli, autore del paragrafo «Formazione e abilitazione all’insegnamento scolastico: la prospettiva di SIRD e CUNSF»; Angela Magnanini, autrice del paragrafo «SIREF e formazione degli insegnanti».

2 Laboratorio di Didattica e Pedagogia speciale, Università di Roma «Foro Italico».

3 Si consulti a tal proposito il sito http://www.siref.eu/ (consultato il 29 giugno 2020).

Vol. 19, Issue 2, May 2020

Figura 1 Numero e percentuali dei CdL attivati nell’ambito delle scienze motorie

Figura 2 Area A percentuali riconoscimenti crediti

Figura 3 Area B percentuali riconoscimento crediti

Figura 4 Area D percentuale riconoscimento crediti

 

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