Vol. 19, n. 2, maggio 2020
Monografia
Modelli sperimentali sulla questione del sovraffollamento carcerario
Vito Minoia1
Sommario
Il carcere costituisce un’emergenza educativa in Italia con specificità e problematiche persistenti. Oltre alla carenza strutturale di personale, in particolare di carattere educativo, si pone il problema prioritario del sovraffollamento dei penitenziari.
Il dettagliato XVI Rapporto annuale dell’Associazione Antigone sulle condizioni di detenzione in Italia consente di esaminare anche come la situazione causata dal Covid-19 sia stata affrontata dai magistrati di sorveglianza, dai direttori, dagli operatori penitenziari, dai funzionari di formazione giuridico-pedagogica, dal personale medico, dalla polizia penitenziaria e dai diretti interessati: detenuti e detenute.
Parole chiave
Complessità, carcere, diritti, Covid-19, formazione democratica.
MONOGRAPHY
Experimental models on the issue of prison overcrowding
Vito Minoia2
Abstract
Prison constitutes an educational emergency in Italy with specific features and persistent problems. In addition to the fundamental staff shortage, especially educational staff, there is the high-priority problem of prison overcrowding.
The detailed 16th Annual Report from the Antigone Association on prison conditions in Italy also lets us examine how the situation caused by Covid-19 has been handled by the surveillance courts, directors, and the prison staff, including the legal and educational training staff, medical staff, prison police, and those directly concerned, the prison inmates.
Keywords
Complexity, prison, rights, Covid-19, democratic education.
… includere nella conoscenza degli oggetti
la comprensione umana,
cioè il riconoscimento della complessità umana…
Edgar Morin
Educare a un pensiero e a una conoscenza complessa
L’interpretazione della complessità del reale e la relativa utilizzazione come categoria di cambiamento costituiscono un fondamentale problema della pedagogia contemporanea.
Secondo Edgar Morin (1985, p. 59) non esiste una sola via d’accesso alla complessità, ma si evidenziano diversi itinerari: «Il problema della complessità è di andare oltre, entro il mondo concreto e reale dei fenomeni […] la complessità richiede una strategia, perché solo la strategia può consentirci di avanzare entro ciò che è incerto e aleatorio».
Scoprire la complessità dovrebbe consentirci di evidenziare un problema, prenderne coscienza dal punto di vista intellettuale ed in prospettiva etica ed estetica. Occorre andare sempre più a fondo nell’avventura della conoscenza per scoprire nuove relazioni e modelli epistemologici. La scienza abbandona la certezza e il sogno di voler racchiudere il mondo in schemi o categorizzazioni e va alla ricerca di strategie aperte al fine di arricchire la realtà favorendo il cambiamento o il riequilibrio.
Il metodo della complessità suggerito da E. Morin (1983; 1988), è fondato su un pensiero che non chiude mai i concetti: scardina i modelli chiusi e ristabilisce relazioni e articolazioni, si sforza di comprendere la multidimensionalità, recuperando il pensare singolo senza mai perdere di vista le totalità organizzatrici. Oltre i modelli convenzionali di riferimento si è giunti alla presa di coscienza delle interconnessioni del nostro mondo, non riconducibili a catene lineari causali. Ne consegue un imprevedibile mutamento del nostro rapporto con il sapere. «Il sistema dei saperi diventa la risultante delle interazioni umane con l’ambiente e produce continue trasformazioni (riorganizzazioni del sistema vivente) per rispondere alle esigenze di conservazione delle leggi autoregolative della vita» (Gaspari, 1995, p. 35).
L’«ecologia dell’azione» suggerita da Morin (2015, p. 135) è inscrivibile in un orizzonte inclusivo e «può spesso sviare le nostre azioni dal loro senso desiderato e orientarle perfino in senso contrario».
Da un punto di vista pedagogico sarebbe necessario chiedersi come porsi di fronte alle ambiguità epistemologiche emerse dai paradigmi della complessità, al fine di superare una incertezza che strumentalmente è prodotta dal rapporto tra conoscenza ed educazione. Una via potrebbe essere quella di una pedagogia capace di fornire risposte adeguate alle problematiche che emergono dalle relazioni tra complessità del reale, epistemologia ed esperienza umana. La ricerca educativa non può che passare attraverso la costruzione di valori condivisi, che consentano la crescita umana, solidale, in compresenza di pluralità e diversità. La razionalità orientata verso la complessità, si caratterizza verso personali direzioni di senso piuttosto che verso modelli standardizzati.
Le indicazioni emergenti dalla complessità dell’esperienza educativa devono condurre ad esercitare una approfondita riflessione critica nella considerazione di tutti e di ciascuno, con pari dignità.
Nella pedagogia contemporanea vi è una particolare predisposizione dei processi al rapporto tra teoria e prassi. La complessità evoca pluralismo, asimmetria, dinamismo, autonomia, antidogmatismo.
I vantaggi che la ricerca educativa trae se adotta il paradigma della complessità sono diversi. Ne emerge una fondamentale promozione dello spirito critico con un confronto costruttivo a partire da problemi emergenti dall’esperienza. La cultura pedagogica si fa più attenta rispetto alle problematiche storico-sociali e culturali-esistenziali con un consistente apporto critico filosofico e scientifico. La complessità, come categoria strutturante, incentiva il gusto di progettare modelli di formazione pluralisticamente orientati attraverso il pieno riconoscimento del valore delle differenze, non perché siano confermate nella loro marginalità, ma affinché vengano recepite come parte integrante di un sistema comunicativo fondato su soggetti in reciproca relazione empatica.
La valorizzazione della diversità è metodologicamente conseguibile mediante l’adozione di pratiche fondate sulla reciprocità e collaborazione, con il soggetto capace di intraprendere percorsi autoformativi.
La pedagogia viene indirizzata a orientarsi verso la disponibilità al nuovo, verso la valorizzazione della persona nel rapporto con gli altri, verso la formazione democratica.
Focalizzando l’attenzione sul sistema penitenziario e sull’emergenza educativa che ne deriva, faremo ricorso ad uno sguardo pedagogico fondato su istanze etiche e antropologiche che ci riconducono a una educazione alla democrazia, alla responsabilità, alla legalità e soprattutto al rispetto della dignità (Polenghi, 2018).
Le criticità persistenti del sistema penitenziario italiano
Il carcere in Italia è contesto educativo complesso con specificità e problematiche persistenti e necessita di riconoscimento superiore di bisogni educativi, integrazione sociale, salute, sicurezza.
Oltre alla carenza strutturale di figure professionali, in particolare di carattere educativo,3 delle quali ci sarebbe molto bisogno, prioritariamente è indispensabile risolvere il problema endemico del sovraffollamento dei penitenziari. A fine 2012 si è arrivati ad una presenza che ha toccato in molti istituti il 50% in più di persone detenute rispetto alla capienza effettiva delle strutture esistenti.
Un effetto positivo sulla drammaticità della situazione lo ha avuto la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, pronunciata l’8 gennaio 2013, che ha pesantemente condannato l’Italia e il suo sistema penitenziario. Il cosiddetto Caso Torreggiani, sottoposto all’attenzione della Corte nell’agosto del 2009, viene depositato da sette ricorrenti contro lo Stato italiano per «violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea» per «trattamenti inumani e degradanti». I ricorrenti si trovavano a scontare la propria pena presso gli istituti di detenzione di Busto Arsizio e Piacenza. Dalla descrizione presentata nel ricorso, risultava che, essendo ogni cella occupata da tre detenuti, ognuno di loro aveva a propria disposizione meno di tre metri quadrati come proprio spazio personale.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) considera che non solo lo spazio vitale indicato non sia conforme alle previsioni minime individuate dalla propria giurisprudenza, ma che tale situazione detentiva sia aggravata dalle generali condizioni di mancanza di acqua calda per lunghi periodi, mancanza di ventilazione e luce. Tali condizioni, considerate nel loro insieme, costituiscono una violazione degli standard minimi di vivibilità determinando una situazione di vita degradante per i detenuti.4
La sentenza merita un’analisi attenta specialmente perché costituisce una sentenza pilota della Corte Europea che affronta il problema strutturale del disfunzionamento del sistema penitenziario italiano. La Corte Europea di Strasburgo oltre a valutare la richiesta presentata dai ricorrenti nel caso specifico, identifica gli esempi che sono da ricondursi a una medesima categoria e che sono quindi imputabili a un mal funzionamento comune dello Stato citato in giudizio. Il meccanismo della sentenza pilota è una procedura che permette alla Corte, attraverso la trattazione del singolo ricorso, di identificare un problema strutturale, rilevabile in casi simili, e individuare pertanto una violazione ricorrente dello Stato contraente.
Furono allora messi in atto alcuni importanti interventi normativi5 e amministrativi e una grande aspettativa fu generata con l’iniziativa denominata Stati generali sull’esecuzione penale, promossa tra il maggio 2015 e l’aprile 2016 dal Ministero della Giustizia. Si trattava di rispondere con forza alla Condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, peraltro a distanza di quaranta anni dalla precedente azione di riforma legislativa del settore, con la quale si è inteso favorire una riflessione tra esperti, a diverso titolo, del sistema dell’esecuzione penale. Sempre nelle intenzioni del Guardasigilli, i lavori degli Stati generali avrebbero dovuto seguire un percorso parallelo a quello della delega per la riforma dell’ordinamento penitenziario, potendo così fornire spunti sia per eventuali modifiche parlamentari del disegno di legge sia per la successiva redazione dei decreti legislativi delegati.6
Ad una cambiata volontà politica introducendo pene alternative rispetto a quelle detentive per i reati meno gravi, si è tornati dal 2017 al 2019 sotto la guida di un nuovo Ministro della Giustizia, a scelte d’indirizzo carcero-centrico, con una costante ricrescita del numero di detenuti e detenute.
A fine febbraio 2020 erano oltre diecimila le persone recluse in più rispetto al consentito.7 Secondo più alto tasso di sovraffollamento nell’area dell’Unione Europea dopo quello belga (Associazione Antigone, 2020).
L’Associazione Antigone, che dagli anni Novanta svolge un lavoro di monitoraggio e sensibilizzazione sul sistema penale italiano, documenta come vi sia stato negli anni 2018-2019 un aumento di persone recluse che, secondo i dati Istat, non corrisponde a un incremento dei reati.
La tendenza è costante e significa che una volta che si entra, si fa molta fatica a uscire.
Eppure, proprio il Consiglio d’Europa, nelle sue più recenti indicazioni agli Stati Membri ha suggerito l’adozione di misure alternative al carcere.
Il numero di persone in Europa soggette a sanzioni e misure comunitarie (Community Sanctions and Measures), generalmente note come alternative alla reclusione sotto la supervisione delle agenzie di libertà vigilata, è infatti in aumento8 e allo stesso tempo si è registrata una diminuzione della popolazione carceraria (Aebi, Hashimoto e Tiago, 2019).
I dati sono stati presentati alla Conferenza del Consiglio d’Europa dei Direttori di Prigioni e Probation Services, che si è tenuto il 21 e 22 maggio 2019 ad Ayia Napa (Cipro) (Council of Europe, 2019).
Nel corso degli anni, il Consiglio d’Europa ha costantemente invitato i suoi Stati membri a utilizzare sanzioni e misure alternative alla detenzione il più spesso possibile perché possono contribuire efficacemente all’integrazione dei detenuti nella società, migliorare il funzionamento delle carceri e prevenire il sovraffollamento.
L’indagine però mostra che le misure non detentive hanno continuato a essere utilizzate raramente in alternativa alla detenzione preventiva: la percentuale media delle persone poste sotto la supervisione di un’agenzia di libertà vigilata era del 3,3%.
Sebbene in Europa diminuiscano quindi i reati e di conseguenza, in generale, diminuisce il numero di detenuti,9 la popolazione detenuta è aumentata dell’1% negli ultimi dieci anni e addirittura del 7,5% negli ultimi due, a riprova del fatto che non esiste una relazione lineare tra l’andamento dei reati e il numero di persone detenute. L’Italia è il primo paese dell’UE per incremento della popolazione detenuta tra il 2016 e il 2018, in controtendenza rispetto al resto del continente, che presenta un trend negativo.
Il peggioramento della qualità della vita per sovraffollamento si ripercuote drammaticamente sul numero dei suicidi, in crescita rispetto agli anni precedenti (Centro Studi di Ristretti Orizzonti, 2020). La percentuale dei suicidi sul totale delle morti in carcere è del 38,1% del totale, a fronte di una media europea del 28% (Aebi e Hashimoto, 2018). Il tasso dei suicidi è in aumento anche tra il personale penitenziario (Buffa, 2019).
In un sistema sovraffollato non solo manca lo spazio, ma viene a mancare anche l’attenzione al singolo individuo. L’attenzione che era pensata per un certo numero di persone deve essere frazionata e quindi cresce il rischio che la disperazione individuale, frutto di elementi molteplici, non venga intercettata.
Se si riflette su questi dati, le condizioni difficili della vita in carcere, le mortalità, la difficile condizione di vita personale e di gruppo, ci si rende conto dell’importanza di promuovere nuove relazioni educative in un contesto nel quale è necessario ampliare opportunità di comunicazione, confronto, crescita personale.
Gli effetti della pandemia sulla riduzione del sovraffollamento
La diffusione dell’epidemia da Covid-19, all’origine dell’emergenza sanitaria che si è rapidamente estesa a tutti i continenti, ha costituito un’ulteriore criticità correlata al sovraffollamento, producendo allarme rispetto alla concreta facilità di contagio nei luoghi chiusi e all’insicurezza sanitaria che ne è scaturita.
Gli studi di Sergio Sabbatino e Sirio Fiorino (2007, p. 272) documentano la pandemia influenzale spagnola del 1918-1919 nel carcere di San Quentin (Crosby, 1989) insieme alla prima ricerca di carattere epidemiologico in carcere (Stanley, 1919).
In compagnia degli operai delle fabbriche di auto a Detroit, quello dei detenuti di San Quentin fu considerato uno dei focolai che portarono alla diffusione massiccia del contagio sul suolo statunitense. Lo studio di Stanley illustra come in contesti chiusi quali le istituzioni totali può esserci inizialmente solo una lieve diffusione del contagio, ma quando il virus arriva la sua diffusione è molto rapida. Indica inoltre come la gestione di una epidemia in carcere aiuta a studiare, oggi come allora, le caratteristiche del contagio (tempo di incubazione, tipo di contagio per droplets, necessità dell’uso di mascherine adeguate, necessità di isolamento e quarantena) ma soprattutto la necessità di urgenti misure deflattive della detenzione e la necessità di adeguati presidi sanitari in carcere.
All’inizio dell’epidemia da Covid-19, al momento delle drammatiche rivolte scoppiate tra il 7 e il 9 marzo 2020 a Modena e in diversi altri istituti penitenziari, si è avuto subito il timore di una nuova inadempienza del sistema detentivo italiano nella tutela dei diritti delle libertà e della salute di persone recluse e personale penitenziario.
Nei due mesi successivi, unica fonte attendibile sul contagio negli istituti di pena è stata l’informazione costante diramata quasi quotidianamente dagli organi dell’Ufficio del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, che ha istituito un bollettino (Garante dei Diritti delle persone detenute o private della libertà personale, 2020). A tale azione si è aggiunta quella, nei confronti del governo, di varie associazioni impegnate sul fronte della tutela dei diritti delle persone ristrette,10 riuscendo a ottenere risultati impensabili fino a qualche settimana prima.
Il 17 marzo arrivano con il Decreto Cura Italia due articoli che facilitano la detenzione domiciliare.11 Del 20 e 21 marzo, invece, tre circolari interne del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che, oltre a ulteriori indicazioni per la prevenzione della diffusione del contagio, facilitano i colloqui a distanza tra detenuti e familiari: l’ultima orienta alla «segnalazione all’autorità giudiziaria di detenuti a rischio di complicanze».12
L’intervento decisivo e incisivo dei magistrati di sorveglianza (Gianfilippi, 2020), insieme a quello dei direttori, operatori penitenziari, funzionari giuridico pedagogici, personale medico e di polizia penitenziaria e delle persone private della libertà personale, ha permesso di sperimentare strumenti legislativi per ridurre il sovraffollamento penitenziario ai fini del distanziamento necessario per contenere il pericolo del contagio.
«Non bisogna ritornare indietro» è l’affermazione di principio con la quale si apre il XVI Rapporto dell’Associazione Antigone, presentato il 22 maggio 2020 (Associazione Antigone, 2020). La riduzione della popolazione detenuta, secondo i curatori, non solo è essenziale ma va aumentata: una posizione in controtendenza rispetto al periodo prima dell’emergenza.
Il 15 maggio i detenuti presenti nelle carceri italiane si attestano a 52.679, a fronte di una capienza che al 30 aprile era di 50.438 posti (ma si stima che quelli effettivamente disponibili siano 4.000 in meno rispetto a quelli dichiarati come «regolamentari»).
I detenuti sono quindi calati notevolmente, 8.551 in meno rispetto a fine febbraio, nonostante polemiche posizioni preconcette per la concessione della detenzione domiciliare ad alcuni esponenti della criminalità organizzata.
Il Rapporto auspica una ulteriore riduzione, indicata dal presidente di Antigone Patrizio Gonnella che, nella sua prefazione all’indagine, illustra come sia stata attuata una sinergia di rete tra direzioni penitenziarie, magistratura di sorveglianza, associazioni e garanti territoriali, promuovendo una tendenza deflattiva volta ad assicurare legalità e creare le condizioni per organizzare politiche carcerarie effettivamente dirette alla reintegrazione e inclusione sociale. Gonnella sottolinea inoltre la conquista dell’uso regolamentato di telefono, Skype e strumenti informatici, utili al rafforzamento dei legami tra detenuti e familiari per l’uscita dalla solitudine e dalla disperazione, una «concessione che deve trasformarsi in un diritto, evitando di tornare indietro ai tempi della mancanza assoluta di comunicazione» (Gonnella, 2020, p. 7).
Tuttavia, Mauro Palma, che ricopre la funzione di presidente dell’Ufficio del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, prudentemente invita a riflettere su come il bilancio tra ingressi, scarcerazioni e uscite in misura alternativa, quantunque positivo a vantaggio delle seconde rispetto alle prime, alla stessa data del 22 maggio 2020 stia progressivamente riducendosi13 (Palma, 2020).
Cresce la consapevolezza che occorre lavorare per sentirsi tutti parte di un progetto orientato dal dettato costituzionale, anche attraverso la costruzione e diffusione di un linguaggio comune positivo intorno al carcere. Dopo la pandemia sarà maggiormente preso in considerazione il tema della condizione di salute delle persone detenute e degli strumenti per la sua tutela sia attraverso specifici percorsi di cura interni ed esterni, in collaborazione con le istituzioni sanitarie regionali, sia per un maggiore sostegno a chi, in buona parte persone immigrate in situazione di estrema emarginazione, vive il problema di non avere domicili all’esterno nei quali tornare.
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1 Università degli studi di Urbino Carlo Bo.
2 Università degli studi di Urbino Carlo Bo.
3 La maggior parte del personale impiegato dall’Amministrazione penitenziaria svolge funzioni custodialistiche: l’83,6%, in rapporto a una media europea del 69% (Aebi e Hashimoto, 2018).
4 La compensazione pecuniaria per i danni morali subiti in violazione dell’articolo 3 della Convenzione è stata quantificata dalla Corte in una somma di circa 100.000 euro per tutti i ricorrenti.
5 Tra gli interventi normativi successivi alla Sentenza Torreggiani anche il decreto legge del 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modificazioni in legge del 21 febbraio 2014, n. 10, che ha, tra l’altro, introdotto una diversa disciplina del procedimento giurisdizionale volto a garantire la tutela dei diritti dei detenuti, previsto la misura della liberazione anticipata speciale, istituito il dispositivo del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute.
6 I lavori degli Stati generali, coordinati da un Comitato di esperti, si sono articolati su diciotto perimetri tematici affidati ad altrettanti Tavoli di lavoro, composti mediamente da dodici membri (docenti universitari, magistrati, avvocati, dirigenti penitenziari, rappresentanti del mondo del volontariato, della cultura e dello sport), con un coinvolgimento di oltre duecento persone.
7 61.230 persone recluse, su un numero di posti disponibili pari a 50.931 (circa il 120% della capienza regolamentare) (Ministero della Giustizia, 2020).
8 Indagine annuale SPACE II pubblicata a maggio 2019 e condotta ogni anno per il Consiglio d’Europa dall’Università di Losanna, sotto la direzione del professor Marcelo Aebi. L’indagine SPACE offre una panoramica dell’uso delle sanzioni e delle misure di custodia (SPACE I) e comunitarie (SPACE II).
9 Tra il 2015 e il 2016 gli omicidi sono calati del 3,3% (ma la tendenza va avanti dal 2008). Le rapine, nel periodo che va dal 2012 al 2016, sono diminuite del 24%; i furti in abitazione del 10%. Parallelamente, negli ultimi 10 anni la popolazione detenuta europea è diminuita del 13,1%; negli ultimi due del 3,2%. In Italia i reati sono diminuiti in misura superiore rispetto alla media del continente. Gli omicidi, per limitarci al più grave tra i reati, tra il 2015 e il 2016 sono diminuiti del 14,6%, contro una media del 3,3 (Fonte: Eurostat, 2019).
10 L’Associazione Antigone, insieme a CGIL, Gruppo Abele, Arci, Anpi propongono ripetutamente misure per ridurre l’affollamento e garantire contatti a distanza tra persone detenute e le loro famiglie all’esterno tramite telefonate più frequenti e l’avvio di utilizzo di possibili collegamenti telematici.
11 Cfr. in particolare all’art. 123 viene individuato nella detenzione domiciliare, con controllo elettronico di tutti i detenuti con condanna definitiva e con un residuo di pena da scontare tra i 6 e 18 mesi, il principale strumento di deflazione della popolazione detenuta.
12 Con la circolare n. 95907 del 21 marzo, facendo riferimento a un elenco di patologie/condizione (indicazioni del Centers for Diseas Control and Prevention CDC 24/7 Saving lives, Protecting people, richiamando il DPCM 8 marzo 2020) si invitano le direzioni degli istituti a «comunicare con solerzia all’Autorità giudiziaria, per le eventuali determinazioni di competenza, i nominativi dei ristretti che dovessero trovarsi in quelle condizioni». L’elenco è costituito da una serie di 9 patologie fortemente a rischio, alle quali si aggiunge la condizione di avere un’età superiore ai 70 anni.
13 «In gennaio tale bilancio prevedeva mediamente ogni giorno l’aumento di 16 presenze che portava quindi a un aumento medio di 500 persone detenute al mese, aprile ha visto una riduzione di più di 90 persone al giorno (che comportano mediamente circa 3000 al mese), mentre in questi giorni di maggio la riduzione media giornaliera di circa 20. Ma, un esame più accurato di tale bilancio porta a dire che questo valore medio è sbilanciato verso un valore più alto all’inizio di maggio e un valore ridottissimo in questi ultimi giorni. Le persone detenute presenti nelle stanze sono oggi 52.636. Le detenzioni domiciliari concesse dopo il 18 marzo sono 3379, di cui 975 con applicazione del braccialetto elettronico».
Vol. 19, Issue 2, May 2020