Vol. 24, n. 3, settembre 2025 — pp. 1-5
EDITORIALE
Lo strabismo delle politiche di inclusione scolastica italiana
Negli ultimi anni il panorama normativo italiano in materia di inclusione scolastica è stato attraversato da profonde trasformazioni e cambiamenti. Da un lato, abbiamo una normativa sull’inclusione delle alunne e degli alunni con disabilità innovativa, fondata sui diritti, sull’autodeterminazione e sull’obbligo per i contesti educativi di trasformarsi per garantire inclusione. Dall’altro lato, abbiamo una visione di scuola, delineata dalle nuove Indicazioni, che appare invece regressiva, irrigidita su modelli di apprendimento trasmissivo e autorità. Due linee di sviluppo contraddittorie, dunque, che propongono una visione strabica di inclusione per la nostra scuola.
La prima linea di sviluppo è tracciata dalla recente normativa relativa all’integrazione scolastica e sociale delle persone con disabilità. Faccio, da un lato, riferimento alla Legge delega 227 del 2021 e al relativo DL 62/2024 sulla definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione del progetto di vita individualizzato personalizzato e partecipato. Dall’altro, il richiamo è al Decreto Interministeriale 182 del 2020 (modificato successivamente con il Decreto 153 del 2023), che definisce il nuovo modello di Piano Educativo Individualizzato (PEI).
Al centro di entrambi i provvedimenti normativi vi sono il principio dell’autodeterminazione della persona con disabilità e il riconoscimento della centralità di contesti inclusivi capaci di realizzare il delicato equilibrio tra universalità e accomodamento ragionevole.
Questi provvedimenti normativi quindi — ed è questo il primo elemento innovativo — rappresentano un passo decisivo in avanti nella direzione di un’inclusione scolastica più rispettosa dei diritti e dei desideri delle persone con disabilità. Al cuore di questa normativa troviamo la centralità della persona: il diritto a esprimere e a vedere riconosciuti i propri desideri, le proprie scelte, la propria visione di sé. È un cambiamento di paradigma che invita a costruire progetti educativi personalizzati non «per», ma «con» la persona con disabilità.
Il secondo elemento di innovazione, di derivazione esplicita dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, è la dialettica tra universalità e accomodamento. Da una parte, la spinta verso contesti educativi pensati sin dall’origine per essere accessibili e fruibili da tutte e tutti — anticipando i bisogni, prevenendo le barriere, favorendo la partecipazione. Dall’altra, il riconoscimento che, laddove l’universalità non arriva, deve intervenire l’accomodamento ragionevole: soluzioni su misura, pensate in risposta alle necessità specifiche della singola persona.
Nel mondo della scuola, questa tensione trova un’applicazione concreta nella nuova impostazione del PEI, costruita intorno al modello bio-psico-sociale dell’ICF (International Classification of Functioning). La progettazione del contesto diventa fondamentale: un contesto inclusivo è infatti un contesto facilitante, capace di sostenere il buon funzionamento per ciascuno e ciascuna. E quando il contesto non basta, interviene il PEI come strumento di accomodamento, garantendo adattamenti personalizzati.
Tuttavia, questo slancio normativo si scontra oggi con nuove direttive di segno opposto, la seconda linea di sviluppo appunto. Il riferimento qui è alle nuove Indicazioni Nazionali per il primo ciclo, che promuovono un’idea di didattica marcatamente trasmissiva. In nome di un rinnovato riconoscimento dell’autorevolezza del ruolo del docente, si riafferma una centralità dell’insegnamento inteso come trasmissione del sapere, lasciando sullo sfondo il protagonismo delle alunne e degli alunni nel proprio percorso di apprendimento. Pur richiamando formalmente i principi dell’Universal Design for Learning (UDL), il testo appare contraddittorio. Il modello UDL, infatti, si fonda sulla possibilità per tutte le alunne e gli alunni di essere strategici nel proprio apprendere, di esercitare metacognizione, di compiere scelte significative all’interno di ambienti di apprendimento ricchi e flessibili. Ma questo è possibile solo in contesti che valorizzano la pluralità dei percorsi e delle modalità di apprendimento — una visione che mal si concilia con una didattica rigidamente centrata sull’insegnante.
In più, sebbene il documento tratti esplicitamente di educazione alla libertà e faccia riferimento all’autodeterminazione di alunne e alunni, queste affermazioni risultano svuotate nel momento in cui sono accompagnate, in diverse parti, da un filo rosso argomentativo che sottolinea con forza l’importanza dell’interiorizzazione dell’autorità, del riconoscimento dei limiti e dell’assimilazione delle regole.
L’idea di socializzazione scolastica che ne deriva sembra orientata non tanto all’autorealizzazione della persona all’interno di un contesto democratico e solidale, quanto alla sua adesione a un ordine precostituito e alle sue regole.
In questo senso, la combinazione tra una visione trasmissiva dell’apprendimento e un ritorno istituzionalizzato all’autoritarismo rischia di esaltare il carattere assimilativo e normalizzante della scuola.
Una scuola che, più che essere luogo di fioritura personale e collettiva, si configura come agenzia di riproduzione dell’ordine sociale vigente, chiedendo ad alunne e alunni di conformarsi ad esso piuttosto che criticarlo o trasformarlo.
Queste due linee di sviluppo si trovano ora a co-esistere in modo fortemente contraddittorio. A che cosa porterà questa frattura? Difficile dirlo, ma è certo che rappresenta una grande sfida per lo sviluppo dell’inclusione scolastica. Le possibilità credo siano due.
La prima, pessimista, è che l’inclusione resti un’appendice, una sezione separata della scuola che si occupa di alcune alunne e alcuni alunni «speciali» ma non riesce a trasformare davvero le pratiche quotidiane della didattica.
In questa ipotesi, anche quando le azioni inclusive sono di buona qualità, esse restano marginali, incapaci di contaminare la normalità scolastica, e rischiano di alimentare nuove forme di isolamento e segregazione.
La seconda possibilità, su cui vale la pena sperare, è che le buone pratiche di integrazione delle alunne e degli alunni con disabilità diventino un motore di resistenza a una scuola trasmissiva e autoritaria capace di alimentare un processo carsico di trasformazione del contesto scuola dal basso. Proprio dall’attuazione concreta dei principi inclusivi suggeriti nella redazione dei PEI secondo la normativa attuale possono, ad esempio, innescarsi processo di revisioni più globali dell’agire educativo in una classe. Un buon PEI, oggi, richiede infatti attenzione ai contesti, alle metodologie, alle discipline, alla partecipazione collettiva. In questa prospettiva, l’inclusione non resta un ambito separato, ma una leva trasformativa, in grado di incidere sulle pratiche di tutti e di tutte, favorendo una scuola realmente democratica, cooperativa e centrata sulla persona.
Spostando ora l’attenzione sulla struttura di questo numero della rivista, segue una breve sintesi dei lavori qui pubblicati.
Per la sezione «Prospettive e modelli internazionali» Morganti, Mangiatordi, Signorelli, Emili e Cottini presentano i risultati di ricerca italiani di un progetto europeo che ha promosso un modello ecologico di formazione e intervento sull’inclusione scolastica valutato nei suoi esiti con uno strumento innovativo e coerente con il modello, validato nell’ambito del progetto stesso.
Per la sezione «Ricerche, proposte e metodi», Lauria, Antuofermo, Difonzo, Meliddo, Palmirotta, Profido e Luzzo riportano i risultati di un’indagine sul benessere emotivo e relazionale di bambine e bambini con plusdotazione intellettiva.
Nella stessa sezione, Bilotti, Di Paolo, Todino, Fella e Di Tore descrivono un progetto volto ad aumentare l’accessibilità al patrimonio culturale immateriale attraverso la Realta Virtuale e l’Intelligenza Artificiale Generativa.
Dettori, Pinna e Mura, nella sezione «Temi aperti», riportano i risultati di uno studio (indagine condotta tramite questionario) sul ruolo dell’educatore professionale che opera a scuola, dalla primaria alla secondaria di secondo grado, nell’ambito dei processi di inclusione di alunne e alunni con disabilità.
Le recensioni sono dedicate ai testi A oltranza. (Dis)avventure di una vecchia groupie di Carletti, Scomodo. Il mio percorso a ostacoli di Fanucci (Monchietto e Sannipoli) e a Suggestioni pedagogiche sulla professione docente di Crescenza (Gallo).
Gli aggiornamenti normativi dell’avvocato Nocera sono dedicati alla proroga del docente supplente di sostegno con rinomina per un secondo anno su richiesta della famiglia, valutata discrezionalmente dal Dirigente scolastico.
Buona lettura!
Heidrun Demo