Vol. 23, n. 4, novembre 2024

PROSPETTIVE E MODELLI INTERNAZIONALI

La teacher agency inclusiva: il cammino di due decenni da una panoramica della letteratura

Fabio Corsi1

Sommario

Il presente articolo intende sintetizzare il cammino della teacher agency inclusiva a partire dalle sue prime definizioni, ormai oltre vent’anni fa. Un costrutto che è andato definendosi nel corso del tempo e che, nel tempo, ha cambiato e adattato la sua definizione in base alle ricerche scientifiche e all’evolversi delle politiche inclusive ad opera dei diversi Stati. Ne emerge una panoramica estremamente variegata per successione temporale e applicazioni specifiche e politiche nelle diverse zone del mondo. La ricerca italiana perviene alla teacher agency inclusiva relativamente in ritardo rispetto ad altri Stati, pur avendo pensato l’inclusione storicamente prima di altri, già a partire dagli anni Settanta del secolo scorso: se si consente una punta di ironia, sembra di sentire il celebre proverbio risorgimentale di Ferdinando Martini, in un’accezione pedagogica «Fatta l’Italia (inclusiva), bisogna fare gli italiani (insegnanti inclusivi)». Che già molte volte lo sono, forse mancando di una visione sistemica e unitaria. Ci si propone una panoramica longitudinale (in termini temporali) e trasversale (in termini geografici) della ricerca in merito: lo scopo non è solamente di pervenire a una visione in termini storici e geografici, ma anche di fare sintesi del percorso effettuato al fine di indirizzare la ricerca contemporanea e futura.

Parole chiave

Teacher agency inclusiva, Literary review, Inclusione, Sintesi storica, Panoramica.

ITALIAN MODELS AND PERSPECTIVES

Inclusive Teacher Agency: The journey of two decades from a literature overview

Fabio Corsi2

Abstract

This paper intends to summarize the path of inclusive teacher agency starting from its first definitions, now over twenty years ago. A construct that has been defined over time, and which has changed and adapted its definition over time based on scientific research and the evolution of inclusive policies by different states. What emerges is an extremely varied overview in terms of temporal succession, specific applications and policies in different areas of the world. Italian research arrives at inclusive teacher agency relatively late compared to other states, despite having thought about inclusion historically before others, starting from the 1970s: if we allow a touch of irony, we seem to hear the famous Risorgimento proverb by Ferdinando Martini, in a pedagogical sense: «After making Italy (inclusive), we must make Italians (inclusive teachers)». Which many times already are, perhaps lacking a systemic and unitary vision. Here is proposed a longitudinal (in temporal terms) and transversal (in geographical terms) overview of the research in this regard: the aim is not only a vision in historical and geographical terms, but it seeks to summarize the path taken in order to guide contemporary and future research.

Keywords

Inclusive teacher agency, Literary review, Inclusion, Historical summary, Overview.

Introduzione

Da circa due decenni, il termine anglosassone agency fa riferimento a un complesso di costrutti atti a definire l’insieme delle caratteristiche e delle competenze dell’insegnante (Biesta e Tedder, 2006); nella sua accezione generale, l’agency sintetizza sia le conoscenze per l’insegnante — intese come proposta formativa da parte degli atenei e delle diverse agenzie formative — sia le conoscenze dell’insegnante, come patrimonio professionale e umano del singolo soggetto. Lo sviluppo degli studi sull’agency è al centro di importanti dibattiti e ricerche sulla formazione degli insegnanti all’estero, mentre nel contesto italiano risulta esplorato solo in parte (Aiello et al., 2016). Il dipartimento di Scienze Umane dell’Università di Verona si inserisce in questa ricerca, a partire da una sintesi della letteratura disponibile.

Nel presente articolo si procederà in due direzioni complementari: una prima, longitudinale, tenta di riportare un ordine cronologico e sintetico del dibattito avvenuto nell’ultimo decennio, a partire da alcune posizioni che hanno portato al modello attuale del TFA secondo il DM 78 del 30 settembre 2011; una seconda, trasversale, cerca una sinossi tra le diverse posizioni adottate al di fuori dell’Italia: questa seconda accezione fa notare come la teacher agency derivi e tenti di rinnovare la posizione in essere della scuola nell’ordinamento legislativo e nella cultura di riferimento. A parziale conclusione, è possibile anticipare una buona notizia: il quadro emergente è ricco di domande e di questioni aperte, segnale che il dibattito attorno all’inclusive teacher agency è decisamente vivo e promettente.

Uno sguardo d’insieme

In un fondamentale contributo del 2007, Biesta e Tedder definivano l’agency come «un insieme di abilità o capacità individualmente possedute dall’insegnante», con la consapevolezza che tali risorse sarebbero state differentemente declinabili a seconda dell’ambiente in cui avrebbero o meno avuto modo di manifestarsi. Secondo una loro definizione, «gli attori agiscono sempre attraverso il loro ambiente e non semplicemente nel loro ambiente, in modo che il raggiungimento dell’azione sarà sempre il risultato dell’interazione degli sforzi individuali, delle risorse disponibili e dei fattori contestuali e strutturali: in un certo senso, situazioni sempre uniche» (Biesta e Tedder, 2007, pp. 132-149). In tal modo, l’agency si va definendo come un fenomeno sia temporale, sia relazionale.

Questa prima definizione di agency si innesta nel dibattito europeo già in essere e sarà destinata a diventare più complessa; riportiamo due eventi appartenenti allo stesso periodo: partito da un esercizio di consultazione tra gli insegnanti già dal 2002, nel 2010 il Governo scozzese promulga il Curriculum of Excellence, una ponderosa raccolta di oltre 300 pagine di indicazioni e buone prassi «rivolta a tutti coloro che contribuiscono all’educazione dei bambini e dei giovani scozzesi (introduzione, p. 3)». I contenuti sono idealmente suddivisi in due parti: una prima che definisce le responsabilità di tutti gli insegnanti (sapere per l’insegnante), come l’attenzione alla salute e al benessere, la promozione dello sviluppo del linguaggio come base per la strutturazione del pensiero, la promozione delle abilità matematiche come base per il pensiero scientifico; nella seconda parte, invece, sono definiti i curricula per ogni area e materia di studio (sapere dell’insegnante).

Nello stesso periodo in Italia esce il rapporto Siemens 2008, che indaga le emergenze nel nostro sistema educativo; gli esiti sono preoccupanti: quasi il 90% degli intervistati afferma di avere partecipato a una serie di eventi formativi, ma pochi dei contenuti proposti si sono rivelati effettivamente spendibili nel contesto reale; inoltre, molti docenti di ogni ordine e grado riferivano scarsa motivazione professionale legata al mancato riconoscimento del proprio lavoro. Gli esiti della ricerca, presentati da Minello (2011) nella rivista «European Journal of Research on Education and Teaching» (con prefazione di U. Margiotta, Università di Ca’ Foscari, Venezia) consentono di pervenire a conclusioni molto simili a quelle già in parte note da esperienze precedenti o contemporanee: il bisogno di ricreare un sapere per l’insegnante e dell’insegnante, a partire da una ricerca peer to peer in cui sia ridata la voce ai protagonisti; la formazione, anche se fisicamente erogata dalle Università, deve riprendere maggiormente il contatto con il territorio.

Sul numero 78 della Gazzetta Ufficiale del 2 aprile 2012 viene promulgato il DM 30 settembre 2011, recante i «criteri e le modalità di svolgimento dei corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno», i cui contenuti sono ampiamente noti e regolano l’attuale formazione. Il nuovo percorso formativo riprende la dicitura TFA (Tirocinio Formativo Attivo) già in essere ai sensi del DM 39 del 30 gennaio 1998, destinato originariamente all’abilitazione all’insegnamento per ogni classe di concorso. La riforma ne mantiene la denominazione, pur modificandone il contenuto iniziale per la formazione sul sostegno. Il nuovo TFA costituì il superamento della precedente struttura delle SSIS e SOSS (rispettivamente: scuole di specializzazione all’insegnamento secondario e scuole per operatori specializzati sul sostegno), tra numerose polemiche bipartisan (atenei e sindacati della scuola) motivate da un accantonamento repentino e improvvido della precedente struttura formativa: aveva il sapore dell’ennesima interruzione senza averne adeguatamente analizzato gli esiti, a favore della prossima riforma promulgata, con carattere d’urgenza, dal governo in essere (Benvenuto, 2023). Contemporaneamente all’avvio della nuova formazione degli insegnanti di sostegno con la denominazione di TFA, si diffondono maggiormente le ricerche nazionali e internazionali attorno al tema della self-efficacy del docente, intesa come capacità personale e professionale di modificare efficacemente il proprio ambiente di lavoro (Biasi et al., 2014), con un interessante ribaltamento di prospettiva dalla formazione docente eterodiretta a una valutazione «su campo» delle proprie caratteristiche di autoefficacia.

Nella letteratura scientifica attorno alla metà del decennio scorso appaiono diffusamente i riferimenti ad autori «classici»: da Bandura a ritroso, fino a riscoprire la valenza di Montessori e Dewey, solo per citarne alcuni; contemporaneamente gli articoli assumono una connotazione transnazionale, in cui si vuole fare emergere il confronto tra differenti modelli formativi in diversi contesti mondiali: ne riportiamo una sintesi.

Una ricerca del 2011 di Forlin, Earle, Loreman e Sharma (tradotta in italiano da Pinnelli, 2014), attraverso uno studio empirico condotto con la scala Sacie-R, indaga opinioni, atteggiamenti e preoccupazioni sulla formazione inclusiva degli insegnanti. Lo studio è trasversale tra Cina, Canada e Australia; la mentalità inclusiva è quella sintetizzata nel Trattato di Salamanca del 1994, preso a modello e sfida per il suo raggiungimento: «per approccio inclusivo si intende un contesto educativo adeguatamente attrezzato affinché la formazione di tutti gli studenti rientranti nello spettro della diversità abbia luogo nella normalità della scuola di quartiere, nelle classi comuni che si frequenterebbe se la diversità non fosse presente» (Jordan, 2007).

Tra i risultati dello studio, emergono alcuni topics su cui si lavora ancora oggi: le maggiori preoccupazioni degli insegnanti riguardavano la loro mancanza di competenze nell’insegnare efficacemente agli studenti con disabilità; in secondo luogo, la mancanza di risorse per andare incontro ai bisogni individuali; di conseguenza preparare gli insegnanti tirocinanti a lavorare in scuole inclusive implica che le università e le scuole superiori garantiscano, attraverso i loro piani di studio, un’offerta formativa tale da permettere ai neoinsegnanti di andare incontro alla crescente diversità dei bisogni degli studenti. La formazione dei docenti deve inoltre equipaggiarli di una solida cultura pedagogica in grado di consentire agli insegnanti di sviluppare appropriate disposizioni che sosterranno uno stile di vita inclusivo (Florian, 2009). In molte situazioni, le rappresentazioni teoriche degli insegnanti tirocinanti relative all’inclusione sono incerte e i corsi per la formazione dei docenti non riescono a tenere conto delle loro opinioni, dei loro atteggiamenti e delle loro preoccupazioni (Symeonidou e Phtiaka, 2009; Pinnelli, 2014).

Ovviamente, questo spirito si declina diversamente in differenti contesti mondiali che, sempre più spesso, cercano di confrontarsi tra loro: ne emerge un quadro culturale molto interessante. Nei Paesi di cultura anglosassone (Regno Unito, Stati Uniti e Australia, per dare un riferimento del tutto approssimativo) culturalmente si lavora molto sulla formazione e la didattica evidence based direttamente dalla ricerca scientifica: se mancano dati, si avviano ricerche in tempi brevi. L’aggiornamento culturale dei docenti fa largo uso dei più recenti articoli pubblicati su riviste scientifiche, meno dei riferimenti a modelli classici o manualistici (come più spesso si fa nella cultura latina: il manuale dà una visione più olistica, ma meno recente); concettualmente, l’inclusione è concepita come conseguenza dell’integrazione: prima si riabilita, magari con la frequenza differenziata in scuole speciali, poi si include nell’ambiente di vita (Education Scotland Foghlam Alba, 2011). Il panorama scandinavo sembra essere come quello anglosassone, più radicale: come esplicitato anche negli ultimi provvedimenti del Governo svedese (Utbildning Departemente, Ministero Svedese dell’Istruzione, provvedimento promulgato nel giugno 2022), l’inclusione è subordinata all’ottenimento dell’integrazione. In termini pratici: si conferma la presenza delle scuole speciali per categorie e ambienti specifici (in alcune zone poco densamente popolate sono molto diffuse le pluriclassi); i collegamenti con l’educazione mainstream ci sono, ma subordinati all’ottenimento di precise skills tipiche per criteri diagnostici (vi sono percorsi specifici per i DSA, ad esempio, che possono durare diversi anni), e l’inclusione avviene solo alla fine.

Un contributo di Lingyu e Ruppar (2021) riferito al quinquennio precedente ci riporta il quadro dei Paesi emergenti alla inclusive teacher agency: in Cina, un territorio sterminato con almeno 15 lingue ufficiali, tutti i panorami precedentemente illustrati sono declinati in modo differente a seconda delle risorse territoriali, ma non pare esservi un quadro unitario; in Africa subtropicale, equatoriale e australe si trovano enormi variazioni locali: si va dalla scuola-convitto con pluriclassi, gestite da enti religiosi, come in Tanzania, alla realtà della scuola di villaggio, con diffusa filosofia dell’«Ubuntu», nello Zimbabwe e in Repubblica Sudafricana (qui, spesso, in copresenza territoriale con college o istituti di istruzione superiore di retaggio europeo coloniale). I dati a disposizione non sono molti, questi ultimi contesti andrebbero maggiormente indagati.

Nel panorama latino (Sud Europa e America Latina, sempre in accezione sommaria) l’inclusione è pensata fin dall’inizio con provvedimenti normativi (le nostre L. 118/71 e L. 517/77 ne sono un esempio), che si applicano negli anni a venire, come un work-in-progress: la scuola è un lento e continuo cambiamento dall’interno. La teacher agency dell’insegnante italiano nasce come inclusiva, ma la sua attuazione è lunga e mutevole nel tempo (quarant’anni fa l’inserimento di un bambino con sindrome di Down nel ciclo dell’obbligo rappresentava un evento epocale, ora è la prassi).

Questa visione è supportata dalle prime ricerche valutative e qualitative dell’esperienza del TFA, pochi anni a ridosso della sua promulgazione; nello studio di dottorato Il farsi della professionalità docente nelle prospettive della società della conoscenza. Uno studio di caso, il Tirocinio Formativo Attivo (Margiotta, Natali e Zapperini, 2014), si evidenzia come il TFA darebbe la possibilità di formare e consolidare le competenze di base necessarie all’avvio alla professione, ma con scarso impatto dovuto all’inadeguatezza di procedure e azioni. Ciò che si evince, sia nelle conclusioni sia tra le righe, è che il modello formativo così concepito nascerebbe già vecchio, e in costante ritardo con i bisogni che si presentano in tempo reale. Consapevoli del rischio di questo costante gap tra la domanda di inclusione e l’offerta formativa, diversi Atenei si attivano con disegni di ricerca in itinere, tesi alla valutazione e al monitoraggio del TFA: uno studio congiunto dell’Università di Roma Tre e dell’Aquila (Ciraci e Isidori, 2017) indaga l’efficacia della formazione degli insegnanti di sostegno, cercando di evidenziare tre punti:

  1. la revisione delle competenze didattico-valutative in un’ottica inclusiva, anche attraverso le nuove tecnologie;
  2. lo sviluppo di capacità comunicative maggiormente funzionali e finalizzate all’apprendimento dei soggetti con disabilità;
  3. l’aumento dell’autoefficacia percepita.

I risultati non sono particolarmente confortanti: alla fine del percorso, gli insegnanti preferiscono rivolgersi a esperti esterni in caso di alunni con disabilità intellettive e sensoriali; non sempre ritengono di poter applicare in classe le strategie apprese durante il corso, specie quelle inerenti all’inclusione; riferiscono che le modalità formative più efficaci sono state i laboratori e il tirocinio, molto meno le lezioni teoriche. In sintesi, emerge non solo la necessità di rivedere tutto l’impianto formativo in merito a contenuti e modalità, ma anche che gli insegnanti post-specializzazione richiedono maggiormente attività collaborative basate sul rapporto tra pari in luogo di corsi teorici e seminari di tipo più tradizionale e astratto.

Nello stesso anno 2017 esce una literary review internazionale a cura di Ferrari e Taddei, nella quale le tre dimensioni indagate sperimentalmente da Ciraci e Isidori (2017) assumono una connotazione più articolata. Il quesito di fondo è: a partire dal concetto di autoefficacia percepita, quali sono le capacità che l’insegnante inclusivo dovrebbe possedere? Ne emerge un elenco di skills che tratteggiano il concetto di inclusive teacher agency, in un continuum che va dalle competenze personali e professionali del docente alle caratteristiche dell’ambiente e alla sua modificabilità; non si tratta di due «poli opposti» ma di una dinamica trasformativa che coinvolge contemporaneamente il cambiamento delle persone e dell’ambiente in cui operano; sinteticamente:

  • conoscenza consolidata della materia;
  • tecniche di insegnamento avanzate;
  • conoscenza tecnologica sia come veicolo alla didattica, sia come consapevolezza dei rischi della virtual reality;
  • abilità psicologiche e antropologiche (in riferimento ai diversi tipi di ambiente e alle diverse culture presenti);
  • abilità psicologiche e pedagogiche (in merito alla qualità della relazione);
  • abilità inclusive;
  • competenze relative all’orientamento scolastico e professionale;
  • accoglienza e tirocinio attivo per i nuovi docenti;
  • pianificazione e valutazione del sistema-scuola nel suo complesso.

L’agency degli insegnanti è intesa come l’agire intenzionale in maniera costruttiva per dirigere la propria crescita professionale e contribuire alla crescita dei colleghi, fondata sull’esperienza e alimentata da fattori interni (la motivazione), e da fattori esterni (le condizioni strutturali della scuola).

Due studi pubblicati nel 2019 sembrano confermare questa convergenza: in un suo studio empirico relativamente alla formazione degli insegnanti di sostegno nell’Ateneo di Torino, Bellacicco (2019) riporta l’evoluzione del modello formativo TFA alla sua terza edizione; dall’analisi dei questionari dei docenti in formazione (due momenti: durante il corso e al follow-up), l’efficacia percepita del modello formativo è in costante aumento, ma con risultati «a macchia di leopardo»; in altri termini vi sono delle aree di sensibile miglioramento (efficacia dei laboratori e del tirocinio diretto), altri che presentano costanti criticità (la scarsa utilità percepita del tirocinio indiretto), una forte disomogeneità in termini di spendibilità della formazione a seconda del ciclo scolastico preso in considerazione.

L’autrice definisce il trend in miglioramento rispetto alle edizioni precedenti, anche se con risultati poco omogenei e al di sotto delle aspettative; di conseguenza pensare di implementare l’agency inclusiva degli insegnanti solo attraverso la formazione universitaria, per quanto strutturata, non sembra sufficiente. Infatti, fa da «contro coro» un secondo studio, sempre del 2019, promosso dall’Università Europea di Roma (Amatori, 2019); già il sottotitolo indica la prospettiva: il ruolo dell’insegnante di sostegno nella co-costruzione di contesti inclusivi.

La logica di tutto il saggio è fortemente contestuale (a partire dall’ICF, passando attraverso i diversi modelli formativi dell’insegnante di sostegno in Italia e in Europa) e conclude con una sorta di inclusive school agency il cui tratto distintivo è quello di assimilare variabilità e perturbabilità non come elemento eccezionale, ma come elemento strutturale: l’inclusione è definita da una scuola in costante evoluzione, socialmente e culturalmente predisposta al cambiamento. Ovviamente, la scuola non vive di vita propria, avulsa dalle persone che la compongono: le due ricerche sembrano evidenziare la necessità di trovare «l’anello mancante» tra la formazione insegnante e la trasformazione ambientale, quali ne siano i protagonisti.

Il modello di Emirbayer e Mische del 1998, che definisce l’agency come logica trasformativa secondo le tre dimensioni iterativa, proiettiva e pratico valutativa (Biesta, Priestley e Robinson, 2017; Lascioli, 2018) rimane valido purché sostenuto anche dalle figure di sistema (coordinatori, direzione servizi generali e amministrativi, capo d’istituto).

Ciò non risolve la questione, ma ne pone una ulteriore: quale agency inclusiva di queste figure professionali di sistema (Lascioli, 2018)? Interrogando una piattaforma di Intelligenza Artificiale come ChatGPT, la risposta è abbastanza sibillina: nel decalogo definitorio della teacher agency inclusiva, al punto 7 (vedi appendice) l’AI cita «gli insegnanti inclusivi possono ricercare risorse, finanziamenti e sostegno per garantire che le loro scuole dispongano degli strumenti e del personale necessari per implementare efficacemente pratiche inclusive», non facendo alcuna distinzione specifica tra personale docente e figure professionali di sistema.

La ricerca successiva si orienta in questa direzione, come a dire: la domanda è chiara (quale teacher agency inclusiva in logica trasformativa?), ma come la si declina, in pratica? Un approccio molto interessante si trova in uno studio valutativo del TFA (IV ciclo, a.a. 2018-2019) promosso dall’Università di Siena, nel quale le autrici (Romano, Rullo e Petruccioli, 2021) si interrogano ancora in termini di senso di autoefficacia dell’insegnante di sostegno e della relativa formazione, ma inteso come agente attivo (la logica trasformativa):

In un contesto scolastico che è parte integrante del capitalismo avanzato, le cui trasformazioni sono vaste e repentine (processi di apprendimento, la costruzione di ambienti accessibili e inclusivi, ripensamento dell’organizzazione attorno a certi tipi di saperi, artefatti, tecnologie) […]. Come sostenere gli insegnanti di sostegno a spacchettare e validare le prospettive di significato, culturalmente assimilate e date per assunte, relative alla loro identità professionale e al loro potere di cambiamento? Quali costrutti sono più promettenti nel promuovere pratiche didattiche ed efficaci per lo sviluppo di contesti inclusivi? Parliamo di approcci research-driven e process-oriented, in cui gli insegnanti di sostegno sono aiutati a riflettere sulle origini, gli scopi, le conseguenze delle loro azioni, così come sulle prospettive epistemologiche e sociolinguistiche di cui spesso non sono consapevoli, sulle culture nascoste nella propria classe, nella propria scuola e nell’istituzione in cui lavorano (Romano, Rullo e Petruccioli, 2021, p. 190).

Questo approccio alla ricerca non è una novità: in uno studio del 2017 Biesta, Priestley e Robinson promuovono l’approccio della Teacher Talk (ossia esattamente l’approccio metariflessivo indicato da Romano, Rullo e Petruccioli) nel corpo docenti scozzese a 5 anni dalla promulgazione della normativa denominata Curriculum of Excellence. L’approccio narrativo è fondamentale a significare la trasformazione in atto, oltre la raccolta dati numerica, statisticamente elaborabile dai questionari.

Nella medesima direzione vanno altri tre studi, immediatamente successivi, promossi dalle Università di Catania e Palermo (La Marca e Di Martino, 2021) in merito alla valutazione del senso di autoefficacia percepita e, sempre a cura in parte dagli stessi autori (La Marca e Marzano, 2022), il focus diventa quello della formazione insegnanti relativamente alla promozione delle soft skills.

Che cosa emerge? Il concetto di variabilità e perturbabilità, non più come eccezione ma come tratto costitutivo della scuola e della professione docente (Amatori, 2019), è assimilato: ora ci si chiede se sia sostenibile attraverso la promozione di specifiche skills, la cui definizione si traduce in specifiche domande di ricerca.

Un’ampia definizione perviene da uno studio dell’Università di Salerno (Iannotta, Ferrantino e Tammaro, 2022) che prende le mosse ancora una volta dalla valutazione del TFA (VI ciclo, a.a. 2020-2021) nel quale, a partire da una vasta letteratura internazionale, si enuclea il concetto di skills distinto in soft skills (autoefficacia, competenze relazionali e di servizio, leadership, autorealizzazione e competenze cognitive), generic hard skills (consapevolezza legislativa, normativa ed economica, le competenze base in scienza e tecnologia, la consapevolezza ambientale, le competenze in Information Communication Technology-ICT ed E-skills, la comunicazione nelle lingue straniere), e le specific hard skills, a cui appartengono tutte le competenze strettamente connesse ai settori lavorativi e alla specifica occupazione.

Qual è il «banco di prova» delle skills? È l’approccio PBL (problem-based learning), in cui i partecipanti al TFA hanno l’opportunità di costruire conoscenze sulla base della soluzione a problemi reali.

Il terzo studio preso in considerazione sembra chiudere il cerchio: un’ulteriore valutazione del VI ciclo TFA (a.a. 2020-2021) ad opera dell’Università di Milano-Bicocca (Farina, Cinotti e Passalacqua, 2022) pone specifica attenzione alle soft skills, il cui risultato è quello di avere attivamente coinvolto corsisti, docenti e tutor del corso al fine di arrivare a una «gestione integrata» del TFA; tra i risultati di maggior rilievo si evincono: differenti livelli di skills per età anagrafica, anzianità di servizio e tipologia di scuola; in secondo luogo, pone l’accento sull’efficacia specifica di alcune proposte formative come le TIC e il tirocinio indiretto.

Perché questi due ambiti risultano particolarmente interessanti? Perché restituiscono un andamento dinamico e in costante evoluzione (la logica trasformativa): non tutti i partecipanti al Corso di Specializzazione arrivano con lo stesso background e non tutti se ne vanno con la medesima efficacia percepita; alcuni contesti formativi come le TIC o il tirocinio indiretto necessitano di essere costantemente contestualizzati e ri-significati in base ai partecipanti e al luogo in cui operano. Questa consapevolezza diffusa permette di mantenere il modello di TFA come cornice, all’interno della quale poter operare delle modifiche mirate in base al tempo e al contesto. Se ogni Ateneo si dotasse di questa «mentalità» valutativa e trasformativa, il TFA potrebbe diventare un meccanismo che si autoevolve nel tempo e nei diversi luoghi e contesti, pur mantenendo la medesima cornice istituzionale.

Risultati

La scuola italiana non è, a oggi, in grado di agire sulle differenze di partenza, non riesce a svolgere un ruolo equitativo. Il buon funzionamento del sistema educativo e di istruzione è la principale garanzia per la democrazia di un Paese, è un vantaggio per tutti e per tutte, ma possiamo parlare di buon funzionamento quando la scuola funziona, di fatto, solo per chi arriva preparato e predisposto? La risposta è, ovviamente, negativa. E allora la proposta è quella di rinnovare un dialogo, troppo spesso assente, tra ricerca educativa e scuola, tra ricerca educativa e insegnanti, tra ricerca educativa e processi di formazione iniziale e in servizio degli insegnanti. La convinzione è che da questo incontro possano nascere pratiche trasformative e rinnovati orizzonti di senso (Batini, 2023, p. 2).

Nel contesto italiano «il divario esistente tra la formazione dei docenti curricolari e dei docenti specializzati per il sostegno sta continuando a portare alla luce le difficoltà incontrate nell’attuazione di processi inclusivi. Emergono differenze significative tra gli insegnanti che hanno una formazione inclusiva recente, rispetto agli insegnanti che non hanno questo tipo di formazione. I risultati sottolineano la necessità di una formazione mirata allo sviluppo di competenze inclusive per tutti gli insegnanti, a prescindere dal ruolo ricoperto» (Germani, Leone e Asquini, 2023, p. 161).

Il nostro Ordinamento ha recepito il movimento in essere attorno alla dinamicità della formazione docente, attestandolo con la promulgazione della Legge 79 del 30 giugno 2022, in cui si istituisce la Scuola di Alta Formazione dell’Istruzione e Sistema di Formazione Continua Incentivata, che «promuove e coordina la formazione in servizio dei docenti di ruolo, in coerenza e continuità con la formazione iniziale nel rispetto dei principi del pluralismo e dell’autonomia didattica del docente, garantendo elevati standard di qualità uniformi su tutto il territorio nazionale» (L. 79 del 2022): si evidenzia la ferma convinzione che il potenziamento di una forma mentis consapevolmente inclusiva debba essere patrimonio indistinto di tutti i docenti, sia specializzati sia curricolari.

La frequenza e l’adesione alle diversificate proposte formative caratterizzanti i Percorsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità della scuola dell’infanzia, primaria e della scuola secondaria di I grado e di II grado, hanno contribuito all’attenta e fertile riflessione sulla didattica speciale inclusiva, quale strumento educativo in grado di produrre un innovativo cambiamento nel modo di osservare, di progettare e di valutare le prassi educative ideate e realizzate, oltre che l’idea stessa di scuola (Montanari, 2023, pp. 193-194).

Se la ricerca non si innesta nei problemi vivi della scuola supportando il costante miglioramento delle pratiche didattiche, la formazione iniziale e continua degli insegnanti si riduce a puro discorso autoreferenziale.

Per molti insegnanti, purtroppo, l’aggettivo accademico non fa riferimento al luogo che produce ricerca interessante, utile, spendibile, ma viene associato a lontano dalla realtà, ininfluente, astratto, inutile. Se la didattica non si apre al dialogo con la ricerca, la vita della scuola assume come riferimento l’abbiamo sempre fatto così oppure la rincorsa all’ultima moda, magari promossa dai social, senza esporre le pratiche didattiche alla discussione critica e alla verifica della loro efficacia. Anche la formazione degli insegnanti, iniziale o continua, richiede dispositivi formativi capaci di sviluppare e accompagnare quei processi riflessivi necessari a un reale e continuo processo di innovazione in grado di rispondere ai molteplici e mutevoli bisogni di crescita dei soggetti che sono loro affidati (Girelli, Arici e Batini, 2023, p. 11).

L’investimento in una formazione iniziale e in servizio che si sostanzi maggiormente in termini di cornici e punteggiature pedagogiche appare, oggi più che mai, come una «scelta necessaria e inevitabile» (Sannipoli, 2023, p. 45). Deve crearsi una sinergia continua tra insegnanti scolastici e ricerca universitaria, in cui docenti e ricerca sappiano dialogare costantemente insieme: la scuola entra nella ricerca solo se l’accademia sa uscire dall’università e dialogare costantemente con il territorio.

Questioni aperte

Dall’analisi dei dati sul disagio nell’efficacia didattica emergono in particolare: un senso di inefficacia rispetto ad alunni in difficoltà o eccellenti; difficoltà a organizzare una didattica per più livelli; alcune mis-concezioni sulla didattica: l’eterogeneità delle classi è vista a volte come un fattore di appiattimento e di penalizzazione degli studenti più capaci. Dal punto di vista del benessere, il rapporto con i colleghi è certamente un punto di forza della scuola: prevalgono nettamente buoni rapporti improntati al confronto professionale e, non di rado, caratterizzati da serenità e umanità.

Le risposte dal punto di vista del disagio sono in numero inferiore; tuttavia, al di là di fattori strutturali — come la mancanza di tempo —, ci sono elementi da considerare attentamente, come l’autoreferenzialità e la poca disponibilità al confronto di cui alcuni vengono tacciati.

Il tema dell’efficacia didattica, invece, viene affrontato spesso sul versante del benessere, raccontando ciò che si fa in classe o indicandone come prova i risultati degli alunni. I docenti — seppur con renitenza — hanno evidenziato un disagio percepito sulle proprie pratiche, a cominciare dal riconoscimento del proprio ruolo da parte degli alunni.

Le pratiche didattiche sono ritenute a volte inefficaci rispetto ad alunni in difficoltà o eccellenti; hanno difficoltà a organizzare una didattica per più livelli e, parallelamente, a volte non ritengono l’eterogeneità delle classi una risorsa per migliorare le opportunità di apprendimento ma, anzi, la vedono come un fattore di appiattimento e di penalizzazione degli studenti più capaci. Le pratiche che implicano l’attivazione cognitiva degli studenti e il coinvolgimento degli stessi nei processi di valutazione — notoriamente importanti per l’apprendimento degli studenti — sono in realtà le meno diffuse nei Paesi OCSE. […] In particolare, in Italia, solo il 43% degli insegnanti riferisce di chiedere ai propri studenti di scegliere procedure alternative per risolvere compiti complessi, contro il 45% della media OCSE; il 74% degli insegnanti valuta abitualmente i progressi dei propri studenti osservandoli e fornendo un feedback immediato (media OCSE 79%), il 69% dichiara di usare sistemi di valutazione elaborati da loro stessi (media OCSE 77%) e il 30% permette agli studenti di valutare i loro progressi (media OCSE 41%) (Rossi, Castellana e Botta, 2023, p. 177).

Quali potrebbero essere alcune strategie immediatamente spendibili? Trinchero sottolinea l’importanza della ricerca educativa per la formazione degli insegnanti, al fine di superare un certo fai-da te:

Dalla lettura congiunta delle ricerche sulla teacher effectiveness e sull’Evidence Informed Education emergono alcuni elementi chiave, che sembrano avere un impatto significativo sugli apprendimenti degli studenti:

1. definire con chiarezza e comunicare in anticipo agli studenti gli obiettivi che dovranno raggiungere;

2. connettere in modo esplicito le azioni di insegnamento agli obiettivi di apprendimento, pianificando accuratamente lezioni e sequenze didattiche;

3. curare i materiali didattici in relazione all’adeguatezza agli obiettivi e al livello degli allievi;

4. utilizzare strategie di insegnamento di comprovata efficacia e coerenti con gli obiettivi;

5. usare la valutazione come veicolo per promuovere l’apprendimento, fornendo feedback formativi prima, durante e dopo il momento didattico;

6. organizzare un ambiente di apprendimento che supporti e faciliti l’insegnamento;

7. avere alte aspettative sulla riuscita degli studenti e consapevolezza delle proprie possibilità di insegnanti nel far sì che questo accada (Trinchero, 2023, p. 46).

Conclusioni

La disorganica sovrapposizione di modelli formativi ha reso ancora più instabile il sistema di istruzione e pregiudicato seriamente il raggiungimento delle finalità formative previste in termini di competenze professionali richieste in contesti formativi complessi, di natura aperta, a elevato tasso di incertezza, come sono le scuole. […] Un’ulteriore riflessione per capire il perché non si sia raggiunto un punto di equilibrio per la formazione degli insegnanti risiede proprio nella dimensione enciclopedica che tutte le profilazioni delle competenze necessarie per insegnare hanno indicato. Proprio perché è l’esperienza ad arricchire e a rendere funzionali gli studi e le teorie apprese durante la formazione di base, allora sembra proprio un’illusione parlare di così tante competenze da raggiungere nella fase di formazione iniziale. Competenti si è quando si è in grado di agire professionalmente, realizzando e sviluppando quelle prassi operative, modellando la didattica in contesto e nella prassi ordinaria. Una giusta formazione deve prevedere sì una fase di preparazione e riflessione teorica, ma fortemente incardinata a fasi di tirocinio formativo e successivamente a fasi di monitoraggio in servizio. Solo saldando in un progetto longitudinale la formazione iniziale alla formazione/monitoraggio in servizio potremmo regolare e migliorare il raggiungimento e l’affinamento delle competenze professionali dell’insegnante. […] Alla luce delle precedenti riflessioni la formazione degli insegnanti dovrebbe allora prevedere un doppio binario: individuale e in termini di comunità di pratica. Individuale, per mettere a punto una solida base culturale di sfondo, per approfondire gli ambiti disciplinari e le dimensioni pluridisciplinari, e collegiale per costruire quel piano di organizzazione di natura collettiva e trasversale che i fenomeni educativi richiedono (Benvenuto, 2023, p. 21).

In tal modo, si potrebbe superare questa contrapposizione, quasi cartesiana, tra il docente universitario che fa ricerca ma la veicola in modo disomogeneo rispetto alla realtà della scuola, e il docente scolastico spesso ricco in pratica e in bisogni educativi (domande formative), che si trova nella condizione di richiedere formazione: il primo si avvicinerebbe maggiormente alla realtà quotidiana della scuola, il secondo acquisirebbe più mentalità votata alla ricerca.

L’idea dell’insegnante come ricercatore è di matrice deweyana. Dewey — in Le fonti di una scienza dell’educazione (1929) — non ha però rilasciato automaticamente al docente il brevetto di ricercatore. L’insegnante non diventa tale solo grazie alla sua esperienza (che, anzi, può produrre routine irrigidite che sono il contrario dello spirito della ricerca). Il pedagogista americano ne vedeva in presupposto in un apprendistato fondato sul lavoro in team tra insegnanti e ricercatori. Ciò è a dire che l’insegnante può indossare la veste del ricercatore solo attraverso un certo percorso formativo, imparando ad assumere un atteggiamento altamente pensante e aperto alla sperimentazione di ipotesi rispetto ai problemi della pratica didattica. In questo modo egli può imparare ad apprendere in modo intelligente dalla propria esperienza didattica. Porre tale idea di docente come principio della formazione degli insegnanti significa conformare ogni aspetto secondo la sua logica intrinseca. In questo modo, i vari aspetti della formazione non si ammucchieranno più in modo confuso, ma andranno a costituire un’architettura coerente e organica. La formazione di un insegnante caratterizzato da questo profilo professionale esige necessariamente tempo (Baldacci, 2023, p. 11).

L’ipotesi di formazione dell’insegnante come processo continuo e in itinere richiede una visione politica e a lungo termine della professione docente, in grado di cambiare dall’interno e in corso d’opera.

La formazione al mestiere di insegnante andrebbe considerata come un sistema aperto e dinamico in cui interagiscono, con competenze diverse, i soggetti che se ne occupano: Università, Istituti di ricerca, Associazioni professionali. Un percorso che, dagli studi universitari e lungo tutta la carriera, si costruisca intorno a elementi di continuità e integrazione a partire dall’individuazione condivisa di assi ritenuti prioritari e sui quali è necessario insistere dal punto di vista delle competenze disciplinari, psico-socio-pedagogiche, metodologiche e didattiche.

Possibili punti di convergenza e di collaborazione potrebbero essere: individuare i reali bisogni della scuola e della società; condividere le urgenze formative su cui orientare i curricoli, le attività di ricerca delle Università e la formazione nelle scuole; dare più organicità curricolare tra insegnamento, attività di laboratorio e di tirocinio; attivare e valorizzare nelle scuole percorsi di ricerca-formazione; investire sulle attività di tirocinio anche come occasione per incontri sistematici, seminari, giornate di studio che accompagnino i progetti e nello stesso tempo si qualifichino come attività formative per tutto il collegio dei docenti. Un collegamento aperto e diffuso tra Università, scuole e associazioni permetterebbe di mobilitare meglio le diverse risorse per attivare un apprendimento trasformativo del modo di fare scuola. Consentirebbe anche il superamento dei limiti delle riforme di turno, come l’ultima per la formazione iniziale per gli insegnanti della secondaria che prevede l’acquisizione di 60 CFU lungo tutto il percorso di laurea disciplinare senza tenere conto del fatto che, per una buona formazione iniziale, serve un percorso dedicato dove il futuro insegnante possa essere seguito da un collegio di docenti universitari e tutor, in modo tale da sentirsi parte di una comunità di studio (D’Auria, 2023, p. 213).

Per completezza espositiva, si è voluto considerare come fonte anche una piattaforma di intelligenza artificiale, con la consapevolezza che nell’attualità e nel futuro imminente sarà un aspetto presente all’interno della ricerca. Si è chiesto a ChatGPT che cosa pensasse dell’inclusive teacher agency: in appendice se ne riporta il contributo completo; sebbene un po’ «robotica» nello stile espositivo e manchevole dei diversi distinguo della riflessione umana, possiede un indubitabile dono di sintesi a conclusione del presente scritto.

Appendice: cosa ne dice l’intelligenza artificiale?

Una sintesi interessante si trova interrogando ChatGPT, che enuclea il dibattito internazionale attorno alla teacher agency inclusiva (consultata il 27 maggio 2024):

Teacher agency inclusiva si riferisce al ruolo e alla responsabilità degli insegnanti nella promozione dell’educazione inclusiva. L’educazione inclusiva è un approccio il cui scopo è quello di provvedere equo accesso e opportunità per tutti gli studenti, compresi quelli con disabilità, bisogni speciali o differenti origini, nell’educazione generale della classe. In questo contesto, la teacher agency si collega con l’abilità e la buona volontà degli educatori nel sostenere e coinvolgere attivamente attraverso pratiche inclusive. Di seguito, alcuni aspetti chiave della teacher agency inclusiva:

  1. Sostegno: gli insegnanti inclusivi agiscono come sostenitori di tutti gli studenti, specialmente quelli con differenti bisogni di apprendimento. Possono collaborare con la famiglia, i gruppi di supporto, gli amministratori per assicurare che l’ambiente educativo sia inclusivo e di supporto.
  2. Differenziazione: gli insegnanti inclusivi sono abili nel differenziare l’insegnamento per soddisfare le diverse esigenze dei loro studenti. Adattano i metodi di insegnamento, i materiali, le valutazioni per adattarsi a diversi stili di abilità e di apprendimento.
  3. Collaborazione: gli insegnanti inclusivi lavorano in collaborazione con altri educatori, specialisti e personale di supporto per fornire un sistema di sostegno completo per gli studenti con bisogni speciali. Ciò può includere lo sviluppo di Piani Educativi Individualizzati (PEI) e la partecipazione a riunioni di gruppo.
  4. Pratiche flessibili di insegnamento: sono disposti a adattare le loro pratiche di insegnamento per accogliere gli studenti con disabilità o coloro che necessitano di supporto aggiuntivo. Ciò può comportare l’uso di tecnologie assistive, la modifica dei compiti o l’offerta di valutazioni alternative.
  5. Ambiente di classe positivo: gli insegnanti inclusivi creano un ambiente di classe accogliente e accettante in cui tutti gli studenti si sentono valorizzati, rispettati e inclusi. Promuovono l’empatia, la comprensione e il rispetto per le differenze.
  6. Sviluppo professionale: spesso la teacher agency inclusiva comporta un impegno per lo sviluppo professionale continuo. Gli insegnanti apprendono continuamente le migliori pratiche nell’educazione inclusiva, nell’educazione speciale e nella diversità per migliorare le loro capacità di insegnamento.
  7. Sostegno alle risorse: gli insegnanti inclusivi possono ricercare risorse, finanziamenti e sostegno per garantire che le loro scuole dispongano degli strumenti e del personale necessari per implementare efficacemente pratiche inclusive.
  8. Autoriflessione: si impegnano nell’autoriflessione e nell’autovalutazione per migliorare i propri metodi di insegnamento e assicurarsi di promuovere l’inclusività nelle loro classi.
  9. Approccio centrato sullo studente: gli insegnanti inclusivi danno priorità ai bisogni dei singoli studenti e si concentrano sulla loro crescita e sviluppo, indipendentemente dalle loro capacità o dalla loro situazione di origine.
  10. Intercultura: sviluppano competenze interculturali per comprendere e apprezzare le differenze di origine culturale dei loro studenti e adattare di conseguenza lo stile di insegnamento.

La teacher agency inclusiva è fondamentale per creare un sistema educativo che valorizzi tutti gli studenti, indipendentemente dalle loro capacità o differenze. Riconosce che gli insegnanti svolgono un ruolo centrale nel dare forma all’inclusività delle loro classi e delle loro scuole. La specifica definizione e la comprensione della teacher agency inclusiva possono evolversi nel tempo a mano a mano che le teorie, le politiche e le pratiche educative continuano a svilupparsi. Per le informazioni più aggiornate e specifiche è consigliabile controllare la letteratura educativa, i documenti politici o le risorse di sviluppo professionale più recenti, poiché il campo dell’istruzione è dinamico e soggetto a ricerche e cambiamenti continui.

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  1. 1 Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università di Verona.

  1. 2 Research fellow at the Department of Human Sciences of the University of Verona.

Vol. 23, Issue 4, November 2024

 

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