Vol. 23, n. 4, novembre 2024

RICERCHE, PROPOSTE E METODI

Ambivalenza e funzione difensiva dei comportamenti problema

Giombattista Amenta1

Sommario

Il presente lavoro esamina la natura ambivalente e la funzione difensiva dei comportamenti problema degli alunni, evidenziando i limiti dell’approccio prescrittivo-normativo e delle punizioni convenzionali. Attraverso l’analisi di casi specifici, come quello del protagonista del film Stelle sulla terra, viene rilevato come i comportamenti problematici rappresentino anche strategie difensive per fare fronte a specifiche difficoltà e complessità. Si propongono riflessioni e interventi educativi alternativi che mirano alla comprensione, al sostegno e alla promozione della responsabilità critica negli studenti, anziché alla punizione, all’umiliazione e alla mortificazione.

Parole chiave

Comportamenti problema, Ambivalenza della complessità, Approccio prescritto-normativo, Gestione del disagio.

RESEARCH, PROPOSALS AND METHODS

Ambivalence and Defensive Function of Problematic Behaviors

Giombattista Amenta2

Abstract

This work examines the ambivalent nature and defensive function of student problem behaviour, highlighting the limits of the prescriptive-normative approach and conventional punishments. Through the analysis of specific cases, such as that of the protagonist of the film Stars on Earth, it is revealed how problematic behaviors also represent defensive strategies to cope with specific difficulties and complexities. Alternative educational reflections and interventions are proposed which aim at understanding, supporting and promoting critical responsibility in students, rather than punishment, humiliation and mortification.

Keywords

Problematic Behaviors, Ambivalence Complexity, Prescriptive-Normative Approach, Discomfort Management

Introduzione

Come osservato in un precedente lavoro,3 il problema del maltrattamento dei docenti ad opera degli studenti rappresenta una sfida crescente,4 che rimanda a cambiamenti sociali più complessi e all’emergere di nuovi comportamenti adolescenziali. In particolare, nello scritto citato, dopo avere riportato il caso di una docente offesa e maltrattata e preso atto della natura articolata e multidimensionale del fenomeno, sono stati analizzati alcuni dei processi e delle dinamiche coinvolti. Successivamente, si è proposto di considerare le condotte deplorevoli prese in esame come modalità privilegiate da alcuni adolescenti e giovani per costruirsi una reputazione che, per quanto negativa, rappresenta pur sempre una reputazione.5

Ciò premesso, in questo articolo verranno offerte alcune riflessioni propedeutiche fondamentali per poter progettare interventi qualificati che riguardano, nello specifico, la natura ambivalente e la funzione protettiva dei comportamenti problema. Pertanto, dopo avere esaminato più nel dettaglio alcune limitazioni insite nelle strategie comuni e nelle punizioni convenzionali,6 si passerà a evidenziare l’importanza di comprendere l’ambivalenza e la valenza difensiva di comportamenti problematici del genere considerato. Successivamente, si offrirà qualche considerazione sull’ipotesi di progettare interventi fondandosi sull’umiliazione.

Limiti degli interventi comuni e delle punizioni convenzionali

Come osservato nel lavoro citato (Amenta, 2024), in riferimento alla situazione presa in esame, le azioni annunciate e/o intraprese includono:

  • domande volte a stabilire i fatti, identificare gli autori dei comportamenti deplorevoli e determinare le loro specifiche responsabilità;
  • rimprovero nei confronti degli studenti coinvolti;
  • sospensione o allontanamento dalla scuola degli autori dei comportamenti scorretti;
  • notifica al questore di quanto accaduto per ulteriori investigazioni o azioni eventuali;
  • presentazione di una querela da parte dell’insegnante offesa, per perseguire eventuali responsabilità legali.

Notificando o adottando misure del tipo indicato, la speranza è che gli studenti riflettano sui loro comportamenti impropri, si rendano conto di avere sbagliato, si pentano di averli realizzati ed evitino di ripeterli in futuro.

È essenziale riconoscere che gli interventi richiamati, nonostante possano essere opportuni, dovuti e talora perfino necessari, presentano importanti limitazioni che ne riducono fortemente l’efficacia. Come già osservato, tendono a concentrarsi sui comportamenti evidenti e, per promuovere il cambiamento, si fondano su una logica sostanzialmente di tipo prescrittivo-normativo che fa appello al ravvedimento e all’autocontrollo volontario.

Per comprendere i limiti degli interventi comuni e delle punizioni convenzionali può essere utile immaginare, per un momento, di applicare in campo medico la logica richiamata e sottesa ai provvedimenti elencati e verificare le conseguenze che potrebbero derivarne.

In particolare, accompagnando dal dottore un ragazzo con 40 di febbre, un genitore ragionevole si aspetta, di solito, che il medico faccia una buona diagnosi e, quindi, che prescriva una terapia appropriata. Difficilmente, il genitore si sentirebbe soddisfatto se il dottore si limitasse a indicare farmaci per ridurre la temperatura o per eliminare la febbre senza comprenderne le cause. Lo stesso genitore rimarrebbe probabilmente sorpreso se il medico, facendo appello all’autocontrollo volontario, ammonisse il ragazzo e gli ordinasse di farsi passare la febbre.

Eppure, quando si ragiona su condotte problema e su comportamenti inaccettabili, si considera talora ragionevole invitare gli educandi a modificarli o a eliminarli ignorando cosa sottendono. Si arriva a supporre che sintomi e problemi che segnalano si equivalgano e, di conseguenza, modificando o eliminando i primi, sia possibile risolvere i secondi alla radice. Peggio ancora, si tende a richiedere cambiamenti che gli educandi non sono talora in grado di realizzare, se non altro perché quelli che da un punto di vista esterno sono comportamenti problema, in realtà costituiscono anche strategie difensive per proteggersi.

Ambivalenza e valenza difensiva dei comportamenti problema

Al fine di comprendere meglio quanto premesso a proposito della funzione difensiva di talune condotte citate, vale la pena riflettere su una parte del film Stelle sulla terra,7 in cui il protagonista principale, Ishaan, un bambino di scuola primaria con Disturbo Specifico di Apprendimento, non riesce a leggere ad alta voce come richiesto dalla maestra:

Ragazzi, aprite a pagina 38, capitolo 4, paragrafo 3. Oggi studieremo gli aggettivi. Vale anche per te, Ishaan Awasthi! Pagina 38, capitolo 4, paragrafo 3! Posso avere la tua attenzione, Ishaan? Ho detto pagina 38, capitolo 4, paragrafo 3. Leggi la frase e dimmi subito quali sono gli aggettivi.

Disorientato, dopo essersi guardato intorno, l’alunno rivolge lo sguardo verso l’insegnante che rinnova la sua richiesta: «Pagina 38, Ishaan». Alterna, quindi, momenti in cui fissa il libro ad altri in cui guarda la maestra che, frattanto, ripete il suo invito: «Leggi la prima frase e dimmi quali sono gli aggettivi […]. Coraggio, leggi la frase». In piedi, con le mani appoggiate sul banco, Ishaan continua a guardare il suo libro mentre la maestra replica ancora una volta: «Vuoi leggere la frase, Ishaan?».

Prendendo atto di non riuscire a fare quanto richiesto, lo scolaro tenta di esprimere la sua difficoltà dicendo: «Le... lettere stanno ballando!». I compagni reagiscono ridendo sonoramente mentre la docente, che non ha idea del problema del bambino, replica: «Silenzio! Dillo in inglese!». Ishaan, pertanto, dice: «The letters are dancing». I compagni ridono ancora più fragorosamente di prima.

La maestra riprende: «Davvero stanno ballando? Va bene, allora leggi le lettere che ballano. Ti va di scherzare?». Il bambino prova invano a fare quanto richiesto: «Uo oah attoo…». Ma la maestra, alzando il tono di voce, insiste: «Leggi la frase correttamente e ad alta voce». Il bambino tenta nuovamente: «Uo oah attoo…». Urlando più di prima la docente ripete: «Ho detto correttamente e ad alta voce, correttamente e ad alta voce!».

Esitante, Ishaan alza lo sguardo ancora una volta verso la maestra, che urla via via più forte di prima: «Correttamente e ad alta voce!». Rendendosi conto di non essere in grado di fare quanto richiesto, probabilmente in preda a vergogna e panico, il bambino tenta di superare l’impasse pronunciando parole senza senso, ovvero prendendosi gioco dell’insegnante: «Blaaplaaplaaplaa… plaaplaaplaaplaa…».

Oltremodo infastidita, la docente reagisce urlando aspramente: «Basta! […] Fuori, fuori dalla mia classe. Fuori!». Alcuni compagni accennano un mezzo sorriso ma l’insegnante, infuriata, li ammonisce e li blocca:

Volete uscire anche voi? Chi è che sta ridendo? Chi vuole andare con lui? Non voglio sentire sghignazzare in aula. Guardate il libro. Che faccia di bronzo! Avanti, aprite il libro. Chi sa dirmi cosa sono gli aggettivi? Non voglio sentir volare una mosca!

Interessa per il nostro scopo rilevare che, mentre Ishaan si avvia alla porta per uscire dall’aula, si gira verso i compagni, li guarda, solleva il labbro superiore e alza il braccio destro bloccandolo a metà come per dire: «Sì! Visto che forte che sono!», «Non ho paura della maestra!» e, soprattutto, «Non è che non so leggere, ho soltanto voluto prendermi gioco della maestra!».

Si tratta chiaramente di un modo per schernire l’insegnante, ma anche di una specie di prodezza offerta ai compagni che ne comprendono scopo e significato, tant’è che rispondono con un ghigno per manifestare intesa, solidarietà e apprezzamento. Confermano a Ishaan che hanno capito il suo gesto e che riconoscono la sua audacia.

La maestra, che non ha visto cosa ha fatto l’alunno mentre stava andando verso la porta dell’aula, riprende, quindi, il suo lavoro.

L’intervento dell’insegnante che manda fuori lo scolaro che si è preso gioco di lei è volto a rammentare, a Ishaan e ai suoi compagni, che non è consentito mancarle di rispetto. Si tratta di una strategia classica di tipo normativo-prescrittivo. Infatti, fa appello a una norma, rammenta l’importanza del rispetto per l’educatore e ricorda che, qualora venga violata, potranno seguire richiami, punizioni, sanzioni e allontanamenti dalla scuola.

Funzione protettiva della condotta messa in atto

Anche se l’intervento della maestra può essere dovuto e legittimo, comunque si focalizza sul comportamento manifesto del bambino e ignora la difficoltà e il disagio che sottendono.

Innanzitutto, prendendo atto di non riuscire a leggere, è intuitivo che un alunno come il protagonista del film possa sentirsi smarrito, scoraggiato e, forse, spaventato non comprendendo la natura della sua difficoltà. In secondo luogo, ritrovandosi al centro dell’attenzione di una classe di compagni che ridono di lui, specialmente quando afferma «Le lettere stanno ballando!», è facile che il suo disagio lieviti a dismisura e, di conseguenza, che il suo bisogno di sparire e di tirarsi fuori da quella situazione imbarazzante possa diventare insostenibile. Pertanto, escogita una particolare strategia che consiste nel burlarsi della maestra e nel farsi mandare fuori dall’aula. Invero, si tratta di una specie di maschera assunta dal bambino per nascondere a se stesso e agli altri qualcosa che risulta doloroso esibire direttamente, ovvero frustrazione, vergogna e panico: un metodo per occultare il senso di inadeguatezza e di inferiorità da cui probabilmente si sente pervaso in quel momento.

La condotta ambivalente delineata è attuata nell’intento di documentare a se stesso e a chi osserva che, in effetti, non ha nessuna difficoltà, ma semplicemente ha scelto appositamente di deridere l’insegnante. È realizzata, verosimilmente, per prevenire giudizi negativi da parte dei compagni e, soprattutto, quanto potrebbe derivarne: ostracismi, esclusione ed emarginazione.

Interpretazione delle resistenze e dei percorsi difensivi

Con riferimento a quanto fin qui osservato, interessa evidenziare che, se resistenze e percorsi difensivi vengono interpretati come meccanismi ostacolanti o come strutture sabotatrici che allignano nella personalità o nelle dinamiche motivazionali dell’educando, è facile che ne derivino azioni volte a identificarle, a estirparle e/o a eliminarle, assumendo che soltanto così sia possibile realizzare determinati cambiamenti richiesti e perseguire specifici obiettivi educativi prefissati. Al contrario, se si assume una concezione antropologica di tipo umanistico quale, ad esempio, quella della Psicoterapia della Gestalt, la personalità si può concepire come un sistema complesso di forze, di nuclei e di polarità. Di conseguenza, oltre a cogliere nelle eventuali resistenze e condotte ambivalenti l’effetto disturbante, sabotante e deviante, diventa più facile comprendere la loro funzione difensiva del Sé o di alcune parti che lo contrassegnano.

Ne deriva che, anziché attaccarle, annientarle o distruggerle,8 sia nel contesto educativo, sia in quello terapeutico, risulta più vantaggioso integrarle e ricondurle al loro ruolo adattivo riducendo la rigidità,9 ovvero promuovendone consapevolezza e responsabilità, accogliendole e rispettandole.10 Diventa intuitivo, nello specifico, che vale la pena identificare e agire su meccanismi e processi che, inficiando la percezione di pericolo, amplificano la paura e, quindi, il bisogno di intensificare e di accentuare i percorsi difensivi.

Sviluppo di protezioni alternative e appropriate

Le condotte variamente richiamate — giudicate legittimamente riprovevoli e perfino devianti — si possono modificare e/o eliminare con maggiore facilità nella misura in cui non servono più, ovvero quando ne verranno elaborate altre in grado di rimpiazzarle o di sostituirle. Diversamente, è un po’ come tentare di togliere il salvagente a qualcuno che lo sta utilizzando: è difficile che lo ceda!

Nel film citato, il maestro di arte, mosso da una profonda preoccupazione per la situazione di Ishaan, a un certo punto si reca dal dirigente scolastico per sollecitare il suo intervento. Durante il colloquio, dopo avere premesso che il bambino è intelligente e che ha solo problemi nella lettura e nella scrittura, il docente riconosce che Ishaan ha bisogno del loro aiuto. Afferma, quindi:

Secondo me per un po’ di tempo dovremmo ignorare i suoi errori nella scrittura. Gli facciamo esami orali invece che scritti. Se sa le cose le sa sia scritte che orali. Io mi occuperò della scrittura e della lettura. E piano piano migliorerà.

L’educatore evidenzia la necessità di un intervento assistito, proponendo una collaborazione volta a fornire a Ishaan le strategie e il supporto necessari per superare le sue difficoltà, facendo leva sulla comprensione e sul sostegno. La proposta dell’insegnante si basa su un’intuizione fondamentale: focalizzarsi sui problemi è un po’ come mettere una specie di lente di ingrandimento o puntare i riflettori su ciò che non funziona; è facile, di conseguenza, che il senso di inadeguatezza si acuisca e diventi difficile escogitare opzioni utili per progredire e per migliorare. Al contrario, «per un po’ di tempo, […] ignorare i suoi errori nella scrittura» può consentire tanto al bambino, quanto ai suoi educatori, di vedere oltre le difficoltà le risorse, le abilità e i talenti che possiede.

L’istanza delineata sembra in linea, innanzitutto, con le risultanze della ricerca sui pregiudizi e sui meccanismi automatici ampiamente studiati dalla psicoanalisi e dalla psicologia sociale, che talora inficiano l’interazione educativa. In particolare, focalizzarsi su un problema può attivare l’effetto alone negativo, nonché una specie di profezia che si autoavvera.11 Ignorare per un po’ gli errori di scrittura del bambino, al contrario, può prevenire l’attivazione dei meccanismi richiamati e consentire di prendere atto delle altre qualità positive esistenti, ovvero di trovare opzioni utili per fronteggiare e per superare le difficoltà.

L’intuizione del docente sembra in linea, altresì, con uno dei principi cardine della Pedagogia Speciale: concentrarsi su cosa non funziona, ovvero sulle difficoltà di un educando, non risulta di grande utilità né per capire, né per agire. In particolare, focalizzarsi prevalentemente o soltanto su

aspetti patologici, riscontrare limiti e carenze di un ragazzo è di scarsa utilità per un educatore. Come per l’architetto è più utile conoscere «dove» costruire piuttosto che conoscere tutti i luoghi non utilizzabili per portare a termine il suo progetto, così per l’insegnante è più utile conoscere le possibili risorse del ragazzo piuttosto che le sue incapacità e le sue disfunzioni (Montuschi, 1997, p. 179).

Una volta realizzato quanto suggerito dal maestro, Ishaan scopre alternative valide per affrontare il suo disagio e per superare i suoi problemi. Di conseguenza, il suo senso di inadeguatezza e la sua paura di essere «difettoso» diminuiscono. Pertanto, avverte via via sempre meno il bisogno di ricorrere a condotte ambivalenti, quali burlarsi della maestra o fare lo spaccone, per occultare la sua ansia e per mascherare la sua percezione di non essere all’altezza.

A proposito di interventi fondati su umiliazione e mortificazione

Riferendosi a episodi di violenza che ricorrono a scuola, il Ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara, in uno dei suoi interventi (2022), ha proposto l’utilizzo dei lavori socialmente utili e di un approccio educativo fondato sull’umiliazione come componente fondamentale per lo sviluppo della personalità.12 Citando il caso di uno studente sospeso per un anno, ha evidenziato che le istituzioni devono avere un ruolo centrale nell’affrontare il bullismo. Ha, poi, aggiunto:

Ma se ci si limita a sospendere per un anno, il rischio è che quel ragazzo vada poi a fare fuori dalla scuola altri atti di teppismo, o magari addirittura si dia allo spaccio o magari si dia alla microcriminalità. Quel ragazzo deve essere seguito, quel ragazzo deve imparare che cosa significa la responsabilità, il senso del dovere. Noi dobbiamo ripristinare non soltanto la scuola dei diritti, ma anche la scuola dei doveri. Quel ragazzo deve fare i lavori socialmente utili perché soltanto lavorando per la collettività, per la comunità scolastica, umiliandosi anche, evviva l’umiliazione che è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità... Di fronte ai suoi compagni è lui, lì, che si prende la responsabilità dei propri atti e fa lavori per la collettività. Da lì nasce il riscatto. Da lì nasce la maturazione. Da lì nasce la responsabilizzazione.

Quanto affermato dal Ministro contiene intuizioni interessanti e valide. La scuola e le istituzioni educative non possono permettersi di abbandonare gli studenti a se stessi. Non possono limitarsi ad applicare interventi comuni, quali la sospensione e l’allontanamento dalla scuola, e ritenere che il loro compito sia stato assolto e il loro ruolo sia stato adempiuto. A ogni modo, occorre considerare, innanzitutto, che le ricerche sull’efficacia dei lavori socialmente utili per adolescenti e giovani che manifestano condotte deplorevoli e devianti presentano risultanze non sempre convergenti.13 Qualche analisi qualitativa conferma che programmi del tipo citato possono avere effetti positivi sul benessere degli adolescenti, contribuendo alla loro reintegrazione sociale e al miglioramento della loro salute mentale.14 Altri studi rilevano che si tratta di piani di intervento che risultano più efficaci dal punto di vista del miglioramento accademico, personale, sociale e civico soprattutto quando includono l’incoraggiamento alla riflessione personale come componente fondamentale.15 Le analisi quantitative, tuttavia, non confermano pienamente l’efficacia dei programmi menzionati, indicando la necessità di ulteriori ricerche per comprendere quali condizioni possono contribuire a renderli più o meno validi.16

In secondo luogo, se si prende atto della scarsa idea di sé che sovente si riscontra dietro comportamenti problematici del tipo analizzato e, soprattutto, se si considera che si tratta di condotte messe in atto presumibilmente per preservare la propria immagine dinnanzi al giudizio altrui, diventa intuitivo che l’approccio dell’umiliazione e/o della mortificazione eventuale, inteso come metodo di educazione e di rieducazione, può risultare controindicato.

Come variamente evidenziato, comportamenti ingiuriosi nei riguardi di altri possono rappresentare tentativi distorti di elevarsi agli occhi dei coetanei, ovvero di mascherare le proprie insicurezze e di contrastare l’immagine negativa di sé. Possono costituire espressioni di lotta per l’affermazione di sé e del proprio valore personale.

Interessa ribadire che il giudizio su di sé — negativo o positivo — rappresenta l’esito di un processo valutativo interno, in cui una qualche parte del Sé ne analizza e ne giudica altre. Invero, qualora le parti genitoriali o critico-normative interiori fossero oltremodo severe, inclementi e perfino spietate, il giudizio su di sé che ne deriva risulterà con facilità tutt’altro che positivo, l’autostima tenderà a svilirsi e la fiducia in se stessi a ridursi.17 Soprattutto, quando le svalutazioni e le autosvalutazioni si protraggono nel tempo, possono contribuire alla cronicizzazione della percezione di essere indegni o profondamente inadeguati.

L’educando, di conseguenza, ha necessità di essere aiutato a riconoscere le sue eventuali parti ipercritiche, ovvero a monitorare il dialogo interno distruttivo e a trovare opzioni valide per bilanciare la critica interna negativa. L’autocritica sovradimensionata e negativa può variare in maniera significativa da persona a persona, ma alla sua origine si individuano spesso decisioni originariamente assunte per fronteggiare importanti esperienze traumatiche o relazioni con persone significative particolarmente rifiutanti e disconfermanti fin dalle prime fasi dello sviluppo. Esperienze deleterie del tipo indicato possono lasciare importanti ferite e ostacolare lo sviluppo di un senso di identità positivo, stabile e coeso.

Ora, se alcuni studenti stanno lottando per mantenere un’immagine positiva di sé, che rappresenta un bisogno legittimo, il ricorso eventuale all’umiliazione come metodo educativo potrebbe esacerbare ulteriormente il senso di non essere all’altezza e di essere indegni. Non bisogna dimenticare che alcuni adolescenti, pur di recuperare una qualche forma di reputazione, ricorrono a peculiari esibizionismi perversi senza badare a spese e, in alcuni casi, dimostrando perfino di essere disposti a giocarsi il tutto per tutto.

Ciò premesso, nell’intento di predisporre interventi educativi non solo più umani, ma anche volti a perseguire cambiamenti positivi e stabili, è preferibile tenere conto della vulnerabilità e della fragilità dei giovani, offrendo loro comprensione e fornendo sostegno per ridurre e per bilanciare la critica interna.

Ovviamente, quanto proposto su come gestire le condotte ambivalenti, difficili o disdicevoli, non equivale a giustificarle. Non significa diventare magnanimi o fare sconti generosi a chi le attua. Al contrario, si tratta di prendere atto delle situazioni e delle complessità che presentano e, ciononostante, di mantenere il ruolo di educatori credibili e autorevoli proseguendo il dialogo educativo e costruttivo con gli educandi.

Osservazioni conclusive

Come anticipato in premessa, nel presente lavoro sono state offerte alcune considerazioni propedeutiche alla realizzazione di provvedimenti educativi qualificati. Pertanto, dopo avere esaminato più nel dettaglio alcune limitazioni insite nelle strategie comuni e nelle punizioni convenzionali, si è passati a indicare l’importanza, per un educatore, di cogliere l’ambivalenza e la funzione difensiva delle condotte difficili richiamate. Si è offerta, successivamente, qualche considerazione relativa all’ipotesi di elaborare approcci educativi fondati sull’umiliazione e sulla mortificazione considerati, talora, componenti fondamentali per la crescita.

Per concludere, si ritiene utile rimarcare ancora una volta che l’intento di quanto offerto non è di giustificare comportamenti deprecabili o di attenuare le responsabilità di chi li attua. L’obiettivo è di evidenziare che, nonostante la gravità di determinate condotte che contrassegnano le situazioni complesse, esse possono configurare pur sempre occasioni per educare, ovvero per promuovere la consapevolezza, la responsabilità e la riflessione critica negli studenti.

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  1. 1 Professore Ordinario di Didattica e Pedagogia Speciale presso l’Università degli Studi di Messina.

  1. 2 Full Professor of Didactics and Special Pedagogy at the University of Messina.

  1. 3 Si veda Amenta G. (2024), Il maltrattamento dei docenti da parte degli studenti. Analisi dei processi e opzioni per l’intervento, «Nuova Secondaria Ricerca», vol. 41, n. 9, pp. 145-156. Per maggiori dettagli si veda anche Amenta G. (in corso di stampa), Docenti maltrattati, alunni maltrattanti, Milano, Mondadori Education.

  1. 4 Si tratta di un fenomeno non solo italiano, come si può vedere da alcuni studi quali: Asio J. (2019), Students Bullying Teachers: Understanding and Behavior of College Students from a Higher Education Institution, «Journal of Pedagogical Research», vol. 3, n. 2, pp. 11-20; Burns E., Fogelgarn R. e Billett P. (2020), Teacher-Targeted Bullying and Harassment in Australian Schools: A Challenge to Teacher Wellbeing, «British Journal of Sociology of Education», vol. 41, n. 4, pp. 523-538; Moon B., McCluskey J. e Morash M. (2019), Aggression Against Middle and High School Teachers: Duration of Victimization and Its Negative Impacts, «Aggressive behavior», vol. 45, n. 5, pp. 517-526.

  1. 5 Cfr. al riguardo: Emler N. e Reicher S. (1995), Adolescence and Delinquency: The Collective Management of Reputation, Cambridge, Blackwell Publishing. Trad. it., Adolescenti e devianza. La gestione collettiva della reputazione, Bologna, il Mulino, 2001; Carroll A., Houghton S., Khan U. e Tan C. (2008), Delinquency and Reputational Orientations of Adolescent At-Risk and Not-At-Risk Males and Females, «Educational Psychology», vol. 28, pp. 777-793; López-Romero L. e Romero E. (2011), Reputation Management of Adolescents in Relation to Antisocial Behavior, «The Journal of Genetic Psychology: Research and Theory on Human Development», vol. 172, n. 4, pp. 440-446; Montuschi F. e Palmonari A. (2006), Nuovi adolescenti. Dalla conoscenza all’incontro, Roma, Edizioni Dehoniane.

  1. 6 Al riguardo, Twardawski et al. (2020) rilevano che gli obiettivi delle punizioni usate dai docenti negli interventi in classe sono largamente indipendenti dalla causa percepita del comportamento scorretto, mentre le strategie di prevenzione sono principalmente influenzate dalla controllabilità percepita del comportamento scorretto.

  1. 7 Si tratta di un film drammatico del 2007, diretto da Amir Khan e prodotto da Bollywood (industria cinematografica con base a Mumbai, India, il cui nome deriva dalla fusione di Bombay e Hollywood e che predilige le lingue hindi e urdu), che racconta la storia di un bambino di otto anni, Ishaan Awasthi, con dislessia.

  1. 8 In un caso seguito da chi scrive, un ragazzo era stato inviato in terapia dalla madre perché incline a dire bugie. Durante il primo colloquio, il giovane confidò di avere tentato il suicidio per poi ripensarci in extremis; manifestò anche la sua difficoltà nell’arginare l’atteggiamento invadente e inquisitorio della madre nei suoi riguardi. Al termine della seduta, quest’ultima contattò telefonicamente il sottoscritto per chiedere quali confidenze il figlio gli avesse fatto. Spiegata l’impossibilità di fornire le informazioni da lei richieste per rispetto del segreto professionale, la signora reagì con sorpresa e disappunto, sottolineando come la precedente psichiatra del ragazzo avesse liberamente condiviso con lei i dettagli delle sedute. L’episodio evidenzia come, sebbene non sia eticamente corretto che il giovane racconti bugie, dal punto di vista psicopedagogico, tale comportamento si configura anche come una strategia difensiva ambivalente, mirante a eludere l’atteggiamento intrusivo e soffocante della madre. Pertanto, anziché distruggere questa forma di difesa, una volta interpretata e compresa adeguatamente, era essenziale per il ragazzo sviluppare modalità difensive alternative e più costruttive. Gli si è proposto quindi, dapprima, di imparare a esprimersi in maniera generica e impersonale e, poi, in maniera assertiva.

  1. 9 Un altro esempio significativo per comprendere la funzione difensiva di condotte ambivalenti riguarda il caso del ragazzo che ha deciso di non studiare per ribellarsi ai genitori che gli hanno imposto una scuola che non gli piace. Pertanto, può essere aiutato ad affermare se stesso, ovvero a dichiarare direttamente e in maniera assertiva le sue preferenze scolastiche e a chiedere ai genitori di rispettarle. Ad esempio, potrebbe spiegare chiaramente ai genitori che la scuola che hanno scelto per lui non gli è congeniale e che, nonostante ci provi e ci riprovi, non riesce a farsela piacere. Potrebbe aggiungere che gradirebbe essere aiutato a cambiare scuola per evitare di essere respinto e per realizzare le sue aspirazioni. Qualora questo non fosse possibile, il ragazzo potrebbe essere aiutato a prendere atto della situazione, ovvero a considerare l’esperienza scolastica come una specie di parentesi, come un segmento di un percorso che, una volta superato, gli potrà consentire, comunque, di riprendere il cammino verso la realizzazione dei suoi sogni e del suo progetto di vita. Può comprendere, altresì, che farsi piacere la scuola che non gli piace e studiare sono cose diverse, ovvero che decidere di non lavorare per ribellarsi rappresenta solo un modo per procurare a se stesso ulteriori danni, e regolarsi di conseguenza.

  1. 10 Per ulteriori dettagli sull’interpretazione e sulla gestione delle resistenze si veda Amenta G. (2021), Condotte oppositive e inclusione. Analisi dei processi e proposte per l’intervento. In R. Caldin e C. Giaconi (a cura di), Pedagogia Speciale, Famiglie e Territori. Sfide e prospettive, Milano, FrancoAngeli, pp. 11-25.

  1. 11 Si vedano a tal proposito Watzlawick P. (2001), Self-Fulfilling Prophecies. In O’Brien J. (a cura di), The Production of Reality: Essays and Readings on Social Interaction, Thousand Oaks, Pine Forge Press, pp. 392-403 e Watzlawick P., Beavin J.H. e Jackson D.D. (1967), Pragmatics of Human Communication: A Study of Interactional Patterns, Pathologies and Paradoxes, New York, W.W. Norton & Company. Trad. it., Pragmatica della Comunicazione Umana, Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1971. Per profezia che si autoavvera si intende tecnicamente un meccanismo automatico, noto in ambito docimologico anche come Effetto Pigmalione. Si vedano al riguardo anche Rosenthal R. e Jacobson L. (1968), Pygmalion in the Classroom, New York, Holt, Rinehart & Winston. Trad. it., Pigmalione in classe, Milano, FrancoAngeli, 1992, FrancoAngeli e Rosenthal R. (1974), L’effetto Pigmalione, «Psicologia contemporanea», vol. I, n. 3, pp. 24-32. Cfr. altresì Friedrich A., Flunger B., Nagengast B., Jonkmann K. e Trautwein U. (2015), Pygmalion, Effects in the Classroom: Teacher Expectancy Effects on Students’ Math Achievement, «Contemporary Educational Psychology», vol. 41, pp. 1-12. Il meccanismo citato descrive l’esito di talune forme di aspettativa nei riguardi di se stessi e/o dell’interlocutore. In particolare, sulla base dell’attivazione del meccanismo, il soggetto rischia di influenzare se stesso e/o l’altro spingendolo ad agire come si aspetta.

  1. 12 L’intervento del Ministro del 24 novembre 2022 è reperibile su vari siti internet. Cfr. https://www.ilpost.it/2022/11/24/giuseppe-valditara-umiliazione-crescita/

  1. 13 Per maggiori dettagli si veda: Zhao J. (2022), Social Intervention and Governance of Youth School Bullying-Based on Computer Medical Data Analysis, «Frontiers in Public Health», vol. 10, pp. 1-12. La ricerca evidenzia l’importanza di adattare e di personalizzare gli interventi alle esigenze specifiche degli adolescenti e di considerare fattori come il contesto socioculturale, le caratteristiche individuali e la presenza di eventuali problemi psicologici o di comportamento. Gli interventi più efficaci sono quelli che adottano un approccio olistico, integrando il lavoro socialmente utile con il supporto psicologico e l’educazione alle competenze sociali.

  1. 14 Studi qualitativi recenti indicano che i lavori socialmente utili possono promuovere l’empatia, ridurre la propensione alla violenza e migliorare le relazioni interpersonali tra gli adolescenti che attuano comportamenti di bullismo o devianti. Questi programmi risultano più efficaci quando sono progettati e realizzati come opportunità per i giovani di riflettere sulle proprie azioni e sul loro impatto sugli altri, contribuendo a un cambiamento positivo nel loro comportamento.

  1. 15 Un’indagine condotta in Italia nel 2019 su un campione di 3.273 studenti da Tintori et al. (2021) ha evidenziato l’influenza di variabili sociali e individuali sui fenomeni di devianza, identificando come fattori di rischio la presenza di stereotipi e pregiudizi sociali, la tolleranza alla violenza e alti livelli di autostima. D’altra parte, bassi livelli di tolleranza al consumo di alcol e droghe, alti livelli di fiducia nei confronti della famiglia e degli amici e il sesso femminile sono stati identificati come fattori protettivi.

  1. 16 Nonostante gli effetti positivi segnalati, le analisi quantitative non sempre confermano questi risultati. Ciò potrebbe essere dovuto alla varietà delle metodologie di ricerca utilizzate, alle differenze nei campioni studiati o alla complessità nel misurare gli effetti a lungo termine di questi interventi. Alcuni studi indicano che, sebbene vi sia una riduzione a breve termine dei comportamenti devianti, non è chiaro se questi cambiamenti siano sostenibili nel tempo. Si veda al riguardo: Cho S. e Lee J. (2018), Explaining Physical, Verbal, and Social Bullying Among Bullies, Victims of Bullying, and Bully-Victims: Assessing the Integrated Approach Between Social Control and Lifestyles-Routine Activities Theories, «Children and Youth Services Review», vol. 91, pp. 372-382.

  1. 17 Sachs-Ericsson et al. (2006) suggeriscono che le esperienze di abuso infantile, e in particolare l’abuso verbale perpetrato da genitori e caregivers, possono essere fattore di rischio per i disturbi internalizzanti in parte perché l’abuso verbale influenza lo sviluppo di uno stile autocritico.

Vol. 23, Issue 4, November 2024

 

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