Vol. 23, n. 2, maggio 2024
Progetti e buone prassi
Children love Design. Buone prassi di progettazione universale1
Debora Aquario2 e Maria Gabriella Formicola3
Sommario
Il contributo intende illustrare una progettualità, Children love design, articolata in una serie di incontri che si sono tenuti ad Anzio con bambini dai 5 ai 12 anni, patrocinati dall’Associazione per il Disegno Industriale (ADI). Gli incontri, svolti in forma laboratoriale e ispirati alla filosofia progettuale dello Universal Design for Learning, sono nati con la volontà di aprire un dialogo tra bambini e design per poi diventare opportunità di apprendere immaginando, di sentirsi bene insieme agli altri in modo spontaneo e paritario, ma anche di ragionare su se stessi e sul mondo, disegnando e costruendo piccoli oggetti dalle funzioni utili, possibili e molto spesso immaginarie. Children love design rappresenta dunque un esempio di come poter tradurre nel concreto i principi alla base dello Universal Design for Learning e può offrire prospettive interessanti sul piano della formazione di educatori e insegnanti.
Parole chiave
Design, Accessibilità, Progettazione universale, Buone prassi, Mediazione.
PROJECTS AND BEST PRACTICES
Children Love design. Good practices of Universal Design4
Debora Aquario5 and Maria Gabriella Formicola6
Abstract
The paper is aimed at presenting a project called Children love design, articulated in a series of meetings held in Anzio with children aged 5 to 12, sponsored by the Italian Association for Industrial Design (ADI). The meetings, held in the form of workshops and inspired by the universal design for learning approach, came about due to the desire to open a dialogue between children and design and to present an opportunity to learn by imagining, to feel good together with others in a spontaneous and equal way, but also to think about oneself and the world, designing and building small objects with useful, possible and very often imaginary functions. Children love design represents an example of how the principles underlying the universal design for learning philosophy can be translated into practice and can offer interesting prospects in the field of educator and teacher training.
Keywords
Design, Accessibility, Universal design, Good practices, Mediation.
Premesse
Il presente contributo intende evidenziare come un progetto denominato Children love design abbia rappresentato un’opportunità per l’esercizio e lo sviluppo di pratiche di relazione bambino-adulto, di problem solving, di abilità creative e di prassi inclusive attraverso la conoscenza della storia, delle tecniche e dei valori del design italiano.
I laboratori sono stati indirizzati a bambini e bambine dai 5 ai 12 anni accompagnati dai genitori o da adulti di riferimento e hanno visto la partecipazione, nei diversi appuntamenti delle due edizioni, di circa 100 bambini e bambine provenienti dai Comuni di Anzio e Nettuno raggiunti grazie al passaparola o attraverso la pubblicizzazione dell’evento sulle testate giornalistiche locali. L’obiettivo dei laboratori è stato quello di offrire, a titolo gratuito, delle ore di pratica creativa che fossero anche occasione di apprendimento, rispondendo così a un’esigenza sentita da alcune famiglie che si sono unite nell’organizzazione fattiva dell’iniziativa. L’idea di fondo dei laboratori è stata quella di renderli luoghi accoglienti in cui provare ad avvicinare al design italiano i bambini, le bambine e gli adulti, in modo inclusivo, stimolante e divertente. Luoghi dove la storia del design italiano e l’esercitazione consentissero al design di provare a inserirsi nel linguaggio comune, con l’ambizione di farlo conoscere anche al di fuori dalle cerchie specialistiche e permettere ai bambini di inserirsi nel «mondo del design» come abili creatori, esercitando il loro problem solving.
I laboratori, dunque, sono stati un pretesto per far conoscere un patrimonio eccezionale del nostro Paese, per realizzare situazioni inclusive e per aprire un dialogo tra adulto e minore consentendo ai bambini di lavorare insieme. Questo è stato possibile grazie alla straordinarietà del design italiano, costituito da oggetti che spesso possiedono delle storie affascinanti (Branzi, 2015) in grado di ingaggiare la mente dei ragazzi, che poi, impegnati in piccoli lavori, si mostrano curiosi nel volerne sapere di più.
Il design è stato presentato ai bambini e alle bambine anche come uno strumento per guardare il mondo, per scoprire qualcosa in più sulle forme, sui colori e sui materiali presenti nel quotidiano e prendere coscienza che gli oggetti che ci circondano non hanno forme casuali: ad esempio, il telefono o il joystick, la scarpa o la forchetta sono effetto di precise scelte di chi progetta, di chi produce e di chi acquista. Esso consente di ragionare su ciò che è realmente utile o superfluo, rispettoso o meno per l’ambiente, e di investigare sulla relazione che si ha con gli oggetti: un rapporto affettuoso, strumentale, neutro o di complicato dualismo. Il design può essere dunque uno strumento prezioso per ragionare sugli stati d’animo e favorire la loro comprensione. E infatti i laboratori sono stati un’occasione per i bambini di liberare desideri, preoccupazioni e aspirazioni, elementi questi rintracciabili nelle loro realizzazioni finali. I bambini sanno, come sostiene La Cecla (1996), evocare le personalità degli oggetti e avere più degli adulti la capacità di stare in loro compagnia: ne è un esempio il fatto che tendono a dare nomi propri agli oggetti con cui entrano in relazione.
Inoltre la storia del design italiano fornisce informazioni culturali e antropologiche importanti sulle radici del nostro Paese (Branzi, 2015). Essa non è solamente la narrazione storica di una serie di oggetti ma intreccia la filosofia, la religione, la politica e l’economia. Se ci troviamo all’estero, capita di sentirci molto orgogliosi del design nazionale conosciuto ovunque grazie ad esempi come la Ferrari, gli abiti di Valentino o le lampade di Castiglioni, solo per fare alcuni esempi. Ma quando siamo noi a elencare i riconoscimenti per cui gli italiani sono famosi, con più difficoltà ci ricordiamo del design, citando invece più facilmente la cucina, il calcio o la storia dell’arte. Eppure, il design è una parte di noi e della nostra quotidianità e questo dovrebbe portarci a riflettere sull’opportunità e sul bisogno per il design italiano di essere riconosciuto nei suoi tratti essenziali e nella sua qualità, inserito nel linguaggio comune con consapevolezza di cosa esso rappresenti, per entrare con più forza nelle conoscenze di base di ciascuno. Il design italiano, infatti, può essere per i bambini e le bambine un’opportunità di apprendimento e al tempo stesso un’emblematica e positiva occasione per stimolare le capacità di problem solving che segna il passaggio da un comportamento etero-regolato a uno auto-co-regolato, di collaborazione, di relazione nell’esprimersi e nel fare. I laboratori del design sono in grado di affrontare temi universali come quelli della collaborazione e della condivisione, insieme a quelli di emergente contemporaneità come il rispetto per l’ambiente e le risorse, in un percorso che coinvolge anche gli adulti e in cui ognuno si senta accolto.
Il percorso dei laboratori del design
I laboratori sono stati centrati su alcuni oggetti iconici del design italiano conosciuti in tutto il mondo e presenti anche nei principali musei internazionali, rendendoli un focus da cui partire per affrontare differenti tematiche: il made in Italy e la sua storia, la sostenibilità, le nuove tecnologie, il marketing, gli aspetti relazionali e di costume che modificano lo sviluppo degli oggetti e li trasformano nel corso del tempo. Le icone del design italiano focus dei laboratori sono state: la Caffettiera di Aldo Rossi, la scarpa Superga, la lampada Lampadina di Achille Castiglioni, il cestino Girotondo di Stefano Giovannoni e Guido Venturini, il Bacio Perugina.
La Caffettiera di Aldo Rossi, una «macchina che fa il caffè», è l’oggetto da cui prende spunto il laboratorio sulla ricerca della macchina che produce l’oggetto desiderato, ovvero un apparecchio che risponda ai desideri e alle esigenze dei piccoli designer. Con l’oggetto desiderato potremmo avere un rapporto tale da considerarlo vivo, animato anche da intelligenze artificiali. Un pretesto, dunque, per ragionare e spiegare l’esistenza oggi di tanti dispositivi intelligenti che ci permettono di interagire con gli oggetti e il fatto che gli oggetti, come sostiene Scalera (2016), oggi sono diventati narrativi superando la loro matericità e diffondendo contenuti, andando a mettere in continua connessione persone, cose e luoghi.
Il laboratorio sulla scarpa Superga, altro oggetto simbolico e con un’affascinante storia alle spalle, è l’occasione per affrontare il tema della necessità di invertire la rotta negli eccessi di acquisto e anche per comprendere una parte della storia del design del nostro Paese collegato alla moda o, meglio, al fashion design, con tutti i suoi risvolti sociologici legati all’evoluzione dei costumi che ha portato, come evidenzia Codeluppi (2002), a considerare la moda come fatto sociale. Creare attraverso la manipolazione del materiale un proprio oggetto da indossare consente di ragionare su quegli oggetti che indossiamo e il valore che vogliamo attribuirgli.
La seduzione continua degli oggetti è anche il tema del laboratorio sulla Lampadina di Achille Castiglioni che, con il suo ready made, introduce il tema del riciclo e della circular economy. Riflettere su quanto oggetti non più utilizzati o di scarto possano dare forma a un nuovo oggetto porta i piccoli progettisti a diventare quelli che Morozzi definiva i designer della resurrezione (1998). Il laboratorio sul cestino Girotondo prodotto da Alessi porta invece i bambini a ragionare intorno alla questione della relazione che abbiamo con gli oggetti, mettendo l’accento sul mondo delle emozioni e degli stati d’animo, uno scenario variopinto e utile per i bambini da cominciare a comprendere. Infine, il Bacio Perugina conduce alla messa in opera di un laboratorio sul food design per parlare della preservazione del cibo, del suo valore e del rapporto consapevole che occorre avere con esso. Cibo come patrimonio da tutelare, acqua come risorsa da preservare. È qui che il design, come sostiene Joe Velluto,7 è in grado di ispirare le coscienze e orientare le abitudini.
La prassi dei laboratori è stata strutturata in momenti diversi ma conseguenti, che prevedevano dapprima il racconto della storia dell’oggetto con dettagli e retroscena interessanti e curiosi, poi la possibilità di vederlo e toccarlo, di venire stimolati inoltre da immagini del suo progetto iniziale, del suo inserimento nella realtà, così da stimolare le domande e le risposte dei minori. In un secondo momento, anche grazie all’aiuto di schemi e parole chiave, veniva descritto l’obiettivo del lavoro da svolgere nel laboratorio pratico. Si dava così il via al lavoro manuale, in un fare che fosse anche ragionamento comune con l’adulto e scambio di idee con gli altri. Le realizzazioni sono state possibili attraverso l’utilizzo di tanti materiali di recupero (oggetti in disuso, imballaggi, scarti, strumenti per illuminare o colorare, incollare e così via) messi a disposizione di tutti e disposti lungo un grande tavolo dove i bambini e le bambine potevano rovistare alla ricerca dei componenti utili alle loro creazioni. Il supporto dell’adulto era finalizzato a dare ausilio alla volontà di partecipazione del bambino, ad aiutarlo a esprimersi sia in ciò che voleva progettare o realizzare, sia nel confronto e comunicazione con gli altri, pari o tutor. Tutto ciò in una logica che consentisse al bambino di sentirsi a suo agio e supportato nell’esprimere senza difficoltà e senza giudizio la sua creatività. L’adulto, il genitore o chi accompagnava il minore doveva prestare attenzione a non divenire lui artefice del manufatto o imporre la sua idea di progetto, ma sintonizzarsi sulla linea d’onda del bambino. Nei laboratori non erano previsti dei vincitori né categorie estetiche o modelli presi ad esempio a cui tutti i lavori dovevano ispirarsi, mentre è stata posta l’attenzione sull’elemento più importante: ovvero l’entusiasmo e il coinvolgimento che si riusciva a ottenere durante il laboratorio. Rispetto alle realizzazioni finali di ogni laboratorio, veniva data l’opportunità a ogni bambino di presentare il suo lavoro, anche grazie all’aiuto dell’adulto di riferimento. In quell’occasione venivano evidenziate tutte le qualità di quanto prodotto, qualità senz’altro rintracciabili in ogni caso. Ciò attraverso concetti che ne mostrassero l’utilizzo, il pensiero che stava dietro, l’abilità costruttiva, l’uso del colore o qualsiasi altro elemento caratterizzante.
Il valore della pluralità e la promozione della partecipazione
Sono molteplici le parole chiave dell’iniziativa qui presentata, come si può già intuire da quanto affermato finora. Tra le tante, una parola che certamente guida l’intera progettualità è design, presente anche nel titolo dell’iniziativa stessa, in connessione con i bambini. Questo un primo dato «strano» visto che siamo portati a pensare che il design sia una cosa da adulti. In Children love design, i due termini non sono solo in connessione ma c’è proprio una relazione di vicinanza e il design diventa l’oggetto dell’amore dei bambini.
È possibile, inoltre, scorgere il rimando in Children love design a una filosofia progettuale fondata sul concetto di accessibilità, che «apre varchi» di partecipazione attraverso la flessibilità e la pluralità dei percorsi. Children love design rappresenta un’iniziativa accessibile e fruibile, fondata sul rispetto della diversità umana e progettata in chiave universale in quanto aperta a tutti e a tutte, flessibile nelle modalità di svolgimento, plurale nelle proposte dei materiali e dei contenuti. Questi concetti sottostanno alla visione della Progettazione universale e sono stati diffusi a partire dal pensiero di un architetto, Ronald Mace, il quale ha voluto sviluppare un design fortemente legato all’idea di diversità, alla dimensione partecipativa, all’accessibilità e alla fruibilità, definito Universal Design (UD, The Center for Universal Design, 1997).
L’idea di base è che le differenze possono diventare risorsa, opportunità per pensare e costruire contesti, servizi, prodotti per tutti. Anzi, le differenze diventano il motore che innesca un pensiero progettuale che include, promuove partecipazione ed è capace di rispondere alle molteplici espressioni della differenza. In questo senso, accessibilità e fruibilità rappresentano sia caratteristiche intrinseche del pensiero progettuale in ottica UD, sia le caratteristiche del contesto (o servizio/prodotto) costruito seguendo la stessa ottica (Ghedin et al., 2018). Facendo proprio un pensiero dell’accessibilità e dell’universalità, Children love design ha realizzato un percorso laboratoriale con obiettivi di realizzazione finale accessibili e fruibili, in grado cioè di promuovere la partecipazione e accogliere le espressioni e i pensieri creativi di tutti e di ciascuno.
La progettazione e la messa in pratica di questi laboratori si ispirano ai 7 principi dell’UD (The Center for Universal Design, 1997). In particolare, gli oggetti prescelti come tema dei laboratori sono stati individuati tra i più importanti della storia del design italiano, ma al tempo stesso anche in base a criteri di loro facile recuperabilità (anche attraverso l’acquisto on line), la loro modesta dimensione ed economicità. Caratteristiche, queste, che permettono di essere facilmente maneggiati e trasportati, di poterli utilizzare in diversi contesti (ludoteche, scuola, casa, ecc.) e di farlo anche con poco budget a disposizione.
Per la parte realizzativa da parte dei ragazzi sono sufficienti dei materiali di riciclo domestici o oggetti in disuso. Carta, matite, colori e materiali per incollare completano il kit necessario. L’utilizzo di materiale presente in casa o anche di componenti di scarto nella preparazione dei cibi è essa stessa una forma di apprendimento di rispetto dell’ambiente e della salvaguardia del patrimonio alimentare. Tutti questi materiali vengono disposti su un tavolo per essere accessibili a tutti. Gli strumenti come la colla a caldo o le forbici sono messi a disposizione e utilizzati sotto la guida dell’adulto di riferimento e dei coordinatori del laboratorio e in più gli spazi sono al chiuso, o, se all’aperto, delimitati da un nastro segnaletico. Rispetto alle realizzazioni finali, anche solo lo schizzo o il disegno di ciò che il bambino desiderava realizzare era considerato valido.
Accanto ai principi della Progettazione universale, Children love design accoglie anche i significati specifici che assume questa filosofia quando incontra il mondo educativo e più nello specifico didattico e valutativo. Alla base vi è sempre il rispetto della diversità, intesa come pluralità (di caratteristiche, funzionamenti, storie di vita, esperienze pregresse, vissuti e reazioni emotive, linguaggi, valori), da considerare a monte del processo progettuale e da cui partire per immaginare scenari e percorsi plastici e modulabili. Tale aspetto è alla base della declinazione specificamente educativa che assume la Progettazione universale quando si riferisce ai programmi educativi e formativi: in questo caso, essa prende il nome di Progettazione universale per l’apprendimento (UDL, Center for Applied Special Technology, CAST, 2011) e spinge a ripensare la costruzione degli spazi fisici e simbolici, delle dinamiche relazionali, delle pratiche educative in base a tre principi, che invitano a offrire molteplici opzioni per la rappresentazione, l’azione ed espressione, il coinvolgimento. L’elemento in comune tra questi tre principi può essere rintracciato nella parola «molteplicità»: il primo si riferisce alla pluralità di forme attraverso le quali gli individui percepiscono e rappresentano le informazioni, il secondo riguarda le diverse forme espressive attraverso le quali quelle stesse informazioni possono essere comunicate e il terzo è riferito alla molteplicità di modi possibili di coinvolgimento delle persone.
Nello specifico, come si esprime in Children love design l’attenzione all’eterogeneità? L’iniziativa offre molteplici opzioni di rappresentazione, azione ed espressione e coinvolgimento? Children love design rappresenta un esempio di come poter tradurre nel concreto questi tre principi alla base della Progettazione universale per l’apprendimento, come si può desumere dal paragrafo seguente.
Pluralità di rappresentazioni
Il principio della Rappresentazione invita a considerare che gli individui differiscono nel modo in cui percepiscono le informazioni (ad esempio rispetto all’appartenenza linguistica o culturale, a una disabilità di tipo sensoriale o a una difficoltà di apprendimento, oppure semplicemente in base a una assimilazione di informazioni più veloce attraverso mezzi visivi o testo scritto). Come esplicitato nelle Linee Guida dell’UDL (CAST, 2011), questa considerazione vista da una prospettiva universale sollecita a pensare una progettazione che possa offrire diverse opzioni di scelta per la percezione. Sono queste, ad esempio, differenti alternative per la visualizzazione delle informazioni (sia sonore sia visive), diverse opzioni riguardanti il linguaggio (opzioni che chiariscono il vocabolario, la sintassi, la struttura, per la decodifica del testo, per la comprensione tra linguaggi diversi, per la visualizzazione di concetti chiave illustrati in modalità non linguistica) e, infine, molteplici opzioni di scelta ai fini della comprensione (opzioni che attivano le conoscenze pregresse, che evidenziano le idee chiave, le relazioni tra le cose, che guidano il processo di elaborazione delle informazioni e che supportano la memoria e il transfer).
Children love design ha risposto al principio della rappresentazione valorizzando la pluralità nella rappresentazione delle informazioni. Infatti, ogni laboratorio ha avuto inizio con una presentazione di un oggetto e le forme che quella presentazione ha assunto sono state variegate, diversificate sia all’interno di ciascun laboratorio sia tra i differenti laboratori. Così la caffettiera è stata presentata attraverso la vista in primis, i bambini hanno avuto modo di vederla e apprezzarla, anche attraverso i disegni di Aldo Rossi (della caffettiera stessa e di altri oggetti da lui progettati), ma poi è entrato in gioco il tatto. Successivamente o in parallelo, ai partecipanti è stato offerto un racconto della sua invenzione, la sua storia, che è stata dunque ascoltata ed è andata ad aggiungersi alle informazioni raccolte attraverso la vista e il tatto. Le domande (ai bambini e dei bambini) e l’utilizzo di parole chiave che permettessero di comprendere ancor meglio il lavoro hanno ulteriormente arricchito la presentazione, offrendo molteplici opzioni perché tutti e tutte potessero guardare, ascoltare e comprendere ciò di cui si stava parlando.
Pluralità di azioni ed espressioni
Il principio dell’Azione ed espressione richiama l’eterogeneità dei modi di espressione degli individui: ad esempio, individui con disabilità significative, con difficoltà con le abilità strategiche e organizzative o con difficoltà linguistiche possono risolvere i compiti di apprendimento in maniera molto differente; alcuni potrebbero sapersi esprimere bene nello scritto e non nell’orale, e viceversa. Come la progettazione può rispondere a questa eterogeneità? Le risposte anche in questo caso sono molteplici (CAST, 2011). Si possono offrire diverse alternative nelle richieste riguardanti il tempo, la velocità e la motricità che occorrono per interagire con i materiali educativi e in generale ottimizzare l’accesso agli strumenti di supporto; si può ampliare la gamma di espressioni fornendo la possibilità di usare mezzi plurimi e diversi (non solo il testo scritto, ad esempio, ma anche i disegni, i progetti, il movimento, la musica, l’arte) al fine di supportare ogni individuo nell’apprendimento della scelta e dell’uso dello strumento espressivo che meglio si adatta di volta in volta al suo funzionamento.
Children love design ha fatto proprio questo principio quando, successivamente alla presentazione delle informazioni iniziali, l’attività veniva introdotta attraverso alcune domande-stimolo, utili per promuovere l’accesso alla parte esperienziale e laboratoriale vera e propria (ad esempio, «Se voi foste dei designer, che progettano come Aldo Rossi degli strumenti utili, come disegnereste una macchinetta del caffè o quale macchina vi piacerebbe disegnare? Ci sono oggetti con cui avete una relazione, che vi mandano segnali, che suscitano in voi sentimenti?»). Si chiedeva quindi ai bambini di immergersi in un processo di design, immaginando e realizzando un oggetto, lasciandosi ispirare da quanto ascoltato e appreso precedentemente, nonché dalle sensazioni e dai pensieri suscitati dall’oggetto presentato, dalla sua storia e dalla sua funzione. Attraverso una pluralità di materiali concreti messi a disposizione dei minori per la realizzazione delle loro creazioni (come imballaggi, oggetti in disuso, vecchie scatole, tessuti, lucine, pulsanti sonori recuperati da vecchi giocattoli, ecc.), ai bambini veniva lasciata completa libertà di esprimersi. Ed è così che sono nati: «il casco che mi impedisce di fare gli incubi» o «il guanto che mi aiuta a fare i compiti», la macchina che risponde «Non è stato nessuno!» al suono dell’intestino, o che trasforma peluche in animali veri, o ancora «la lampada con le gambe che mi accompagna la notte a fare la pipì».
Pluralità di coinvolgimenti
Infine, la Progettazione universale per l’apprendimento ci ricorda anche che non esiste una modalità di coinvolgimento che possa essere appropriata per tutti gli individui in tutti i contesti. Il principio del Coinvolgimento invita a fornire possibilità di scelta rispetto agli strumenti o alla sequenza delle attività, offrendo molteplici strade che incoraggiano la partecipazione e la conseguente autonomia, così come molteplici proposte di attività autentiche e significative in grado di ingaggiare il destinatario (Wiggins, 1993). L’autenticità è certamente un valore in Children love design, la stretta vicinanza tra quanto proposto nei laboratori e la vita reale, le esperienze dei bambini, la richiesta di far fronte con il «prodotto» finale a un’esigenza che nasce proprio dalla realtà, da un desiderio del bambino stesso connesso alla sua quotidianità.
Inoltre, dato che la motivazione va mantenuta costantemente, da un lato occorre anche trovare modi per incoraggiare e sostenere l’impegno (ad esempio, proponendo attività basate sulla comunicazione e sulla collaborazione, usando bene il feedback, proponendo opzioni di scelta che possano variare i livelli di difficoltà e di sfida) e, dall’altro, diventa necessario anche cercare molteplici modi per supportare le capacità autoregolative (sviluppando il pensiero riflessivo e autovalutativo) (CAST, 2011). Per queste ragioni era importante accompagnare i bambini durante l’intera esperienza, con ulteriori esempi e racconti, proponendo o suggerendo, dialogando con loro mentre il laboratorio si svolgeva.
L’intera attività in realtà è pensata per sostenere e alimentare costantemente l’entusiasmo e la motivazione, fin dagli inizi quando ad aprire il laboratorio è una storia di un oggetto, che cattura e coinvolge, fino agli innumerevoli esempi che accompagnano la storia stessa, o i rimandi ad altri oggetti che fanno parte dell’esperienza quotidiana di ogni bambino (ad esempio, laboratorio Cestino girotondo: «Vi sarà senz’altro capitato, quando eravate piccoli, di avere un oggetto o un giocattolo a cui tenevate tanto e dal quale non vi separavate mai. Se cercate di ricordare quell’oggetto o quel giocattolo vi verrà in mente che esso era per voi come vivo: avevate paura di perderlo perché si sarebbe sentito solo, lo mettevate a dormire o lo curavate»). Fondamentale per mantenere vivo il coinvolgimento è stato il dialogo tra coordinatori dei laboratori (tutor e designer professionisti) e bambini: durante la costruzione dell’oggetto i coordinatori sollecitavano e monitoravano il lavoro, chiedendo ai bambini la direzione verso la quale stavano procedendo e commentavano con loro il processo. Tale dialogo ha dato vita a pensieri sempre diversi e nuovi o insight improvvisi, mantenendo alta la motivazione e promuovendo la realizzazione di oggetti creativi e significativi.
Questo aspetto è riconducibile al concetto di mediazione, cioè quello spazio in cui si esplica e si concretizza la relazione tra chi impara, chi insegna (o, più in generale, svolge un ruolo educativo) e l’ambiente in cui la relazione si svolge. È lo spazio di interazione sociale dove può avere luogo la formazione delle funzioni mentali superiori, tramite un passaggio da un funzionamento etero-regolato a uno auto-co-regolato. La relazione tra gli adulti e i bambini durante la realizzazione dei laboratori corrisponde a quell’esperienza che, con le parole di Feuerstein e Jensen (1980), ha luogo quando un essere umano si fa mediatore organizzando e riordinando le esperienze in una direzione chiara e precisa consentendo al bambino di avvalersene.
Il bambino, quindi, viene accompagnato in un percorso finalizzato alla registrazione delle informazioni utili per una comprensione della situazione, all’uso e all’interiorizzazione di strategie cognitive e metacognitive efficienti e all’autoregolazione del comportamento. Questi passi sono fondamentali e consistono nelle azioni del mediatore dirette agli «stimoli»: azioni di trasformazione, riorganizzazione, raggruppamento, tramite le quali egli può, ad esempio, focalizzare l’attenzione del bambino sugli elementi della situazione, creare associazioni con ciò che è stato precedentemente appreso o collegare eventi passati con il presente, offrire un feedback sul processo di pensiero e di ragionamento e sulla risposta prodotta, fornire infine incoraggiamenti per ogni successo, anche se parziale (Tzuriel, 2004).
Nel laboratorio il bambino è accompagnato dalla mediazione offerta dall’adulto a rimanere dentro al flusso delle attività (imparando a gestire le tempistiche, i turni, l’utilizzo dei materiali), ma al contempo si relaziona con i pari e, fuori da ogni competizione, si sente libero, incuriosito e motivato a esprimere, attraverso la realizzazione del suo progetto, se stesso in modo nuovo. Questa riflessione alla luce della teoria della mediazione è una delle prospettive di utilizzo di Children love design in chiave formativa.
Conclusioni e prospettive future
Il percorso laboratoriale è nato con la volontà di dare una chance a un incontro sì strutturato, ma allo stesso tempo spontaneo, tra bambini e design, per poi dare vita a molte cose: un’occasione per apprendere nell’immaginare, per sentirsi bene insieme agli altri in modo spontaneo e paritario, per ragionare su se stessi e il mondo, disegnando e costruendo piccoli oggetti dalle funzioni utili, possibili e molto spesso immaginarie in uno spirito di inclusione che è la matrice di raccordo di tutti gli incontri.
Poiché i tre principi dell’UDL fin qui presentati sono strumenti che, se coltivati in ambito didattico, potrebbero dar luogo a una scuola più capace di generare dialogo, partecipazione, inclusione e motivazione per gli studenti e per il docente stesso, il presente contributo sollecita un salto dalla dimensione «estemporanea» del laboratorio per agganciarlo a programmi e strutture proprie dei contesti educativi e didattici. Questo potrebbe essere possibile inserendo il progetto Children love design all’interno di percorsi formativi rivolti sia a insegnanti sia a educatori, così come di tutti coloro che agiscono nella direzione di una significativa evoluzione dello sviluppo cognitivo e sociale dei bambini. In particolare, nell’ambito scolastico, la progettualità può essere agganciata a una disciplina di insegnamento, trovando una connessione con uno o più aspetti della materia, o a una pratica extracurricolare. Svolgendosi in uno spazio-tempo limitato, i laboratori diventano una palestra dove per l’educatore o il docente diventa possibile esercitarsi nel prendere confidenza e nell’applicare i principi sottostanti alla progettazione, personalizzarli in base al proprio approccio per poi riportarli nella pratica educativa/scolastica.
Rispetto dunque alle potenzialità formative, ciò che avviene durante i laboratori rappresenta un’opportunità che può accompagnare futuri insegnanti o educatori nella riflessione su temi connessi alla loro professionalità e a come essi vorranno esprimerla, quali lo stile e il modus operandi che vorranno mettere in gioco. Mettere in atto il percorso laboratoriale Children love design potrebbe, cioè, diventare occasione per una riflessione sul Sé personale e sul Sé professionale.
Un ulteriore punto di contatto tra i laboratori del progetto e la pratica didattica è rintracciabile nell’ambito dei «compiti autentici». È possibile, cioè, che un docente possa considerarli come prove che mettono l’individuo in situazioni complesse finalizzate a valorizzare i processi di pensiero critico e di ragionamento (Wiggins, 1993). I laboratori costituiscono compiti aperti dove chi è coinvolto può accedere a un ampio set di risorse e di talenti attraverso i quali poter fruire dell’esperienza, goderne, impegnarsi e offrire una rappresentazione finale che è una sintesi dei processi attivati. È un compito aperto anche perché, non avendo una risposta univoca possibile (non c’è un risultato finale standard per tutti), lascia margini di azione da riempire ciascuno con le proprie idee, caratteristiche e possibilità. Da questo punto di vista, dunque, per il docente si tratta di un compito non solo valutativo e autentico ma anche accessibile e inclusivo, dal momento che offre molteplici punti di aggancio consentendo la partecipazione di tutti e di tutte.
Un’ultima considerazione riguarda il fatto che, come già indicato, questi laboratori sono stati progettati in linea con i principi dell’UD e dunque risultano reiterabili senza un forte dispendio di risorse economiche, in spazi limitati, in sicurezza e accessibilità, senza un impegno eccessivo; la loro declinazione in ambito educativo e didattico è dunque possibile, anzi auspicabile.
Bibliografia
Branzi A. (2015), Introduzione al design italiano. Una modernità incompleta, Milano, Baldini & Castoldi.
Center for Applied Special Technology/CAST (2011), Universal Design for Learning (UDL). Guidelines version 2.0, Wakefield, CAST.
Codeluppi V. (2002), Che cos’è la moda, Roma, Carocci.
Feuerstein R. e Jensen M. (1980), Instrumental enrichment: Theoretical basis, goals, and instruments, «The Educational Forum», vol. 44, pp. 401-423.
Ghedin E., Boggino N., Aquario D., Pais I. e Boggino P. (2018), Accessibilità e universi possibili. Riflessioni e proposte per promuovere l’educazione per tutti, Roma, Aracne.
La Cecla F. (1996), L’oggetto dell’equilibrio, Milano, Mondadori Electa.
Morozzi C. (1998), Oggetti risorti. Quando i rifiuti prendono forma, Genova, Costa & Nolan.
Scalera G. (2016), Il design nella società estemporanea, Trento, List.
The Center for Universal Design (1997), The principles of Universal Design, Version 2.0, North Carolina State University, Raleigh, NC, Center for Universal Design.
Tzuriel D. (2004), La valutazione dinamica delle abilità cognitive, Trento, Erickson.
Wiggins G.P. (1993), Assessing student performance, San Francisco, Jossey-Bass.
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1 L’ideazione e la realizzazione del progetto Children love design sono a cura di M.G. Formicola. Per quanto riguarda la redazione del contributo, esso è frutto del lavoro congiunto di entrambe le autrici. Nello specifico, i paragrafi Premesse e Il percorso dei laboratori del design sono stati scritti da M.G. Formicola, il paragrafo Il valore della pluralità e la promozione della partecipazione da D. Aquario, il paragrafo Conclusioni e prospettive future da entrambe.
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2 Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata, Università degli Studi di Padova.
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3 Innovation Enel Grids, Enel.
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4 The conception and realisation of the project Children love design was carried out by M.G. Formicola. As far as the editing of the paper is concerned, it is the joint work of both authors. Specifically, the paragraphs Foreword and The design workshop programme were written by M.G. Formicola, the paragraph The value of plurality and the promotion of participation by D. Aquario, and the paragraph Conclusions and future prospects by both.
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5 Department of Philosophy, Sociology, Pedagogy and Applied Psychology, University of Padua.
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6 Innovation Enel Grids, Enel.
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7 Design in pratica. Pratiche di design virtuoso, Joe Velluto Studio, https://designinpratica.it/ (consultato il 4 aprile 2024).
Vol. 23, Issue 2, May 2024