Vol. 23, n. 1, febbraio 2024

PRECURSORI

L’istituente ordinario come prassi trasformativa. Georges Lapassade, un precursore per comprendere meglio la nostra attualità

Carla Gueli1

Sommario

Georges Lapassade (1924-2008), di formazione filosofica, è stato sociologo, educatore, antropologo, psicosociologo dei gruppi, fondatore dell’analisi istituzionale e socioanalista. Soprattutto, è stato un intellettuale implicato nelle questioni che hanno riguardato la sua contemporaneità, in particolare nei movimenti giovanili o considerati più marginali. È stato insegnante, docente universitario e animatore sociale. Desideriamo qui brevemente presentare, per la lettura del presente, alcuni concetti e strumenti che Lapassade ha introdotto nel corso della sua vita, attraverso le sue opere e le pratiche: desideriamo quanto meno accennare ai costrutti di analisi istituzionale, educazione permanente, incompiutezza e autogestione pedagogica. Riteniamo che questi concetti, nella stretta connessione con i dispositivi e le pratiche che li riguardano, siano bussole per la riflessione di formatori, di docenti e educatori che desiderano orientarsi allo sviluppo dell’autonomia dei soggetti, giovani e adulti, e ad una maggiore comprensione dei nostri tempi.

Parole chiave

Pedagogia Istituzionale, Analisi Istituzionale, Lapassade, Educazione permanente, Autogestione pedagogica.

PIONEERS

The Ordinary Institution As Transformative Praxis. Georges Lapassade, a Forerunner for a Better Understanding of Our Present Time

Carla Gueli2

Abstract

Georges Lapassade (1924-2008), trained in philosophy, was a sociologist, educator, anthropologist, group psychosociologist, the founder of institutional analysis and a socio-analyst. Above all, he was an intellectual implicated in the issues affecting his contemporaries, particularly in youth movements or those considered more marginal. He was a teacher, university lecturer and social entertainer. Here, we would like to briefly present some concepts and tools, for the reading of the present, that Lapassade introduced throughout his life, through his works and practices: we would like at the very least to mention the constructs of institutional analysis, lifelong education, incompleteness and pedagogical self-management. We believe that these concepts, in close connection with the devices and practices that relate to them, are compasses for the reflection of trainers, teachers and educators who wish to orient themselves towards the development of the autonomy of subjects, both youths and adults, and to a greater understanding of our times.

Keywords

Institutional pedagogy, Institutional analysis, Lapassade, Lifelong education, Pedagogical self-management.

Premessa

Nell’esplorare situazioni di malessere, di crisi o di conflitto che possono avvenire nel contesto educativo o scolastico, sia nell’idea di comprenderne la natura, sia per trovare soluzioni per il loro superamento e prevenirne di ulteriori, ci si concentra talvolta esclusivamente sul nodo docente-studente, o docente-genitori, o docente-docente, ecc., trascurando la dimensione più ampia dell’istituzione, intesa come clima di scuola o di classe e come organizzazione complessa con un sistema di regole e aspettative esplicite (espresse anche da norme e regolamenti) e implicite.

Come ha evidenziato, da diversi decenni, la letteratura psicopedagogica, le relazioni tra le parti di un’istituzione come quella scolastica non riguardano soltanto le scelte e gli atteggiamenti, certamente influenti, dei singoli educatori, dei dirigenti o dei docenti. A tal proposito, in un testo degli anni Settanta — a opera di autori che frequentavano la prima letteratura istituzionalista tentando di comprendere le ragioni del benessere e del malessere percepito tra gli studenti della scuola secondaria italiana — leggiamo: «L’attenzione viene allargandosi progressivamente a tutte quelle variabili e condizioni che operano in modo silenzioso ma continuo nell’ordinarietà della vita scolastica, dove i comportamenti dei singoli e le loro reciproche interazioni subiscono l’influenza determinante esercitata dallo specifico corpus latente di valori e di regole implicite che governano in profondità l’agire organizzativo dell’istituzione» (Vezzani e Tartarotti, 1988, p. 14).

Per poter esplorare questo corpus gli autori fanno riferimento alla dimensione istituzionale dell’agire scolastico e al curricolo latente, definito nella letteratura anglofona come hidden curriculum, e ai padri della Pedagogia Istituzionale e dell’autogestione pedagogica: Oury, Lobrot, Lourau e Lapassade. E se in Italia, in quegli anni, nel lessico pedagogico si fa riferimento all’analisi istituzionale e alla pedagogia istituzionale lo si deve soprattutto all’impegno e alla dedizione di Andrea Canevaro, padre fondatore della declinazione italiana del movimento istituzionalista dal quale lo stesso Georges Lapassade, come vedremo, proviene.

Proveremo dunque ad attraversare l’opera e la biografia di Lapassade per esplorare le risposte incompiute e le nuove domande che hanno caratterizzato gli anni della sua formazione, attraversando i movimenti della psichiatria, della psicoterapia e della pedagogia istituzionale, attraverso la lente etnologica, antropologica e pedagogica.

Profilo biografico di Georges Lapassade

Nato nel 1924 ad Arbus, una città dei Pirenei vicino Pau, frequenta il liceo e tra il 1941 e il 1947 inizia a studiare Filosofia. Nel 1945 intraprende l’insegnamento ma abbandona la professione e nel 1947 si sposta per studiare a Parigi. In quegli anni vive con difficoltà la propria omosessualità e il rapporto con il padre. Si interessa al movimento esistenzialista, legge Sartre e segue i corsi di Merleau-Ponty, che negli anni Cinquanta gli commissiona un’indagine sui giovani per la rivista «Les Temps Modernes».

Inizia a dedicarsi alla ricerca e approfondisce gli studi sul T-Group e sulle esperienze di dinamica dei gruppi. Si interessa anche allo studio e alla frequentazione dei primi movimenti istituzionalisti, incontrando Tosquelles e collaborando con Jean e Fernand Oury. In quegli stessi anni, infatti, si sviluppa la psichiatria/psicoterapia istituzionale, movimento nato tra il 1936 e il 1945 in Francia, intorno all’esperienza dell’ospedale di Saint Alban dello psichiatra catalano Tosquelles. Attraverso una riflessione sui sistemi di cura influenzata delle correnti freudiane, si esplora per la prima volta la dimensione inconscia dell’istituzione, definita da fantasmi, desideri e pulsioni latenti. Le attività, condotte attraverso ateliers, laboratori, attività ludiche, spostano la direzione della terapia dal singolo paziente alla cura dell’istituzione stessa. Jean Oury, psichiatra allievo di Tosquelles, a partire dagli anni Cinquanta trasferisce lo stesso modello terapeutico in una struttura non lontana da Parigi, Laborde, una comunità che accoglie filosofi, psichiatri e psicanalisti, tra i quali Jaques Lacan e Felix Guattari. Lapassade inizia a frequentare la struttura incontrando proprio Lacan che lo incoraggia a intraprendere un percorso psicoanalitico per affrontare la questione dell’identità sessuale. Nello stesso periodo frequenta gli ambienti intellettuali, i circuiti musicali jazz e quelli della rivista «Arguments», tessendo relazioni con Edgar Morin e Roland Barthes e con gli ideatori dell’organizzazione Socialisme ou Barbarie (di orientamento marxista antistalinista), quali Cornelius Castoriadis, Claude Lefort e Gaby-Cohn-Bendit. Contemporaneamente, insieme a René Lourau, si interessa all’analisi delle istituzioni e alla diffusione della psicosociologia delle organizzazioni. Frequenta la residenza universitaria di Antony, dove diventa consigliere degli studenti. La sua presenza militante nei vari movimenti, in particolare nel decennio 1958-1968, ha un’influenza non indifferente sui fatti del Maggio parigino. Supera nel 1959 l’esame come Agrégé (Associato) di filosofia. Durante i Colloques de Royaumont (ovvero gli stage di formazione per i quadri dell’UNEF, la principale associazione studentesca universitaria francese), inizia una collaborazione con un gruppo composto da Raymond Fonvieille, Michel Lobrot, Fernand Oury e altri. Insieme a loro fonda il movimento della Pedagogia Istituzionale, che traspone in campo pedagogico gli assunti emersi in ambito psicoterapeutico.

Nel Marzo 1961 il gruppo, denominato Group Techniques Educatives (GTE), opera una scissione dal gruppo Freinet, proponendo una serie di innovazioni che contemplano una contaminazione con la psicoterapia lacaniana e con quella istituzionale americana (Lewin e Moreno). Nel 1962 Lapassade si laurea in Lettere e diventa assistente di sociologia a Tunisi, dove comincia a interrogarsi sui fenomeni di trance. Il soggiorno magrebino ha una significativa influenza sul suo percorso di ricerca. Nel luglio del 1962 svolge un nuovo stage presso l’UNEF a Royaumont. Remi Hess fa risalire a questa data l’invenzione dell’Analisi Istituzionale nella versione psicosociologica e sociologica.

Nel 1963 Lapassade consegue il dottorato con una tesi sul tema de l’Entrée dans la vie, Essai sur l’inachèvement de l’homme (Lapassade, 1963) pubblicata in Italia nel 1971 con il titolo Il mito dell’adulto. Sempre nell’anno scolastico 1962-63, Fonvieille lavora con una classe che sperimenta una forma pionieristica di autogestione. Di questa esperienza Lapassade tratta nel libro l’Autogestione Pedagogica (1973). Nello stesso periodo incontra lo psichiatra Tosquelles e intrattiene una breve corrispondenza con Oury sull’organizzazione di una conferenza prevista il 23 Aprile dello stesso anno. Per il suo intervento propone come tema l’analisi dell’istituzione dei gruppi di lavoro previsti all’interno della conferenza, allo scopo di lavorare sulle resistenze emergenti all’interno dei gruppi stessi e di analizzarle in modo da far emergere alcune questioni legate alla loro formazione. Questa proposta solleva però delle perplessità tanto da determinare una divisione interna tra gli organizzatori. Fino al 1966 Lapassade si muove tra Francia, Tunisia e Marocco, dove scopre lo Stambali e la Gnawa, e approfondisce gli studi sui rituali di transe.

Si trasferisce a Tours nel 1966 per insegnare sociologia e dal 1967 al 1970 viaggia molto, vivendo da vicino i fatti del Maggio francese. Da più parti si è rilevato come, senza Lapassade e in generale senza il lavoro degli istituzionalisti, il movimento francese sarebbe stato meno ricco di suggestioni libertarie. Lapassade, negli anni successivi, si dedica allo sviluppo della neonata Università di Vincennes, poi a quella che ne deriva dal trasferimento, nel 1981, nel quartiere di Saint Denis (dal quale l’università prende il nuovo nome). Nel 1970 Lapassade è a Montréal, invitato dopo la creazione dell’università del Québec. Nello stesso anno si reca in Brasile dove incontra il Living Theater. Nel 1971, anno nel quale Lapassade pubblica ben 6 libri, partecipa alla nascita del Fronte Omosessuale di Azione Rivoluzionaria, con Guy Hocquenghem, Guy Chevalier, Réné Scherer. Torna a Belo Horizonte nel 1972 per un secondo periodo di collaborazione. Nel 1973-74 è nominato Professore di scienze dell’educazione nella facoltà sperimentale di Vincennes, eletto da una assemblea generale degli studenti.

Scrive Charlotte Hess: «Dopo il suo arrivo a Vincennes, Lapassade organizza la sua vita quotidiana intorno alla ricerca, che si sviluppa in diverse direzioni. Da quando, nel 1964, inventa la teoria dell’intervento (la socio-analisi) orienta lo sviluppo dell’analisi istituzionale verso l’analisi interna. La parola d’ordine in quegli anni sarà: «Facciamo l’analisi delle nostre istituzioni!» (Hess e Hess, 2010, p. 14, trad. nostra).

Inizia a far parte di diversi movimenti, come il FHAR (Fronte omosessuale d’azione rivoluzionaria) e quello per la pratica della bioenergetica (è del 1975 la costituzione di un gruppo di insegnanti che praticano metodi di gruppo, non direttività, potenziale umano e bioenergetica). Nel 1976 crea l’istituto di amministrazione economica e sociale di Paris 8. Per ogni nuovo impegno, lo studioso pubblica una teoria della ricerca, che coinvolge di volta in volta gruppi diversi di collaboratori, studenti e docenti.

Vive intensamente l’Università, insieme a Lourau, Lobrot, Boumard, Coulon, Barbier, Hess e altri, creando numerosi dipartimenti, aprendosi a nuovi contatti teorici e, in particolare, a partire dagli anni Ottanta, con quello etnografico. Si occupa anche di microsociologia ed etnografia dell’educazione mentre, in parallelo, sviluppa la questione della dissociazione mentale e delle identità multiple.

Proprio per esplorare la tematica degli stati modificati di coscienza intensifica i viaggi nel Sud Italia, interessandosi ai fenomeni del tarantismo, intraprendendo una collaborazione con il sociologo delle religioni Pietro Fumarola e con il Dipartimento di Antropologia dell’Università di Lecce (Fumarola, 2009), costruendo al contempo una fitta rete di relazioni con vari movimenti e gruppi. La ricerca sugli stati di dissociazione indotti dalla prigionia lo avvicina a Renato Curcio, Nicola Valentino e altri che avrebbero in seguito fondato la Cooperativa Sensibili alle foglie, esito di una serie di riflessioni emerse sin dal 1986 in carcere come esperienza di analisi della reclusione totalizzante e sullo stato di trance come risorsa vitale. Conduce insieme all’antropologo Roberto De Angelis un lavoro di ricerca sulla transe3 e sull’hip hop. Avvia a Rimini un lavoro sul campo con Leonardo Montecchi, psichiatra vicino alle posizioni di Armando J. Bauleo. Conduce indagini sulla danza in Sardegna, insieme ai danzatori e ricercatori Salvatore Panu, Ornella d’Agostino e Salvatore Melis. Con Patrick Boumard e Vito D’Armento avvia una ricerca sull’etnografia della scuola che porta alla costituzione della Società Europea di Etnografia dell’Educazione. Torna spesso a Lecce, a Bologna e a Roma, dove è noto per i suoi lavori sulla transe, sulla devianza e sull’autogestione, ma anche per alcune collaborazioni con varie realtà sociali.

A partire dagli anni Novanta si occupa prioritariamente dei giovani della banlieue parigina e spinge i suoi studenti a fare ricerca nel contesto della scuola. In questo periodo pubblica l’Etnosociologia (1991), Guerre et paix dans la classe (1993), Microsociologies (1996) e Baccano. Microsociologia della vita scolastica (1997a).

Nel 1992 è posto in quiescenza, una condizione nuova, questa, che vive dolorosamente. Partecipa comunque alle attività amministrative dell’Università, continuando a frequentarla e alloggiando in una casa poco distante. Qui ospita molti studenti privi di mezzi, continuando a redigere riviste, a pubblicare nuovi libri e a viaggiare, nonostante i problemi di salute. Si reca regolarmente a Essaouira, in Marocco, almeno fino al 2000, e in Italia.

Dal 2002 crea una rivista con Remi Hess e Patrice Ville e un gruppo di dottorandi: «les IrrAIductible» (dove AI sta per Analisi istituzionale).

Lo stesso Hess dà notizia di un ultimo viaggio di Lapassade in Salento e delle implicazioni di un incontro sull’Analisi Istituzionale a cui prendono parte tutti i protagonisti del movimento in Italia (Hess, 2007). I suoi rapporti con l’Italia sono particolarmente ricchi e intensi e tra i principali interlocutori c’è sicuramente Salvatore Panu, che lavora con lui a Parigi. Come detto, sono altresì intensi i rapporti con Lecce, in particolare con Pietro Fumarola e Vito D’Armento, con Rimini, grazie a Leonardo Montecchi, e con Renato Curcio e con la casa editrice Sensibili alle foglie che traduce e pubblica diversi libri dello studioso, compreso quello di tributo che raccoglie gli scritti di quanti in Italia lo hanno conosciuto e hanno collaborato con lui.

Muore il 30 luglio 2008 a Stains, vicino Parigi.

La visione pedagogica di Lapassade

Per tracciare il filo rosso dell’esplorazione pedagogica nella vita e nell’opera di Georges Lapassade, partiamo dalla definizione che ne offrono Remi Hess e Lucette Colin, colleghi all’università di Saint Denis ma soprattutto amici fraterni sino ai suoi ultimi anni di vita, segnati dalla malattia e da alcune sfortunate vicende personali. Hess e Colin ricordano l’amico Georges come un pensatore critico: sin dalla sua prima opera, Il mito dell’adulto (1963), Lapassade sviluppa, nell’incontro e nella frequentazione con gruppi, movimenti e singoli soggetti, il pensiero dell’incompiutezza. Questo pensiero, che si caratterizza come elemento centrale in tutta la sua opera, «connette la formazione con una teoria dell’entrismo che è sia un modo di stare in società che un modo per intervenire nelle istituzioni» (Colin e Hess, 2009, p. 15) al fine di trasformarle o sconvolgerle.

Come scrive Charlotte Hess: «se si prova a comprendere l’originalità di Lapassade rispetto agli psicosociologi o sociologi della sua generazione, che hanno spesso provato a fissare un modello di intervento, si scopre che la Lapassade ha pensato a strumenti e forme differenti (i dispositivi) in funzione dei terreni di ricerca con i quali si confrontava. Ha spesso oscillato tra la ricercazione di intervento e l’osservazione partecipante. La sua opera è stata multiforme come la sua persona, ed è stato contemporaneamente fenomenologo, ermeneuta, analista, pedagogista» (Hess e Hess, 2010, p. 18, trad. nostra).

In un suo libro del 1980, L’autobiographe, Lapassade esordisce così: «La mia vita è un apprendimento costante e continuo». Il tratto che attraversa la sua intera esperienza è la tensione nell’idea di un’esplorazione di saperi e conoscenze che non si ponga limiti: né quelli geografici, né quelli posti dalle istituzioni né quelli anagrafici, Lapassade è il pedagogista fondatore dell’idea di un’educazione nel corso di tutta la vita e, paradossalmente, proprio su questo rilascerà la sua ultima intervista prima della morte (Colin, 2008).4

Tema portante di questo testo del 1962 è la nozione di adulto, che non coincide con il piano della maturità sessuale. La contrapposizione concettuale giovani/adulti è un tema centrale nella cultura di quegli anni (il film Gioventù bruciata è del 1955). Lapassade esplora la questione da un punto di vista psicanalitico (per Freud, la sessualità umana si sviluppa nella fase edipica e in quella puberale), decostruendo quindi l’idea di una età adulta che si pone come compiutezza in anni successivi, cioè come raggiungimento (statico) di una condizione sociale auspicata o auspicabile o come esito di un processo percepito come naturale dell’essere umano.

A questo proposito introduce anche elementi delle scienze biologiche contemporanee (il principio di neotenia di Bolk) per avvalorare l’ipotesi che lo sviluppo umano non preveda alcun tipo di stato adulto inteso come stasi o uomo normativo (Canguilhem, 1998), ma che piuttosto il costante rinnovo cellulare sia da associare a un’idea di costante rivoluzione, un costante entrare in una nuova età adulta che caratterizza la condizione dell’uomo fino alla morte, unica dimensione di stasi. Il soggetto umano, a questo punto, non diventa adulto che quando muore! Il tema della rivoluzione permanente, come incompiutezza, come spazio dinamico, è generativo non soltanto nell’analisi dei percorsi biografici individuali (a partire da quello dello stesso Lapassade) ma anche nell’osservazione delle dinamiche dei gruppi, caratterizzati da una naturale mobilità interna che, nel passaggio da organizzazione a gruppo formalizzato istituzionalmente, vive lo scontro tra dimensione istituente (viva, dinamica, pulsionale e legata alle esigenze emergenti nel contesto qui e ora) e quella istituita (connessa a strutture definite che ne costruiscono le regole di funzionamento date, di tipo implicito ed esplicito). L’esplorazione dei gruppi, per Lapassade, si configura come osservazione dei processi, del naturale scontro dovuto a un’instabilità, tipica di ogni processo dinamico (si pensi al movimento di chi cammina, che non è mai fermo su due piedi insieme e dunque costantemente instabile). La dimensione statica, fissa e immobile è piuttosto quella della norma, quella desiderata dall’implicito immaginario dell’istituito (ovvero, come approfondiremo nel prossimo paragrafo, l’immaginario cristallizzato e immobile di un sistema che per sua natura contrasta il rischio di un costante movimento che metterebbe in crisi l’istituzione stessa). In campo educativo, questa tensione all’osservazione della dinamica istituito/istituente è stata raccolta dalla pedagogia istituzionale di Oury e Lapassade. Gli scopi prevalentemente perseguiti dal movimento sono orientati alla ricerca di una scuola in buona salute mentale, che si curi di sé e curi le relazioni umane al suo interno, che tenga risolutamente alla democrazia degli apprendimenti, che insegni nel rispetto delle eterogeneità e che per questo riesca a essere efficace.

Per Cornelius Castoriadis la politica è «l’attività che mira alla trasformazione delle istituzioni della società per renderle conformi alla norma dell’autonomia della collettività, tali cioè da permetterne l’autoistituzione e l’autogoverno espliciti, riflessi e deliberati» (Castoriadis, 1998, p. 161). Questa dimensione politica costituisce la principale differenza tra la Pedagogia Istituzionale di Oury e quella di Lapassade. Ardoino e Lourau, che ne sono stati allievi, hanno definito la pedagogia istituzionale autogestionaria espressa dalla loro corrente come «quella pedagogia che interroga costantemente le proprie pratiche al fine di rendersi conto del fatto che le buone intenzioni, il progetto che si pone, gli obiettivi che decide di darsi, o che le sono imposti, le strategie che intende privilegiare, gli strumenti che vuole utilizzare, le modalità di relazione che pensa di poter stabilire con i suoi partner, non costituiscono, in definitiva, che solo una parte di ciò che determina i processi educativi, presi nel complesso» (Ardoino e Lourau, 1994, p. 8).

Una possibile lettura dell’opera di Lapassade riguarda, a nostro avviso, la questione dell’autonomia dei soggetti attraverso una esplicitazione delle implicazioni,5 degli obiettivi condivisi, in dialogo con le motivazioni. In altri termini, è richiesta un’esplicitazione dei discorsi a partire dall’appartenenza a ruoli differenti, con compiti differenti nel gioco dell’esperienza scolastica, per un’esplicitazione dell’implicito grazie alla messa in luce dei dispositivi analizzatori della verità dell’istituzione, che consentono di comprendere i processi istituenti e istituiti presenti, le forme di gestione del potere esistenti e dunque di esplorare, come prassi sempre aperta e incompiuta, la realtà ordinaria e trasformarla per renderla vicina ai bisogni e ai desideri dei soggetti.

Anche Andrea Canevaro (2023) ha definito la differenza tra istituito e istituente, inserendola nella riflessione della Pedagogia Istituzionale italiana:

L’Istituito, che può essere indicato come ciò che è già organizzato, attenderebbe a fornire risposte secondo dei modelli già superati per certi aspetti. Bisogna quindi ricorrere a ciò che è organizzato per la parte fondante senza ricorrere allo stesso istituito per azioni che sono superate. Bisogna quindi che ci sia una capacità di funzionare da parte del già organizzato (istituito) per appoggiare ciò che viene proposto (istituente) che — se il termine è capito bene — nasce in rapporto alle esigenze che vengono incontrate. Istituito può essere anche nell’impossibilità di avvicinare, di essere in contatto con chi vive il disagio. L’istituente nasce dal contatto. Occorre partire dal basso. Partire dal basso significa incontrare le persone, assumersi delle responsabilità e accompagnare — si diceva — e quindi avere la possibilità di fornire all’istituito la necessità di interpretare le regole secondo le nuove necessità. Questo è uno sviluppo democratico che esige da parte del singolo cittadino quella che si chiama «cittadinanza attiva», è un’autonomia in cui auto nomos sta a indicare che io sono garante delle mie leggi che stanno nel quadro delle leggi di una società. Una società che ha bisogno di avere dei vincoli di appartenenza e di saperli interpretare secondo le necessità attuali e aperte al futuro (Canevaro, 2023, p. 123).

Canevaro, fornendoci poi una definizione assai chiara di analisi istituzionale intendendola condotta come percorso di formazione permanente in un gruppo di operatori in un servizio diurno per persone con disabilità intellettiva: «L’analisi istituzionale è metodo di ricerca e di lavoro di gruppo che ha per obiettivo indagare se l’attività del gruppo è adeguata o no rispetto ai fini per cui il gruppo esiste. Permette di conoscere:

  • la pratica, le aspirazioni e le remore che animano ogni membro del gruppo e il gruppo nel suo insieme rispetto all’obiettivo comune;
  • come le diverse aspirazioni interagiscono fra loro e con l’esterno per favorire o ostacolare il raggiungimento dei fini» (Canevaro, 2023, p. 111).

L’analisi, in questo caso, si offre come dispositivo terapeutico dell’istituzione. Quando parliamo di analisi istituzionale o di pedagogia istituzionale, quindi, sarebbe forse più preciso dire analisi delle istituzioni e pedagogia delle istituzioni. L’analisi delle istituzioni consente di dialettizzare il concetto di istituzione a partire dalla dialettica istituente/istituito.

Questa dialettica è stata inizialmente esplorata da Sartre, che ha spiegato la differenza tra gruppi in fusione e istituzione come il passaggio da un insieme di soggetti accomunati da intenti comuni che decidono di fissare la loro unione con un atto. Tale atto è quello del giuramento, che preserva dalla possibilità, in tempi successivi, di modificare o di recedere dall’accordo comune. Il giuramento fonda l’istituito e l’istituzione si dà come compito implicito il mantenimento dello status quo.

Le scelte che derivano dalla trasformazione di un gruppo in fusione in istituzione introduce una serie di obblighi reciproci. Remi Hess, in un immaginario discorso sul rapporto tra istituito e burocrazia, attribuito a Lapassade in dialogo con altri fondatori dell’istituzionalismo, afferma: «A partire dagli anni Trenta del Novecento s’è avviata una critica della burocrazia. Essa è una forma dell’effetto perverso di un’organizzazione troppo spinta. Quando si fa del momento organizzativo un assoluto, si cade nel difetto burocratico. La burocrazia tende a oggettivare gli attori, e a far dimenticare la loro responsabilità. Si applicano le istruzioni ma senza comprenderne il significato» (Hess, 2015, p. 35). Ecco, quindi, che costruire un momento di analisi istituzionale significa dare una forma al rapporto che costruiamo con le situazioni, uscire dall’assoggettamento e diventare soggetti.

La parola burocrazia è frequentemente usata in riferimento a molti aspetti del quotidiano scolastico: dalla compilazione di documenti di valutazione, all’uso del registro elettronico. Cosa esprime la percezione che i docenti hanno dei dispositivi scolastici come strumenti burocratici? Come uscire dall’idea di assoluto e passare a un uso sensato e orientato ai bisogni percepiti dai docenti nell’espressione delle loro funzioni educative?

Lapassade suggerisce di considerare l’istituzione come organizzazione. Conoscere i processi che conducono dall’istituito all’istituente, e viceversa, e le implicazioni dei partecipanti all’istituzione e ai gruppi che la compongono diventa fondamentale per favorire la trasformazione delle istituzioni. Scrive ancora Hess:

L’organizzazione non è più soltanto un insieme di mezzi tecnici e umani messi al servizio della produzione di beni o servizi, ma diviene un insieme di persone e gruppi riuniti al fine di sviluppare e istituire tra loro dei rapporti di cooperazione. Secondo i teorici dell’organizzazione, esiste una convergenza tra gli obiettivi di efficacia e di prestazione da una parte e quelli di coesione sociale e di soddisfazione dei bisogni individuali dall’altra. È possibile gestire i conflitti migliorando la comunicazione, a condizione di pensare a mettere in piedi delle strutture di negoziazione e di regolazione tra i diversi attori del sistema. Queste istanze permettono la riduzione dello scarto fra le aspettative divergenti. I modi autoritari e di comando devono evolvere nel senso di migliorare la partecipazione di tutti agli obiettivi dell’impresa (Hess, 2015, p. 35).

E più avanti:

L’idea che non sia possibile trascurare la dimensione organizzativa per renderla congruente con gli obiettivi collettivi è ben formulata da François Tosquelles, quando dice, a proposito dell’ospedale psichiatrico, che se esso vuole raggiungere i suoi obiettivi terapeutici con i malati, va anzitutto curata l’istituzione di cura. In effetti non è possibile sviluppare una pratica di cura mentale dentro un’istituzione strutturata in modo folle. È necessario che l’organizzazione pedagogica sia pedagogica, che l’istituzione di cura sia sana, eccetera. Questo obiettivo è in rapporto con la nozione di congruenza (Hess, 2015, p. 36).

Per favorire questo processo di cura e di analisi, l’intervento socioanalitico si struttura come analisi dell’istituente ordinario dei processi dei gruppi, inteso come processo avviato quando il gruppo, da insieme eterogeneo, diventa organizzazione. In questo senso Lapassade, per fare analisi-intervento, ovvero per pensare alle condizioni della rivoluzione permanente, parte dall’ordinario. Per tale ragione, ad esempio, nei cantieri socioanalitici si utilizzano le storie narrate e raccolte che fanno emergere gli analizzatori della crisi emergente nelle storie.

Come abbiamo avuto modo di approfondire altrove (Gueli, 2018), gli analizzatori sono definibili come eventi connessi alla crisi delle istituzioni che producono l’analisi e la rendono possibile. La loro funzione è porre questioni di senso e rivelare, attraverso la pratica, le contraddizioni del sistema. Il punto di partenza dell’analisi è quindi costituito dal corpus di produzione simbolica generato dalle crisi. Così, a titolo esemplificativo, nel caso dell’analisi condotta all’università, il complesso delle scritte murali, gli scioperi, le occupazioni, la parola informale e non ufficiale, diventa materiale per l’analisi. Non è l’analisi che può preparare la crisi delle istituzioni; è, al contrario, la crisi delle istituzioni a provocare l’analisi, che la produce e la socializza (Curcio, Prette e Valentino, 2012). Si assiste così a un ribaltamento di prospettiva: è l’analizzatore a fare l’analisi e ribaltare la priorità significa operare una rivoluzione epistemologica. Il dispositivo dell’analisi istituzionale e quello dell’analizzatore consentono a Lapassade di condurre alcune importanti riflessioni sulla sperimentazione e sulle situazioni di intervento in analisi istituzionale.

Nel testo L’analisi istituzionale (1974) definisce l’intervento psicosociologico come momento di intervento politico che si collega alla dimensione implicita. Spiega Lapassade:

Il politico è anche l’informale o, per meglio dire, l’informulato (il non formulato). Non è riferito soltanto alle istituzioni stabilite e al loro funzionamento: è l’istituente nella storia e nella vita quotidiana, è la tendenza dei gruppi a poter rivendicare l’istituzionalizzazione sociale e la sua gestione, o a rifiutarla e affidarla a specialisti. Lo psicosociologo dovrebbe così risalire, attraverso l’analisi, all’origine della separazione. Forse, lungo questo cammino, potrebbe incontrare un inconscio politico, in cui si mescolano l’istituente e l’istituto, il reale e l’immaginario sociale, il politico riconosciuto e il non politico, che potrebbe essere un ordine politico futuro (Lapassade, in Hess e Hess, 2010, p. 38, trad. nostra).

Per questo è necessaria l’analisi della dipendenza dell’istituzione dalla società, dall’organizzazione, dall’ideologia, dai dispositivi economici. L’esigenza di trovare delle vie possibili di fuga, delle strade nuove e delle soluzioni utili a risolvere un malessere individuale o condiviso è un grande tema pedagogico, che in Lapassade e nel movimento istituzionalista si declina con l’idea che le forme sociali si costruiscano al servizio delle persone e con le persone, e che non sia possibile immaginare il processo contrario. La questione centrale è: come sviluppare insieme una teoria generale, tenendo presenti le differenti esigenze che si esprimono nella pratica?

Considerazioni conclusive

Abbiamo fin qui provato a rintracciare alcuni elementi chiave del pensiero lapassadiano in riferimento all’istituzione in generale. Proviamo ora, più nello specifico, a declinarli immaginando una loro attualizzazione nel contesto della scuola e della formazione degli insegnanti.

Un primo uso pedagogico di questi concetti e strumenti potrebbe derivare dalla lettura diretta dei testi a cui si è fatto riferimento, perché riteniamo che nella loro ricchezza, pur con tutti i limiti di una mancata riedizione in italiano, possano offrire una lungimiranza di sguardi che consenta di pensarsi, come docenti, educatori, operatori della formazione ma anche come soggetti che apprendono. Non soggetti monolitici, ma permeati da identità differenti che possono costituire, nella prospettiva dell’intera vita, la nostra ricchezza. Essere insegnanti ma, anche, appassionati di teatro d’improvvisazione, frequentatori di corsi di danza africana o di corsi di cucina, viaggiatori ed esploratrici nel mondo, significa poter costruire un’identità multipla che non è mai esclusivamente connessa alla definizione di sé che l’appartenenza istituita a una sola istituzione potrebbe tendere a cristallizzare.

Ma, soprattutto — e riteniamo che sia questo il dato più rilevante nella prospettiva del cambiamento sociale — assumere tale sguardo significa poter rileggere le crisi, i conflitti e i malesseri emergenti che si attraversano normalmente nei contesti educativi non esclusivamente come scontro tra singoli (con gli esiti che ne conseguono, anche in termini di percezioni personali di fallimento di un Sé deficitario sul piano delle relazioni), ma come eventi che consentono di analizzare, dall’interno o con un supporto esterno, l’espressione di pressioni esistenti tra istituito e istituente e l’esistenza di dispositivi in atto, che rimandano alla necessità di un’analisi, di una decostruzione e di un riadattamento nella co-dipendenza.

Ciò consente alle istituzioni di dotarsi di nuovi adattamenti, nella prospettiva dell’incompiutezza come costante trasformazione. Essere implicati nelle istituzioni che attraversiamo significa, forse, essere costantemente implicati nella necessità di conoscere i processi in atto. Ne deriva che una prima riflessione riguarda la necessità di porci in atteggiamento di ascolto dei contesti che abitiamo, che siano le classi scolastiche, le università, gli spazi della formazione degli adulti o altri ambienti educativi per i bambini.

Compiere questa analisi rispetto ai contesti nei quali normalmente lavoriamo significa compiere un’analisi interna. In tale prospettiva risultano essere significative fonti di ispirazione il Saggio di analisi interna (2009), la collana bianca e arancione di Sensibili alle foglie — dedicate alle esperienze teoriche e sul campo di analisi istituzionale e di socioanalisi — così come gli esiti di alcune indagini e pratiche sul campo che abbiamo condotto nel contesto universitario con studenti (futuri educatori/rici e insegnanti di scuola primaria) con docenti in formazione per la specializzazione alle attività di sostegno didattico nei diversi ordini e gradi (Gueli, 2010, 2018, 2020; Gueli e Bocci, 2021; Bocci, Gueli e Guerini, 2023).

È anche possibile (e auspicabile) decidere di condurre un’analisi, come singoli o come gruppi che condividono un’esigenza comune, con la mediazione di un socioanalista esterno, in grado di aiutare a riconoscere i dispositivi presenti nelle istituzioni, la loro connessione con la situazione osservata (come fonte di malessere o di benessere), per comprendere i processi istituiti presenti e quelli istituenti in atto. In tal senso, le pratiche compiute in questi anni attraverso i cantieri di socioanalisi narrativa ci hanno consentito di comprendere meglio i processi che hanno caratterizzato la storia dell’inclusione, anche nei contesti educativi, in Italia (Gueli e Bocci, 2021; Bocci, Gueli e Guerini, 2023).

Non è certo questa una nostra intuizione, ma va senza alcun dubbio attribuita al nostro maestro Andrea Canevaro, il quale nel suo libro lascito scrive:

L’analisi istituzionale permette di parlare della deistituzionalizzazione. Questa parola non è più così consueta come lo era qualche tempo fa, quando si trattava di capire i danni che fanno le forti istituzionalizzazioni ovvero la collocazione di individui — qui ci riferiamo soprattutto ai minori, ma il termine riguardava tutte le fasce d’età e tutte le categorie sociali e soprattutto quelle economicamente deboli — in grandi contenitori che ne facevano perdere le tracce originali singolari, per trattarli come categorie. [...] vi fu il momento della deistituzionalizzazione, questa operazione poteva essere fatta, a volte è stata fatta, con questi limiti che stiamo indicando — come semplice negazione del grande contenitore, senza capire quanto di quel contenitore dovesse essere sviluppato, allargato, in un processo sociale ampio. Il rischio era che bastasse cambiare la dimensione delle istituzioni senza cambiarne lo statuto (Canevaro, 2023 pp. 117- 118).

Una riflessione pedagogica che muove nella direzione di una trasformazione delle istituzioni per renderle coerenti con gli obiettivi alti e condivisi che ci si è dati potrebbe condurre a una maggiore consapevolezza politica. Ciò significa assumersi pienamente la responsabilità rispetto al proprio ruolo e alle proprie scelte come figure educative e siamo certi che questa postura sia capace di incidere sulla responsabilizzazione di studentesse e studenti a scuola. La consapevolezza della necessità di usare gli strumenti e i dispositivi piegandoli ai fini che sono necessari consente quindi di appropriarsi di spazi di autodeterminazione, ad esempio nella scelta di intervenire su un registro elettronico che non corrisponde ai propri bisogni educativi, e implica anche la messa in discussione di prassi ordinarie come la successione tipica lezione-interrogazione-voto (Corsini, 2023 p. 120). In questo senso, l’attivazione di nuovi rapporti tra docenti, genitori, dirigenti, studenti, ecc., a scuola può divenire prassi politica dell’autonomia, riconoscimento della co-dipendenza reciproca.

E se l’analisi istituzionale nasce come capovolgimento, come messa in crisi del già dato a partire dalla critica sociale, la domanda critica per eccellenza che in chiusura desideriamo lasciare come principio attivatore di ogni analisi è: Che cosa faccio/amo qui? E, di conseguenza: Cosa faccio/amo qui quando faccio/amo il mio/nostro lavoro come insegnante/i, educatore/i? Qual è la legittimità di una data interazione sociale? Come coinvolgere i differenti protagonisti della situazione per creare sempre maggiori spazi di partecipazione?

Le risposte che possiamo provare a dare a queste domande aiuteranno a adempiere a un postulato dell’Analisi Istituzionale che Lapassade ha sostenuto e che facciamo nostro: sono le forme sociali a dover essere al servizio delle persone e non il contrario.

Bibliografia

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Bocci F., Gueli C. e Guerini I. (2023), Narrazione e «disabilità». L’approccio della socioanalisi narrativa in una esperienza di formazione e ricerca presso il CdL in Scienze della Formazione Primaria. In B. De Angelis, V. Carbone, L. Azara e F. Pompeo (a cura di), Giornata della Ricerca 2021 del Dipartimento di Scienze della Formazione (Vol. 1) (pp. 17-30), Roma, RomaTre-Press.

Bolk L. (2006), Il problema dell’ominazione, Roma, DeriveApprodi.

Canevaro A. (2023), Evolvere a partire da una realtà che esiste. In E. Cocever (a cura di), Andiamo oltre. Accogliere le sfide educative con una pedagogia istituzionale, Trento, Erickson.

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Zappatore G. (a cura di) (2009), All’Ombra di George Lapassade. Testimonianze e aneddoti dal Salento, Roma, Sensibili alle foglie.

Opere citate di Georges Lapassade

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Lapassade G. (1965), Groupes, organisations et institutions, Paris, Presses Universitaires de la Sorbonne, Paris, trad. it. L’Analisi Istituzionale, Milano, ISEDI, 1974.

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Lapassade G. (1971a), L’autogestion pédagogique (con i contributi di J. Guigou, M. Giraud et R. Lourau), Paris, Gauthier-Villars, trad. it. L’autogestione pedagogica. Ricerche istituzionali, Milano, FrancoAngeli, 1973.

Lapassade G. (1971b), Le Livre fou, Paris, Épi.

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Lapassade G. (1980), L’autobiographe, Bruxelles, Duculot, trad. it. L’autobiografo, Nardò, Besa, 2009.

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Lapassade G. (2008), De Vincennes à Saint-Denis, essais d’analyse interne, Paris, AISF, trad. it. Saggio di Analisi Interna, Roma, Sensibili alle foglie, 2009.

Indicazioni per l’approfondimento

Ardoino J. e Lourau R. (1994), Les Pédagogies institutionnelles, Paris, Presses Universitaires de France.

Bocci F. e Gueli C. (2019), Il rapporto dialettico tra discorso medico e discorso pedagogico. Una riflessione nella prospettiva dei Disability Studies e dell’Analisi Istituzionale, «Nuova Secondaria Ricerca», n. 3, pp. 93-107.

Boumard P. e Lamihi A. (a cura di) (1995), Les Pédagogies autogestionnaires, Ivan Davy, Vauchrétien.

Gueli C., Abbracciavento G., Cennamo E. et al. (2013). Medici senza camice. Pazienti senza pigiama. Socioanalisi narrativa dell’istituzione medica, Roma, Sensibili alle foglie.


1 Dipartimento di Scienze della Formazione, Università Roma 3.

2 Department of Education Sciences, University of Rome 3.

3 Nella scrittura del termine transe ci avvaliamo della modalità utilizzata da Lapassade e ripresa anche in Italia da Sensibili alle foglie.

4 «Ci si trova effettivamente in un periodo di esaltazione della giovinezza, contro l’età adulta. La trasmissione radiofonica Salut les copains valorizza l’adolescenza come cultura specifica. Si tratta di un fenomeno nuovo. Per mostrare l’avvento di questa età sulla scena pubblica ricorderò che un giorno, in Belgio, era stato organizzato un concerto di Johnny Halliday. Gli organizzatori aspettavano 5.000 giovani: ne sono arrivati 300.000. Dopo questo evento Morin ha scritto un articolo su «Le Monde» su Salut les copains. Tutti quei giovani che si erano spostati erano ascoltatori della trasmissione. È questo il contesto iniziale della mia ricerca. Più tardi, nel 1969, «L’express» tenterà di stabilire un legame tra il movimento del maggio ’68 e la mia ricerca sull’Entrèè dans la vie» [traduzione nostra].

5 Quello di implicazione è uno dei termini chiave dell’analisi istituzionale. Non riguarda soltanto la connessione dei soggetti con le istituzioni e le comunità, ma ha a che fare con i vincoli, conosciuti e non, che si hanno con esse (Montecchi, 2012, p. 24).

Vol. 23, Issue 1, February 2024

 

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