Vol. 23, n. 1, febbraio 2024
RICERCHE, PROPOSTE E METODI
Inclusione scolastica e sociale: un valore irrinunciabile?
Quanto è fattibile, efficace e condivisa nei suoi valori?
Dario Ianes, Benedetta Zagni, Francesco Zambotti, Sofia Cramerotti e Sara Franch1
Sommario
L’inclusione scolastica e sociale italiana vanta ormai 40 anni di storia e viene spesso considerata come un modello da seguire. Nonostante questo, permangono numerose posizioni inclusio-scettiche, che mettono in discussione la fattibilità e l’effettiva utilità per le persone con disabilità di un sistema formativo inclusivo. Pubblicazioni scientifiche recenti hanno esaminato in modo molto critico le pratiche inclusive e hanno evidenziato come anche le pratiche inclusive italiane si siano rivelate inefficaci. Qual è allora la situazione attuale in Italia? Quanto il valore dell’inclusione regge a fronte delle difficoltà quotidiane di realizzazione e fattibilità concreta dei valori inclusivi? Il presente studio si pone l’obiettivo di indagare, nella popolazione italiana, se davvero il valore dell’inclusione scolastica e sociale sia ancora irrinunciabile e quali siano le difficoltà e i punti di forza di alcune dimensioni applicative. È stato proposto un questionario online, formato da 19 domande (escluse quelle demografiche), al quale hanno risposto 3.137 persone (età media = 44,6 anni, deviazione standard = 9,51) che lavorano con persone con disabilità. La maggior parte dei partecipanti è composta da insegnanti di sostegno (62,6%) e curricolari (22,9%), mentre il resto del campione svolge altre professioni educative. Sono state condotte le analisi descrittive e sono state individuate 6 dimensioni tematiche: la dimensione del valore, della realizzazione e della fattibilità, delle ricadute socio-emotive, delle collaborazioni, della sessualità e, infine, della vita adulta. Dai risultati si evince che il valore dell’inclusione è ancora ben vivo e radicato nel DNA della scuola italiana, ma quando si tratta di scendere a un piano operativo emergono nettamente le difficoltà reali della fattibilità dell’inclusione. Preoccupanti risultano i dati in merito alla collaborazione con i servizi e le famiglie, che denotano un peggioramento notevole. Incoraggiante, invece, appare la propositività rispetto all’introduzione di figure psicoeducative rivolte, anche globalmente, alla sessualità delle persone con disabilità. Da ultimo, una spinta arriva dalla scuola che si dimostra a favore della possibilità di cattedre miste inclusive.
Parole chiave
Inclusione, Scuola, Pratiche inclusive, Persone con disabilità, Valori.
Research, proposals and methods
School and social inclusion: An essential value?
How feasible, effective, and shared in its values is it?
Dario Ianes, Benedetta Zagni, Francesco Zambotti, Sofia Cramerotti, and Sara Franch2
Abstract
Italian school and social inclusion now boasts 40 years of history and is often considered a model to follow. Nevertheless, numerous inclusion-sceptical positions persist, questioning the feasibility and actual utility for individuals with disabilities of an inclusive educational system. Recent scientific publications critically examine inclusive practices, asserting that even Italian inclusive practices have proven ineffective. So, what is the current situation in Italy? How well does the value of school and social inclusion withstand the daily challenges of implementation and the practical feasibility of inclusive values? This study aims to investigate, within the Italian population, whether the value of school and social inclusion is still indispensable and what difficulties/strengths exist in certain applicative dimensions.
An online questionnaire consisting of 19 questions (excluding demographic questions) was administered, and 3,137 individuals (average age = 44.6 years, standard deviation = 9.51) working with people with disabilities responded. Most participants were special education teachers (62.6%) and regular teachers (22.9%), while the rest of the sample comprised other educational professions. Descriptive analyses were conducted, and six thematic dimensions were identified: the dimension of value, realization, and feasibility; socio-emotional outcomes; collaborations; sexuality; and, finally, adult life.
The results indicate that the value of inclusion is still deeply rooted in the Italian educational system. However, when it comes to practical implementation, significant difficulties in the feasibility of inclusion become evident. Concerning collaboration with services and families, the data show a considerable decline. Encouragingly, there is a proactive attitude towards the introduction of psychoeducational figures aimed at addressing the sexuality of individuals with disabilities. Lastly, support for the possibility of inclusive mixed classrooms is advocated by the school system.
Keywords
Inclusion, School, Inclusive practices, Persons with disabilities, Values.
Introduzione
Potrebbe essere utile partire da una citazione tratta dal libro Inclusion at the crossroads di Gordon-Gould e Hornby: «Lungi dall’essere un modello che altri Paesi potrebbero emulare, il sistema educativo inclusivo italiano è un esempio di come la pratica dell’inclusione possa essere inefficace, se non addirittura controproducente, rispetto al suo scopo essenziale» (Gordon-Gould e Hornby, 2023, p. 50).
Questo libro, pubblicato di recente in UK da Routledge, esamina molto criticamente le varie esperienze di applicazione di una politica formativa inclusiva, e non è un caso isolato di visione critica sull’inclusione. Continua infatti a esistere, e sembra prendere sempre più forza a livello internazionale, una corrente di pensiero scettica sull’inclusione scolastica. Già nel 2019 ne avevamo discusso, con Augello, nel nostro libro Gli inclusioscettici (Ianes e Augello, 2019), esaminando posizioni critiche principalmente di area germanica e inglese. Allora faceva da caposcuola dello scetticismo il famoso testo Inclusion is dead di Imray e Colley (pubblicato da Routledge nel 2017).
A più di quarant’anni dall’apertura rivoluzionaria del manicomio di Trieste, dove Basaglia si mosse con una visione potente e innovativa, ci si trova di fronte alle difficoltà della necessaria ed efficace implementazione sui territori. In un certo senso è possibile rilevare due storie parallele, in Italia: deistituzionalizzazione psichiatrica e integrazione scolastica degli alunni con disabilità negli anni Settanta del XX secolo. Oggi abbiamo un problema evidente, rispetto all’inclusione scolastica, da contestualizzare anche nelle tendenze più generali a livello sociale e geopolitico. Dobbiamo chiederci: quanto reggeranno i valori base dell’inclusione scolastica sotto la spinta individualistica e meritocratica dell’attuale visione conservatrice della scuola e della società? Quanto reggeranno i valori base dell’inclusione scolastica sotto le difficoltà quotidiane di applicazione e realizzazione concreta dei valori inclusivi?
Di fronte a questi dubbi, può essere opportuno cercare di comprendere il più possibile i temi che sostanziano le posizioni scettiche di chi contesta un sistema formativo inclusivo. La letteratura scientifica racchiude gli argomenti di chi è scettico sull’inclusione in quattro grandi categorie:
- L’inclusione lede i diritti dei compagni di classe senza difficoltà ad apprendere e sviluppare appieno il loro potenziale (rallenta il gruppo classe).
- L’inclusione lede i diritti anche degli alunni con disabilità più grave a ricevere un’offerta educativa e formativa maggiormente adatta ai loro bisogni, forzandoli in un percorso nella classe normale con un curricolo troppo lontano dalla loro reale situazione, perdendo così tempo prezioso per altri apprendimenti che sarebbero molto più utili nella dimensione di autonomia personale e sociale lungo tutto l’arco di vita.
- L’inclusione espone gli alunni con disabilità, soprattutto intellettiva, a gravi minacce identitarie e di autostima, a causa dei ripetuti atti di stigmatizzazione, marginalizzazione, esclusione e bullismo a cui spesso sono sottoposti da parte dei compagni di classe.
- Un sistema formativo completamente inclusivo, dove cioè non siano disponibili altre soluzioni, tipo classi o scuole speciali, lede i diritti delle famiglie a scegliere soluzioni alternative alla scuola normale.
Il primo argomento è stato ampiamente sconfessato dalla letteratura empirica internazionale: nel contesto inclusivo gli apprendimenti dei pari nelle aree curricolari non subirebbero alcuna inflessione (Szumski, Smogorzewska e Karwowski, 2017),mentre, all’opposto, gli alunni ne trarrebbero beneficio in termini di atteggiamenti (ad esempio, maggiore comprensione e accettazione delle differenze, minori pregiudizi e stereotipi, minori fenomeni di esclusione, ecc.) (Dell’Anna, Pellegrini e Ianes, 2021; Bates et al., 2015). Meno dirimenti appaiono le ricerche sui risultati degli alunni con disabilità che, seppure moderatamente a favore del contesto inclusivo, non forniscono una panoramica sufficientemente esaustiva, specialmente per quanto concerne la disabilità intellettiva di grado medio-grave (Dell’Anna et al., 2022).A destare le maggiori preoccupazioni non sono, tuttavia, le competenze curricolari, sociali e adattive, ma l’isolamento sociale e i fenomeni di bullismo (Corbo, Pellegrini e Menesini, 2021; Marciver et al., 2019).
Com’è possibile contrastare i temi degli scettici sull’inclusione? Quale miglior modo se non quello di avere dati in mano e poterli discutere apertamente sia con la comunità scientifica sia con quella «dei pratici»? Non c’è dubbio, a parer nostro, che rispetto ai temi degli scettici sull’inclusione dobbiamo muoverci sempre di più sul terreno della ricerca. Per anni, nel nostro Paese, abbiamo fatto una ricerca descrittiva, autoreferenziale, autocelebrativa, confermativa e retorica sull’inclusione scolastica, raccontandoci quanto siamo bravi, e all’avanguardia in tutto il mondo, senza però riscontri empirici ed evidenze. Poi abbiamo cominciato a «mettere il dito nella piaga» con alcune ricerche esplorative e i riscontri problematici risultati evidenti sono adesso utilizzati in campo internazionale per dire: ecco, vedete, anche in Italia non funziona, lo dicono pure loro! Accanto a questo c’è però il tema principale e cioè la scarsità di dati empirici a sostegno della nostra inclusione scolastica.
Silvia Dell’Anna e Rosa Bellacicco hanno fatto un lavoro enorme di mappatura e analisi di più di dieci anni di ricerca italiana, in un volume pubblicato quest’anno (Cosa sappiamo dell’inclusione scolastica in Italia?; Dell’Anna, Bellacicco e Ianes, 2023), riportando evidenze positive, dati che, a livello internazionale, abbiamo confermato anche con due articoli pubblicati sull’«International Journal of Inclusive Education» rispetto agli effetti positivi dell’inclusione scolastica sui pari e sugli alunni e sulle alunne con situazioni di gravità. Ma è ancora troppo poco, a fronte di una percezione diffusa di inadeguatezza della scuola nell’essere pienamente inclusiva (si vedano anche i recentissimi dati del sondaggio AID sull’applicazione della Legge 170 sui DSA).
Il tema della ricerca si salda con quello della conoscenza-consapevolezza sociale di come stanno andando realmente le cose nelle scuole, tutti i giorni, in tutto il Paese. Avremmo, forse, bisogno di paradigmi nuovi di elaborazione della conoscenza, al di là dei dati quantitativi ufficiali (scarsi), delle ricerche qualitative, delle metodologie di ricerca empirica anche raffinate… forse un approccio partecipativo che coinvolga la cittadinanza in progetti di ricerca scientifica (citizen science) ci potrebbe aiutare?
In questi scenari dovremmo riflettere molto sulle dinamiche e le tensioni nei processi di implementazione di principi/valori molto alti in termini di equità e diritti che si scontrano con la concreta realtà degli ecosistemi attuali, fatti di risorse di personale, di leadership, di strutture architettoniche, di norme, di burocrazie, nonché di dimensioni di mediazione meno evidenti, come la noosfera degli/delle insegnanti, i loro atteggiamenti più o meno consci, le loro trappole cognitive, le loro aspettative…
Discrepanza, dunque, tra valori e applicazioni pratiche?
I valori sono le credenze fondamentali e durature che una persona possiede riguardo a ciò che è giusto o sbagliato, importante o non importante nella vita. Questi valori influenzano, direttamente o indirettamente, i comportamenti delle persone, ma accade anche il contrario, e cioè che i comportamenti concreti, e le relative difficoltà a seguire i propri valori, generino frustrazioni e, nel tempo, finiscano per indebolire i valori percepiti come dissonanti/lontani dalla realtà.
La dissonanza tra valori e comportamenti si riferisce alla tensione o al conflitto interno che una persona può sperimentare quando non riesce ad allineare le sue azioni con i suoi valori personali o culturali. Questo concetto è strettamente legato alla teoria della dissonanza cognitiva di Leon Festinger, che suggerisce che le persone sono motivate a ridurre la tensione o la dissonanza tra le loro credenze e i loro comportamenti.
Le difficoltà pratiche di realizzazione dei propri ideali possono dunque indurre una persona a riconsiderare o addirittura a cambiare i propri valori.
Tuttavia, è importante notare che, mentre le difficoltà possono indurre una persona a riconsiderare i propri valori, non tutti cambieranno i loro valori di fronte a sfide pratiche. Molte persone mantengono saldi i loro valori nonostante le avversità e, per alcune, le sfide possono rafforzare ulteriormente il loro impegno a livello sia di pratiche individuali, sia di cambiamento di un sistema. Per questo motivo nel questionario abbiamo indagato sia la dimensione dei valori sia quella delle applicazioni pratiche, accanto ad altri temi su cui il dibattito è particolarmente acceso.
Lo studio
Spinti da questi venti di inclusio-scetticismo, come Ricerca & Sviluppo del Centro Studi Erickson abbiamo voluto proporre un questionario online per indagare se davvero l’inclusione rappresenti ancora un valore irrinunciabile, in relazione a vari temi di applicazione concreta. L’indagine (riportata in Appendice), composta da 19 domande (esclusa la parte di dati demografici), è stata lanciata nel mese di settembre, con l’inizio dell’anno scolastico, ed è rimasta online per 3 settimane. Abbiamo raccolto 3.137 risposte complete.
Il campione
Il campione totale è composto da 3.137 partecipanti. L’età media del campione è di 44,6 anni, con un’alta variabilità (deviazione standard = 9,51). La maggior parte di loro sono femmine (91%), il 7% sono maschi, mentre 46 persone hanno preferito non rispondere a questa domanda; infine, 12 si identificano in un genere non binario o terzo genere (figura 1).
Figura 1
Composizione del campione rispetto al genere.
La maggior parte del campione ha esperienza (pluriennale) con le persone con disabilità. Solo il 4%, infatti, non ha fatto esperienza di lavoro con le persone con disabilità (per maggiori dettagli si veda il grafico riportato nella figura 2, che rappresenta i risultati alla domanda «Da quanti anni lavora con le persone con disabilità?»).
Figura 2
Anni di lavoro con persone con disabilità.
Figura 3
Professioni svolte dai partecipanti.
Rispetto alla loro professione (figura 3), hanno risposto:
- 43 assistenti all’autonomia e comunicazione;
- 10 assistenti sociali;
- 26 dirigenti scolastici;
- 158 educatori e educatrici;
- 717 insegnanti curricolari;
- 1.965 insegnanti di sostegno;
- 1 neuropsichiatra infantile;
- 48 pedagogisti;
- 38 psicologi e psicologhe;
- il resto del campione svolge professioni diverse («Altro»), di cui una ventina si dichiara genitore di persone con disabilità.
Analisi
Sono state condotte delle analisi descrittive su tutto il campione.
Da ultimo, sono state individuate sei dimensioni principali che meglio racchiudono i dati raccolti. Di seguito, verranno presentate e descritte le sei dimensioni per poi mostrarne i risultati associati.
Dimensione del valore
In questa dimensione abbiamo raggruppato quattro domande che cercavano di rilevare la percezione di quanto valore pedagogico, civile, politico e sociale abbia l’inclusione scolastica e sociale oggi, in generale («L’inclusione in classe è un valore per ogni alunno indipendentemente dal suo grado di disabilità») e nel suo impatto sociale («Dopo 40 anni di inclusione scolastica, il nostro Paese ha sviluppato una maggiore capacità di accogliere le differenze»). Infine, due domande cercano di cogliere una percezione positiva di valore associata però alla sensazione di irrealizzabilità e utopia, nonché di cambiamento nel tempo dell’impegno a realizzarla nel concreto: tali domande andranno confrontate con quelle della sezione della fattibilità («Il grande valore di giustizia sociale dell’inclusione è utopistico e irrealizzabile»; «Mi sembra che negli ultimi anni sempre più persone ritengano che non valga la pena perseguire l’inclusione scolastica e sociale delle persone con disabilità»).
Dimensione della realizzazione e della fattibilità
Rispetto alla dimensione della concreta realizzabilità, efficace e soddisfacente, dell’inclusione, abbiamo scelto di orientare le prime due domande sulle situazioni di maggiore complessità, le disabilità in situazioni di gravità («Nel lavoro quotidiano con un alunno con disabilità grave, mi è capitato spesso di pensare che una vera inclusione non sia fattibile», «La situazione specifica di un alunno con grave disabilità mi porta a credere che in alcuni casi l’inclusione non sia la scelta migliore»).
La domanda n. 14 sonda le opinioni rispetto al cosiddetto «modello formativo a tre vie», secondo il quale l’inclusione piena sarebbe rivolta alle disabilità più lievi, mentre per quelle più complesse ci sarebbero classi speciali nella scuola normale e scuole speciali. La domanda n. 7 si rivolge alla percezione di utilità del lavoro educativo e didattico in uno spazio dedicato, quale l’aula di sostegno («Sarebbe molto utile che gli alunni con disabilità grave, a favore del loro apprendimento e benessere generale, lavorassero per la maggior parte del tempo in uno spazio a loro dedicato (ad esempio aula di sostegno»). In questa sezione è stata inserita un’ultima domanda su un tema particolarmente attuale, come la cosiddetta «cattedra mista» («Organizzare la scuola in cattedre miste — l’insegnante curricolare lavora metà delle sue ore sul sostegno e l’insegnante di sostegno lavora metà delle sue ore sul curricolo — migliorerebbe l’inclusione e la didattica per tutti»).
Dimensione delle ricadute socio-emotive
In questa dimensione sono state indagate le ricadute socio-emotive dell’inclusione scolastica. Le prime due domande si rivolgono alla percezione dei benefici dell’inclusione per i compagni di classe («La presenza di alunni con disabilità in classe permette ai pari di crescere sia nelle competenze cognitive sia in quelle sociali») e ai rischi che l’inclusione potrebbe avere rispetto alla riduzione di autostima dell’alunno con disabilità che si confronta con i pari («Per un alunno con disabilità confrontarsi quotidianamente con compagni molto più competenti di lui potrebbe essere spiacevole e danneggiare la sua autostima»). L’ultima domanda ha indagato l’opinione rispetto alla funzione stigmatizzatrice delle etichette biomediche e normative («Le etichette di natura biomedica e normativa — BES, DSA, 104, ecc. — in ambito scolastico sono controproducenti perché portano alla stigmatizzazione»).
Dimensione delle collaborazioni
In questa dimensione sono indagate le percezioni di cambiamento in peggio nella collaborazione tra scuola e famiglia e tra scuola e sistema dei servizi sanitari e sociali («Credo che la collaborazione fra famiglia e scuola sia peggiorata negli ultimi anni», «Ritengo che la condivisione e la collaborazione tra servizi sociali, sanitari e scuola siano peggiorate negli ultimi anni»).
Dimensione della sessualità e disabilità
La sezione si apre con una domanda sulla percezione del diritto alla sessualità («Vivere attivamente la propria sessualità è un diritto delle persone con disabilità»), a cui seguono due domande sull’operatività della figura dell’assistente sessuale, una che delinea una figura con esclusiva operatività psicopedagogica e formativa e l’altra che ipotizza anche il coinvolgimento sessuale diretto dell’operatore con la persona con disabilità («Per garantire il diritto di una persona con disabilità a vivere pienamente la propria sessualità, sarebbe opportuno che esistessero figure professionali che svolgano solamente attività psicoeducativa, ad esempio, educazione affettiva e sessuale», «Per garantire il diritto di una persona con disabilità a vivere pienamente la propria sessualità, sarebbe opportuno che esistessero figure professionali psicoeducative che svolgano anche attività sessuale diretta con la persona con disabilità»).
Dimensione della vita adulta
In questa dimensione ci si rivolge in due direzioni: sul versante della scuola, indagando le opinioni riguardo alla capacità dell’inclusione di fornire le competenze necessarie per la vita adulta («Sono sicuro che l’inclusione scolastica fornirà alla persona con disabilità le competenze che le serviranno nella vita adulta») e sul versante dell’inclusione lavorativa, sondando l’opinione secondo la quale dia maggiore benessere alla persona con disabilità lavorare in contesti inclusivi, normali, rispetto a impegnarsi in attività socioeducative e ricreative calibrate sui livelli di abilità («A una persona con disabilità in età adulta dà più benessere personale lavorare in contesti normali piuttosto che partecipare ad attività socioeducative e ricreative calibrate sul suo livello di disabilità»). Nei grafici seguenti vengono riportati i risultati delle analisi descrittive effettuate sul campione complessivo, divise nelle sei dimensioni. Verranno evidenziati gli aspetti principali e riassunti i risultati più rilevanti.
Conclusioni
Cosa ne possiamo trarre? Che quadro si sta tratteggiando della complessa interazione tra percezione di valore (irrinunciabile?) dell’inclusione e applicazione pratica e concreta nella realtà di tutti i giorni a scuola? Ripercorriamo le sei dimensioni in cui abbiamo raggruppato ciò che emerge dai dati del questionario.
I valori inclusivi sono ancora saldi, ma...
Non c’è alcun dubbio che il valore dell’inclusione sia ancora ben vivo e radicato nel DNA della nostra scuola: il 96% del campione è profondamente convinto di questo, anche a prescindere dal livello di gravità dell’alunno/a, ma questa convinzione, apparentemente qui così salda, si incrinerà non poco in altre risposte più legate alla realtà applicativa.
La nostra storia pluridecennale di inclusione e l’impegno quotidiano di centinaia di migliaia di docenti, famiglie, alunni/e in una scuola inclusiva hanno formato un Paese più inclusivo, più accogliente rispetto alle varie differenze? Sei persone su dieci lo credono, ma altre quattro sono scettiche rispetto a questo generale impatto sociale e culturale e, se esaminiamo i sottocomponenti del campione, troviamo che i più «disincantati» sono i tecnici, nove punti percentuali in più degli insegnanti di primaria e dei curricolari, sottocategorie comparativamente più scettiche. Dato preoccupante, se poi lo confrontiamo con le risposte alle successive domande e se pensiamo che questo campione di più di 3.000 persone è autoselezionato, composto cioè da persone che hanno scelto liberamente di impegnarsi a rispondere e dunque, con buona probabilità, orientate favorevolmente verso l’inclusione.
L’inclusione è ancora un grande valore di giustizia sociale, certo, per quasi sette persone su dieci, ma ci sono altre tre persone che lo ritengono anche utopistico e irrealizzabile, e gli insegnanti di sostegno sono più convinti dei curricolari di questa impossibilità. Anche questo è un dato preoccupante, un segno di stanchezza, di disincanto e frustrazione. Nel tempo, con il passare degli anni, l’attenzione generale, sociale, culturale, all’inclusione si è andata indebolendo? Purtroppo, più di quattro persone su dieci concordano con questa visione negativa, e i tecnici sono ancora una volta i più negativi (realisti?). La maggioranza di chi ha invece una visione positiva rimane comunque salda, ma scende al 57%, e questo ci impone di effettuare una grande manutenzione dei valori nella loro declinazione pratica, come vedremo nella sezione seguente.
Nella pratica quotidiana, si realizza inclusione?
Sollecitati a pensare alla propria esperienza diretta di inclusione con un/una alunno/a con disabilità grave, il sentimento di «non si riesce» sale a quasi la metà del campione (47%); la maggioranza di quelli che invece ritiene fattibile l’inclusione rimane tale, ma di poco (53%). Gli insegnanti di sostegno sono più scettici dei curricolari, la secondaria più scettica della primaria e, sorprendentemente, gli insegnanti con meno di cinque anni di esperienza dieci punti percentuali più scettici dei colleghi con più di venti anni di esperienza.
Esprimendo un’opinione più generale sull’opportunità (la scelta migliore) dell’inclusione nelle situazioni di disabilità grave, quasi una persona su tre non la ritiene opportuna (la secondaria risultando più scettica), rispetto a una larga maggioranza (73%) di sostenitori dell’inclusione. Un aumento di venti punti di «ottimismo» rispetto alla risposta precedente che forse può essere spiegato dal rivolgersi qui a un’opinione generale, influenzata da fattori di desiderabilità sociale, piuttosto che a un’esperienza personale concreta. Di fronte poi all’idea di un «modello formativo a tre vie», con classi e scuole speciali in funzione del grado di disabilità, il campione esprime un nettissimo dissenso, più di otto persone su dieci, ma non dobbiamo trascurare quel 17% medio che sarebbe a favore, e tra questi i curricolari, la secondaria e i tecnici sono i più possibilisti.
Il campione è quasi altrettanto compatto contro il lavoro prevalente in aula di sostegno (77%), ma anche qui non si può trascurare la presenza di un insegnante su quattro che invece ritiene positivo il lavoro fuori dalla classe, con una netta prevalenza della secondaria e degli insegnanti con meno esperienza. Per quanto riguarda poi la dimensione organizzativa della cattedra mista (ora meglio definita come cattedra inclusiva), sembra che i tempi siano davvero maturi per questo importante cambiamento del ruolo del sostegno e del curricolare che entrano ognuno nel ruolo dell’altro, se esistono ovviamente le condizioni di competenza professionale: il campione esprime un accordo medio del 79%, gli/le insegnanti di sostegno, come prevedibile, sono più favorevoli dei/delle curricolari di sette punti percentuali e la primaria di otto punti. Soltanto l’8% del campione è nettamente contrario.
L’inclusione ha ricadute socioemotive positive o qualche rischio?
Sui benefici dell’inclusione per i compagni di classe il campione non ha alcun dubbio: il 95% è convinto che vi siano vantaggi a livello cognitivo e sociale. Affrontando invece un possibile fattore di rischio per l’alunno/a con disabilità, che potrebbe sentire minacciata/o o danneggiata la sua autostima nel continuo confronto con i compagni di classe, quasi due persone su dieci ritengono che questo rischio esista e che sia reale. Un tema sicuramente da approfondire, accanto a quello della dimensione della marginalizzazione, esclusione e bullismo subiti dall’alunno/a con disabilità.
Nelle pratiche italiane di presidio del discorso inclusivo trovano un posto importante la categorizzazione delle difficoltà e l’attribuzione di etichette di tipo biomedico e normativo, ma quanto sono viste come pratiche controproducenti perché portano a processi di stigmatizzazione? Una maggioranza risicata del campione (52%) le ritiene problematiche, a fronte di una quasi metà del campione che, sorprendentemente, non le vede come preoccupanti. Tra gli insegnanti, quelli di sostegno sono quelli più preoccupati, assieme a quelli della secondaria, che si sono confrontati con una storia più lunga di etichettamento degli/delle alunni/e.
Funziona la collaborazione tra scuola, famiglie e servizi?
Tema, questo, delicato e complesso da sempre, per molti e diversi motivi; la percezione di un peggioramento nella collaborazione tra scuola e servizi sociali e sanitari è nettamente maggioritaria, più di sette persone su dieci ne sono convinte, solo un piccolissimo 4% non ha rilevato alcun peggioramento. La secondaria è più critica (11 punti di differenza), mentre i meno critici sono, comprensibilmente, ma fino a un certo punto, se pensiamo alle loro risposte precedenti, gli/le insegnanti con meno esperienza. Per quanto riguarda la collaborazione con le famiglie, la percezione non è altrettanto negativa, «soltanto» un 58% del campione è convinto del peggioramento di tale collaborazione, e i curricolari sono i più convinti di questo, mentre solo il 12% del campione è assolutamente convinto che non ci sia stato alcun peggioramento nella collaborazione. Nel tempo, dunque, la scuola sta diventando sempre più un’isola con evidenti problemi di collaborazione con gli ecosistemi vicini.
Diritto alla sessualità e relative pratiche professionali di supporto
Anche in questo caso, quando si tratta di sostenere e affermare in teoria un valore e un diritto, il campione esprime un’ammirabile compattezza: non ci sono dubbi sul diritto alla sessualità per la persona con disabilità, la maggioranza arriva al solito 95%. Le cose però cambiano quando si scende sul piano della pratica, piano che abbiamo articolato su due livelli: una figura professionale psicoeducativa che svolge attività formativa e di supporto alle varie dimensioni della sessualità della persona con disabilità, ma che si limita a questo, e una figura professionale psicoeducativa che, invece, oltre a questo fa sesso direttamente con la persona con disabilità. Come prevedibile, nel primo caso il campione è a favore per il 77%, nel secondo i favorevoli scendono fino a essere la minoranza (48%), ma comunque quasi cinque su dieci sarebbero possibilisti su una figura professionale che si coinvolga sessualmente in maniera diretta. Tra i più favorevoli, gli/le insegnanti di sostegno, la secondaria e chi ha meno esperienza.
La vita adulta
La scuola fornisce le competenze per la vita adulta? Otto persone su dieci ne sono convinte e, prevedibilmente, i più scettici sono i curricolari e la secondaria. Rispetto poi ai contesti di vita adulta, si nota come l’inclusione lavorativa nella normalità sia percepita come più generativa di benessere rispetto ad altre soluzioni meno inclusive, anche se calibrate sulle reali situazioni di disabilità; è interessante notare come in questo caso chi ha meno esperienza attribuisca meno valore al lavoro inclusivo rispetto ai colleghi con maggiore esperienza.
Esiste dunque, ed è documentata in modo evidente, una discrepanza tra la dimensione valoriale-ideale e la dimensione applicativa-concreta, che fa affiorare stanchezza, difficoltà e senso di impossibilità che non possiamo trascurare, pena l’erosione degli stessi valori che dovrebbero (ma spesso non riescono a) concretizzarsi nei comportamenti. In questo quadro problematico, sembrano emergere dei trend ricorrenti: gli insegnanti con meno esperienza sembrano meno inclusivi, così come le scuole secondarie e gli insegnanti curricolari. A fronte di questo però emergono due fatti estremamente positivi, che ci danno impulso in due direzioni evolutive che il sistema evidentemente apprezza: le cattedre inclusive/ex miste e figure psicoeducative rivolte, anche globalmente, alla sessualità delle persone con disabilità.
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