EDITORIALE

«Essere, o non essere, questo è il dilemma:

se sia più nobile nella mente soffrire

colpi di fionda e dardi d’oltraggiosa fortuna

o prender armi contro un mare d’affanni

e, opponendosi, por loro fine? Morire, dormire»

Amleto, Shakespeare

Innovazione o dell’essere pessimisti e aspramente critici, oppure ottimisti e fattivamente impegnati

Non si indispettiscano gli esperti e gli studiosi del settore se, con un maldestro esercizio, si prende a prestito il noto passaggio dell’Amleto. Così familiare al grande pubblico, sulla bocca di molti e in più occasioni, ma, è lecito sospettare, non pienamente afferrato nel suo immediato significato. Pur senza la pretesa di esaurirne il senso, va rilevato il tratteggio dei sentimenti che si provano di fronte alle immancabili riprove della durezza della vita, degli insuccessi e delle offese cui spesso la dignità dell’individuo è sottoposta.

La scelta esistenziale si ripropone costante: vale la pena sopportare la vita o sarebbe il caso di decidersi e porvi fine? Quello che suona come un dilemma inevitabile — almeno dal punto di vista pedagogico-speciale — può essere considerato come una questione mal posta. Ecco, se gli amanti di Shakespeare non si fossero fin qui scandalizzati per il fatto di aver scomodato il poeta inglese in un «ambiente» poco consono e insolito per l’alta lirica della tragedia, è verosimile che non possano rimanere indifferenti davanti a un simile affronto!

Ma, lo si è anticipato, la prospettiva è quella della Pedagogia Speciale che, infatti, da sempre incarna un instancabile atteggiamento di ricerca, capace di guardare alle distorsioni, alle contraddizioni e alle recrudescenze — anche le più amare — come fenomeni e testimonianze di un complesso processo: l’inclusione delle persone con bisogni educativi speciali, che si struttura, si nutre e matura anche attraverso momenti di arretramento e incertezza.

Per tale motivo, la realtà della persona con disabilità, e dei più ampi processi di emancipazione individuale e sociale, va restituita e compresa in termini di maggior equilibrio, piuttosto che solamente inquadrata in una «prospettiva rivendicativa su ciò che occorre ancora realizzare […] per migliorare la loro vita e, quindi, la vita di tutti» (d’Alonzo, 2021, p. VIII). Vale la pena, quindi, di «armarsi», come dice il drammaturgo, ma non allo scopo di recedere e abdicare, quanto piuttosto di smontare e rimontare ciò che risulta disfunzionale nei confronti delle prospettive realizzative e di promozione coltivate dalle persone con disabilità, tutt’altro che orientate alla rinuncia.

Gli aspetti che ancora non funzionano nel processo di inclusione e nella costruzione di una società sostenibile sono certo numerosi e si danno come prove di mancato progresso. Non, però, perché la politica, la scienza e i professionisti non vi abbiano ancora provveduto, ma perché — malgrado gli avanzamenti, le conoscenze e i convincimenti — è evidente che nella natura dell’operare umano si insinui continuamente il radicale effetto di visioni e miscomprensioni che, anche in maniera subdola e ricorsiva, (dis)orientano lo sviluppo delle consapevolezze culturali. Accade così che, nonostante la pregnanza dell’ormai «indiscusso» paradigma bio-psico-sociale, si continui a concepire la disabilità con approcci che tradiscono uno sguardo prettamente medico e medicalizzante, anche quando si scrivono le Linee guida per la redazione del profilo di funzionamento. Succede che, malgrado i progressi nella politica internazionale abbiano condotto a comprendere che «la disabilità è un concetto in evoluzione» (UN, 2006, preamble, lett. e), vi siano ancora molti che confondono la necessità di riferire e rappresentare coerentemente la realtà con collaterali questioni di political correctness. Capita ancora che, sebbene il Sistema integrato di interventi e servizi sociali preveda prestazioni e risorse per i cittadini, in molti continuino ancora ad agire la propria professionalità in riferimento a dei semplici utenti, che diventano dati. Non meno preoccupanti, in tal senso, le affermazioni che esponenti di partito, da più parti, esprimono sul carattere prettamente ideologico dei percorsi culturali come quello dell’inclusione scolastica.

Di fronte a un simile quadro, per certi versi desolante, è giustificato l’interrogativo preoccupato, rivolto a chi scrive e sorto fra gli studenti e le studentesse che si formano per assumere il ruolo di educatore: «Dati i suoi studi in merito, riguardo alla nostra società di oggi, posso chiederle un’interpretazione personale? Ma lei è ottimista?».

E verrebbe, effettivamente, da dichiararsi pessimisti e attestarsi sulla sola critica degli elementi che ancora non funzionano e che testimoniano la difficoltà della società di farsi e disporsi in termini di sostenibilità e accessibilità nei confronti delle molteplici espressioni dell’essere umano. Ma non è questa la prospettiva che la Pedagogia Speciale ha assunto nell’interpretare il proprio ruolo di sapere innovatore nei confronti degli assetti sociali, per sviluppare condizioni di integrazione e inclusione. Fuggendo i rischi di una falsificazione della realtà, il discorso pedagogico-speciale ha costantemente lavorato con un approccio teso all’«assunzione dei limiti come necessità organizzativa», elemento «che nasce da uno sguardo positivo che non si ritiene capace di miracoli» (Canevaro, 1999, p. 84).

A questo punto, però, emerge la necessità di chiarire quale idea di innovazione si stia promuovendo. Lungi dal ridurre il problema alla semplice conta degli strumenti che si è stati finora in grado di implementare, dei protocolli messi in atto o del numero di dispositivi enumerabili a tutela delle fragilità e per garantire l’accessibilità, risulta importante sollecitare meccanismi di trasformazione, sia rispetto alle consapevolezze personali e professionali che guidano gli attori, sia nei confronti delle pratiche con cui si sostanzia lo sviluppo dei processi di inclusione. Per tali motivi è necessario interrogare continuamente anche gli assunti teorici dati per assodati ed esplorarli attraverso un dinamico processo di ricerca, ponendo al centro la necessità di sostenere la riflessività nella professione e nelle pratiche educative.

È con tale spirito che si offrono i contributi di questo numero 4 del 2023 che, fra gli altri, ospita alcuni interventi (Friso; Montanari; Falchi e Zurru) presentati nella sessione parallela dedicata alla Traiettoria: Ambienti di vita, accessibilità e inclusione sociale, nell’ambito del Convegno Nazionale SIPeS, celebratosi presso l’Università di Bergamo lo scorso giugno e dedicato al tema Culture dell’accessibilità per un mondo inclusivo. Traiettorie per gli ambienti di vita, la didattica, la tecnologia.

Nella sezione «Prospettive e modelli internazionali», il contributo di Michela Schenetti e Linda Petrucci, dal titolo Promoting Inclusive Education Through Participatory Design of Outdoor Learning Spaces: Insights from Italian Educational Services, riflette sull’intenzionalità educativa nell’ambito dell’outodoor education. A seguire, nella sezione «Ricerche, proposte, metodi», Anna Frizzarin guida l’interessante gruppo che raccoglie expertise dell’Università e della Provincia Autonoma di Bolzano con un contributo dal titolo Insieme è semplicemente più divertente...»: Uno studio sull’esperienza soggettiva di partecipazione e inclusione a scuola di bambini/e ragazzi/e con disabilità della Provincia di Bolzano, posando l’attenzione sulla coesistenza di facilitatori e barriere nell’esperienza dei bambini a scuola. Segue, nella stessa rubrica, il contributo di Simone Catalano e Lorenzo Folini che si concentra su La relazione tra le competenze socio-emotive e le abilità di resilienza. Uno studio su insegnanti e educatori specializzati nel sostegno. Il contributo di Valeria Friso, Musei e disabilità visiva, spunti per una partecipazione possibile, restituisce il senso di un’esplorazione tesa a comprendere il senso partecipativo degli adattamenti per l’accessibilità. Chiude la sezione il lavoro di Mirca Montanari, Il progetto PEBA per una città accessibile a tutti. La voce degli studenti, anch’esso sostenuto da una riflessione sul valore culturale che l’accessibilità può generare per una comunità sostenibile.

Nella sezione «Temi aperti», Stefania Falchi e Antioco Luigi Zurru, con il contributo su Barriere epistemiche e «mutuo appoggio»: quale accessibilità?, propongono un’indagine teoretica tesa a comprendere come la miscomprensione di costrutti scientifici possa influenzare il modo di guardare al mondo e ai processi inclusivi. La chiusura del numero è affidata agli aggiornamenti normativi ed alle riflessioni che su questi offre la preziosa competenza di Salvatore Nocera.

Antioco Luigi Zurru

Bibliografia

Canevaro A. (1999), Pedagogia speciale. La riduzione dell’handicap, Milano, Mondadori.

d’Alonzo L. (2021), Introduzione, in L. d’Alonzo (a cura di), Vite reali. La disabilità tra destino e destinazione, Milano, Pearson, pp. VII-IX.

UN (2006), Convention on the Rights of Persons with Disabilities, https://www.ohchr.org/en/instruments-mechanisms/instruments/convention-rights-persons-disabilities (consultato il 23 novembre 2023).

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