Vol. 21, n. 3, settembre 2022
PRECURSORI
Giulio Cesare Ferrari
Una vita tra scienza e umanizzazione delle relazioni educative e di cura
Fabio Bocci1
Sommario
Nel presente articolo si cerca di delineare la figura di Giulio Cesare Ferrari, psichiatra e protagonista della nascita della Psicologia Scientifica in Italia. Ferrari è stato anche uno dei principali attori della nascita del modello italiano di educazione dei fanciulli deficienti su base scientifica e nel suo lavoro ha anticipato numerose questioni che poi sarebbero divenute fondanti nel processo che ha portato il nostro Paese ad essere all’avanguardia nell’educazione inclusiva. In tal senso va menzionata la sua attenzione e valorizzazione degli/delle insegnanti a partire dalla loro formazione e dal loro contributo nella ricerca e nella sperimentazione di nuove pratiche educative. Ferrari, infine, si è contraddistinto per il suo spirito collaborativo e per la sua umanità, caratteristiche che lo hanno portato ad essere universalmente apprezzato e stimato.
Parole chiave
Giulio Cesare Ferrari, Istituto Medico Pedagogico, Educazione dei deficienti, Psicologia scientifica.
PIONEERS
Giulio Cesare Ferrari
A life between science and humanization of care and education
Fabio Bocci2
Abstract
In this article we try to outline the figure of Giulio Cesare Ferrari, psychiatrist and protagonist of the birth of Scientific Psychology in Italy. Ferrari was also one of the main actors in the birth of the Italian model of education of deficient children on a scientific basis and in his work he anticipated numerous issues that would later become fundamental in the process that led our country to be at the forefront of inclusive education. In this sense it is worth mentioning his attention and enhancement of the teachers starting from their training and their contribution in the research and experimentation of new educational practices. Finally, Ferrari stood out for his collaborative spirit and his humanity, characteristics that led him to be universally appreciated and esteemed.
Keywords
Giulio Cesare Ferrari, Medical Pedagogical Institute, Education of the Deficient, Scientific Psychology.
Il mio spirito era conquistato da questa fata ignota che doveva esistere, ma alla quale non sapevo per quale strada giungere: lo studio scientifico della psiche umana.
Giulio Cesare Ferrari, Autobiografia
«Gli sono stato vicino a Parigi, a New York, a Bruxelles, e ho visto fargli festa ovunque. Al suo apparire, erano cordiali e nasali “Hello!” di americani, gorgheggi lusingatori di francesi, rinculi ossequiosi di tedeschi in finanziera, affettuose cordialità di fiamminghi. Ognuno lo rivedeva con piacere e tutti gli volevano bene. Parlava inglese senza saperlo parlare, il francese in italiano e, di tedesco, non gli ho mai sentito dire una parola. Ma lo capivano tutti. Piaceva di lui l’arguzia gentile, l’insaziabile curiosità e un naturale cosmopolitismo, scevro di posa».
Sono queste le parole che Corrado Tumiati — medico, scrittore, poeta e giornalista3 — dedica a Giulio Cesare Ferrari in uno scritto del 1933 dal titolo Giulio Cesare Ferrari e la rieducazione dei giovinetti criminali pubblicato a un anno di distanza dalla morte dell’amico e collega.
Non è certo il solo a tributare a Ferrari elogi e onorificenze. Nel numero monografico della «Rivista di Psicologia» (vol. 28, 1932), interamente dedicato a questo studioso, spicca quello di un altro grande interprete di quella stagione, Sante De Sanctis, il quale scrive: «Vedo Ferrari un’altra volta nel Laboratorio di Psicologia Sperimentale di Reggio Emilia con Guicciardi e tanti altri colleghi. Le memorie tornano più veloci e l’orizzonte si allarga. Gli oggetti si disegnano più precisi. Abile nella tecnica, arguto nella combinazione degli esperimenti, audace nell’indurre e nel dedurre. Quante ricerche nell’Istituto di Reggio! Ferrari, da solo o con collaboratori, scorse quasi tutti i campi di applicazione dalla psicologia sperimentale alla patologia e alla clinica psichiatrica» (De Sanctis, 1932, pp. 166-168; si veda anche Babini, 1996; Bocci, 2011).4
Da queste brevi note, benché celebrative, emerge immediatamente l’immagine di Ferrari quale figura di studioso e di uomo colto e affascinante, curioso e collaborativo, pienamente coinvolto — sul piano scientifico-culturale ma anche, come si evince da alcuni scritti,5 socio-politico — nelle questioni del proprio tempo, che vanno dalla comprensione del funzionamento della psiche umana (nelle sue espressioni più barocche, per utilizzare una felice espressione di Charles Gardou) grazie al ricorso di studi capaci di produrre evidenze scientifiche, all’educazione dei/delle fanciulli/e deficienti (o frenastenici, secondo le espressioni linguistiche di quel periodo storico), così come alla rieducazione dei/delle giovani inquadrati/e come criminali.
Ed è per queste caratteristiche dello studioso emiliano che abbiamo deciso di dedicargli uno spazio in questa sezione dei Precursori, in modo da proseguire da un lato nel nostro percorso di approfondimento e di riflessione sulle figure che hanno contrassegnato la nascita e lo sviluppo della visione inclusiva dell’educazione e della società (Bocci, 2011; 2016a; 2016b; 2016c; 2018) — percorso che, naturalmente, si innesta su tracce già ben delineate (ad esempio Canevaro e Gaudreau, 1988; Canevaro e Goussot, 2000; d’Alonzo, 2008; Pavone, 2010; Mura, 2012; Crispiani, 2016) — e, dall’altro, proprio pensando agli studiosi appena citati, di generare ulteriori opportunità di sviluppo e divulgazione della prospettiva storica della pedagogia speciale.
Giulio Cesare Ferrari: breve profilo biografico
Giulio Cesare Ferrari nasce a Reggio Emilia il 29 ottobre del 1867 (anche se in alcuni casi si trova la data del 1868), in una famiglia agiata e numerosa (ben 9 figli). Il padre, Carlo, dopo aver partecipato ai moti risorgimentali del 1848 esercita come avvocato e notaio, assumendo infine la funzione di segretario generale del Comune di Reggio Emilia. La madre, Carolina, appartiene a una famiglia colta e rispettata (il padre era un noto magistrato). Entrambi i genitori sono molto religiosi e, forse per questo, in adolescenza Giulio Cesare, come si evince dalla sua Autobiografia (1933),6 grazie alla sua curiosità intellettuale e alle letture anche precoci (Poe, Stendhal, Bourget) si sente vicino prima al materialismo e poi all’anarchismo, dimensioni queste che potrebbero essere alla base della sua scelta di intraprendere la carriera medica: «feci con molta cura i miei studi di medicina, benché li avessi scelti, credo, in seguito a una osservazione corrente in quell’epoca materialistica: che i medici avevano sostituito i preti nella direzione delle coscienze» (Ferrari, 1984, p. 244; citato anche in Babini, 1996, pp. 125-126).
Completati gli studi della scuola secondaria, frequentati a suo dire senza troppo entusiasmo, si iscrive a Medicina presso l’Università di Bologna e dopo una parentesi a Vienna, a partire dal 1888, consegue la laurea nel 1892 a soli 24 anni. Trascorso un solo mese viene chiamato come praticante nel Frenocomio «San Lazzaro» di Reggio Emilia, in quel momento diretto dall’attivissimo e già celebre Augusto Tamburini, cattedratico di psichiatria presso l’università di Modena. L’ingresso presso quello che è considerato l’istituto psichiatrico più rinomato d’Italia (in grado di accogliere oltre mille internati) è per il giovane e neolaureato Ferrari un importante riconoscimento. Oltre a Tamburini vi operano studiosi di grande levatura, come Vassalle, Ruggeri e Guicciardi, noto per i suoi studi di psicologia scientifica. L’istituto «San Lazzaro», in effetti, già dagli anni Settanta dell’Ottocento, grazie al fisiologo e psichiatra Carlo Livi, era divenuto un epicentro scientifico per le nuove generazioni di studiosi che guardavano alla psichiatria e alla nascente psicologia come ambiti di ricerca capaci di sganciarsi dalla filosofia. In tal senso un ruolo significativo è svolto dalla «Rivista sperimentale di freniatria e medicina legale», sorta nel 1875 e dove lo stesso Ferrari, ancora studente, sul numero 17 del 1891 pubblica il suo primo lavoro dal titolo Sull’Uso dell’acido lattico per lo studio dei vasi capillari nel cervello.
Rispetto alla rilevanza di questo luogo Valeria Paola Babini, nella sua importante e imprescindibile opera di ricostruzione storica di quella stagione, riflette sul fatto che il gabinetto di Tamburini si viene a configurare come un contesto in cui «clinica, didattica, ricerca e diffusione scientifica [formano] un insieme armonico e compatto» (Babini, 1996, p. 127). L’esperienza di Ferrari presso il frenocomio «San Lazzaro» e il laboratorio di Tamburini, così come la collaborazione con la «Rivista di freniatria» (della quale a partire dal 1894 diviene segretario di redazione e dal 1896 redattore capo) lo avvicina allo sperimentalismo nello studio della mente e dei fattori psicologici che la governano. Si tratta di un vero e proprio incontro che lo affascina oltremodo, come non manca di ricordare ancora nella sua autobiografia: «il mio spirito era conquistato da questa fata ignota che doveva esistere, ma alla quale non sapevo per quale strada giungere: lo studio scientifico della psiche umana» (Ferrari, 1984, p. 246).
Il desiderio di conoscere e di approfondire meglio questi ambiti di indagine scientifica, nei confronti dei quali si sente particolarmente ignorante (per sua stessa ammissione), lo spinge a frequentare diversi studiosi all’epoca ritenuti a dir poco autorevoli. Si avvicina agli studi sull’antropologia criminale di Lombroso e, durante il soggiorno a Firenze tra il 1894 e il 1895, conosce e frequenta Paolo Mantegazza, pioniere dell’antropologia italiana. Questa sete di conoscenza lo induce a studiare anche le opere di Charcot e Janet e, soprattutto, a partecipare e a vincere, nel 1896, una borsa di studio a Parigi presso il laboratorio di Psicologia della Sorbona diretto da Alfred Binet. Qui entra in contatto con anche con Jules Courtier, Jean Philippe e Nicolas Vaschide.
Rientrato in Italia Ferrari si avvale dell’esperienza condotta a Parigi per implementare, anche attraverso l’utilizzo dei test per la misurazione metrica dell’intelligenza, la cultura scientifica, su base sperimentale, nello studio della psiche. Insieme a Guicciardi incrementa le attività del Laboratorio di psicologia di San Lazzaro, che dirige fino al 1902, proseguendo e ampliando ulteriormente quanto istradato dal geniale e sfortunato Gabriele Buccola (Ferrari, 1898).
La sua ormai è una figura nota, e al X Congresso nazionale della Società freniatrica svoltosi a Napoli nell’ottobre del 1899, interviene per sostenere che la pazzia, benché induca alterazioni anche molto gravi, non è in grado di annientare completamente la personalità del soggetto e, pertanto, nei manicomi occorre dare corso e corpo a ricerche psicologiche sui singoli individui che vi risiedono (Ferrari, 1900).
A partire dal 1898 comincia a tradurre il volume Principles of Psychology di William James, uno dei pionieri della psicologia statunitense, che aveva avuto già modo di sfogliare durante il periodo trascorso in Francia. L’opera, pubblicata nel 1901, consegue un grande riconoscimento (anche di pubblico sul piano editoriale con migliaia di copie vendute) e ottiene il consenso da parte dello stesso James che tributa il collega italiano dando vita a una salda amicizia professionale. In effetti, quella operata da Ferrari non è una semplice traduzione. Ferrari interviene scrivendo oltre cento pagine aggiuntive, aggiornando la bibliografia, soprattutto in riferimento alla produzione scientifica italiana, integrando il testo con riferimenti alla neurofisiologia e alla psicopatologia (in particolare focalizzando l’attenzione sui disordini della personalità, sui disturbi dell’attenzione, della percezione e della memoria). In questo lavoro di inquadramento e ampliamento, Ferrari evidenzia (concordando con James) il rifiuto a quello che può essere definito lo scientismo derivante da un’applicazione rigida dello sperimentalismo, evidenziando, di contro, la necessità di un’apertura a una visione multidimensionale nell’indagare la psiche e i suoi meccanismi.
Sempre nel 1901 sposa Emilia Giordani7 e ottiene la libera docenza in Psichiatria presso l’Università di Modena.
Risalgono a questo periodo anche una serie di pubblicazioni interessanti, nelle quali Ferrari espone gli esiti di alcune indagini condotte insieme al collega Guicciardi. Tra queste figurano gli studi sui Lettori di Pensiero, sui Calcolatori Prodigio, sulla Memoria Musicale dei frenastenici e le Ricerche ergografiche nella donna.
Con l’accrescersi della sua notorietà Ferrari entra a far parte di numerose istituzioni scientifiche, tra le quali la Commissione Internazionale di Psicologia, le Società Medico-Psicologiche di Parigi e di Londra. Continua anche a viaggiare per conoscere da vicino le realtà cliniche operanti all’estero.
Dopo un breve incarico presso il Manicomio Femminile di Venezia, è invitato dal Comitato emiliano per la protezione dei fanciulli deficienti (del quale Tamburini è instancabile promotore) a far parte della Commissione di sorveglianza per l’Istituto medico-pedagogico di San Giovanni in Persiceto, inaugurato nel luglio del 1899. Grazie alle sue accuratissime relazioni, nelle quali Ferrari dimostra la necessità di un salto di qualità di questa importante esperienza educativa e rieducativa dalla indiscutibile valenza sociale, Ferrari nel 1903 viene nominato Direttore dell’Istituto, nel frattempo trasferitosi a Bertalia (ne parleremo in modo più accurato nel prossimo paragrafo).
Oltre ad essere attento a rilevare e a descrivere le implicazioni operative della scienza psicologica su base scientifica, Ferrari svolge anche un’intensa attività di riflessione teorica aprendo fronti di dibattito a livello nazionale e internazionale. Ne è un esempio l’articolo intitolato Experimental psychology in Italy pubblicato nel 1904 sull’«American Journal of Psychology». Qui Ferrari si pone in netto contrasto con la psicologia di Wilhelm Wundt rispondendo, peraltro, anche al filosofo Giovanni Chiavari che si era posto quale grande sostenitore della psicologia wundtiana e aveva indicato nella scuola di Münstenberg il punto di riferimento che avrebbe dovuto seguire la ricerca psicologica in Italia. Ferrari, di contro, difende l’esperienza e l’operato dei laboratori scientifici attivi nei diversi manicomi italiani e indica in Gabriele Buccola il primo ad aver applicato gli studi sui frenastenici anche nella risoluzione dei problemi della psicologia generale.
Nel 1905, accogliendo numerose sollecitazioni provenienti da colleghi e amici intellettuali (tra i quali Giovanni Papini), Ferrari dà vita alla «Rivista di psicologia applicata alla pedagogia e alla psicopatologia». Nell’intento di Ferrari, sempre pronto al dialogo e al confronto, i fascicoli della Rivista, che ha scadenza bimestrale, devono essere aperti alle innumerevoli implicazioni psicologiche derivanti dalla filosofia, dalla criminologia, dall’antropologia e dalla sociologia. I temi trattati sono ampi e spesso inediti, come ad esempio quello della sessualità, e ampio spazio è dedicato all’infanzia, con una attenzione alle questioni dell’igiene mentale. Allo stesso modo sono accolti i contributi che analizzano l’impatto della psicoanalisi nel panorama nazionale e internazionale degli studi psicologici, così come, durante la Prima Guerra mondiale, è posta sotto esame la psicologia del soldato. Come giustamente evidenziato nella pagina dell’Archivio Storico della Psicologia Italiana, la rivista fondata da Ferrari rappresenta «per gli psicologi italiani non solo un valido strumento di discussione e di diffusione delle proprie ricerche, ma anche un punto di riferimento e di aggiornamento fondamentale su quanto avveniva in Italia e all’estero».8
Nel 1907 ottiene la libera docenza di Psicologia sperimentale presso la Facoltà di Filosofia di Bologna e, nel medesimo anno, assume l’incarico di Direttore del Manicomio di Imola9 lasciando la direzione dell’Istituto di Bertalia nelle mani del suo collaboratore Umberto Neyroz, un giovane studioso laureatosi con Sante De Sanctis e da questi indicato per affiancare Ferrari nel suo impegno per l’educazione dei frenastenici.
Nel Manicomio di Imola inizia a sviluppare il suo interesse per i giovani criminali, ambito che lo porta a farsi promotore, e non potrebbe essere altrimenti considerando la sua dedizione, di innumerevoli iniziative: nel 1910, con la collaborazione della maestra Gabriella Francia, fonda la Colonia Libera per i deficienti gravi e i giovinetti criminali; successivamente, avendo un incarico all’interno della Commissione Reale per la riforma del codice penale presieduta da Enrico Ferri, si adopera affinché siano inseriti una serie di articoli espressamente dedicati ai minorenni e fa sì che nel carcere «San Giovanni in Monte» di Bologna sia aperto un reparto speciale appositamente dedicato ai minorenni. Si tratta di un impegno che porta avanti fino alla fine dei suoi giorni; così nel 1932, a pochi mesi dalla morte, trovandosi a condividere con Sante De Sanctis la partecipazione nella Commissione per lo studio dei minorenni abbandonati, traviati e delinquenti dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia (OMNI) ed essendo consulente alla Società Protettrice dei fanciulli abbandonati e maltrattati a Bologna, fonda all’interno della clinica pediatrica dell’Ospedale Gozzadini del capoluogo emiliano il Consultorio per il trattamento neuropsichiatrico e la guida morale dei fanciulli.
Dopo l’esperienza a Imola, nel 1924 Ferrari è nominato Direttore dell’Ospedale Psichiatrico Francesco Roncati di Bologna. Anche in questo caso lo studioso si attiva per introdurre numerosi cambiamenti sul piano della riconfigurazione dell’approccio al disagio mentale. Se sul piano logistico realizza una suddivisione razionale dei reparti, il suo contributo maggiore riguarda la sua visione clinica basata su un approccio psicologico che privilegia la soggettività della persona ricoverata più che la malattia. In tal senso le sue innovazioni sono straordinarie. Come ricorda Cesare Musatti (1984) Ferrari introduce, in assoluto il primo in Italia, il teatro come mediatore terapeutico e si pronuncia, anticipando posizioni che diverranno rivoluzionarie almeno cinquant’anni dopo, contro l’internamento manicomiale, evidenziando l’effetto nefasto di quella che sarà poi chiamata l’istituzionalizzazione. Nelle sue riflessioni e analisi sul/del tema, Ferrari si avventura nell’idea che i manicomi debbano essere chiusi mentre dovrebbero sorgere esperienze di cura sul territorio. Cercando di dare corpo a queste intuizioni, grazie all’affiancamento della moglie Emilia e di altri/e collaboratori/trici, fonda nel 1922 a Bologna un patronato di assistenza per i malati poveri dimessi dal manicomio e dà vita alla Colonia Agricola di San Luca destinata ad accogliere i ricoverati e gli ex-degenti psichiatrici.
In questa azione a tutto campo, nella quale la psicologia diviene uno strumento di «conoscenza, di cura e di educazione, fondamento scientifico della psicopatologia e della pedagogia e deve agire nell’ottica di un programma sociale e di salute pubblica»,10 Ferrari incarna pienamente — e in piena continuità e sinergia con il suo maestro Tamburini e con altri colleghi quali Clodomiro Bonfigli, Enrico Morselli, Roberto Adriani, Sante De Sanctis, Giuseppe Ferruccio Montesano, Maria Montessori e Ugo Pizzoli — l’ideale dello studioso e dell’intellettuale che attraversa la fine dell’Ottocento e i primordi del Novecento, animato dallo spirito positivistico del tempo (Cimino e Lombardo, 2004) ma anche da una visione umanitaria dell’impegno scientifico.
Con questo spirito Ferrari prosegue indefessamente il proprio compito, partecipando a numerosi convegni nazionali e internazionali, partecipando alla nascita di fondazioni e associazioni, collaborando con riviste anche a carattere letterario e culturale e ricevendo onorificenze e incarichi prestigiosi. Così nel 1924 è artefice della nascita della Lega italiana per l’igiene mentale, viene nominato Segretario Generale della Commissione Internazionale per lo studio delle cause delle malattie mentali e della profilassi e componente del Comitato Direttivo della Lega Mondiale di Igiene Mentale, organismo che contribuisce a fondare e del quale è attivo sostenitore.
Muore improvvisamente a Bologna nel 1932, all’età di 64 anni, a causa di un infarto che lo stronca mentre si trova al capezzale di un malato.
Ferrari e la direzione dell’istituto Medico Pedagogico di Bertalia
Come anticipato nel breve profilo biografico delineato nel precedente paragrafo, Giulio Cesare Ferrari ha assolto una funzione fondamentale all’interno dell’Istituto Medico Pedagogico inaugurato a San Giovanni in Persiceto nel luglio del 1899 grazie al consueto impegno di Augusto Tamburini (Babini, 1996; Bocci, 2011; 2016d). Nel 1901 Ferrari viene invitato dall’Associazione emiliana per la protezione dei fanciulli deficienti, della quale è promotore lo stesso Tamburini, a prendere parte come componente del Comitato di sorveglianza e in questa veste gli viene affidato l’incarico di osservare e di documentare le attività che si svolgono nell’Istituto.
Si tratta di un compito che Ferrari svolge con l’abituale e meticolosa dedizione che caratterizza il suo agire e soprattutto conduce avendo ben chiaro l’obiettivo da raggiungere, ossia evitare che l’Istituto Medico Pedagogico nato sotto i migliori auspici — educare i frenastenici e renderli soggetti pienamente inseriti nella società — regredisca a mero ricovero, a luogo di contenimento e assistenza. Tale intendimento lo si evince benissimo scorrendo quanto scrive nel rapporto: «Ora sembra a me che alcuni fatti possano accennare a una tendenza dell’Istituto a ridursi, con l’andar del tempo, un puro Ricovero di deficienti; ed è contro questo pericolo che credo dover mettere in guardia l’onorevole Comitato affinché si cerchi, con pronti e opportuni e facili rimedi, di opporsi al divenire del male» (Ferrari, 1903a, p. 3).11
Lo studioso elenca poi quelle che a suo avviso sono le principali criticità riscontrate, che vanno dall’esagerato numero di fanciulli/e accolti/e in rapporto agli spazi disponibili, alla permanenza all’interno dell’istituto anche di quei/quelle fanciulli/e che avendo raggiunto un eccellente grado di autonomia e istruzione potrebbero essere restituiti alle famiglie e alla società. Da questo punto di vista un aspetto cruciale per Ferrari è la formazione di insegnanti qualificati, il loro pieno coinvolgimento (ci torneremo nel prossimo paragrafo) e il numero di scuole dedicate all’istruzione dei/delle frenastenici/che, soprattutto per quel che concerne l’insegnamento superiore, l’assistenza continua fatta da persone provette.
In altri termini, Ferrari suggerisce che la componente pedagogica dell’azione messa in atto torni ad essere centrale: «allo stesso modo in cui nell’anno testé decorso si è curata, a prezzo di qualche sacrificio, la parte pedagogica dal lato medico-scientifico, nell’anno che sta per cominciare, pur continuando a curare questo elemento, si dovrebbe dare il necessario sviluppo alla parte pedagogica propriamente detta; e ciò si potrebbe fare nel modo che ho indicato e che raccomando vivamente alla solerzia del Comitato» (Ferrari, 1903a, p. 5).
Tra le indicazioni e raccomandazioni fornite da Ferrari figurano l’attenzione ai criteri per l’accettazione, il costante monitoraggio sul piano clinico, pedagogico e amministrativo, l’assunzione di insegnanti qualificati/e, l’organizzazione del lavoro in piccoli gruppi con una rotazione delle attività specifiche da affidarsi ai docenti più competenti e delle routine da assegnare al personale non ancora qualificato, l’affidamento al Direttore Medico della responsabilità non solo della parte clinica ma anche di quella pedagogica, l’investimento di risorse sull’ampliamento delle officine e delle attività professionalizzanti.
Si tratta di un vero e proprio programma che corrisponde all’idea di Ferrari dell’Istituto di Bertalia come luogo in cui scienza e vita si fondono. In effetti, come rileva Valeria Paola Babini, se «l’Istituto di Bertalia era già da alcuni anni il luogo da cui trarre vive dimostrazioni per le lezioni di psicologia e di pedagogia scientifica che venivano svolte nella scuola di Crevalcore, con Ferrari diveniva la clinica, il laboratorio vivente per le sue lezioni di psicologia sperimentale e di psicopatologia» (Babini, 1996, p. 117). Insomma, l’istituto medico-pedagogico deve essere concepito come un luogo che consente, al contempo, l’avanzamento della ricerca scientifica a tutto campo, la migliore comprensione del funzionamento (diremmo oggi) dei frenastenici e di sperimentazione delle pratiche pedagogiche e didattiche atte a mostrare come sia possibile la loro istruzione anche a livello di scolarizzazione superiore.
In questa direzione deve leggersi il ripetuto invito da parte di Ferrari a investire risorse nella presenza di figure qualificate: «In un abbozzo di programma per la “Scuola aggiunta per i deficienti” che il Comune di Reggio ha aperto quest’anno, con ben lieti auspici e sotto la pressione principalmente del prof. Tamburini, ho esposto quelli che mi sembrano i concetti più razionali per l’educazione dei deficienti, almeno nel nostro Paese; ma a informare a un senso di praticità la parte più strettamente didattica dell’insegnamento nell’istituto di Bertalia, io proporrei che fosse assunta in servizio, anche temporaneamente, occorrendo, una Maestra superiore, proveniente da quella eccellente Scuola magistrale ortofrenica che ha fondato e dirige in Roma il prof. Montesano» (Ferrari, 1903a, p. 4).
Ferrari fa riferimento alla Scuola magistrale ortofrenica attiva dal 1900, fortemente voluta da Clodomiro Bonfigli e diretta dall’amico Giuseppe Ferruccio Montesano (con il quale intraprenderà una ricchissima corrispondenza amicale e intellettuale), che unitamente al Corso di ortofrenia fondato da Gonnelli-Cioni già a partire dal 1894 (Pesci, 1999; Bocci, 2016b) e al Corso di Pedagogia scientifica (o Emendativa) inaugurato nel 1902 a Crevalcore (Bocci, 2016a) rappresentano l’eccellenza in Italia della formazione specialistica dei docenti che intendono interessarsi all’insegnamento dei/delle fanciulli/e frenastenici/che. Proprio in riferimento a quest’ultimo, Ferrari crea una sinergia virtuosa che porta l’Istituto di Bertalia e il laboratorio/corso di Crevalcore a collaborare nella formazione e nel perfezionamento delle/dei docenti, mettendo anche in evidenza la grande attenzione e il grande rispetto di Ferrari (e di Pizzoli) per le/gli insegnanti.
Ferrari e la valorizzazione delle/degli insegnanti
In merito alla grande attenzione riservata da Ugo Pizzoli — ideatore del Laboratorio pedagogia sperimentale e del Corso di Pedagogia scientifica presso Crevalcore — abbiamo già detto altrove (Bocci, 2011; 2016a; 2021). Qui vogliamo esaltare ulteriormente la figura di Giulio Cesare Ferrari testimoniando la sua particolare cura alla crescita e alla valorizzazione professionale e umana dei/delle docenti che lo affiancano nell’impresa dell’Istituto Medico-Pedagogico di Bertalia.
Ci sono almeno due documenti che ci forniscono indicazioni in tal senso.
Il primo è la già più volte richiamata Relazione redatta per conto del Comitato di Vigilanza. Proprio in avvio del testo Ferrari così si esprime: «Le ispezioni fatte quest’anno da me per conto di codesto Onorevole Comitato, sono state ripartite fra l’Istituto Medico-pedagogico di Bertalia e il Laboratorio di Pedagogia Scientifica, creato dal Dr. Ugo Pizzoli in Crevalcore. Questa seconda istituzione ha preso, nel corso dell’anno testé finito, una grande importanza come centro scientifico, essendosi inaugurato un Corso di insegnamento dei principî e dei mezzi della Pedagogia scientifica, quale non esiste altrove in Italia, per completare l’educazione tecnica dei maestri e delle maestre delle Scuole primarie e secondarie, degli Asili per i bambini normali e deficienti, dei direttori didattici, ecc. A questo Corso hanno preso parte anche due insegnanti di Bertalia, e gli stessi partecipanti al corso hanno visitato, a scopo d’istruzione, l’Istituto di Bertalia» (Ferrari, 1903a, p. 1).
Ferrari, in questo avvio, così come abbiamo visto fare in seguito con Montesano, rende omaggio a Pizzoli e al suo laboratorio, specificandone l’unicità e la rilevanza che ha assunto per l’Istituto di Bertalia. Quindi, delinea una sorta di circolo virtuoso che si è venuto a delineare tra il Laboratorio, il corso di formazione che vi si tiene e l’Istituto stesso (che nella sua concezione ha la valenza di un laboratorio di ricerca e sperimentazione). Gli/le insegnanti che operano a Bertalia acquisiscono ulteriori competenze nel Corso di Pizzoli (dove sappiamo insegnano tra gli altri, Tamburini, Montessori e l’antropologo Sergi) e quanti/e frequentano il corso fanno esperienza di tirocinio nell’Istituto. Si tratta di una prassi che, secondo Ferrari, deve ulteriormente consolidarsi e svilupparsi: «sarà opportuno che si faccia sempre più ampia la partecipazione del personale tecnico dell’Istituto medico-pedagogico a questi corsi annuali, onde mantenere allo Stabilimento quel carattere scientifico che non deve perdere mai e che deve anzi accrescersi di più» (Ferrari, 1903a, p. 1).
La particolare premura di Ferrari alla scientificità di quanto accade nell’Istituto di Bertalia e l’idea che ciò possa avvenire grazie al contributo delle/degli insegnanti emerge continuamente, sia dagli scritti dello studioso (es. Ferrari, 1903b; 1904b; 1905) sia dalle notizie che ne abbiamo dai resoconti e dalle testimonianze. Sappiamo, ad esempio, che Ferrari aveva l’abitudine di convocare sistematicamente il gruppo di lavoro (nel 1904 erano presenti a Bertalia 8 insegnanti) per riunioni bimensili di analisi del loro operato e di discussione. Durante il lavoro le/gli insegnanti redigevano dei diari dove annotavano, a seguito delle loro osservazioni libere e per mezzo di schede, i fatti che ritenevano più rilevanti. Queste annotazioni, che andavano a sommarsi ai materiali prodotti dalle fanciulle/i loro affidate/i nell’ambito delle lezioni e delle esperienze nei vari contesti di apprendimento creati all’interno dell’Istituto, costituivano l’oggetto della riflessione e del confronto. Come rileva con la consueta puntualità Valeria Paola Babini, Ferrari ha un grande rispetto del lavoro dei docenti con cui interagisce: «non solo per via dell’uso investigativo che l’istruzione finiva per avere ai suoi occhi, ma perché riconosceva il valore del loro patrimonio di esperienza d’osservazione e di conoscenza dei bambini» (Babini, 1996, p. 144).
E tale rispetto emerge con grande evidenza quando Ferrari, il 21 giugno 1904, comunica al Presidente del Comitato di Vigilanza l’avvenuto e brillante superamento (in sede esterna) dell’esame, a compimento del percorso di studi, da parte di un nutrito gruppo di fanciulli/e ospiti dell’Istituto. Scrive Ferrari: «Ill.mo Signor Presidente, Sono lieto di poter comunicare alla V.S. che oggi stesso, davanti a una Commissione nominata dall’Ufficio Municipale dell’Istruzione, e in un’aula delle Scuole Comunali, 26 alunni di questo Istituto hanno sostenuto l’esame di promozione dalla 1.a alla 2.a classe elementare. L’esito è stato brillante, poiché 3 bambine e 1 bambino hanno raggiunto il massimo dei punti 60/60; mentre la maggioranza degli altri ha raggiunto o sorpassato i 50/60. Il merito di questo risultato, superiore alle mie migliori speranze e che lascia prevedere migliori successi per l’avvenire, è dovuto alla premura e alla abnegazione degli insegnanti Sig.ne Veronesi e M.a Lamieri e Sign. Guizzardi. La fiducia di continuare a meritare l’interessamento e l’appoggio dell’Onorevole Comitato di Vigilanza, e soprattutto quelli di V.S. Ill.ma, Signor Presidente, faranno sembrare lievi a noi tutti e fatiche e sacrifici».12
Si tratta di un documento forse ancora più prezioso della Relazione e per molte ragioni. In primo luogo, emerge, tra le righe della comunicazione tecnica, il tono orgoglioso e commosso per il successo conseguito. In secondo luogo, e soprattutto, mette in luce l’animo sensibile di Ferrari, la sua umiltà nel voler attribuire gran parte del merito alle/agli insegnanti coinvolte/i. Ferrari, medico e psicologo con la vocazione pedagogica, si pone come primus inter pares, anteponendo alla propria vanità la valorizzazione dei collaboratori e lo spirito di gruppo.
Un dato questo che torna ulteriormente, in modo particolare, a riguardo della maestra Vittorina Lamieri (citata da Ferrari nel documento appena riproposto) la quale, all’età di venti anni, era entrata in servizio all’Istituto di Bertalia dopo una esperienza come maestra elementare presso le Scuole Femminili. La Lamieri si era viepiù appassionata dello studio della psiche umana prima per mezzo della letteratura (in particolare leggendo Emile Zola) poi approfondendone le questioni e implicazioni studiando Lombroso, Mantegazza e De Sanctis. Ferrari ne aveva immediatamente colto il potenziale e l’acuta intelligenza, soprattutto per il suo interesse all’osservazione di determinati automatismi del gioco infantile, in particolare delle bambine frenasteniche. Così, dando corpo a quel rispetto per le/gli insegnanti a cui facevamo riferimento, quando fonda la «Rivista di Psicologia», nel primo numero non manca di lasciare spazio agli scritti di Vittorina Lamieri, che firma ben quattro articoli13 in cui descrive (in modo elegante, per stessa definizione di Ferrari) diverse situazioni che riguardano le fanciulle e i fanciulli che abitano la struttura di Bertalia. Non è ovviamente la sola, come rammenta la stessa Lamieri nelle pagine del suo Diario autobiografico: «Il professor Ferrari aveva fondata la “Rivista di psicologia” che in seguito divenne “Rivista di psicologia applicata alla Pedagogia” e incitò tutti noi a collaborarvi: Pennazza, Bentini vi scrissero dei loro sistemi e delle loro esperienze; io feci qualche quadretto delle mie alunne più originali: il dott. Neyroz che annotava ogni giorno le più interessanti manifestazioni dei nostri soggetti non trovava mai tempo per farne un articolo, e il prof. Ferrari, quando la pubblicazione del fascicolo mensile era vicina, andava in quel cassetto, prendeva conoscenza di questo o di quel caso descritto in modo più complesso, e scriveva un brillante articolo che riempiva le pagine ancora vuote della sua Rivista».14
Vittorina Lamieri, in un crescendo di unità di intenti intellettuali e affettivi (come lei stessa ricorda ancora nel Diario), di lì a poco sposa Umberto Neyroz che nel 1907 succede a Ferrari nella direzione dell’Istituto di Bertalia. Vi restano fino al 1911, anno in cui fondano nei Villini Rosina, sulla Strada del Genio nei pressi di Porta D’Azeglio, la Casa di Educazione e Istruzione per fanciulli anormali di agiata condizione. Scuola Autonoma Neyroz (conosciuta anche come Scuola Autonoma Neyroz per fanciulli nervosi e anormali). Il successo è notevole e nel 1914 la Scuola Neyroz si trasferisce a Villa Sant’Anna di Ravone di Casaglia. Ferrari è sempre accanto ai due stimati colleghi e nel 1927, alla morte prematura di Neyroz, continua a collaborare con Vittorina Lamieri, che ne ha preso definitivamente le redini,15 occupandosi della consulenza sanitaria dell’istituto e dell’invio di bambine/i e ragazze/i deficienti a lui segnalati in qualità di Direttore del Manicomio di Bologna, dove era direttore dal 1924.
In qualche modo Ferrari sente che Neyroz e Lamieri rappresentano l’ideale proseguimento di quella stagione straordinaria che aveva portato alla nascita della Lega Nazionale per la protezione dei fanciulli deficienti e, a seguire, di quella Emiliana e all’inaugurazione dell’Istituto Medico Pedagogico di San Giovanni in Persiceto-Bertalia. Lo studioso lo evidenzia chiaramente in una Comunicazione tenuta al II Congresso medico-pedagogico nazionale svoltosi a Milano il 23 e il 24 novembre del 1930. Alla prima generazione, quella di Bonfigli, Tamburini, Morselli, Adriani, Sergi, De Sanctis, ha fatto seguito la seconda, che ha visto per protagonisti Montesano, Ferrari, Montessori, Pizzoli, Gonelli-Cioni. La maggior parte di questi protagonisti ha intrapreso nel corso del tempo strade diverse: «Dei quattro o cinque primi che ci occupammo a quel tempo scientificamente e praticamente dei deficienti, il De Sanctis si è sempre più limitato ai tardivi e ai falsi normali; la Montessori ha dato vita al suo metodo fortunato; il Montesano si è preoccupato più di creare dei maestri per deficienti, che di guarire i deficienti e io (che avevo sempre sostenuto che la Scuola e gli Istituti per deficienti dovessero essere luoghi di studio, più che di ricovero) mi sono appassionato sempre più e quasi esclusivamente per gli anormali del carattere, i falsamente detti, giovanetti criminali, nei quali veramente si può ottenere moltissimo e pei quali quasi tutto è ancora da fare» (Ferrari, 1930).
Non a caso Vittorina Lamieri — che continua ad avere scambi e progetti in comune con Ferrari fino alla sua improvvisa scomparsa — proseguirà la sua attività fino al 1952 e la sua, insieme a quella di Neyroz, è una figura interessantissima che merita di essere approfondita. Ma, parafrasando Rudyard Kipling, questa è un’altra storia e noi vi dedicheremo attenzione in un prossimo articolo.
Conclusioni
Giulio Cesare Ferrari è indubbiamente l’espressione dello studioso a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, appassionato, colto, aperto, curioso, interessato alla comprensione dei fatti umani (non solo di quelli attinenti alla sfera psichica), fiducioso nella scienza e nel suo potenziale conoscitivo e trasformativo.
Con queste caratteristiche, accompagnate da uno spirito sensibile e da un atteggiamento collaborativo e mai autoreferenziale, ha saputo cogliere in anticipo sui tempi (e anche in questo incarnando lo spirito del suo tempo) alcuni aspetti che lo pongono ai nostri occhi come un precursore della nostra idea di società e di sistema educativo inclusivo.
Certamente ha agito all’interno di un contesto socio-culturale dove era ancora lungi la possibilità di concepire la piena inclusione delle/dei bambini/e e delle/dei ragazze/i con impairment intellettivo (per attualizzare la terminologia) all’interno di un unico sistema formativo. E tuttavia, nei suoi scritti e nelle sue azioni traspaiono elementi che indirizzano verso tale visione. Tra questi, oltre all’intuizione di andare oltre il sistema manicomiale e all’istituzionalizzazione, indubbiamente la convinzione che la persona che presenta una qualsiasi difficoltà debba essere considerata nella sua globalità, sfuggendo così (diremmo oggi) al rischio della sua reificazione nella diagnosi (che pure assumeva in quel tempo una notevole rilevanza nello sforzo di comprensione del funzionamento tipico e atipico delle persone, come risulta dal sistematico ricorso alle classificazioni). Uno sguardo a tutto campo, dunque, finalizzato a far emergere la parte funzionale e non solo il deficit e, di conseguenza, a generare un investimento di risorse sull’individuo, come soggettività sociale che deve avere un proprio posto e ruolo, e non sul malato. In tal senso possiamo anche dire che Ferrari (al pari di altri grandi studiosi come Edouard Séguin, ad esempio) ha intuito, con tutti i vincoli e i limiti del tempo, che i/le fanciulli/e idioti/e, deficienti, frenastenici/che dovevano essere riconosciuti/e come soggetti aventi pieno diritto non solo di stare (in qualche modo) in società ma di contribuire alla costruzione della società, anticipando quello che noi oggi chiamiamo progetto individuale e progetto di vita.
Un altro punto di merito, come abbiamo indicato nell’ultimo paragrafo, è il grande rispetto di Ferrari verso gli/le insegnanti, immaginati/e allora — come ci piace immaginati/e e rappresentati/e anche oggigiorno — non come figure tecniche ma nella loro dimensione di studio e di ricerca, ossia come protagonisti/e nel/del processo di sviluppo della conoscenza dei fatti che riguardano l’educativo.
Ci rendiamo conto che è facile, con il senno del poi, attribuire meriti (o demeriti a seconda dei casi) a questo/a o a quello/a studioso/a che ci è particolarmente caro/a (o, di contro, particolarmente sgradito). Ne prendiamo atto e ne siamo consapevoli. Nel caso di Ferrari (come di Tamburini, De Sanctis, Pizzoli, Montessori, ecc.), tuttavia, ci sembra di poter affermare che siamo davvero in presenza di figure di altissimo spessore che hanno contribuito a indirizzare la via italiana all’inclusione di cui siamo oggi eredi, e che dobbiamo nutrire con quello stesso spirito e atteggiamento scientifico, ossia avendo cognizione della nostra storia e una chiara visione di dove vogliamo contribuire a indirizzarla ulteriormente.
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Per approfondire ulteriormente la figura di Giulio Cesare Ferrari si vedano anche:
Babini V.P. (2010), Come nacque la Rivista di psicologia. In G. Ceccarelli (a cura di), La psicologia italiana all’inizio del Novecento. Cento anni dal 1905, Milano, FrancoAngeli.
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Medea E. (1965), Profili di illustri medici amici scomparsi. Giulio Cesare Ferrari, «Archivio di psicologia, neurologia e psichiatria», vol. 26, pp. 335-343.
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Quaranta M. (2006), I mondi di Giulio Cesare Ferrari. Psicologia, psichiatria, filosofia, Padova, Edizioni Sapere.
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Soriano P. (1967) (a cura di) (1967), Gli scritti di Giulio Cesare Ferrari sulla igiene mentale e altri documenti, Milano, Idami.
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1 Università degli Studi Roma Tre.
2 Università degli Studi Roma Tre.
3 Corrado Tumiati (Ferrara, 9 settembre 1885 — Firenze, 16 febbraio 1967) tra le altre cose è stato medico presso il Manicomio di San Servolo e nel 1931 ha vinto il Premio Viareggio con il volume I tetti rossi. Ricordi di manicomio (Milano, Fratelli Treves editori).
4 Per comprendere meglio la stima e il legame tra De Sanctis e Ferrari, basti qui ricordare che nel volume l’Educazione dei deficienti (edito dalla casa editrice Vallardi di Milano nel 1915, ora Pensa Multimedia, 2002), De Sanctis cita per ben 10 volte Ferrari sempre in riferimento ai suoi studi sperimentali e assegnando al collega e amico un ruolo di primo piano quale precursore degli studi scientifici sulla frenastenia. Valga a titolo esemplificativo questo passo: «Il metodo dell’accertamento scientifico dell’anormalità, oggidì più in uso, è quello dei mental tests (in italiano: prove o reattivi mentali) che in Italia fu diffuso per opera di G.C. Ferrari e di U. Pizzoli» (De Sanctis, 2002, p. 100). L’accostamento di Ferrari a Pizzoli non è casuale, come vedremo più avanti.
5 In proposito si veda l’Archivio Storico della Psicologia Italiana, sezione Archivio Giulio Cesare Ferrari, Scritti politici e letterari: https://www.aspi.unimib.it/collections/object/detail/327/ (consultato il 4 agosto 2022).
6 La prima edizione dell’Autobiografia è internazionale, a cura di C. Murchison, e pubblicata con il titolo A history of psychology in autobiography, Worcester, Massachusetts, vol. II, 1932, pp. 63-88. È stata poi tradotta e pubblicata sulla «Rivista di psicologia», vol. 39, 1933, pp. 2-11 e ripubblicata nel 1984, edizione alla quale facciamo qui riferimento.
7 Ci sembra importante, e doveroso, fornire un breve profilo di Emilia Giordani. Nata a Bologna il 20 settembre 1870, dopo gli studi diviene insegnante di storia e geografia. Trasferitasi a Parma con la famiglia e quindi a Firenze, dopo una parentesi a Dresda dove lavora come insegnante di italiano, nel 1898 ufficializza il fidanzamento con Giulio Cesare Ferrari che sposa appunto nel 1901. Diviene una stretta collaboratrice del marito, condividendone l’assistenza dei pazienti e occupandosene anche dopo le dimissioni dal manicomio (ad esempio nella ricerca di un lavoro). Durante la Prima Guerra Mondiale presta servizio nella Croce Rossa come infermiera volontaria. Dopo la scomparsa del marito si è adoperata per conservarne la memoria e custodirne i documenti. È morta il 2 novembre 1954 (fonte: Archivio Storico della Psicologia Italiana: https://www.aspi.unimib.it/collections/entity/detail/85/, consultato il 4 agosto 2022).
8 Si veda https://www.aspi.unimib.it/collections/collection/detail/7/ (ultima consultazione 4 agosto 2022).
9 Ferrari era risultato vincitore anche per la direzione del Manicomio di Macerata ma aveva optato per Imola.
10 Si veda Giulio Cesare Ferrari e il personale dell’Istituto medico-pedagogico emiliano, in «RISME – Ricerca Idee Salute Mentale Emilia-Romagna», http://www.risme.cittametropolitana.bo.it/mente-salute-mentale-percorsi/storia-infanzia-bologna/giulio-cesare-ferrari.html (ultima consultazione 4 agosto 2022).
11 La Relazione di Ferrari del 1903 è presente nell’Archivio Storico della Provincia di Bologna e insieme ad altri documenti ha rappresentato una fonte preziosa sia per il già citato e per noi ineguagliabile lavoro di Valeria Paola Babini (1996) sia per il nostro Una mirabile avventura (2011).
12 Anche questo documento è presente nell’Archivio Storico della Provincia di Bologna e in quella sede è stato da noi consultato e successivamente riprodotto nel nostro Una mirabile avventura (2011).
13 Nello specifico (si veda Babini, 1996, p. 145, nota 71): Folk-lore e pedagogia (pp. 26-31); I giuochi delle bambine deficienti (pp. 99-103); Due bestemmiatrici (pp. 274-278); Deficienti e tardivi (pp. 415-420).
14 Si veda Dal diario personale di Vittorina Lamieri, in «RISME – Ricerca Idee Salute Mentale Emilia-Romagna», http://www.risme.cittametropolitana.bo.it/mente-salute-mentale-percorsi/storia-infanzia-bologna/vittorina-lamieri.html (consultato il 4 agosto 2022).
15 Vittorina Lamieri aveva già diretto da sola la Scuola durante il periodo della Grande Guerra, quando Neyroz era stato richiamato al fronte.
Vol. 21, Issue 3, September 2022