Vol. 21, n. 1, febbraio 2022

PROSPETTIVE E MODELLI ITALIANI

Quando lo spazio include1

Progettare ambienti di apprendimento inclusivi

Francesca Caprino2, Stefania Chipa1, Alessandra Galletti3, Giuseppe Moscato1, Lorenza Orlandini1 e Silvia Panzavolta1

Sommario

Lo spazio scolastico trattato dal punto di vista dell’inclusione in Italia ha una storia collegata quasi esclusivamente alle «barriere architettoniche». Non è sufficiente che un ambiente scolastico sia accessibile e sicuro; la qualità dello spazio ha un impatto sull’apprendimento, sul benessere, sul comportamento. A partire dal 2013, dalle Norme tecniche: Linee guida edilizia scolastica 2013 al Manifesto 1+4 spazi educativi per il nuovo millennio, la ricerca INDIRE sugli ambienti di apprendimento evidenzia quanto lo spazio rivesta un ruolo fondamentale nel creare le condizioni ottimali perché tutti gli studenti, a prescindere dalle loro abilità o eventuali «fragilità», apprendano in modo significativo e profondo. Nel 2019, insieme all’Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana, INDIRE ha avviato il percorso formativo I nuovi spazi educativi in un’ottica inclusiva indirizzato ai docenti curricolari, non solo quelli di sostegno, per sensibilizzarli al tema della progettazione inclusiva. Strumento principale è stato il questionario basato sull’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute) che, mettendo in collegamento spazi e situazioni didattiche, ha consentito ai corsisti di riflettere sulla progettazione di spazi/arredi/allestimenti per facilitare la partecipazione. È emerso un interessante impiego del questionario in senso «orientativo» per situazioni «sufficientemente buone» per tutti, in una logica di Progettazione Universale dell’Apprendimento.

Parole chiave

Spazi di apprendimento, Inclusione, Innovazione educativa, Formazione dei docenti, Ricerca educativa.

ITALIAN MODELS AND PERSPECTIVES

Inclusion through space

Inclusive design of learning environment

Francesca Caprino4, Stefania Chipa1, Alessandra Galletti5, Giuseppe Moscato1, Lorenza Orlandini1 and Silvia Panzavolta1

Abstract

In Italy, inclusive school environments have been almost exclusively linked to the fact of bypassing architectural barriers. However, an accessible, safe environment is not enough. The quality of the space has an impact on learning, well-being, and behavior. Since 2013, with the issue of Technical standards: guidelines for school buildings 2013, and later with the Manifesto 1+4 educational spaces for the new millennium, INDIRE research has highlighted how learning environment plays a crucial role in creating the best conditions for all students, regardless of their «fragility», so that each of them can experience meaningful, deep learning opportunities. In 2019, together with the Regional School Office for Tuscany, INDIRE launched the training course Inclusive learning environments addressing both curricular and special needs teachers, in order to make them aware of the importance of inclusive design of learning environments. One of the course tools — the questionnaire taking into account the ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health) dimensions — allowed teachers to reflect on the importance of the design of spaces/furnishings/education activities in enhancing student participation. The tool was perceived as a sort of «compass point» in designing inclusive environments, in line with the Universal Design for Learning principles.

Keywords

Learning spaces, Inclusion, Educational innovation, Teacher professional development, Educational research.

Introduzione

Il paradigma della salute umana proposto venti anni or sono dall’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute) dell’OMS continua a rappresentare una delle punte più avanzate nelle teorie e nelle pratiche di inclusione sociale delle persone con disabilità. In particolare, l’ICF è riuscito nell’intento programmatico di superare il vecchio costrutto di handicap, rileggendo lo stato di salute di un individuo in relazione al suo rapporto con l’ambiente di appartenenza e al suo grado di partecipazione. La portata del cambiamento culturale, introdotto da questa classificazione, e la sua capacità di superare un modello strettamente medico, sono testimoniate dalla Convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006. Tale documento, che su questo tema costituisce il principale riferimento normativo internazionale, pone l’accento, come l’ICF, sulla necessità di superare un approccio meramente socio-assistenziale per mezzo di politiche inclusive in grado di promuovere la piena fruizione dei diritti su base universale e intervenendo, oltre che sugli individui e sui loro bisogni, anche sugli ambienti in cui essi si trovano a vivere, nelle loro dimensioni fisiche e sociali.

Gli orientamenti della scuola italiana, pur in maniera non sempre omogenea, hanno in questi anni recepito il messaggio dell’ICF come attestato dalla legislazione sui bisogni educativi speciali6 e dalla recente introduzione dei criteri bio-psico-sociali di questo sistema classificatorio come strumento per la stesura del Piano Educativo Individualizzato (PEI).7 Una scelta, questa, che permette di cogliere con maggiore puntualità bisogni e capacità (attuali o emergenti, nell’ottica vygotskijana della «zona di sviluppo prossimale») degli alunni con disabilità, di mettere in atto strategie educative e didattiche rivolte ai singoli soggetti e predisporre misure finalizzate alla rimozione di barriere e all’introduzione di elementi di facilitazione negli ambienti di apprendimento (Lascioli e Pasqualotto, 2019). Sebbene nella normativa, come nella vasta produzione documentale del MIUR dedicata all’area dei Bisogni Educativi Speciali, i riferimenti all’ICF siano prevalentemente incentrati su aspetti di natura didattica e organizzativo-gestionale, non mancano alcuni spunti riferiti a fattori ambientali spesso non sufficientemente considerati come gli spazi scolastici, letti nel loro ruolo di facilitatori dei processi di apprendimento. Testimonia questo orientamento un recente documento8 dove si afferma che «In una scuola inclusiva i tempi, gli spazi e l’organizzazione assumono una dimensione strategica, di rilevanza pedagogica, utile al successo formativo di tutti e di ciascuno. L’accessibilità, in quest’ottica, è una condizione necessaria ma non sufficiente. Scuole, accoglienti e aperte alla comunità, dotate di ambienti flessibili e laboratoriali, che valorizzano aree all’aperto e spazi comuni, innovative e tecnologiche, stimolano la collaborazione e favoriscono il benessere individuale e organizzativo, il senso di appartenenza e l’inclusione di tutti».

Gli spazi di apprendimento innovativi e la ricerca INDIRE

Il percorso di ricerca di INDIRE sugli spazi di apprendimento nasce dal bisogno di allineare la scuola all’insieme di esigenze che descrivono una società fluida e in continua trasformazione. In relazione a ciò, pensare a una scuola strutturata per ambienti distinti, nettamente separati, fissi e immutabili è un’impostazione da superare proprio per connettere l’esperienza scolastica alle necessità delle nuove generazioni di studenti, cittadini e futuri lavoratori.

Questa visione, che nasce da un confronto a livello nazionale e internazionale, si concretizza nel Manifesto 1+4 spazi educativi per il nuovo millennio (INDIRE, 2016).9 Il Manifesto (figura 1) descrive un’idea di scuola come ambiente di apprendimento integrato composto di tanti micro ambienti connessi, pensati e progettati per scopi diversificati e in relazione alle necessità che emergono nei differenti gruppi di apprendimento.

Figura 1

Manifesto 1+4 spazi educativi per il nuovo millennio.

Lo spazio di gruppo (individuato con il numero «1») è un ambiente di apprendimento polifunzionale in cui il gruppo-classe si ritrova e svolge le attività didattiche. Rappresenta il superamento del concetto di aula tradizionale ed è collegato agli altri spazi presenti all’interno della scuola. L’Agorà, lo spazio informale, l’area individuale e l’area per l’esplorazione sono gli altri «4» spazi della scuola, complementari ma con funzioni differenti in relazione alle progettazioni didattiche, comunque connessi agli ambienti della didattica quotidiana.

Il tema dello spazio scolastico, trattato dal punto di vista dell’inclusione, in Italia ha una storia collegata quasi esclusivamente alla questione delle «barriere architettoniche». Questo vuol dire che il rapporto tra lo spazio e la disabilità, per moltissimo tempo, è stato percepito e vissuto in relazione alle difficoltà di tipo motorio. Infatti, la grande maggioranza degli edifici scolastici o complessi edilizi «prestati» alla scuola (la maggior parte delle scuole italiane risiedono appunto in edifici che se non sono obsoleti sono ex conventi del Seicento oppure collocati in edifici che ospitano appartamenti civili), risalgono a periodi precedenti gli anni Settanta, in cui l’ancora non superata barriera architettonica andava di pari passo con un approccio didattico particolarmente specifico: la scuola speciale da un lato e la scuola di tutti gli altri dall’altro. Con il Decreto Ministeriale 18 dicembre 1975, la scuola vive un momento di sviluppo e di innovazione;10 tuttavia, questa azione legislativa resta in sostanza l’ultimo provvedimento applicativo, anche per ciò che riguarda la costruzione di nuovi edifici scolastici. Per giungere a una riflessione in grado di restituire allo spazio un ruolo educativo, dobbiamo aspettare il 2013, quando al tavolo del MIUR viene chiamato INDIRE a scrivere le Norme tecniche: Linee guida edilizia scolastica 2013 che, pur non avendo alcun peso legislativo, segnano l’inizio di un dibattito e di un ripensamento dei concetti sull’innovazione scolastica nel quale l’ambiente assume il ruolo del terzo educatore (Edwards, Gandini e Forman, 1998). Prosegue così per INDIRE un percorso di ricerca che viene sintetizzato con il Manifesto 1+4 Spazi Educativi. Già in questa prima versione del Manifesto, i cui principi sono ampiamente sviluppati nel volume Fare didattica in spazi flessibili, dove «il concetto di diversità in ogni sua accezione richiede un ambiente sicuro e arricchente, che rifletta le differenze individuali di ogni studente nei bisogni formativi e nelle altre situazioni educative», diventa necessario uno studio dedicato che guarda con attenzione ai ragazzi che per diverse ragioni hanno bisogno di un modello pedagogico in grado di includerli all’interno delle dinamiche di apprendimento di gruppo. Oltre a una serie di riferimenti teorici, il gruppo di ricerca ha elaborato due studi di caso, il primo all’Istituto Pavoniano Artigianelli per le Arti Grafiche di Trento e il Secondo in una scuola primaria di Stans (CH) dai quali si deduce quanto l’organizzazione dello spazio abbia un ruolo fondamentale per favorire processi didattici basati su principi inclusivi.

Il valore inclusivo degli spazi di apprendimento

Per garantire a tutti il diritto allo studio non è possibile prescindere dal considerare la dimensione dell’accessibilità degli edifici scolastici (Booth e Ainscow, 2014), provvedendo, così come stabilito dalla normativa, al superamento e all’eliminazione delle barriere architettoniche, ovvero: di tutti gli elementi strutturali che ostacolano o impediscono gli spostamenti e l’uso autonomo e sicuro di servizi. Si tratta di un problema ancora non del tutto risolto: secondo un recente rapporto sulla scuola del primo ciclo11 nel 20% degli istituti sono necessari dei lavori per l’adeguamento dei plessi.

Il rispetto degli adempimenti di legge in materia di accessibilità, tuttavia, pur rappresentando un obiettivo prioritario, non assicura una fruizione ottimale degli spazi né rende di per sé lo spazio un ambiente di apprendimento inclusivo (Weyland e Galletti, 2018).

La presenza di disabilità diverse da quelle motorie o sensoriali (le uniche prese in considerazione dalle leggi italiane) o di bisogni non riconducibili a condizioni di disabilità specifiche, la possibilità che alcune soluzioni possano rivelarsi onerose, poco funzionali o persino stigmatizzanti per chi le utilizza, sono limiti del tradizionale costrutto di accessibilità che hanno portato a una riflessione più matura su questo tema. È su questo filone che si innesta l’Universal Design (Mace, 1985; Mcguire, Scott e Shaw, 2006), una metodologia progettuale che mira allo sviluppo di prodotti, servizi e ambienti inclusivi e utilizzabili da tutti.

L’Universal Design (UD) amplia il tradizionale concetto di accessibilità, integrandolo con quello di fruibilità, un costrutto che enfatizza la dimensione della partecipazione e che non fa riferimento a una popolazione specifica ma all’insieme allargato dei potenziali utilizzatori. Facilità, equità e flessibilità d’uso, contenimento dello sforzo fisico e dei rischi, tolleranza dell’errore, misure e spazi per l’avvicinamento e l’uso, sono alcuni dei principi che dovrebbero guidare la progettazione, evitando la standardizzazione (che risulta essere per molti una barriera) così come le soluzioni iper-specialistiche, parziali, costose e non sempre efficaci.

Questo approccio, che individua come focus della progettazione la diversità umana (Sandri e Marcarini, 2019) trova un riscontro, soprattutto in ambito anglosassone, in alcuni documenti e raccomandazioni istituzionali. Nel Regno Unito sono state pubblicate delle linee guida per la progettazione per bambini con disabilità e bisogni educativi speciali (Department for Children, Schools and Families, 2014) che contengono numerosi riferimenti al design inclusivo; l’irlandese Center for Excellence in Universal Design, gestito dall’Autorità Nazionale per la Disabilità, ha realizzato dei quaderni che forniscono dettagliate informazioni sulla progettazione, la costruzione e la gestione di spazi e edifici scolastici e non (Center for Excellence in Universal Design, 2012); Il Ministero dell’Educazione dell’Australia meridionale ha condotto una ricerca sull’impatto della qualità degli spazi delle scuole e dei servizi per la prima infanzia e sul grado di partecipazione e inclusione di bambini e ragazzi con disabilità, analizzando i potenziali benefici dell’Universal Design (South Australian Minister for Education and Child Development, 2016).

Dall’Universal Design all’Universal Design for Learning

Ispirandosi all’Universal Design, il CAST (Centre for Applied Special Technology), istituto statunitense che si occupa di didattica inclusiva, ha ulteriormente sviluppato il concetto di fruibilità, andando oltre alla sola accezione fisica dello spazio e allargando, invece, lo sguardo all’intera esperienza di apprendimento. Da qui l’elaborazione del framework dell’UDL, Universal design for Learning, che prevede di fornire agli studenti molteplici possibilità di accedere, in senso lato, alle opportunità formative a scuola. Il paradigma, basandosi su recenti studi in ambito neuroscientifico e di matrice cognitivista, ha individuato tre aree, interconnesse e speculari a reti neurali, che sono associabili a determinati processi di pensiero, e che sono implicati nei processi di apprendimento, ossia il «cosa», il «come» e il «perché» dell’apprendimento.

La prima area è più vicina agli aspetti rappresentazionali e comunicativi, la seconda agli aspetti emotivo-affettivi e la terza agli aspetti sociali e motivazionali.

Da questa tripartizione parte, dunque, la schematizzazione per una didattica universale, secondo CAST (2011), che possa «parlare» a tutti i soggetti in modo da valorizzare le differenze, rispettare le tipicità e consentire a ciascuno di esprimersi al meglio.

Tra i tre principi che UDL (o PUA, Progettazione Universale dell’Apprendimento, in italiano) promuove, ossia «fornire opportunità molteplici di rappresentazione, espressione/azione e coinvolgimento», possiamo notare come le situazioni didattiche (elemento preso in considerazione anche dai ricercatori INDIRE in relazione agli spazi inclusivi) siano in linea con i principi di verifica dell’UDL, che suggerisce di fornire modalità molteplici per suscitare interesse negli studenti (come gruppi di studio, discussioni collettive, attività laboratoriali, peer education, ecc.), per sostenere lo sforzo e la perseveranza nello studio (come apprendimento cooperativo, peer education, metodo ludico) e per l’autoregolazione nel proprio percorso di apprendimento (come il mentoring).

L’attività di ricerca che INDIRE ha condotto in questi anni sul tema degli ambienti di apprendimento evidenzia quanto lo spazio rivesta un ruolo fondamentale nel determinare il «come si apprende» e nel creare quelle condizioni ottimali perché per tutti gli studenti l’apprendimento sia significativo (Atkin, 2011), profondo (Fullan, Quinn e McEachen, 2018) e orientato a una didattica student-centered (Crumly, Dietz e D’Angelo, 2014).

Il modo in cui sono strutturati gli spazi e sono disposti arredi, materiali e tecnologie è considerato affordance (Gibson, 1979) in grado di determinare i significati dell’esperienza di apprendimento (Young, Cleveland e Imms, 2020). Un ambiente scolastico pensato sulla base di valori funzionali e simbolici (INDIRE, 2016) garantisce che ciascuno studente possa rintracciare in esso i linguaggi più funzionali ai propri bisogni e ai propri stili di apprendimento (Edwards, Gandini e Forman, 1998). Consente ai docenti di strutturare attività didattiche personalizzate che nell’equilibrio fra momenti individuali, informali, di gruppo, esplorativi, di incontro con la comunità, siano in grado di offrire una proposta educativa per tutti e per ciascuno.

Dal punto di vista funzionale non è sufficiente che un ambiente scolastico sia sicuro e accessibile; anche la qualità dello spazio ha un impatto diretto sul benessere, sul comportamento e sull’apprendimento. Un ambiente rumoroso, troppo affollato, non confortevole dal punto di vista della luce o della temperatura può influire sui livelli di stress e disattenzione degli studenti, togliendo ulteriori opportunità a coloro che hanno necessità di essere maggiormente supportati nell’apprendimento o nel comportamento.

Ai fini dell’inclusione gioca una grande importanza anche la relazione tra spazi interni ed esterni della scuola. La possibilità per gli studenti di avere un accesso diretto alla natura, sia tramite l’inserimento di elementi verdi all’interno degli ambienti in una prospettiva biofilica (Kellert, Heerwagen e Mador, 2008), ma anche grazie alla possibilità di svolgere attività didattiche nel giardino o nel cortile viene collegato al benessere psico-fisico (Mitchell e Popham, 2008; Moore e Cosco, 2014), alla riduzione dello stress (Ulrich, 1992) e al miglioramento delle capacità cognitive e delle performance (Kaplan, 1996).

Il Manifesto 1+4 e i principi per la progettazione di uno spazio inclusivo

Con il Manifesto 1+4 spazi educativi, INDIRE ha voluto aprire una riflessione sull’importanza degli spazi educativi che sommati insieme costituiscono quel contesto multidimensionale nel quale è immerso ogni studente. Tra i principi guida che definiscono un approccio che mette insieme i tre assi benessere, spazi e pedagogia risulta evidente come la diversità non sia composta solo dall’eterogeneità delle persone, ma anche dagli spazi, dalle risorse, dalle metodologie e dai contesti presenti nell’ambiente educativo. Se ognuno è diverso dall’altro, al modello della classe standardizzata (docente al centro e studenti allineati sui banchi) si contrappone uno spazio diversificato, organizzato secondo le esigenze didattiche e secondo quelle psicologiche e sociali dei soggetti che abitano la scuola. Ma esistono alcuni anelli deboli che tracciano delle forti linee di demarcazione tra gli studenti che viaggiano a velocità diverse con impatti emotivi altrettanto diversi. L’aggettivo che più ci piace usare nei confronti di queste persone è «fragile», come ricordano le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione quando si dice che «la piena attuazione del riconoscimento e della garanzia della libertà e dell’uguaglianza (articoli 2 e 3 della Costituzione), nel rispetto delle differenze di tutti e dell’identità di ciascuno, richiede oggi, in modo ancor più attento e mirato, l’impegno dei docenti e di tutti gli operatori della scuola, con particolare attenzione alle disabilità e a ogni fragilità…» (p. 15). Per compiere questo passaggio riteniamo che sia necessario intervenire anche sugli spazi poiché anch’essi determinanti per lo sviluppo cognitivo. Da questo momento in poi introdurremo il termine «inclusione» e la combinazione sintattica «Spazio inclusivo».

Da alcuni studi di caso realizzati dal gruppo di ricerca emerge un significativo recupero della dimensione dell’autostima e una reale crescita sul piano delle competenze che permette all’allievo di essere parte attiva nella piccola, come nella grande comunità. L’esperienza ci racconta che sia l’alunno straniero che lo studente con disabilità cognitiva vivono l’inclusione quasi esclusivamente in aula, attraverso un rapporto specifico: «Lo spazio diventa, così, fattore di inclusione, in quanto, in base al suo livello di accessibilità, può includere o escludere i disabili: attraverso alcune caratteristiche spaziali, quali la presenza di barriere fisiche o alcuni tipi di architetture, la società consolida l’esclusione di una categoria di persone. Per evitare che esso diventi fonte di discriminazione è necessario intervenire sulla sua progettazione e sulle relazioni di potere che da esso scaturiscono, perché essendo la società a rendere disabile è essa che deve adattarsi alle persone e non il contrario» (Lettieri, 2013, p. 135).

In sintesi, il Manifesto 1+4 spazi educativi cerca di rappresentare il rapporto tra spazio e apprendimento attraverso un modello di scuola che contempla un linguaggio nuovo. La scuola non è più la classe e la frequentazione saltuaria del singolo laboratorio disciplinare: è la quotidianità nello spazio di gruppo, nello spazio esplorazione, in quello informale e individuale, nell’Agorà. Ma cerchiamo di mettere in evidenza alcuni aspetti e svilupparli con attenzione per renderli operativi.

Valore inclusivo dello spazio di gruppo: un ambiente progettato per garantire un’illuminazione ottimale sia naturale che artificiale, un adeguato comfort acustico; un ambiente in grado di dare informazioni e riferimenti sulle molteplici attività previste, strutturato per permettere a tutti di partecipare e con la possibilità di creare piccole zone (es. pannelli mobili/paraventi, ecc.) per il lavoro di gruppo cooperativo.

Valore inclusivo dello spazio individuale: si intende uno spazio organizzato per facilitare processi di autonomia, appropriazione, gestione dei tempi di attenzione e concentrazione in grado anche di mitigare l’eventuale iperstimolazione sensoriale.

Valore inclusivo dell’Agorà: prevede uno spazio accogliente e confortevole nel quale tutti i valori identitari sono rappresentati: un luogo accessibile, dotato di un sistema di informazione segnaletica in grado di facilitare l’appropriazione e l’orientamento autonomo nello spazio.

Valore inclusivo dello spazio informale: è un luogo facilmente raggiungibile, riconoscibile e autoesplicativo, che invita all’utilizzo autonomo, al riposo, all’incontro, alla comunicazione libera e finalizzato al benessere. Sono presenti supporti di tipo grafico e ludico, ausili digitali e analogici (comunicatori, strumenti musicali, fogli per disegnare, ecc.) per facilitare l’espressione e lo scambio dell’esperienza personale.

Valore inclusivo dello spazio esplorazione: presenza nell’ambiente di strumenti, facilitatori e soluzioni atte a favorire l’approccio autonomo all’utilizzo delle tecnologie (non solo digitali), al movimento nello spazio e all’orientamento, in grado di permettere a chiunque di far emergere i propri talenti e di vivere appieno l’esperienza didattica.

Figura 2

Scuola Turmatt, Stans (CH).

Figura 3

Scuola Kalatasama, Helsinki (Finlandia).

Figura 4

Scuola Primaria Sandro Pertini, Calcinaia (PI).

Figura 5

Scuola primaria San Filippo, Città di Castello (PG).

Figura 6

Istituto Grafico Pavoniano Artigianelli (TN).

Un primo confronto sul campo: l’esperienza del corso Spazi e inclusione con l’USR Toscana

Nel corso del 2019, il gruppo di ricerca INDIRE sulle architetture scolastiche ha avviato con l’Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana una collaborazione per la realizzazione di un percorso di formazione sulla progettazione e ripensamento degli spazi scolastici in ottica inclusiva.

I nuovi spazi educativi in un’ottica inclusiva, pensato poco prima della pandemia da Covid-19 per essere svolto in modalità blended, ha dovuto velocemente riconfigurarsi per una fruizione interamente online.

A ottobre 2020 sono state avviate le attività formative destinate a 25 docenti delle scuole di ogni ordine e grado di ciascuna provincia della Toscana. Rispetto all’impianto originario, il totale ricorso alla formazione a distanza ha richiesto alcuni adattamenti per quanto riguarda gli strumenti progettati per il supporto ai corsisti, con l’obiettivo di mantenere saldi gli obiettivi formativi e non perdere le attività di confronto e scambio fra pari previste originariamente.

Centrale è rimasto il riferimento a tre elementi chiave del percorso blended inizialmente progettato: lo sfondo culturale costituito dal Manifesto 1+4 spazi inclusivi, il questionario ICF, l’impostazione laboratoriale. Quest’ultima è stata pensata per accompagnare gradualmente i corsisti nella progettazione di un percorso didattico (project work) realizzabile all’interno della propria scuola, sia in contesto pandemico che in situazione precedente.

Dopo un’iniziale introduzione al tema degli ambienti di apprendimento innovativi a cura di INDIRE, le attività si sono configurate come momenti di progettazione in piccoli gruppi, ognuno accompagnato da due ricercatori-tutor. Il questionario per l’autoanalisi messo a disposizione da INDIRE e basato su ICF ha consentito a ciascun corsista di analizzare il proprio contesto di appartenenza; sulla base di questa analisi, confluita nel documento «analisi del caso», i partecipanti, da soli o in piccoli gruppi afferenti alla stessa scuola, hanno progettato gli spazi educativi nell’ottica dell’inclusione. In molti casi, il punto di partenza è stata la destinazione e riconfigurazione dell’aula di sostegno che, in molte progettazioni, è diventata un’aula multisensoriale a disposizione di tutti gli studenti per attività didattiche a piccoli gruppi.

Ogni project work ha avuto cura di considerare gli ambienti di apprendimento come «terzi educatori» a sostegno di una didattica inclusiva, in grado di tenere insieme la molteplicità degli stili di apprendimento (Gentili, 2011) e delle abilità socio-culturali (Ianes e Cramerotti, 2015).

Gli incontri online hanno avuto come obiettivo l’avvio di una riflessione sul valore simbolico, funzionale e inclusivo degli ambienti oggetto del ripensamento all’interno del percorso di formazione.

Gli strumenti del corso

L’esperienza formativa offerta agli insegnanti è stata effettuata interamente online, con l’obiettivo tuttavia di superare le distanze imposte dallo schermo con continui riscontri operativi; pertanto, le attività proposte agli insegnanti sono state di tipo prettamente interattivo. Con questo scopo, sono stati forniti ai partecipanti dei documenti, opportunamente presentati, utili a elaborare soluzioni pratiche progettuali degli spazi scolastici, con il fine di aumentare l’inclusività della propria offerta didattica.

Come prima esercitazione è stata richiesta la compilazione di una survey basata sulla Classificazione ICF e la descrizione del livello di abilità nello svolgimento di azioni del proprio contesto analizzato per ognuno dei Domini di Attività e Partecipazione dell’ICF (Ianes et al., 2011), ottenendo come risultato la quantificazione delle percentuali di compatibilità con determinate situazioni didattiche, stazioni (Demo, 2016) e contesti educativi formati da configurazioni spaziali e attività didattiche correlate (Biondi, Borri e Tosi, 2016).12 Il questionario è stato progettato per permettere più compilazioni, consentendo di tenere in considerazione il singolo alunno o l’intero gruppo classe; alcuni partecipanti hanno, infatti, riportato di avere proceduto con più compilazioni, partendo da analisi fatte con i colleghi durante il consiglio di classe, mentre altri hanno ritenuto più opportuno confrontare i risultati ottenuti con i colleghi.

Per consentire una flessibilità di utilizzo e facilitare la compilazione, è stata scelta una piattaforma online che potesse riassumere le informazioni in poche schermate, facendo esempi concreti, raggruppando nella stessa pagina le domande riguardanti lo stesso Dominio di Attività e Partecipazione dell’ICF.

Nella schermata di riepilogo è stato inserito un diagramma di Kiviat (grafico radar o ragnatela), con rappresentati graficamente i punteggi medi delle risposte (figura 7): le situazioni didattiche con punteggio compreso tra -1 e 0 significano una relazione svantaggiosa con la descrizione delle performance immesse (con presenza di probabili barriere alla partecipazione), invece le situazioni didattiche con punteggio compreso tra 0 e +1 indicano una relazione vantaggiosa (e rappresentano i setting probabilmente più compatibili con le descrizioni effettuate).

Con i risultati ottenuti è stato chiesto di compilare un secondo documento, contenente il format della presentazione del caso, in cui si è chiesto di descrivere il proprio contesto classe con le caratteristiche degli alunni e attraverso il quale i partecipanti hanno imbastito una ipotesi di progettazione. Successivamente, mediante un workshop online, è stato organizzato un momento di confronto in piccolo gruppo con formatori e colleghi: le riflessioni di gruppo effettuate con altri insegnanti e i suggerimenti progettuali sullo spazio, ricevuti dai formatori, sono serviti alla compilazione del project work quale ultima restituzione del corsista, ossia una serie di modifiche da apportare al proprio ambiente, inserendo nuovi arredi e attività correlate (figure 8.1 e 8.2), con il fine di rendere lo spazio facilitatore e più compatibile con le necessità del gruppo classe, aumentando la partecipazione di tutti gli studenti.

Primi esiti e riflessioni

Il percorso di formazione denominato I nuovi spazi educativi in un’ottica inclusiva ha visto un’ampia partecipazione di docenti toscani appartenenti a tutte le province (figura 9): tra le 10 province, Lucca e Pisa sono quelle maggiormente presenti mentre Prato è stata quella con un minor numero di docenti iscritti.

L’invito dell’Ufficio scolastico regionale era indirizzato a tutti i docenti della regione, sia ai docenti di sostegno che ai docenti curricolari, senza distinzione alcuna. Un impianto formativo su un tema che non può essere certo colto come appannaggio di un docente isolato, al di fuori di una logica organizzativa e di sistema. Considerando gli aderenti, il trend è stato in linea con la numerosità della popolazione scolastica: in misura maggiore era presente il primo ciclo. Nel dettaglio, la distribuzione è stata la seguente: i docenti della scuola dell’infanzia erano il 10,6% del totale, quelli della scuola primaria erano la maggioranza, ossia il 42,6%, quelli della scuola secondaria di primo grado rappresentavano il 23,4% mentre il restante 27% erano i docenti provenienti dalla scuola secondaria di secondo grado.

Un dato interessante è stato quello della partecipazione ampia dei docenti al corso, che aveva come tema quello del valore inclusivo dello spazio: i docenti che hanno aderito, infatti, erano sì docenti di sostegno ma perlopiù docenti curricolari, in linea con la presentazione della cornice pedagogica del percorso formativo, che vede, appunto, lo spazio come un elemento centrale nel discorso pedagogico della comunità educante. Nel grafico riportato in figura 10 possiamo osservare nel dettaglio le modalità di adesione e partecipazione al corso: nella maggioranza dei casi (44,7%) il corso è stato seguito da un sottoinsieme di docenti provenienti dallo stesso Consiglio di Classe (CdC), composto nello specifico dal docente di sostegno e da uno dei docenti curricolari; come seconda composizione più frequente (19,1%) troviamo addirittura un gruppo variegato di colleghi, con docenti provenienti dall’intero Collegio; come terza opzione più ricorrente, inoltre, troviamo, con il 17%, l’adesione del docente curricolare mentre la frequenza del solo docente di sostegno, pari al 12,8%, si trova al quarto posto dei comportamenti più frequenti. La scelta meno presente, comprensibilmente, è quella della frequenza al corso dell’intero Consiglio di Classe (6,4%), oggettivamente un evento abbastanza raro nelle occasioni formative. Un commitment ampio e condiviso, quindi, e per certi versi anche un po’ inatteso, che fa ben sperare rispetto alla sensibilità dei docenti e delle scuole verso il tema dello spazio inclusivo.

Figura 7

Estratto del project work della corsista V.P. del questionario online ICF, anteprima di grafico, riflessioni e analisi delle necessità e relative scelte preliminari.

Figura 8.1

Estratto del project work della corsista V.P., con indicazioni progettuali sullo spazio individuato per l’esercitazione.

Figura 8.2

Estratto del project work della corsista V.P. con indicazioni progettuali sulle attività didattiche correlate all’utilizzo dello spazio progettato.

Figura 9

Provenienza dei partecipanti al corso.

Figura 10

Percentuale di partecipazione dei docenti toscani.

Interessante rilevare il destinatario delle progettazioni didattiche in spazi inclusivi, che poteva riguardare soggetti diversi. Anche in questo caso, le percentuali rispetto alle scelte operate sono molto interessanti: il 70% dei docenti partecipanti ha progettato avendo in mente come destinatario dell’intervento l’intera classe e c’è poi una parte (pari al 15%) che ha avuto uno sguardo ancora più sistemico, ponendo al centro lo spazio dell’intera comunità scolastica, immaginando di ripensare spazi di connessione o aree comuni. Come destinatari dell’intervento di ripensamento dello spazio, notiamo che la maggior parte dei docenti ha immaginato spazi inclusivi per tutti gli studenti e solo il 17% dei corsisti ha fatto riferimento a un alunno disabile o BES come beneficiario unico dell’intervento.

Se andiamo poi a vedere a quali problemi i docenti hanno cercato di rispondere con i loro interventi di progettazione innovativa troviamo altre interessanti evidenze: circa un terzo (32%) dei docenti ha attenzionato difficoltà di tipo emotivo e relazionale, il 27% ha considerato difficoltà di tipo comportamentale, il 23% ha invece pensato agli alunni con DSA e il 21% ha guardato disturbi di tipo linguistico e comunicativo.

Attraverso il Questionario ICF si è poi potuto monitorare quali situazioni didattiche siano state le più suggerite. Indipendentemente dal tipo di problematica che il docente o i docenti avevano in mente, sono emerse delle attività e delle configurazioni preferibili nella quasi totalità dei casi: infatti, rispettivamente nel 96% e nel 95% delle compilazioni con lo strumento Questionario messo a punto dai ricercatori INDIRE, le situazione didattiche suggerite come le più adeguate sono state il lavoro in piccolo gruppo e il tutoraggio tra pari (peer tutoring); a seguire, il mentoring (ossia la facilitazione da parte di un adulto, docente o educatore) e l’approccio ludico, con una ricorrenza dell’85%. Tutte le situazioni didattiche previste sono presenti in letteratura (Demo, 2015) come quelle maggiormente efficaci a garantire una condizione inclusiva nel processo di apprendimento. Quello che è emerso anche, come tendenza d’uso dello strumento, è un suo impiego in senso «orientativo» per situazioni «sufficientemente buone» per tutti, in una logica di Progettazione Universale dell’Apprendimento (PUA o UDL, in inglese).

Rispetto agli spazi fisici considerati, troviamo interventi progettati su ambienti il cui uso è previsto da parte dell’intera comunità scolastica (es. aree esterne, cortili e giardini, aree comuni come palestre o mediateche/biblioteche) più che sulla singola aula. Diversi i progetti che hanno riguardato spazi non utilizzati o mal utilizzati, in uno sforzo di razionalizzazione e valorizzazione degli ambienti impiegati per altre finalità. Degno di nota è il ripensamento che molti docenti hanno fatto rispetto all’aula di sostegno. Diversi docenti hanno cercato di rivisitare l’aula di sostegno per trasformarla in una zona dedicata allo studio individuale o al tempo dell’apprendimento informale, in linea con il Manifesto 1+4 spazi educativi presentato sopra. Anche questo un segnale interessante di come uno spazio, prima di integrazione (ma anche di segregazione, secondo l’approccio dell’UD), viene convertito a un uso per tutti, rispettando tempi e modalità di apprendimento differenziati.

Dall’analisi delle progettazioni emerge poi una gradualità negli interventi pensati e previsti per il prossimo futuro: i docenti hanno in maniera maggiore (66%) pensato di modificare il setting e gli arredi; nella stessa percentuale (66%) si sono spinti a immaginare una nuova configurazione per gli spazi esistenti (sia indoor che outdoor) ma senza intervenire sulle parti in muratura o sulle strutture portanti. Solo il 17% dei docenti ha previsto di intervenire con lavori che interessano massicciamente le strutture: tutto sommato, una percentuale non irrilevante se si tiene in considerazione il periodo e l’impatto dell’intervento che risulterebbe sicuramente costoso in termini di risorse economiche, professionali e di tempo.

Durante l’incontro conclusivo, che si è tenuto online in modalità sincrona, è stato chiesto ai docenti partecipanti di fare un semplice ma interessante esercizio metacognitivo, denominato Thinking Routine (Ritchhart, Church e Morrison, 2011), usando una bacheca virtuale dove ciascuno poteva inserire le proprie riflessioni. La richiesta che è stata fatta era quella di scrivere una frase con il seguente prompt «Prima pensavo… e ora penso…» cosicché si potesse cogliere lo spostamento del loro atteggiamento rispetto al tema dello spazio inclusivo. In figura 11 uno dei pannelli con i pensieri dei docenti.

Figura 11

Pannello relativo alla Routine «Prima pensavo… ora penso…».

Colpiscono considerazioni come: «Prima pensavo che avere una scuola inclusiva fosse un’utopia, soprattutto in un istituto datato come il mio. Ora penso che sono le insegnanti a rendere inclusivi gli spazi a disposizione»; oppure: «La scuola deve essere inclusiva e deve valorizzare la diversità, ora penso che la ristrutturazione degli ambienti aiuti a questo scopo»; e ancora: «Ora penso ancora di più che uno spazio pensato per il benessere dei ragazzi possa davvero farli crescere come attori e non solo fruitori», che denotano una nuova sensibilità verso l’importanza dello spazio come elemento di inclusione, partecipazione e facilitazione del processo di apprendimento.

Considerato il periodo in cui il corso si è svolto, ossia in piena pandemia da Covid-19 dove forti sono le misure di contenimento e di distanziamento sociale, riteniamo che i lavori e le testimonianze dei docenti siano una base importante per riprendere in mano, una volta che la pandemia sarà arginata, l’impegno sul ripensamento di spazi e arredi in chiave inclusiva.

Conclusione e prospettive di ricerca

Se da una parte si assiste a una progressiva consapevolezza del valore innovativo e inclusivo dello spazio di apprendimento, così come pure sottolineato dalle recenti scelte ministeriali di adottare l’ICF come elemento per la realizzazione del PEI, rimane tuttavia abbastanza sotto traccia lo sforzo per una progettazione di spazi/arredi/allestimenti in grado di facilitare la partecipazione alle attività scolastiche di tutti i soggetti, a prescindere dalle loro «fragilità» e, anzi, cogliendo nella differenza quel valore di arricchimento che è noto agli ambienti naturali, ma spesso dimenticato negli spazi antropizzati.

La ricerca INDIRE sugli spazi innovativi e sul loro valore simbolico e funzionale, che ha portato dal 2016 alla scrittura, prima del Manifesto 1+4 spazi educativi e poi alla pubblicazione di diversi contributi, si sta focalizzando adesso sull’importanza della progettazione inclusiva, sia degli spazi che delle situazioni didattiche che in essi vengono calati, anche a partire dai framework internazionali dell’Universal Design e dell’Universal Design for Learning.

Dopo una ricognizione in letteratura sul tema del rapporto tra spazi di apprendimento e inclusione, il lavoro del gruppo di ricerca Spazi inclusivi ha potuto confrontarsi con un primo bacino di sperimentazione sul campo, grazie alla collaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale della Toscana. Il progetto di formazione, destinato a circa 200 docenti di tutte le province della Regione, ha potuto fornire, almeno sul piano progettuale, un primo importante riscontro. Le prospettive di sviluppo del lavoro sono adesso due: la prima si traduce nella raccolta, sul campo, di studi di caso di implementazione dei principi inclusivi applicati allo spazio, con l’interesse a osservare, documentare e diffondere possibili realizzazioni e buone pratiche differenziate sia per contesto geografico che per ordine scolare; la seconda, invece, guarda alla possibilità di espansione della progettualità di spazi inclusivi anche in outdoor, area che le limitazioni imposte come misure preventive alla diffusione della pandemia da Covid-19 hanno fortemente rivalutato.

Considerato che la ricerca è appena iniziata, i risultati raggiunti finora ci sembrano particolarmente incoraggianti.

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1 Francesca Caprino è autrice dei paragrafi «Introduzione» e «Il valore inclusivo degli spazi di apprendimento»; Lorenza Orlandini è autrice del paragrafo «Gli spazi di apprendimento innovativi e la ricerca INDIRE»; Stefania Chipa è autrice dei paragrafi «Dall’Universal Design all’Universal Design for Learning» e «Un primo confronto sul campo: l’esperienza del corso Spazi e inclusione con l’USR Toscana»; Giuseppe Moscato e Alessandra Galletti sono autori dei paragrafi «Il Manifesto 1+4 e i principi per la progettazione di uno spazio inclusivo» e «Gli strumenti del corso»; Silvia Panzavolta è autrice dei paragrafi «Primi esiti e riflessioni» e «Conclusione e prospettive di ricerca».

2 INDIRE.

3 Libera Università di Bolzano.

4 INDIRE.

5 Libera Università di Bolzano.

6 Si veda la Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012, «Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica».

7 Decreto interministeriale del 29 dicembre 2020, n. 182.

8 Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione (2018), L’autonomia scolastica per il successo formativo, https://www.istruzioneer.gov.it/wp-content/uploads/2018/09/lautonomia-scolastica-per-il-successo-formativo.pdf (consultato il 30 giugno 2021).

9 Per approfondimenti, si veda https://www.indire.it/wp-content/uploads/2016/03/ARC-1603-Manifesto-Italiano_LOW.pdf (consultato il 31 gennaio 2022).

10 Decreto Ministeriale 18 dicembre 1975: «L’edificio scolastico deve essere tale da assicurare una sua utilizzazione anche da parte degli alunni in stato di minorazione fisica. A tale scopo saranno da osservarsi le norme emanate dal Servizio tecnico centrale del Ministero dei lavori pubblici, contenute nella circolare n. 4809 del 19 giugno 1968 (1), con gli adattamenti imposti dal particolare tipo di edificio cui le presenti norme si riferiscono, e indicati nei capitoli che seguono, relativamente agli spazi per la distribuzione (3.8.2.) e per i servizi igienico-sanitari (3.9.2.) (1) La circolare deve considerarsi abrogata e sostituita dalle norme contenute nel d.P.R. 27 aprile 1978 n. 384)».

11 Si veda il rapporto ISTAT (2018), L’integrazione degli alunni con disabilità nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, A.S. 2016-2017.

12 Più precisamente, le situazioni didattiche considerate sono: 1) Lezione frontale; 2) Studio singolo; 3) Attività ludica; 4) Mentoring; 5) Peer to peer; 6) Attività laboratoriale; 7) Piccolo gruppo; 8) Discussione; 9) Presentazione dello studente.

Vol. 21, Issue 1, February 2022

 

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