Vol. 21, n. 1, febbraio 2022

RICERCHE, PROPOSTE E METODI

Prospettive di prevenzione dei comportamenti sfidanti dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria1

Considerazioni preliminari

Vanessa Macchia2 e Silver Cappello2

Sommario

I problemi comportamentali sono una costante a scuola che educatori e insegnanti si trovano a fronteggiare quotidianamente, talvolta senza riuscire concretamente a gestire e a risolvere in modo efficace. Studi nazionali e internazionali associano ai comportamenti sfidanti diversi termini e definizioni, considerati sinonimi tra loro, come ad esempio i comportamenti-problema, oppositivo-provocatori, aggressivi, aberranti, disturbanti, distruttivi, disordinati o eccessivi (Chan et al., 2012; Fedeli, 2008; 2020; Lyons e O’Connor, 2006; Orsati e Causton-Theoharis, 2013; Rhodes-Kline, 1997; Sigafoos, Arthur e O’Reilly, 2003). Tuttavia, il termine «comportamento sfidante» può risultare neutrale e non implica che derivi necessariamente da un qualche tipo di disturbo (Orsati e Causton-Theoharis, 2013; Sigafoos, Arthur e O’Reilly, 2003). Con questa prospettiva, qualsiasi alunno può adottare un comportamento sfidante qualora la sua condotta oltrepassi i limiti consentiti e diventi difficile da gestire per gli adulti che lo circondano, a prescindere dalla sua natura o volontà. Tale processo può nascere già nella scuola dell’infanzia e, se gestito in modo inappropriato, prolungarsi nell’intero percorso di scolarizzazione e culminare nella scuola secondaria di I o II grado, con problemi comportamentali gravi che, in molti casi, sfociano nella decisione di abbandonare la scuola.

Parole chiave

Inclusione, Comportamenti sfidanti, Prevenzione, Contesto di apprendimento, Strategie di intervento.

RESEARCH, PROPOSALS AND METHODS

Preventing challenging behaviours from kindergarten to secondary school

First evaluation

Vanessa Macchia3 and Silver Cappello1

Abstract

Behavioural problems are a constant at school that educators and teachers face on daily, sometimes without being able to manage and solve them effectively. National and international studies associate the challenging behaviours to different terms and definitions, considered synonyms among them, such as for example problem behaviours, aggressive, aberrant, disturbing, disruptive, disorderly, excessive or oppositional (Chan et al., 2012; Fedeli, 2008; 2020; Lyons e O’Connor, 2006; Orsati e Causton-Theoharis, 2013; Rhodes-Kline, 1997; Sigafoos, Arthur e O’Reilly, 2003). However, the term «challenging behaviour» results neutral, and it does not imply that it necessarily derives from a kind of disorder (Orsati e Causton-Theoharis, 2013; Sigafoos, Arthur e O’Reilly, 2003). With this perspective, all pupils can adopt challenging behaviours if their conducts exceed the permitted limits and become difficult to manage for the adults around them, regardless of their nature or choice. This process can already start in kindergarten and, if it managed inappropriately, prolong it in the whole school career and culminate in lower or upper secondary school, with serious behavioural problems that, in many cases, lead to the decision to leave the school.

Keywords

Inclusion, Challenging behaviours, Prevention, Learning context, Intervention strategies.

Introduzione

L’inclusione è un processo volto a individuare e rimuovere le diverse forme di barriere presenti nel mondo della scuola, a garantire l’equità, la presenza, la partecipazione e l’apprendimento di tutti gli studenti,4 a monitorare e tutelare gli alunni che potrebbero essere a rischio di esclusione e marginalizzazione (Booth e Ainscow, 2014; Ainscow, 2016; UNESCO, 2017). Siamo senza dubbio in una fase di transizione e cambiamento che, da un lato, rimane ancorata all’idea di integrazione, in cui a scuola si predispongono le strategie in base alle caratteristiche del singolo studente, mentre dall’altro, si proietta verso un’inclusione che possa rispondere alle caratteristiche di qualsiasi alunno, con le sue peculiarità, programmando interventi flessibili e articolati (Fedeli, 2020). Lo sviluppo di pratiche inclusive dovrebbe riflettere le culture e le politiche della scuola, per rispondere ai differenti bisogni degli studenti attraverso strategie educative finalizzate allo sviluppo delle potenzialità di ciascuno e attività formative che possano coinvolgerli attivamente in ogni aspetto della loro educazione (Booth e Ainscow, 2014; DLgs 66/2017). Da ciò deriva una didattica inclusiva che possa promuovere la partecipazione di tutti attraverso una sensibilità e valorizzazione delle differenze e uno sviluppo di apprendimenti plurali. Nel primo caso, il principio da seguire è quello della speciale normalità (Ianes, 2006), ovvero l’accoglienza di tutte le differenze, da quelle cognitive a quelle culturali, in cui trovano posto i diversi stili cognitivi, le intelligenze multiple e tutti i bisogni educativi speciali, dalla disabilità, ai disturbi specifici dell’apprendimento, alle altre forme di svantaggio socio-economico. È necessario conoscere le differenze, ma trattarle attraverso l’approccio biopsicosociale di ICF, evitando una categorizzazione, ma piuttosto collocandole all’interno del processo di apprendimento cognitivo, disciplinare, comunicativo e sociale (Ianes, Cramerotti e Fogarolo, 2021). Nel secondo caso, il coinvolgimento di tutti e di ciascuno attraverso una didattica plurale significa organizzare processi di apprendimento eterogenei e diversificati che tengano conto delle differenze degli alunni, costruendo al contempo un clima di partecipazione e appartenenza alla comunità di classe (Tomlinson e Imbeau, 2012).

In questo scenario trovano spazio anche gli alunni che manifestano comportamenti sfidanti all’interno del contesto scolastico. Infatti, uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, realizzata dall’ONU nel 2015, è quello di «fornire un’educazione di qualità, equa e inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti» e, tra i diversi traguardi prefissati, è possibile individuare la volontà di: «garantire un accesso equo a tutti i livelli di istruzione e formazione professionale delle categorie protette, tra cui le persone con disabilità, le popolazioni indigene e i bambini in situazioni di vulnerabilità; […] che tutti i discenti acquisiscano la conoscenza e le competenze necessarie a promuovere lo sviluppo sostenibile, anche tramite un’educazione volta a uno sviluppo e uno stile di vita sostenibile, ai diritti umani, alla parità di genere, alla promozione di una cultura pacifica e non violenta, alla cittadinanza globale e alla valorizzazione delle diversità culturali […]; costruire e potenziare le strutture dell’istruzione che siano sensibili ai bisogni dell’infanzia, alle disabilità e alla parità di genere e predisporre ambienti dedicati all’apprendimento che siano sicuri, non violenti e inclusivi per tutti» (ONU, 2015, p. 17). Risulta evidente l’importanza attribuita a un’educazione che possa promuovere una cultura pacifica e non violenta, in ambienti di apprendimento sicuri e inclusivi per tutti gli alunni, con o senza disabilità. Inoltre, una delle otto competenze chiave per l’apprendimento permanente, delineate dall’Unione Europea e che la scuola dovrebbe promuovere, oltre a quelle alfabetico-funzionale, multilinguistica, matematico-scientifica, digitale, imprenditoriale, culturale e in materia di cittadinanza, è proprio la competenza personale, sociale e la capacità di imparare a imparare. In essa si ritrovano molti aspetti su cui è necessario lavorare e intervenire nel caso di alunni con comportamenti problematici all’interno di una classe, poiché è richiesta la «capacità di riflettere su se stessi, […] di lavorare con gli altri in maniera costruttiva, di mantenersi resilienti e di gestire il proprio apprendimento e la propria carriera […], di far fronte all’incertezza e alla complessità, di imparare a imparare, di favorire il proprio benessere fisico ed emotivo, di mantenere la salute fisica e mentale, nonché […] di gestire il conflitto in un contesto favorevole e inclusivo» (UE, 2018, p. 10). Questi riferimenti pongono una attenzione particolare sul contesto scolastico, in cui è necessario un clima sereno dove ciascuno possa sviluppare il proprio apprendimento in una situazione di benessere individuale e collettivo.

Il presente articolo intende porre l’accento sul tema dei comportamenti sfidanti degli alunni, per darne una lettura globale in termini di comprensione e di intervento, poiché continua ad essere motivo di preoccupazione e difficoltà per il personale docente e resta uno degli aspetti più complessi da gestire a scuola.

Gli alunni con comportamenti sfidanti nel mondo della scuola

I problemi comportamentali sono una costante a scuola che educatori e insegnanti si trovano a fronteggiare quotidianamente, talvolta senza riuscire concretamente a gestire e a risolvere in modo efficace. Nel corso degli anni, la ricerca ha fatto enormi passi avanti in questo ambito e a oggi esistono numerosi studi e materiali che offrono una risposta ai diversi disturbi e alle difficoltà che stanno alla base dei problemi di comportamento. Tuttavia, «non siamo di fronte a un aumento degli alunni con disturbi comportamentali […], quanto a un maggiore riconoscimento di condizioni prima sottovalutate e trascurate» (Fedeli, 2020, p. 11), che accolgono nello stesso ambito un’ampia serie di termini e definizioni. Infatti, i problemi comportamentali possono derivare da specifici disturbi su base neurobiologica, ma in cui giocano un ruolo importante i fattori ambientali e educativi, come ad esempio i disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta (in cui rientrano il disturbo oppositivo provocatorio – DOP, il disturbo esplosivo intermittente, il disturbo della condotta, il disturbo antisociale di personalità), il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD), i disturbi dell’attaccamento, i disturbi dell’umore, come quelli da disregolazione dell’umore dirompente o depressivi (DSM-5 in APA, 2013; Fedeli, 2020; Gregori e Tombolato, 2017). Una delle tante conseguenze di questi disturbi è proprio la manifestazione di comportamenti socialmente non accettati che, in letteratura, vengono indicati come comportamenti-problema, oppositivo-provocatori, aggressivi, distruttivi, indesiderati, ecc. (Fedeli, 2008; 2020; Lyons e O’Connor, 2006; Orsati e Causton-Theoharis, 2013; Sigafoos, Arthur e O’Reilly, 2003). Ci sono, tuttavia, altre difficoltà e situazioni che non necessariamente derivano da un disturbo, ma che con esso condividono le conseguenze negative in termini di comportamento. Uno degli aspetti che distingue le diverse condotte degli studenti è sicuramente l’intenzionalità: in presenza di un disturbo può essere molto ridotta, mentre negli altri casi la consapevolezza è maggiore. Inoltre, è importante definire quando i comportamenti diventano problematici e ciò avviene nel momento in cui essi compromettono l’adattamento ambientale (stereotipie, autostimolazioni, rumori continui, irrequietezza motoria, ecc.), il sistema di regole formali e informali (urlare, gettarsi o buttare oggetti a terra, alzarsi o correre, ecc.) o il benessere proprio e degli altri con condotte auto/etero aggressive (spingere, strapparsi i capelli, graffiare/si, colpire/si, ecc.) (Fedeli, 2020). Per tali ragioni, si può utilizzare un termine che prescinda dagli altri, molto specifici come i disturbi, e dalle classificazioni esistenti, capace invece di adattarsi a situazioni di intenzionalità più o meno ridotta e che possa comprendere qualsiasi tipo di condotta problematica: i comportamenti sfidanti. In questo modo, qualsiasi alunno, con o senza alcun tipo di disabilità, può essere preso in considerazione ed essere associato a questo termine qualora il suo comportamento oltrepassi i limiti consentiti e diventi difficile da gestire per gli adulti che lo circondano, a prescindere dalla sua natura o volontà. Quotidianamente, educatori e insegnanti si trovano a dover gestire in classe situazioni e dinamiche complesse, dovute all’insorgenza di comportamenti sfidanti da parte degli studenti e, spesso, si trovano impreparati di fronte alle diverse manifestazioni.

In letteratura c’è molta confusione attorno al tema dei comportamenti sfidanti, poiché essi vengono spesso associati a diversi termini e definizioni, considerati sinonimi tra loro, come ad esempio i comportamenti problematici, aggressivi, aberranti, disturbanti, distruttivi, disordinati o eccessivi (Chan et al., 2012; Rhodes-Kline, 1997). Tuttavia, i comportamenti sono sfidanti non solo perché possono essere distruttivi, dannosi, dirompenti o comunque inaccettabili, ma anche perché sono frequenti e/o gravi. Inoltre, il termine «comportamento sfidante» può risultare neutrale e non implica che derivi necessariamente da un qualche tipo di disturbo (Orsati e Causton-Theoharis, 2013; Sigafoos, Arthur e O’Reilly, 2003). Esso può essere considerato tale se interferisce nell’apprendimento dello stesso alunno che lo manifesta o dei compagni, nel funzionamento quotidiano della scuola, nella sicurezza del contesto, con una durata, frequenza, intensità o persistenza che supera la soglia di tolleranza a scuola (Madden e Senior, 2018). Infatti, il grado di sfida non dipende solo dalla natura del comportamento, ma anche dalla capacità del contesto di tollerarlo o minimizzarne le conseguenze, poiché esso diventa un problema sulla base di criteri impliciti di desiderabilità e di accettabilità, come ad esempio quello del danno fisico a se stesso o agli altri, quello dell’ostacolo, che impedisce lo sviluppo intellettivo, affettivo o interpersonale e, infine, quello dello stigma sociale (Fedeli, 2008; Lowe e Felce, 1995; Tuffanelli e Ianes, 2011).

Prevenire e gestire i comportamenti sfidanti degli alunni nella scuola

Sulla base di un atteggiamento inclusivo di fondo a livello istituzionale, è necessario creare una cornice di riferimento per l’attuazione di una pedagogia inclusiva (Viernickel et al., 2015). Questo significa, prima di tutto, che l’insegnante può adattare le sue azioni alle condizioni ed esigenze specifiche di una situazione e di ogni bambino (e della sua famiglia). Ciò comporta richieste concettuali concrete nell’intero sistema scolastico (Seitz e Finnern, 2012). Pertanto, è necessario sviluppare strategie di azione a livello istituzionale in ambito pedagogico, in un profondo processo di cambiamento e riflessione, in modo da andare incontro agli studenti nella loro unicità (Albers, 2012; Booth e Ainscow, 2014) e individuare risposte efficaci ai comportamenti percepiti come sfidanti. I seguenti aspetti, e le domande ad essi correlate, possono sostenere gli insegnanti nel momento in cui si trovano a dover affrontare le misure strutturali come prerequisito per l’incontro professionale con il comportamento sfidante nella vita scolastica quotidiana.

  1. Sviluppo di un atteggiamento di base comune nel team: questo significa un insieme di orientamenti pedagogici che sono collettivamente condivisi e accessibili dal team, che riguardano l’immagine dell’alunno, dei genitori e delle famiglie, i processi educativi dello studente e il ruolo degli insegnanti, così come l’adeguatezza e il significato degli obiettivi e dei metodi pedagogici che si riflettono nell’azione organizzativa (Garske, 2003).
    • Il team crea una cultura di collaborazione?
    • Il team condivide regolarmente le proprie idee sulle attività?
    • Il team discute le difficoltà che si incontrano nelle relazioni con gli alunni?
  2. Sviluppo organizzativo e gestione della diversità: un metodo per sostenere il processo di inclusione è che le scuole riflettano sul proprio lavoro, usando per esempio l’Index per l’Inclusione (Booth e Ainscow, 2014). Ad esempio, il gruppo di autori intorno a Hinz (Boban e Hinz, 2003) si è occupato delle procedure di autoriflessione e valutazione dei processi inclusivi, soprattutto sul piano delle istituzioni scolastiche.
    • Come possiamo garantire la stabilità dell’accompagnamento delle persone di riferimento?
    • Come possiamo cambiare la cornice di riferimento, in modo da evitare comportamenti sfidanti in situazioni chiave?
    • Quali cambiamenti strutturali possiamo/dobbiamo attuare prima?
    • Come possiamo progettare con gli alunni lo spazio e i materiali, in modo che siano orientati ai loro bisogni?
  3. Creare relazioni sicure e valorizzanti: i legami e le relazioni sicure tra genitori/insegnanti e studenti sono la base per azioni concrete nella gestione dei comportamenti sfidanti (Grawe, 2004). Così, in termini di misure e strategie concrete, è proprio nel momento in cui si affronta il comportamento sfidante che è necessario l’accompagnamento sensibile della regolazione delle emozioni e degli affetti, nonché il sostegno delle abilità di coping basato su una relazione positiva e sicura tra insegnante e alunno. La scuola deve creare le condizioni affinché essi abbiano il tempo e lo spazio per instaurare una relazione di sostegno, anche e soprattutto in situazioni individuali, come nel rapporto uno a uno.
    • Qual è l’esperienza di relazione dell’alunno a scuola?
    • Qual è il mio rapporto con lo studente?
    • Cosa caratterizza un buon rapporto con l’alunno?
    • Cosa posso fare concretamente per rafforzare il rapporto con lui/lei?
  4. Favorire l’autostima e l’autoefficacia: questo significa dare fiducia agli alunni nella loro vita quotidiana, incoraggiarli a vedere i loro punti di forza, le loro capacità ed esprimerle in modi diversi (ad esempio, assumere compiti e creare forme di tutoraggio) (Fröhlich-Gildhof, Rönnau-Böse e Tinius, 2020).
    • Come si possono promuovere in modo concreto l’autoefficacia, la fiducia in se stessi, l’auto/etero percezione nella quotidianità?
    • Cosa abbiamo già attuato per promuovere autostima e autoefficacia negli alunni?
    • In quale situazione ho percepito l’alunno come meno sfidante?
    • Quali punti di forza ha l’alunno?
  5. Sostenere le interazioni tra pari: un aspetto rilevante è il supporto delle co-costruzioni di relazioni amicali e l’avvio di processi di apprendimento sociale, soprattutto nelle interazioni tra studenti con diversi livelli di sviluppo. Solitamente, un sostegno appropriato consiste nel promuovere l’interazione tra pari al momento giusto, ovvero quando essi non riescono a trovare soluzioni tra di loro o quando i partner di gioco non stabiliscono adeguati processi di interazione (Albers, 2012).
    • Quando e dove avvengono le interazioni positive tra pari nella nostra scuola?
    • Come posso sostenere concretamente le interazioni positive tra pari nella quotidianità?
  6. Avviare processi di negoziazione congiunta relativi alle regole: questo significa negoziare regole e strutture a breve e a lungo termine attraverso un dialogo con gli allievi, ma anche metterle in discussione e verificare regolarmente la loro utilità e pertinenza. Ad esempio, si possono istituire comitati di studenti, per favorire momenti di dialogo o confronto e per offrire opportunità di partecipazione attiva degli alunni nella pratica quotidiana. Per una cooperazione di successo in una comunità scolastica, tutti i partecipanti dovrebbero definire le regole insieme e integrarle nella pratica in modo vincolante (Fröhlich-Gildhof, Rönnau-Böse e Tinius, 2020).
    • Quando viene considerata la voce degli studenti nella quotidianità?
    • In quali momenti diamo fiducia agli alunni?
    • Tutti hanno l’opportunità di partecipare alla vita scolastica?
    • Come possiamo creare strutture nella scuola che permettano la massima libertà e flessibilità possibile per i bisogni degli studenti?
    • Quali regole, accordi, limiti e conseguenze sono particolarmente importanti per me (a livello personale) e per noi (nel team di insegnanti)?
    • Quali regole possono/devono essere rinegoziate e quali regole, accordi, confini e conseguenze vogliamo integrare nella pratica quotidiana?

È evidente in questo senso l’importanza e la profonda rilevanza del contesto di apprendimento nella prevenzione e gestione dei comportamenti sfidanti. Infatti, non è sufficiente agire sull’individuo e «per intervenire sul comportamento problematico, si deve quindi modificare (anche) il contesto: le dinamiche relazionali e i comportamenti dei vari attori che entrano in rapporto con l’alunno problematico» (Tuffanelli e Ianes, 2011, p. 126). L’ambiente interpersonale in classe ha un’influenza importante sugli atteggiamenti, sugli interessi, sull’impegno e sul rendimento degli studenti. In termini di prevenzione, sarebbe dunque importante considerare l’insegnamento della prosocialità come parte integrante del curricolo, perché investire risorse in questo senso produce un risparmio di tempo ed energie nel lungo periodo, prevedendo problemi nell’ambito delle relazioni, con conseguenti benefici cognitivi e comportamentali (Walberg e Greenberg, 1997). Nello specifico, ci sono diverse tecniche per facilitare le amicizie e le relazioni di sostegno tra i bambini, come ad esempio «conoscere e valorizzare le differenze individuali; svolgere attività esplicite sull’amicizia, facendone parte integrante del curricolo […]; creare un ambiente accogliente in classe, che non solo dimostri l’importanza dell’amicizia ma che faccia sentire gli studenti a loro agio con i compagni […]; creare comitati o gruppi di sostegno tra compagni che hanno il compito di assicurarsi che tutti gli studenti vengano accettati e apprezzati come componenti a pieno titolo della classe e di prevenire e risolvere problemi interpersonali (ignorare, emarginare, bullismo, competitività, ecc.); stimolare la partecipazione alle attività extracurricolari e coinvolgere le famiglie» (Ianes e Cramerotti, 2019, p. 344). Infine, è possibile sviluppare comportamenti positivi e sostegno tra i compagni mediante diverse modalità, che riguardano l’individuo, la classe, la scuola e il territorio (Ianes e Cramerotti, 2019):

  • strategie di aiuto formale e informale tra studenti, attraverso un ruolo di «mediatori» e tutor tra i compagni per facilitare la soluzione di problemi e il superamento e la riconciliazione nei conflitti;
  • strategie specifiche di classe, attraverso gruppi di apprendimento cooperativo e tutoring tra compagni;
  • strategie a livello globale di scuola, attraverso gruppi e associazioni fra studenti e progetti di sensibilizzazione e approfondimento su tematiche rilevanti;
  • strategie a livello di comunità territoriale, attraverso rapporti con i volontari attivi nelle associazioni e nelle cooperative sociali per partecipare ad attività organizzate.

L’analisi funzionale per la predisposizione degli interventi

Le misure preventive di promozione delle relazioni positive nel gruppo, la progettazione di un ambiente favorevole allo sviluppo e la promozione delle competenze socio-emotive sono principi pedagogici generali che aiutano a contrastare i problemi di comportamento sociale degli alunni a scuola. Tuttavia, non sempre risultano sufficienti, poiché alcune situazioni richiedono interventi pedagogici intensivi e individualizzati.

Spesso si ha l’impressione che i comportamenti problematici sorgano senza motivo, quasi all’improvviso. Invece, se si analizza il contesto più in dettaglio, è spesso possibile identificare i fattori scatenanti o le cause del comportamento. L’obiettivo dell’analisi funzionale è quello di analizzare il contesto in cui si verifica il comportamento problematico per capire la sua funzione comunicativa (Tuffanelli e Ianes, 2011). In un’espressione comportamentale, si tratta di formulare l’analisi funzionale di base a partire dall’innesco del comportamento critico e dalle conseguenze che si perpetuano. L’analisi comportamentale è usata per identificare l’intenzione del comportamento dell’alunno, attraverso un’osservazione sistematica e il coinvolgimento del team multidisciplinare. I risultati portano a un’analisi comportamentale che può essere utilizzata come ipotesi di lavoro per spiegare il comportamento evidente. È quindi necessario osservare il bambino nell’ambiente in cui si verifica il comportamento sfidante e identificare le circostanze associate a tale manifestazione. Inizialmente, le osservazioni devono essere annotate e, solo successivamente, verranno analizzate per determinare la funzione del comportamento. Inoltre, vengono intervistate le persone che conoscono meglio l’alunno e che possono contribuire con informazioni utili per capire il suo comportamento. Specialmente nel caso di studenti con disabilità, le diagnosi funzionali e le certificazioni in un’ottica di collaborazione multidisciplinare nel team possono aiutare a capirne il comportamento. È importante che queste osservazioni sistematiche vengano annotate tempestivamente, poiché nessuno può ricostruire a memoria i molteplici dettagli delle situazioni o percepire tutto ciò che accade, nemmeno quando si tratta di processi che si ripetono frequentemente. La raccolta delle osservazioni dovrebbe essere la più semplice possibile: per lo sviluppo di ipotesi di lavoro basate su episodi ricorrenti, è sufficiente annotare sul foglio di osservazione: 1) il contesto sociale in cui il comportamento si verifica; 2) il comportamento stesso; 3) la reazione sociale che segue il comportamento. In alcuni casi, è anche possibile che dopo l’evento ci siano anche conseguenze positive. Nel complesso, l’analisi funzionale dovrebbe seguire il processo della figura 1 (Fröhlich-Gildhof, Rönnau-Böse e Tinius, 2020; Sarimski, 2019).

L’obiettivo dell’analisi funzionale del comportamento è quello di formulare un’ipotesi di lavoro a cui seguono degli interventi. Dovrebbe essere inteso in un semplice schema se-allora, in un rapporto di causa-effetto: se accade qualcosa, allora si verifica il comportamento critico, che porta a una conseguenza di rinforzo per il comportamento (Sarimski, 2019). Nei casi in cui permangano incertezze, è necessario raccogliere più osservazioni nello stesso contesto. È possibile che un comportamento sfidante serva per diverse funzioni. Allo stesso modo, è possibile che inizialmente avesse una funzione (ad esempio evitare qualcosa di sgradito) ma che poi continui con un’altra funzione (ad esempio ottenere attenzione sociale) (Tuffanelli e Ianes, 2011).

Figura 1

Le fasi dell’analisi funzionale.

La pianificazione dell’intervento sul comportamento

Sulla base di questa ipotesi di lavoro, è necessario sviluppare un piano di intervento per modificare le condizioni di innesco e di mantenimento. Le possibili variabili di fondo dovrebbero essere prese in considerazione e le abilità socio-emotive dovrebbero essere formulate per essere praticate con l’allievo come alternativa al comportamento problematico (Tuffanelli e Ianes, 2011). I fattori scatenanti del comportamento sfidante possono variare molto da individuo a individuo. Ciò significa che le misure di prevenzione devono essere adattate al singolo caso. Non è nemmeno possibile dare una risposta generale alla domanda su quali conseguenze rafforzino il comportamento e quali nuove conseguenze dovrebbero seguire il comportamento desiderato in futuro. È importante scoprire per ogni bambino quali siano i rinforzi positivi individuali che hanno per lui un alto significato o un alto incentivo (Sarimski, 2019). Le misure di prevenzione previste, le competenze alternative e le conseguenze, per seguirle, vengono inserite nel piano di intervento. Possibili domande guida per la pianificazione sono:

  • Cosa potrebbe prevenire la situazione critica?
  • Quali abilità mancano allo studente che rendono la situazione difficile?
  • In quale altro modo potrebbe soddisfare i suoi bisogni senza che diventi un comportamento sfidante?
  • Come ho reagito finora? Forse ho rinforzato il comportamento sfidante?
  • Come potrei incoraggiare in futuro il comportamento alternativo desiderato?

Il primo passo è quello di esaminare quali strategie preventive possono essere utilizzate per ridurre la probabilità che il comportamento critico si verifichi. Tali strategie devono essere compatibili con i processi naturali del gruppo. Per esempio, si possono usare le seguenti strategie preventive (Fedeli, 2020; Fröhlich-Gildhof, Rönnau-Böse e Tinius, 2020; Sarimski, 2019; Tuffanelli e Ianes, 2011):

  • adattamento delle aspettative, dei materiali, delle istruzioni o delle disposizioni degli spazi;
  • modifica delle regole del gruppo;
  • riduzione delle fonti di distrazione (per esempio chiudendo gli armadi in modo che non siano visibili oggetti particolari);
  • introduzione di scelte adattate individualmente dall’alunno (per esempio scegliere tra diverse attività nel cerchio, decidere la sequenza di queste attività);
  • visualizzazione della struttura della giornata e delle attività nella routine quotidiana (ad esempio mettendo da parte il cartellino con l’immagine corrispondente dopo ogni attività, in modo che la classe sperimenti un certo controllo sulla situazione e abbia anche una visione d’insieme di quali attività ci siano ancora);
  • comunicare le diverse forme di transizione e i cambiamenti.

Si tratta anche di promuovere competenze alternative nella pratica quotidiana, che possano essere adatte a sostituire efficacemente il comportamento sfidante. Se possibile, i comportamenti selezionati dovrebbero essere quelli che fanno già parte del repertorio comportamentale dell’alunno e, quando essi vengono utilizzati al posto del comportamento problematico, egli deve sentire che l’educatore lo rinforza. Questa pratica dovrebbe essere diffusa durante tutto il giorno, anche quando lo studente non manifesta comportamenti problematici. Infatti, affinché quest’ultimo perda la sua funzione non dovrà più avere successo e i rinforzi positivi per il nuovo comportamento desiderato dovranno essere altrettanto attraenti (o di più) dei rinforzi precedentemente efficaci per il comportamento sfidante.

In questo senso, ci sono molte strategie che si possono attuare per gestire in modo proattivo gli studenti che manifestano comportamenti sfidanti, per evitare quindi di intervenire solo dopo che si verificano eventuali problemi (approccio reattivo), ma organizzare «il contesto e la rete di relazioni in modo tale da prevenire o ridurre la comparsa di comportamenti sfidanti e problematici» (Fedeli, 2020, p. 21). Tre di esse sono il prompting, il modeling e il concatenamento: nel primo caso, si tratta di utilizzare aiuti per evidenziare all’alunno il comportamento inadeguato e indicare quello atteso (verbali, gestuali, figurali, ecc.); nel secondo caso, si tratta dell’apprendimento per imitazione, esponendo lo studente a modelli di comportamento adeguati e aumentando il tasso di rinforzi di quello positivo rispetto a quello negativo, concedendo un periodo di esercizio proporzionato alla richiesta; nel terzo caso, si tratta di una procedura per scomporre un comportamento complesso in un serie di azioni concatenate tra loro, in cui gli aiuti iniziali vengono via via ridotti durante l’apprendimento della sequenza (Fedeli, 2020). Alcuni autori hanno proposto diverse strategie basate sull’evidenza, come ad esempio aiutare l’alunno a instaurare relazioni positive con l’adulto, considerare attività in funzione dei suoi punti di forza e di debolezza, indicando con chiarezza ció che viene richiesto e fornendo feedback adeguati alla prestazione, porre particolare attenzione all’insegnamento di un linguaggio e una comunicazione appropriati, incoraggiandone l’utilizzo per risolvere eventuali conflitti o per esternare i propri bisogni (Harris, 1995). Sobeck e Reister (2020) suggeriscono di offrire agli alunni, quando la situazione lo permette, momenti di scelta, di attenzione e opportunità di rispondere, come ad esempio il luogo in cui portare avanti un lavoro di gruppo, gli strumenti da utilizzare durante un’attività, commenti positivi, gesti di incoraggiamento, situazioni di racconto libero, occasioni per rispondere individualmente o in gruppo alle domande poste dal docente, in modo da valorizzare la voce degli studenti e la loro presenza in classe. Un’altra buona pratica è quella di condividere tempi, attività e regole con il gruppo, mostrando quello che è consentito fare negli spazi della classe o durante le varie attività. Ciò aiuta gli alunni a comprendere, e in alcuni casi anche a negoziare, i limiti da rispettare nel contesto. Una forma di intervento che agisce come antecedente del comportamento sfidante è quella della pre-correzione, che serve a ricordare all’alunno il comportamento appropriato prima che egli abbia l’opportunità di attivarne uno non tollerato. A queste strategie si possono accompagnare quelle di rinforzo positivo e negativo, nel primo caso con diverse forme di stimoli piacevoli al termine di un comportamento desiderato (premi, attività, ecc.), nel secondo caso rimuovendo uno stimolo sgradito in risposta a un comportamento corretto (compiti a casa o durante le lezioni). Lodare e descrivere il comportamento positivo, anziché fornire un semplice feedback, può risultare una forma efficace di rinforzo per ridurre i comportamenti sfidanti («Mi piace quando…»; «Hai fatto bene a fare…») (Banks, 2014; Harris, 1995; Sobeck e Reister, 2020). A tale proposito, Chiarenza, Bianchi e Marzocchi (2004) hanno definito delle linee guida per il trattamento cognitivo comportamentale dei disturbi da deficit dell’attenzione con iperattività (ADHD) e molti degli interventi proposti possono essere estesi e generalizzati in una prospettiva di prevenzione dei comportamenti sfidanti:

  • riferire regole chiare, concise e numerose; se possibile, esprimere le regole in modo positivo, enfatizzando l’attesa in termini di comportamento («Dovresti rimanere seduto durante la lezione», anziché «Non dovresti alzarti durante la lezione»);
  • le istruzioni dovrebbero essere concise e i compiti più lunghi dovrebbero essere suddivisi in parti più piccole, in modo da ottenere feedback immediati dopo ogni successo;
  • le conseguenze verbali, positive (lode) o negative (rimprovero), dovrebbero iniziare con il nome dello studente e includere i riferimenti al comportamento in questione («Davide, molto bene. Mi piace quando metti a posto i giochi» anziché solo «Ben fatto»), mentre eventuali conseguenze dovute a comportamenti scorretti devono aver luogo il prima possibile;
  • le strategie positive dovrebbero essere applicate sempre prima di utilizzare tecniche di punizione.

Purtroppo, ancora oggi, tecniche punitive come le esclusioni dalla classe sono strategie che gli insegnanti si trovano a utilizzare con frequenza per gestire quegli alunni che manifestano comportamenti sfidanti e per evitare di perdere il controllo della classe (Orsati e Causton-Theoharis, 2013). Infatti, troppo spesso, «l’uscita dalla classe diviene uno strumento per gestire comportamenti sfidanti degli alunni. In alcuni casi l’uscita dalla classe assume un carattere preventivo, pensato a supporto di processi di autoregolazione comportamentale dell’alunno, in altri punitivo nell’ottica del time-out [quindi] utilizzato dagli insegnanti come forma di gestione di comportamenti sfidanti per tutti gli alunni, sia in ottica preventiva che punitiva, anche se la letteratura evidenzia ricadute critiche di questa scelta» (Dal Zovo e Demo, 2017, pp. 57-58). Daniele Fedeli (2020) ha individuato alcune tecniche cosiddette aversive, prettamente reattive, per ridurre o eliminare il comportamento indesiderato, senza formare automaticamente una condotta positiva e con forti conseguenze emotive sia per chi le adotta sia per chi le riceve. Una di queste viene definita estinzione, poiché ha l’obiettivo di eliminare i rinforzi sociali derivanti dall’ambiente che circonda l’alunno che manifesta il comportamento. Si tratta sostanzialmente di ignorarlo nel momento in cui adotta una condotta errata, purché essa non sia pericolosa per sé o per gli altri e vengano rispettate alcune condizioni: condividere con adulti e, eventualmente, con i compagni una procedura per evitare di rinforzare socialmente la condotta negativa; prevedere una prima fase di peggioramento del comportamento (per riottenere l’attenzione persa), ma evitare di interrompere il processo di estinzione. Un’altra tecnica, denominata costo della risposta, prevede che il bambino «sperimenti le conseguenze naturali del suo comportamento. Ad esempio, immaginiamo che in un attacco di collera abbia rotto un suo giocattolo: la conseguenza più naturale è che rimanga senza il gioco, senza necessità di dover fornire altre spiegazioni» (p. 147). Nel caso ciò non fosse possibile, si può pensare di sottrarre un rinforzo, qualcosa di piacevole per l’alunno, definendo in anticipo le conseguenze del suo comportamento. Una variante di questa tecnica è quella dell’ipercorrezione, in cui è prevista una conseguenza maggiore rispetto al problema provocato: nel caso in cui un bambino sporchi volontariamente il banco, non dovrà solo ripulirlo (costo della risposta), ma sistemare anche il resto della classe (Fedeli, 2020). È importante sottolineare che queste tecniche dovrebbero essere adottate solo nei casi in cui le strategie positive e proattive non abbiano funzionato e non ci si trovi di fronte a momenti di crisi veri e propri, poiché in casi estremi sarà necessario, innanzitutto, bloccare il soggetto per evitare danni e, in un secondo momento, insegnare un comportamento alternativo positivo (di facile esecuzione) attraverso rinforzi. A questa fase vanno comunque accompagnati una serie di interventi sul setting, come l’adattamento del contesto alle esigenze del soggetto e gli adattamenti curricolari (lunghezza del compito, consegne, ecc.). Inoltre, è importante potenziare le abilità decisionali e, allo stesso tempo, promuovere le competenze comunicative (Fedeli, 2008).

I comportamenti sfidanti come precursori dell’insuccesso scolastico

La dispersione scolastica è un fenomeno che viene ampiamente influenzato da aspetti di natura sociale e le difficoltà di alcuni alunni a proseguire il percorso formativo inizia precocemente, dove i livelli di competenza sono condizionati da diverse caratteristiche, tra cui il genere, la cittadinanza, la condizione socio-economica e culturale della famiglia. Queste competenze inadeguate si ripropongono negli anni e hanno ricadute sul percorso e sull’apprendimento, conducendo in alcuni casi alla decisione di abbandonare la scuola. Infatti, i ritardi nel percorso di studio rappresentano uno dei fattori che precede l’abbandono della scuola secondaria di I e II grado e in fase di transizione fra i due cicli (MIUR, 2017, 2019; ISTAT, 2021). In una revisione della letteratura sulle politiche di prevenzione della dispersione scolastica e del rischio di abbandono precoce, realizzata dall’OECD nel 2010, questo fenomeno viene messo in relazione con diversi fattori e cause: individuali, sociali, scolastici e sistemici. Tra quelli individuali e sociali, i comportamenti e le attitudini, oltre alla performance e al background socio-economico, risultano elementi predittivi nel lungo processo di disimpegno dello studente, che ha come ultima conseguenza la decisione di abbandonare la scuola. Infatti, i problemi comportamentali sono una chiara rappresentazione della mancanza di impegno e motivazione, da fronteggiare attraverso relazioni positive con insegnanti e compagni, nonché mediante misure preventive per intervenire su tutte quelle cause, non direttamente visibili, che col tempo influenzano e possono condurre a un processo di abbandono e dispersione. Ad esempio, all’infanzia e alla primaria, un importante misura è quella di identificare i comportamenti a rischio e offrire adeguato supporto sociale sia al bambino sia alla famiglia. Inoltre, la stessa scuola dell’infanzia riveste un ruolo fondamentale e, la mancata frequenza dei tre anni, seppur facoltativi, possono provocare un impatto negativo sul futuro processo di apprendimento dell’alunno (OECD, 2010).

Il clima positivo e il contesto scolastico hanno un ruolo essenziale per la partecipazione sociale e l’apprendimento dei singoli. Infatti, la relazione tra studenti e insegnanti ha un valore fondamentale e ad essa va posta particolare attenzione. Nel caso di alunni con comportamenti sfidanti dovrebbero essere coinvolte tutte le figure presenti nella scuola, non solo gli insegnanti di sostegno o gli educatori, che spesso si prendono in carico certe situazioni. È necessaria, invece, un’alleanza e una collaborazione tra le diverse figure professionali, che possa offrire supporto a questi studenti e favorire il loro successo scolastico, anche attraverso percorsi formativi e di aggiornamento del personale, grazie ai quali acquisire e rafforzare le competenze per intervenire sul contesto classe e gestire situazioni e dinamiche complesse, dovute all’insorgenza di comportamenti sfidanti da parte degli alunni. In questo modo, tutti i docenti sono più coinvolti e riescono a mettere al centro del processo la persona e a supportarla attraverso diverse metodologie (Porsch, Jahn e Baumgarten, 2021). A tale proposito, diventa essenziale garantire lo sviluppo di una cultura orientata verso un approccio multidimensionale, attraverso un coinvolgimento emotivo, cognitivo e comportamentale, che possa favorire una gestione positiva dei problemi relazionali e della condotta degli studenti, per evitare di pregiudicare nel tempo il loro apprendimento (Wang e Fredricks, 2014).

Riflessioni conclusive

I comportamenti sfidanti hanno una matrice individuale e una contestuale, infatti, «quasi sempre lo scopo di un alunno non consiste nel creare problemi all’insegnante, ai compagni o ai genitori, ma nell’attirare la loro attenzione, magari negativa, oppure nell’evitare danni peggiori alla propria identità o al bisogno di autostima» (Tuffanelli e Ianes, 2011, p. 128). Intervenire e provare a rimuovere, quindi, quei fattori contestuali che scatenano il comportamento problematico, la sua intensità e la sua frequenza (spazi, numerosità e setting della classe, livello del rumore, ecc.) potrebbe essere un primo passo per attivare un processo inclusivo che possa rispondere alle caratteristiche di qualsiasi alunno, ciascuno con le sue peculiarità. Ciò significa anche ripensare la didattica in termini di flessibilità, per poter rispondere ai differenti bisogni degli studenti attraverso strategie educative finalizzate allo sviluppo delle potenzialità di ognuno (Booth e Ainscow, 2014; DLgs 66/2017). Nella pratica, questo si traduce in una didattica inclusiva che possa sfruttare le caratteristiche delle diverse metodologie di lavoro, dalla lezione frontale, al dibattito e alla discussione in classe, alle forme di cooperative learning, alla didattica multimediale, ai progetti individuali e di gruppo, ecc., per promuovere l’inclusione di tutti attraverso la valorizzazione delle differenze e lo sviluppo di apprendimenti plurali, mediante processi di apprendimento eterogenei e diversificati. (Ianes, Cramerotti e Fogarolo, 2021; Tomlinson e Imbeau, 2012). Prevenire e gestire i comportamenti sfidanti degli alunni a scuola significa anche riconoscere un processo complesso che cresce e si sviluppa nell’arco degli anni, giungendo a conseguenze visibili, che potrebbero essere solo la manifestazione di una serie di situazioni e dinamiche protratte nel tempo. Tale processo può nascere già nella scuola dell’infanzia e, se gestito in modo inappropriato, prolungarsi nell’intero percorso di scolarizzazione e culminare nella scuola secondaria di I o II grado, con problemi comportamentali gravi che, in molti casi, possono sfociare nella scelta di abbandonare la scuola. Infatti, «quando i comportamenti si sono consolidati e rinforzati, risalire alle premesse originarie è impresa ardua e poco produttiva» (Tuffanelli e Ianes, 2011, p. 128) e a quel punto è solo utile chiedersi il perché si presentino in quel dato momento. Per questo motivo, è importante invece lavorare in un’ottica di prevenzione dei comportamenti sfidanti lungo tutto il percorso scolastico e, a tal proposito, il centro di competenza per l’inclusione scolastica della Libera Università di Bolzano, in collaborazione con il Fondo Sociale Europeo, offre un percorso per promuovere negli allievi l’acquisizione delle competenze chiave per l’apprendimento permanente, attraverso azioni di formazione rivolte a insegnanti e operatori del sistema scolastico. Il progetto si prefigge di rafforzare le competenze di educatori e docenti proprio per prevenire, gestire e affrontare i comportamenti sfidanti degli alunni e favorire il loro successo scolastico e formativo nella scuola secondaria di I e II grado, rafforzandone la competenza personale, sociale e la capacità di imparare a imparare (UE, 2018). Il corso di formazione ha l’obiettivo di fornire ai partecipanti le competenze per intervenire sul contesto classe e gestire situazioni e dinamiche complesse, dovute all’insorgenza di comportamenti sfidanti, evitando che queste manifestazioni possano pregiudicare l’apprendimento e il successo scolastico e formativo dell’alunno e dell’intera classe in cui è inserito. La fase di realizzazione del progetto per il Fondo Sociale Europeo ha dato l’occasione al centro di competenza per l’inclusione scolastica di iniziare a indagare un percorso di ricerca innovativo che, partendo dalla cornice di riferimento dei comportamenti sfidanti, intende porre le basi per metterli in relazione con la dispersione scolastica.

Le considerazioni preliminari riportate in questo articolo rappresentano un primissimo tentativo di indagare la letteratura di riferimento relativa alla tematica dei comportamenti sfidanti, in una prospettiva di prevenzione per tutto il percorso scolastico, dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria, senza alcuna pretesa che possano risultare esaustive e complete rispetto a un tema così vasto e complesso.

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1 Il presente contributo è stato concepito unitariamente dai due autori. I paragrafi «Introduzione» e «Riflessioni conclusive» sono stati scritti congiuntamente. In particolare, Vanessa Macchia ha redatto anche il paragrafo «Prevenire e gestire i comportamenti sfidanti degli alunni nella scuola», mentre Silver Cappello ha redatto i paragrafi «Gli alunni con comportamenti sfidanti nel mondo della scuola» e «I comportamenti sfidanti come precursori dell’insuccesso scolastico».

2 Centro di competenza per l’inclusione scolastica, Libera Università di Bolzano.

3 Centro di competenza per l’inclusione scolastica, Libera Università di Bolzano.

4 Per rendere agevole la lettura viene adottata la forma maschile nei termini «bambino», «alunno», «studente» e «allievo», per fare riferimento anche alla forma femminile. Questi termini vengono utilizzati indistintamente dall’ordine scolastico di riferimento, poiché le riflessioni e le strategie proposte, con i dovuti adattamenti, possono riferirsi a qualsiasi grado di scuola, dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di II grado.

Vol. 21, Issue 1, February 2022

 

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