Vol. 21, n. 1, febbraio 2022

DIALOGHI CON LE ASSOCIAZIONI

Lavoro è libertà!1

L’impegno della FISH Campania per l’inclusione lavorativa delle persone disabili

Daniele Romano2, Valentina Paola Cesarano3 e Maura Striano3

Sommario

Il presente lavoro presenta il contributo della FISH Campania per promuovere l’inclusione lavorativa delle persone in condizione di disabilità mostrando come dove non arrivano le istituzioni spesso arrivano le associazioni. Ne è un esempio l’esperienza dell’AIPD che porta avanti progetti concreti e reali che hanno come obiettivo l’inserimento lavorativo delle persone con sindrome di Down. La politica e gli interventi rivolti alle persone in condizione di disabilità appaiono ancora subire l’influenza della logica dell’assistenzialismo, che spesso anche le famiglie e le stesse persone in condizione di disabilità tendono a perpetuare. Ciò elicita una riflessione sull’urgenza di educare lo sguardo politico, sociale ma soprattutto culturale orientandolo all’occupabilità delle persone in condizione di educabilità. Questo lavoro educativo permetterebbe alle persone in condizione di disabilità di esplorare le proprie competenze, i propri sogni e desideri al fine di costruire un proprio progetto professionale, aderente non solo alle richieste contestuali ma anche e soprattutto alla propria biografia personale.

Parole chiave

Inclusione lavorativa, Indipendenza, Occupabilità, Progetto di vita, Orientamento.

DIALOGUES WITH ASSOCIATIONS

Work is freedom!

FISH Campania’s commitment to the labor inclusion of disabled people

Daniele Romano4, Valentina Paola Cesarano1 and Maura Striano5

Abstract

This paper describes the contribution of FISH Campania to promote the job inclusion of people with disabilities, showing how associations often arrive where institutions cannot. A good example is the experience of AIPD, which carries out concrete and real projects aimed at the job placement of people with down syndrome. Very often the logic of welfare, which families and people with disabilities often tend to perpetuate too, prevails on the logic of active inclusion. This elicits a reflection on the urgency of educating the political, social but above all cultural gaze with a view to the employability of people in educational conditions, understood as educational work that would allow people with disabilities to explore their skills, their dreams and desires in order to build up their own professional project, adhering not only to contextual requests but also and above all to their personal biography.

Keywords

Job Inclusion, Independence, Employability, Life Plan, Guidance.

Scheda anagrafica

Nome dell’associazione

FISH Campania Onlus, Federazione Regionale di Associazioni di Persone con disabilità e di famiglie. In Campania raccoglie 31 organizzazioni

Aree di intervento

a) Tutela e promozione dei diritti delle persone con disabilità e delle famiglie

b) Inclusione sociale delle persone con disabilità

Anno di fondazione

1987

Sede

Caserta

Obiettivi dell’associazione

a) Difesa dei diritti delle persone con disabilità e delle loro famiglie

b) Promozione di una cultura della vita indipendente per tutte le persone con disabilità

Contatti

www.fishcampania.it

fishcampania@gmail.com

Introduzione

Per poter affrontare il tema del diritto al lavoro delle persone con disabilità, dobbiamo partire dai dati che abbiamo in possesso, nondimeno non possiamo non far riferimento all’art. 27 della CRPD:6 «Gli Stati Parti riconoscono il diritto delle persone con disabilità al lavoro, su base di parità con gli altri; ciò include il diritto all’opportunità di mantenersi attraverso il lavoro che esse scelgono o accettano liberamente in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo aperto, che favorisca l’inclusione e l’accessibilità delle persone con disabilità. Gli Stati Parti devono garantire e favorire l’esercizio del diritto al lavoro, incluso per coloro che hanno acquisito una disabilità durante il proprio lavoro, prendendo appropriate iniziative…».

Le persone con disabilità rappresentano il 15 per cento della popolazione mondiale; in Campania si stimano circa 800 mila persone su una popolazione di quasi 5 milioni e mezzo di abitanti.7 Dalla Nona relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 12 marzo 1999, n. 68 «Norme per il diritto al lavoro dei disabili» (anni 2016-2017-2018),8 in Campania risultano occupate solo 21.014 persone con disabilità.

Il tasso di occupazione per le persone non disabili in Italia è al 58,9%,9 mentre le persone con disabilità occupate sono il 35,8%, il 20,7% è in cerca di un’occupazione e il 43%, amareggiato e deluso, non la cerca più. Da questa nostra fotografia possiamo dire che in Italia, e anche in Campania, non esistono politiche del lavoro inclusive, ma interventi che discriminano quotidianamente le persone con disabilità. Inoltre, le donne con disabilità subiscono una doppia discriminazione, in quanto donne e disabili, e quindi hanno maggiori difficoltà per la ricerca di un’occupazione stabile.

In Campania: criticità e novità

Le politiche e gli interventi rivolti alle persone con disabilità in Campania sono basati esclusivamente sulla sola cura della persona, senza invece investire in progetti di vita indipendente e sull’inserimento lavorativo.

L’art. 14 della L 68/99 prevede che ogni Regione istituisca il «Fondo regionale per l’occupazione dei disabili», da destinare al finanziamento dei programmi regionali di inserimento lavorativo e dei relativi servizi. Le modalità di funzionamento e gli organi amministrativi del Fondo sono determinati con legge regionale. Il Fondo Regionale per l’occupazione dei disabili della Campania è stato costituito con LR 18/2000 (art. 45). Ricordiamo che il Fondo viene finanziato dalle sanzioni per la mancata assunzione di personale disabile da parte delle aziende con più di 15 dipendenti.

Per più di 10 anni questo fondo non è mai stato finanziato, con la conseguenza di mancati investimenti da parte della Regione in politiche attive.

La FISH Campania ha sempre sostenuto che per ripartire bisognava rifinanziare il Fondo Regionale, obiettivo raggiunto nel 2019 grazie al lavoro svolto insieme all’Assessore al Lavoro Sonia Palmeri, che in quel periodo ha avuto con noi e altre associazioni un confronto continuo. Il fondo regionale è stato finanziato con 4 milioni e 800.000 euro. Grazie al ripristino del Fondo Regionale per l’Occupazione delle Persone con Disabilità (come da articolo 14 della Legge Nazionale 68/99), la Regione ha approvato (Decreto Dirigenziale n. 1 del 7 gennaio 2020) tre misure specifiche. Si tratta rispettivamente dell’autoimprenditorialità, quale azione non solo di inserimento di persone con disabilità nel mondo del lavoro, ma anche come misura idonea a sviluppare le potenzialità dei soggetti destinatari della misura; dei tirocini, quale misura di primo inserimento lavorativo; e dell’assunzione e formazione, per rafforzare le competenze lavorative.

A distanza di due anni gli unici dati certi sono quelli relativi alla misura dell’autoimprenditorialità, che ha visto nascere circa 30 imprese con finanziamenti di 25 mila euro ciascuna a fondo perduto. Per quanto riguarda gli altri due interventi, l’emergenza Covid ha inciso molto sul tema delle assunzioni a causa della chiusura di molte attività.

Inoltre, sempre su impulso della FISH regionale, nei bandi di concorso pubblico per il potenziamento dei Centri per l’Impiego della Campania, sono stati previsti cinquanta mediatori dell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità. In tal senso la Campania è stata la prima Regione del Sud Italia a prevedere questo tipo di figure, assunzioni concluse a fine 2021. Ovviamente ciò non è sufficiente, bisogna cambiare anche la visione di tante persone con disabilità e delle loro famiglie. Spesso nella nostra esperienza associativa, ci è capitato di ascoltare alcune preoccupazioni di persone con disabilità o di familiari, che davanti a un’opportunità lavorativa, preferivano non rischiare di perdere «la pensione». Invece riteniamo che sia necessario un cambio di passo anche da parte del nostro mondo associativo per attuare concretamente la CRPD, è necessario abbandonare la cultura che ancora oggi domina, cioè quella dell’assistenzialismo.

Dalla teoria alla pratica: il lavoro svolto dalle associazioni

Dove non arrivano le istituzioni, lo fanno le associazioni. La FISH Campania ha sempre sostenuto il lavoro svolto delle proprie organizzazioni socie. In particolare, in Campania sono attive sul fronte dell’inserimento lavorativo le sezioni dell’AIPD (Associazione Italiana Persone con Sindrome di Down). L’esperienza dell’AIPD è quella di portare avanti progetti concreti e reali che hanno come obiettivo l’inserimento lavorativo delle persone con sindrome di Down.

AIPD ha in attivo il SIL (Servizio inserimento lavorativo), che offre consulenza e sostegno alle persone con sindrome di Down, attraverso un lavoro di osservazione e valutazione delle competenze e la costruzione di profili individuali; percorsi di orientamento sul lavoro; tutoraggio durante l’inserimento e sostegno durante tutto il percorso. Inoltre, supporta le aziende attraverso l’informazione e sensibilizzazione sul tema, l’accompagnamento nella fase di valutazione e selezione dei candidati, l’accompagnamento nella definizione del rapporto di lavoro, il tutoraggio del lavoratore nei primi mesi, attraverso la presenza di un educatore AIPD con ruolo di mediatore presso l’azienda durante i turni di lavoro. Grazie a questa metodologia AIPD, in Campania, è riuscita a far inserire diverse persone con sindrome di Down in aziende, partendo prima con tirocini formativi/lavorativi, e poi con un’assunzione, in alcuni casi anche con contratti a tempo indeterminato. L’esperienza portata avanti dall’associazione dimostra che facendo rete è possibile attuare quanto affermato dalla CRPD.

Gli ostacoli all’inclusione lavorativa

Il lavoro svolto dalla FISH Campania costituisce una leva strategica nella promozione dell’inclusione lavorativa delle persone in condizione di disabilità. Accanto a ciò emerge l’urgenza di riconoscere non solo a livello sociopolitico ma anche da un punto di vista culturale quanto la dimensione lavorativa concorra alla costruzione di progetti di vita autonoma, nel cui contesto la partecipazione e lo sviluppo di competenze costituiscono il volano per la valorizzazione del sé (D’Alonzo, 2016; 2019; Caldin, 2020; Pavone, 2014; Giaconi, 2015). La pubblicazione dell’International Classification of Functioning (ICF, 2001) ha proposto uno sguardo complesso e multidimensionale sottolineando la valorizzazione della persona in quanto tale, considerando i fattori facilitanti e ostacolanti che la circondano, riconoscendo l’importanza del contesto per una piena partecipazione alla comunità e la necessità di costruire risorse ambientali in grado di favorire questi processi (Chiappetta Cajola, 2019). Da tempo la Comunità Europea ha posto al centro delle proprie riflessioni la costruzione di orientamenti condivisi per l’inclusione lavorativa e l’inserimento nella forza lavoro delle persone in condizione di disabilità (Moore, Hanson e Maxey, 2020). «L’inclusione delle persone con disabilità è un problema di diritti umani e nello stesso tempo una convenienza economica, per tutto il genere umano» (Griffo, 2013, p. 23): le persone con disabilità costituiscono il 15% della popolazione mondiale (circa un miliardo di persone), di cui almeno l’80% è rappresentato da persone in età lavorativa (ILO, 2015), una risorsa potenziale da valorizzare attraverso procedure flessibili, contestualmente situate e specificamente normate (Tiraboschi, 2015; Angeloni e Borgonovi, 2017). Si stima che gli italiani in età lavorativa in condizioni di disabilità siano circa 1,6 milioni, di cui il 70% circa è in cerca di occupazione.10 Una criticità frequentemente riscontrata si configura in termini di gap tra le capacità delle persone con disabilità in cerca di un’occupazione professionale e la valorizzazione di tale capacità che non sono valorizzate al massimo potenziale di performance lavorativa. In questo senso, si considera l’inclusione lavorativa un obiettivo da perseguire attraverso decisioni politiche che favoriscano accessibilità e flessibilità dei luoghi di lavoro e delle modalità organizzative dello stesso, che permettano accomodamenti ragionevoli al fine di favorire la costruzione di contesti ad alto tasso di inclusività attenti alle esigenze di tutto il personale (Zappella, 2017). Per quanto riguarda le persone in condizione di disabilità che lavorano in azienda, si osserva uno sbilanciamento laddove ben il 53,7% degli occupati (stima di 360 mila lavoratori) ha superato i 50 anni e il 14,3% ne ha più di 60, mentre risulta estremamente ridotta la quota di quanti hanno meno di 40 anni 17,5%. Si tratta di una tendenza che chiama in gioco molteplici cause, dalle maggiori difficoltà che le persone con disabilità incontrano nell’ingresso al lavoro alla pervasività del lavoro standard a tempo indeterminato, che interessa il 93,7% degli occupati e che limita il ricambio generazionale (si tratta spesso di lavoro ad alta incidenza di part-time, con oltre il 34,3% in questa modalità). Un altro dato rilevante, riportato nel documento «Relazioni sullo stato di attuazione della legge recante norme per il diritto dei lavori dei disabili», che il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali pubblica a cadenza biennale, evidenzia che nel 2019 il numero degli iscritti alle liste del collocamento mirato ammonterebbe a 750 mila persone. A fronte di questa domanda, sussisterebbero 145 mila posti di lavoro ancora «vacanti» riservati a persone in condizione di disabilità.

Dall’occupazione all’occupabilità in ottica educativa per attivare processi inclusivi

Accanto ai dati allarmanti sia in termini di disoccupazione sia in termini di posti vacanti, le persone in condizione di disabilità e i loro familiari perpetuano talvolta una visione assistenzialista che rema contro l’inclusione lavorativa e la realizzazione di progetti di vita autonomi che rispecchino realmente i desideri, sogni e competenze delle persone in condizione di disabilità, con il risultato che tutto ciò risulti inespresso, ostacolando la piena e autentica realizzazione di sé. Inoltre, uno studio di Carter, Austin e Trainor (2012) indica che i giovani in condizione di disabilità di solito, concludono il percorso di formazione senza consolidate abilità ed esperienze e anche senza un supporto che consenta loro di avere concrete opportunità di lavoro. Ciò che manca quindi alle persone con disabilità è l’insieme di un bagaglio di competenze e di un dispositivo di accompagnamento e di orientamento al lavoro dedicato che ne valorizzi non l’occupazione intesa come la capacità di trovare e conservare il posto di lavoro quanto piuttosto l’occupabilità intesa come «l’intreccio tra il capitale umano, sociale e psicologico della persona — mediato dalle variabili situazionali — che consente all’individuo di porsi/riproporsi nel mercato del lavoro con un personale progetto professionale aderente al contesto» (Grimaldi, Porcelli e Rossi, 2014, p. 58). Tale definizione rispecchia il modello di occupabilità elaborato dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP) che tiene conto sia dei dati biografici e curricolari degli individui, sia del loro contesto, delle condizioni ambientali e di vita (Grimaldi, Porcelli e Rossi, 2014). Il modello qui indicato è complesso e multidimensionale in quanto vede il potenziale di occupabilità, come un insieme di risorse che assumono una configurazione biograficamente orientata nella negoziazione tra interno ed esterno. In questa dinamica il costrutto di competenza — inteso come orchestrazione e mobilità di conoscenze e di abilità apprese nei contesti formali, non formali e informali e trasferibili ai diversi ambiti di vita per fronteggiare le sfide quotidiane — gioca un ruolo fondamentale. L’occupabilità va inoltre considerata come una categoria flessibile e permeabile in quanto influenzata da dimensioni instabili quali: le motivazioni, gli atteggiamenti, le emozioni, i valori (Grimaldi, Porcelli e Rossi, 2014). Recentemente si focalizza l’attenzione sul concetto di occupabilità sostenibile (sustainable employability) ovvero l’idea che nel corso della vita i lavoratori possano raggiungere opportunità concrete sulla base di un insieme di loro risorse e capacità (Vuori, Blonk e Price, 2015). Per poter progettare e realizzare interventi di orientamento utili è quindi importante valutare ciò che l’individuo può fare ed è in grado di fare, e non solo esplorare ciò che è già in grado di fare, promuovendo così una narrazione delle proprie competenze declinate non solo al passato e al presente ma anche al futuro, in termini di potenzialità da attuare. Altrettanto cruciale è il ruolo del contesto socioeconomico, che deve rendere atto e attuabile tale potenziale. Tali interventi presuppongono l’esplorazione dell’occupabilità da parte dei soggetti-protagonisti coinvolti in questi percorsi di orientamento al fine di progettare — a partire dai soggetti e con i soggetti coinvolti — format di orientamento costruiti ad hoc, che tengano conto dei bisogni educativi di tutti in un’ottica inclusiva. Un contributo rilevante alla realizzazione della nuova soggettività professionale dei giovani in condizione di disabilità può essere dato dall’esplorazione della percezione dell’occupabilità, laddove sino a questo momento tale costrutto non è stato esplorato in relazione alle persone in condizione di disabilità e la maggior parte degli studi hanno posto l’attenzione sugli atteggiamenti dei datori di lavoro e dei colleghi piuttosto che sul punto di vista delle persone in condizione di disabilità (Kirsh, 2005; Schur, Kruse e Blanck, 2005; Ball, 2005; Stone e Colella, 1996; Burke-Miler, 2006; Smith e Twomey, 2002).

Orientare all’occupabilità

Le difficoltà correlate alla progettazione e alla realizzazione di una propria carriera professionale da parte dei giovani campani in condizione di disabilità, sollecita una riflessione sul ruolo centrale dell’orientamento; ci si chiede, infatti, che tipo di orientamento debba essere messo in atto per sostenere la pensabilità del progetto di vita individuale delle persone con disabilità, con specifico riferimento al progetto professionale e all’esplorazione delle risorse interne ed esterne, in un’ottica sistemica, che concorrono alla realizzazione di tale progettualità. Una possibile risposta potrebbe riguardare la declinazione dell’orientamento (nella formazione e per la formazione) quale lavoro educativo (Striano, 2002) intendendo l’orientamento come un processo che la persona mette in atto per guidare il suo rapporto con la formazione e con il lavoro, attraverso lo sviluppo, nelle dimensioni lifelong e lifewide della Competency 3B, riconoscibile come l’abilità di definire e realizzare piani per la vita e progetti personali. Potremmo considerare questa competenza come riflessiva in quanto sostiene gli individui nell’interpretazione della propria vita, conferendole senso e significato (OECD, 2005). Pertanto, come evidenziato da Grimaldi, Porcelli e Rossi (2014), sia le competenze auto-orientative (pensare e scegliere consapevolmente il proprio futuro), sia quelle di progettazione e ri-progettazione di sé (life design) consentono all’individuo di essere occupabile, cioè di porsi/riproporsi nel mercato del lavoro con un personale progetto professionale aderente al contesto. In questo scenario, risulta fondamentale valorizzare sia la relazione della persona con il mondo lavorativo nell’ottica del Business University Cooperation, sia il sostegno allo sviluppo umano e sociale nel senso inteso nell’ambito del Capability Approach (Sen, 1993) che si focalizza sullo sviluppo delle capacità individuali. Capability significa in italiano capacità, ed è proprio da questo concetto che esso si sviluppa, ovvero dalla capacità delle persone di riuscire a fare o essere quello che desiderano fare o essere (Sen,1993). L’approccio per capacità mira a restituire dignità alla persona attraverso la centralità dell’essere umano. L’insieme delle capacità individuali è composto da opportunità, abilità e dalla loro interazione con l’accesso alle risorse disponibili nei diversi contesti. Martha Nussbaum (2011) ha stilato una lista di capability fondamentali, uguali per tutti gli esseri umani, cercando di superare in questo modo la distinzione tra persone normali e persone con menomazioni, dando a tutti gli stessi identici diritti. Se dunque qualcuno — che abbia o no una menomazione — non riesce a svolgere una di queste funzioni, la società dovrà fare il possibile affinché egli possa farlo. In questo senso si definisce persona con disabilità colei che dispone di un capability set limitato rispetto ai propri obiettivi, alle proprie ambizioni e al proprio sistema di valori. In una prospettiva educativa, tutti abbiamo le potenzialità per decidere di essere ciò che vogliamo e il ruolo dell’educazione è quello di permettere l’attivarsi di questo potenziale attraverso la creazione di un ambiente facilitante (Ghedin, 2009).Su queste basi, per i giovani in condizione di disabilità si può ipotizzare la progettazione di un format di orientamento inclusivo, che si avvalga di strumenti come l’ICF(WHO, 2001), al fine di esplorare in un’ottica sistemica, sia il funzionamento della persona secondo la prospettiva bio-psico-sociale, sia le risorse e le barriere dei contesti socio-culturali in cui i soggetti dovranno declinare il proprio progetto di vita, creando sinergie tra educazione, orientamento e mondo del lavoro. In questa prospettiva, l’orientamento si mette al servizio della formazione, configurandosi come un dispositivo di interfaccia tra i percorsi di vita, quelli formativi e quelli occupazionali. Sostenendo sia l’implementazione delle capacità individuali, sia lo sviluppo del potenziale di occupabilità dei giovani in condizione di disabilità, l’orientamento rappresenta così una risorsa fondamentale per un ingresso consapevole e riflessivo in un mondo del lavoro ancora troppo poco accessibile e inclusivo. Risulta altrettanto importante dare voce alle capacità e alle attitudini dei giovani in condizione di disabilità, per cambiare lo sguardo discriminante dell’Altro spostando l’attenzione dalla condizione di disabilità al saper fare dei giovani in condizione di disabilità. La dimensione della policy deve riconoscere il ruolo centrale conferito alla persona con disabilità e al progetto di vita. Vi deve essere un ripensamento delle politiche sulle disabilità che, al fine di accrescere il benessere delle persone con disabilità, centri l’attenzione sulle opportunità e potenzialità di tali persone, permettendo loro di ampliare le scelte e di fruire dei propri diritti. Ciò contribuisce altresì a valorizzare i soggetti. Le differenze, in questa ottica, rappresentano una ricchezza da prendere debitamente in considerazione e da sostenere attraverso opportuni interventi a livello politico e sociale da parte delle agenzie educative e dei servizi di orientamento. Ripensare le politiche sulla disabilità comporta una riorganizzazione del modello vigente, comporta un passaggio da una visione focalizzata sulla cure in senso medico a una visione focalizzata sulla care nel senso dell’impegno e della responsabilità (Cesarano e Striano, 2019).

Conclusioni

L’esperienza della AIPD è particolarmente significativa nello scenario che abbiamo appena descritto perché in prima battuta parte dal riconoscimento della persona in quanto «progetto» esistenziale che richiede di essere accompagnato e sostenuto con azioni mirate e dedicate. Ciò che da un punto di vista pedagogico risulta essere il valore aggiunto dell’esperienza AIPD è la presenza di una figura di educatore con funzione di mediazione tra la persona e il contesto lavorativo.

A partire dal riconoscimento del potenziale di educabilità della persona (secondo il modello delineato da Feuerstein, 1980) diventa possibile far leva su mediatori di ordine cognitivo, comportamentale e relazionale che progressivamente vengono capitalizzati, interiorizzati e utilizzati in modo autonomo a servizio dei processi di elaborazione delle esperienze.

Il lavoro educativo è rivolto simultaneamente al contesto e alla persona che del contesto è parte integrante e costitutiva ed è orientato verso una progressiva assunzione di responsabilità da parte di tutti gli attori in campo ai fini di una piena e reale inclusione lavorativa delle persone con sindrome di Down.

Particolarmente interessante, sempre in prospettiva pedagogica, è il lavoro di osservazione e valutazione delle competenze, che richiede una focalizzazione riflessiva sulle esperienze formative e professionali maturate ma anche e soprattutto sulla persona e sulle caratteristiche che consentono di tratteggiarne un «profilo».

La logica in cui si muove l’intervento educativo supera le barriere culturali e i vincoli ad esse correlati e consente di operare in funzione della promozione della persona ma anche della «cura» educativa che la persona viene invitata a prestare a se stessa, laddove si intende per «cura» il riconoscimento delle esigenze, degli interessi e dei desideri personali.

Ciò richiede un lavoro costante sull’identità del soggetto che agisce, il quale deve essere in grado di valutare le diverse situazioni in cui è implicato e riconoscere le esperienze che in qualche modo gli restituiscono la capacità e la possibilità di occuparsi di sé, di coltivare le proprie potenzialità, riconoscendo il proprio «fondo», la propria «effettività» (Palmieri, 2014).

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1 Il presente contributo è stato congiuntamente progettato dagli autori. Tuttavia, al fine di distinguere l’attribuzione dei singoli paragrafi, a Daniele Romano sono attribuiti l’«Introduzione» e i paragrafi «In Campania: criticità e novità» e «Dalla teoria alla pratica: il lavoro svolto dalle associazioni»; a Valentina Paola Cesarano sono attribuiti i paragrafi «Gli ostacoli all’inclusione lavorativa», «Dall’occupazione all’occupabilità in ottica educativa per attivare processi inclusivi» e «Orientare all’occupabilità»; a Maura Striano le «Conclusioni».

2 FISH Campania.

3 Università degli Studi di Napoli Federico II.

4 FISH Campania.

5 Università degli Studi di Napoli Federico II.

6 La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

7 Bilancio demografico anno 2021-Campania-ISTAT.

8 INAPP-Ministero Del Lavoro e Delle Politiche Sociali.

9 ISTAT, rilevazione Forza Lavoro Novembre 2021.

10 Fonte: Rapporto l’Inclusione lavorativa delle persone con disabilità in Italia, 2019

Vol. 21, Issue 1, February 2022

 

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