Vol. 21, n. 1, febbraio 2022 — pp. 134-137

Rubrica

Istantanea

Auguri, Mario Lodi

Auguri! Compiresti 100 anni. Per fare gli auguri a Mario Lodi, proponiamo una pagina da Canevaro A. e Mendolicchio P. (2017), Un coro di voci, Trento, Erickson, pp. 67-69.

La dimensione estetica di e in questo grande educatore significa avere la sapienza della collocazione di ogni elemento, sia materiale che umano, in uno spazio, materiale e mentale, che valorizza proprio quell’elemento, nella sua originalità e irripetibilità. Scriviamo queste considerazioni avendo sotto gli occhi un piccolo dipinto, ricevuto per il Natale 2002. È leggero. Nel bianco del cartoncino, poche pennellate di acquarello, verde pallido sfumato con un accostamento rosa pallido. Su questo, trattini rossi più vivaci. Un cespuglio invernale, nel bianco. Leggero. L’autore ha avuto il dono — carisma? — di riempire con i colori rispettando il vuoto.

È questo il punto. Non riempire tutto. In Italia, e non solo, vi è stato un periodo, neppur tanto lontano anche se sembra preistorico, in cui si discuteva molto di tempo pieno. Cioè di un tempo scolastico ampio, fatto di giornate e non di mezze giornate. Mario Lodi, con altri — ricordiamo solo Bruno Ciari —, era un promotore convinto del tempo scolastico più ampio. Le ragioni possono sembrare paradossali. Sapeva quanto certi bambini e certe bambine, fuori dal tempo della scuola, vivessero un troppo pieno di impegni domestici, lavorativi, vere e proprie corvées imposte da condizioni di vita che influivano, pesantemente, sui rendimenti scolastici. Il tempo pieno scolastico poteva quindi alleggerire le giornate troppo piene di quei bambini e di quelle bambine. È bene ricordarlo a chi se ne fosse dimenticato. Il tempo pieno scolastico alleggeriva per favorire l’istruzione di tutti.

Il comportamento individuale, di un soggetto che cresce, diventa sconnesso. L’organizzazione sociale gli chiede di essere bimbo di un anno in certi momenti della giornata; di sette anni in altri momenti della stessa giornata; di quattordici anni in altre ore, sempre della stessa giornata. È complicato corrispondere, con il comportamento, al contesto del momento. Si può avere un comportamento da un anno nel tempo in cui è richiesto da sette anni. O, sempre nel tempo dei sette anni, si può avere il comportamento dei quattordici. È facile sbagliare, essere costantemente in confusione e ricavarne frustrazioni. Può sembrare un paradosso, ma trovarsi accolto in una diagnosi e a questa conformarsi, può essere un sollievo per un soggetto che cresce. Possiamo capire che le conseguenze diventino difficoltà sul piano linguistico e concettuale, con risultati che possono sembrare incomprensibili per le relazioni causali.

Se poi un bambino ha vissuto un trauma… Il trauma può portare all’impotenza appresa. Può portare a ritenere che vi sia una pressoché totale perdita di possibilità (impotenza). L’apprendimento è scoperta di possibilità, e si può dire che il trauma inibisce gli apprendimenti. È il soggetto che ha la convinzione di non riuscire a far lavorare la propria testa per realizzare un apprendimento, per imparare. Il laboratorio «nella testa» è bloccato dal senso di impotenza, dalla calamita dell’insuccesso. È allora che è bene riferirsi a un laboratorio esterno e materiale. Tale da «dettare» un ritmo, un’alternanza di pieno e vuoto. Se le attività di laboratorio sono organizzate attorno a culture (piante) o allevamenti (animali), risulterà evidente la necessità di vivere una struttura temporale non più risucchiata dal trauma.

Vorremmo considerare, in termini reali e in termini simbolici, la mano. La mano che scrive, e la mano che lavora; che è aperta o che è chiusa. La mano laboriosa.

La mano di un bambino o di una bambina esplora materiali che possono guidare e suggerire un’attività. Nel laboratorio quella mano trova una disciplina che la aiuta; trova — nella mano esperta che lavora accanto a lei — un modello a cui riferirsi e da imitare. Può produrre qualcosa. Chi è traumatizzato non ha un «luogo» in cui collocare ciò che può produrre: forse la «sua» casa non esiste più, e forse la sua dimensione interiore è tutta occupata dal dolore, dalla ferita profonda. La situazione di laboratorio propone in sé una collocazione delle produzioni del singolo individuo nella codifica più ampia delle produzioni; come le prime parole di un bambino piccolo, o di una bambina: non si perdono, se ci sono persone che ascoltano ma soprattutto se sono accompagnate a far parte di una codifica ampia come una lingua.

È l’occasione per proporre una poesia di Mario Lodi: è l’invito garbato a lavorare con gli altri.

La mano

La mia mano ha cinque dita,

e racconta la sua vita.

Dice il pollice,

dito ciccione:

Io sono il padrone.

Senza di me

non infila l’ago

nemmeno il re.

E dai piccini sono

succhiato

come un gelato.

Subito l’indice

si alza e dice:

Io insegno la strada

al turista e al ciclista,

e suono il campanello alla casa del dottore

al portone del castello.

Il medio allora dice:

Io tengo il ditale

alla sartina

che fa una vestina.

Zitti,

l’anulare

sta per parlare:

Io ho poca voglia di lavorare,

ma sono il più bello

perché

ho l’anello.

Così ornato

sono da tutti

molto ammirato.

Alla fine parla il più piccino,

che si chiama mignolino:

Nessuno è più piccolo di me.

Ma se suono il violino

scivolo sulla corda

come un ballerino.

Però... voglio dire la verità:

la sinfonia da solo

suonar non potrei,

senza i fratelli miei.

[a cura di Riccarda Viglino per l’Associazione Gessetti Colorati]

Tornando ai traumi — che hanno bisogno di far lavorare insieme tante diversità —, abbiamo trovato condizioni di trauma, come è immaginabile, nelle bambine e nei bambini che si sono trovati a crescere essendo coinvolti in scenari di guerra, anche famigliare. Lo scenario della guerra li costringeva ad essere in certi momenti molto più piccoli della loro età, e in altri momenti, magari immediatamente dopo, ad essere molto più grandi della loro età. Possono trovare un po’ di riposo nel ruolo di vittime… e rimanerci ben oltre le reali esigenze di aiuto.

Andrea Canevaro

 

Indietro