Vol. 21, n. 1, febbraio 2022
PROSPETTIVE E MODELLI INTERNAZIONALI
I programmi di istruzione post-secondaria per studenti con disabilità intellettiva negli Stati Uniti
Spunti per un’istruzione superiore inclusiva
Mabel Giraldo1
Sommario
L’accesso ai percorsi di istruzione superiore da parte degli studenti con disabilità rappresenta una delle sfide chiave poste dalle agende politiche internazionali in risposta alle quali, a partire dall’Higher Education Opportunity Act del 2008, sono stati promossi, negli Stati Uniti, specifici Post-Secondary Education programs (PSE) per giovani adulti con disabilità intellettiva. Il presente contributo intende fornire una panoramica di questi PSE statunitensi, approfondendo la normativa a fondamento di queste esperienze e le principali declinazioni che questi programmi assumono nelle istituzioni di istruzione superiore d’oltreoceano. Inoltre, a partire da una presentazione delle loro caratteristiche e da un’analisi dei principali facilitatori e barriere identificati dalla letteratura di settore, si cercherà, in conclusione, di delineare alcuni possibili spunti per riflettere sul processo inclusivo dei giovani adulti con disabilità nei percorsi di istruzione superiore.
Parole chiave
Disabilità intellettiva, Pedagogia speciale, Programmi di istruzione post-secondaria, Istruzione superiore, Inclusione.
INTERNATIONAL MODELS AND PERSPECTIVES
Post-Secondary Education programs for students with intellectual disabilities in the United States
Insights for an inclusive higher education
Mabel Giraldo2
Abstract
Access to higher education by students with disabilities represents one of the key challenges of international political agendas in response to which, starting with the Higher Education Opportunity Act of 2008, specific Post-Secondary Education Programs (PSE) for young adults with intellectual disabilities have been promoted. This paper aims at providing an overview of these American PSE for students with disabilities (including intellectual one), deepening the legislation underlying these experiences and the main declinations that it assumes in higher education institutions overseas. Furthermore, through the presentation of their characteristics and the analysis of the main facilitators and barriers identified by the sector literature, we would outline some possible ideas to reflect in the conclusion on the inclusive process of young adults with intellectual disabilities in higher education.
Keywords
Intellectual disability, Special education, Post-secondary education, Higher education, Inclusion.
Premessa
L’accesso e la partecipazione ai percorsi di istruzione superiore (Processo di Bologna, 1999) da parte degli studenti con disabilità sono stati identificati come una delle sfide chiave poste alle agende politiche internazionali (Shaw, 2009; Shaw et al., 2009). Dal 1994, la Dichiarazione di Salamanca (UNESCO, 1994) ha stabilito principi guida per un’istruzione di qualità per tutti gli studenti, non solo a scuola ma anche nel percorso universitario (articoli 19 e 47), e ricorda come l’inclusione rappresenti la via privilegiata per combattere ogni forma di discriminazione (Pavone, Bellacicco e Cinotti, 2019). Tale eredità è stata raccolta e riaffermata dalla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (ONU, 2006) che ribadisce il diritto all’educazione per tutti, compresa l’istruzione superiore (articolo 24), garantendo pari ed eque opportunità, attraverso accomodamenti ragionevoli e supporti individualizzati, in ambienti che valorizzino i processi di apprendimento, partecipazione e inclusione. Questi principi, richiamati anche nella European Strategy on Disability 2010-2020 (Commissione Europea, 2010; 2017) e dalle principali agenzie sovra-nazionali (OCSE, 2011, 2017; ONU, 2015; UNESCO, 2015), hanno esortato gli Stati membri a adottare, secondo le specificità del proprio sistema educativo, politiche nazionali capaci di promuovere un’istruzione superiore di qualità, equa e autenticamente inclusiva. In Italia, l’accesso al mondo accademico da parte delle persone con disabilità, normato dapprima dalla L 104/1992 e, successivamente, dalla L 77/1999, ha rappresentato «il naturale completamento» del lungo (e pionieristico) processo di inclusione inaugurato, nel nostro Paese, dalle politiche degli anni Settanta (Pavone, 2018).
Non sorprende, dunque, il crescente interesse mostrato dalla pedagogia speciale per tali questioni, confermato dal numero sempre maggiore di ricerche prodotte (Morgan e Riesen, 2016; Leake e Stodden, 2014). Gli autori, al riguardo, evidenziano come l’accesso agli studi superiori sia per i giovani adulti con disabilità, oltre che un diritto, un’occasione importante per lo sviluppo di competenze sociali, personali e professionali cruciali per l’inserimento in un’occupazione remunerativa e soddisfacente e per l’acquisizione degli strumenti fondamentali per l’esercizio dell’adultità e della cittadinanza attiva (Pavone, 2019). Ciò vale anche per le persone con disabilità intellettiva (Grigal e Hart, 2010; McEathron e Beuhring, 2011; Shogren et al., 2015), sebbene, per questa popolazione, la prosecuzione della carriera scolastica e l’accesso ai programmi di istruzione superiore rappresentino dei passaggi ancora oggi tortuosi e critici, generalmente condizionati dalla tipologia e gravità della disabilità, così come dai fattori ambientali e socioculturali che caratterizzano il contesto di vita della persona (Grigal et al., 2018; Lindsay, Cagliostro e Carafa, 2018).
Negli Stati Uniti, negli ultimi due decenni, è stato attivato un numero sempre maggiore di Post-Secondary Education program (PSE)3 progettati specificamente per studenti con disabilità intellettiva finalizzati al conseguimento di un certificate o di una laurea, ma anche all’acquisizione delle competenze chiave necessarie per la vita indipendente e per il futuro inserimento lavorativo (Grigal, Hart e Weir, 2013). Quasi 300 college e università nordamericani ospitano, oggi, questi percorsi formativi (Bethune-Dix et al., 2020).
Il presente contributo intende fornire una preliminare disamina dei PSE statunitensi per studenti con disabilità intellettiva, approfondendo la normativa e le principali declinazioni che questi programmi assumono nelle istituzioni di istruzione superiore d’oltreoceano.
La proposta statunitense e l’Higher Education Opportunity Act (HEOA)
Negli Stati Uniti, con il termine «istruzione superiore» (higher education), o Post-Secondary Education (PSE), si intende «all learning options available to students following high school, including credit and noncredit or continuing education courses in community college, four-year university/college, vocational-technical college and other forms of adult education» (Shaw, Madaus, e Dukes, 2010, p. 4). Queste istituzioni, pubbliche o private, possono essere università, liberal arts college, community college o for-profit college.4
Negli ultimi cinquant’anni, l’istruzione superiore del Paese è stata chiamata a sviluppare e attuare politiche e pratiche che promuovessero efficacemente l’accesso e il conseguimento del titolo anche per quelle popolazioni generalmente sottorappresentate nei percorsi di higher education, tra cui i giovani adulti con disabilità (Papay e Grigal, 2019; Plotner e Marshall, 2015; Kleinert et al., 2012; Raue e Lewis, 2011; Grigal e Hart, 2010). Tuttavia, va precisato che, mentre gli studenti con deficit sensoriali e motori accedono ai programmi di istruzione superiore da alcuni decenni (Kochhar-Bryant, Bassett e Webb, 2009), solo di recente, negli Stati Uniti, tale possibilità è stata estesa e garantita anche ai giovani adulti con learning disabilities, deficit dell’attenzione (Uditsky e Hughson, 2012) nonché disturbi comportamentali e del neurosviluppo, tra cui disabilità intellettive e autismo (Grigal e Hart, 2010).
Questo considerevole incremento si è verificato in concomitanza — oltre del già menzionato dibattito culturale, sociale e politico inaugurato dalla Convezione sui diritti della persona con disabilità — di alcuni provvedimenti legislativi che hanno svolto un ruolo cruciale nell’agenda politica statunitense per promuovere e sostenere il passaggio e l’accesso a percorsi di istruzione post-secondaria (Folk, Yamamoto e Stodden, 2012; Grigal, Hart e Weir, 2013). Vittorie significative sono giunte a partire dagli anni Settanta per impeto del Disability Rights Movement e dei relativi gruppi associativi (Self-advocacy Movements, Independent Living Movement,5People First, ecc.) che si batterono per il riconoscimento dei diritti civili delle persone con disabilità (Madaus, 2011). Si assistette, infatti, all’approvazione, da parte del Congresso degli Stati Uniti, dapprima della Sezione 504 del Rehabilitation Act del 1973 che proibì la discriminazione contro le persone con disabilità nelle istituzioni educative, comprese quelle post-secondarie (Leake e Stodden, 2014), e, successivamente dell’Education for All Handicapped Children Education Act del 1975 — oggi noto come Individuals with Disabilities Education Act (IDEA, 2004) — che assicura un’educazione pubblica e gratuita per tutte le persone con disabilità dai 3 ai 21 anni e che affida alle high school il compito non solo di supportare gli studenti con disabilità nelle fasi di orientamento per la transizione ai percorsi post-secondari, ma anche, attraverso la connessione con le agenzie correlate, di far acquisire loro quelle competenze-chiave necessarie per la vita adulta e per l’accesso ai PSE. In particolare, gli emendamenti del 1990 a quest’ultima legge hanno stabilito che tale transizione debba essere incorporata nel piano educativo individualizzato (IEP) dello studente con disabilità, riconoscendo anche il ruolo particolare e peculiare svolto, in questo percorso, dai diversi stakeholder dei servizi socio-assistenziali per l’adultità (richiamato ulteriormente nelle successive revisioni del 1997 e 2007).
Sempre a partire dagli anni Novanta, è stato promulgato un altro provvedimento, l’Americans with Disabilities Act (ADA) del 1990, che, a differenza dell’IDEA, non riguarda il contesto scolastico. Tale norma ha ribadito quanto affermato già nel 1973 garantendo agli studenti con disabilità nei PSE non solo spazi e ambienti fisicamente accessibili, ma anche corsi, curricula e specifici programmi accademici (Higbee, Katz e Schultz, 2010). In particolare, le modifiche apportate nel 2008 — con conseguente cambio di titolazione in Americans with Disabilities Act Amendements Act (ADAAA) — hanno esteso, in risposta ad alcune decisioni giudiziarie controverse, il diritto a partecipare ai programmi di istruzione post-secondari anche ai soggetti con gravi limitazioni, incluse le persone con disabilità intellettiva.
Infine, un ultimo ma decisivo provvedimento legislativo relativo ai PSE è l’Higher Education Opportunities Act (HEOA, 2008) che introduce, per la prima volta, specifiche disposizioni finalizzate a incentivare e supportare l’accesso all’istruzione superiore da parte dei giovani con disabilità intellettiva (Lee, 2009). Tale provvedimento garantisce a questi studenti — anche a coloro che non hanno conseguito un regolare diploma di scuola secondaria o non stanno perseguendo un titolo accademico standard di 2 o 4 anni — l’accesso a specifici fondi federali che consente loro di partecipare a un selezionato Comprehensive Postsecondary and Transition Program (CTP).6 Questi programmi sono «postsecondary degree, certificate or non-degree program sponsored by a college or career and technical education center that is approved by the US Department of Education and is designed to support students with intellectual disabilities as they continue to receive instruction in academic, career and independent living to prepare for gainful employment» (HEOA, 2008). Essi sono finalizzati, dunque, alla formazione e al futuro inserimento professionale; l’iscrizione a questi CTP richiede che gli studenti con disabilità intellettiva partecipino, per almeno la metà della durata del programma, a «(a) regular enrollment in credit-bearing courses, (b) auditing or participating in courses for which the student does not receive regular academic credit, (c) enrollment in noncredit-bearing, nondegree courses, or (d) participation in internships or work-based training» (HEOA, 2008).
Nel 2010, poi, l’HEAO ha autorizzato la creazione, l’implementazione e la valutazione di model demonstration program, denominati Transition and Postsecondary Programs for Students with Intellectual Disabilities (TPSID) finalizzati a «provide grants to institutions of higher education or consortia of institutions of higher education to enable them to create or expand high quality, inclusive model comprehensive transition and postsecondary programs for students with intellectual disabilities» (US Education Department).7 Questi PSE finanziati dal TPSID offrono agli studenti con disabilità intellettiva varie opportunità, inclusa l’iscrizione a corsi universitari (con o senza crediti formativi), la partecipazione alle iniziative della comunità accademica (come club studenteschi o sportivi, nonché le altre attività extracurriculari previste) e l’accesso ai career service o ai servizi residenziali del campus (Grigal e Hart, 2010). Pertanto, questi programmi, a partire da un approccio person-centered, non sono finalizzati esclusivamente al conseguimento del diploma o della laurea, ma all’acquisizione delle competenze necessarie per la vita indipendente e per il futuro inserimento lavorativo (Grigal, Hart e Weir, 2013; Moore e Schelling, 2015). I programmi di solito attivano altresì collaborazioni con enti esterni, come distretti scolastici, centri riabilitativi e organizzazioni e servizi locali del terzo settore (profit e no-profit) (Grigal, Hart e Weir, 2013).
Il Department’s Office of Postsecondary Education (OPE) ha finanziato 25 programmi TPSID per il quinquennio 2015-2020, nonché la creazione di un National Coordinating Center (NCC) assegnato al Think College8 (dell’Institute for Community Inclusion dell’University of Massachusetts Boston) che ha il compito di monitorare e valutare i TPSID e fornire formazione specializzata e assistenza tecnica a college e università, agenzie educative locali, famiglie, studenti e altri stakeholder al fine di supportare e migliorare i processi inclusione delle persone con disabilità intellettiva all’interno dei percorsi di istruzione superiore.
Questi PSE variano notevolmente per finalità e offerta formativa e hanno registrato, negli anni, un significativo turnover (McEathron e Beuhring, 2011). Per tale ragione, nel 2011, il Think College ha stabilito otto indicatori di qualità e benchmark identificati come cruciali per la realizzazione di percorsi di istruzione superiore autenticamente inclusivi (Grigal e Hart, 2010; Grigal, Migliore e Hart, 2014). Questi standard, in linea con i criteri definiti nell’HEOA (2008) per lo sviluppo dei CTP e dei PSE (Grigal, Hart e Weir, 2011; 2013), comprendono: academic access, career development, social networks, fostering self-determination, integration with college systems and practices, coordination and collaboration, sustainability, e ongoing evaluation (Grigal e Hart, 2010).
Alla luce del quadro normativo e ordinamentale presentato, appare evidente come l’importante orientamento legislativo, politico, ma anche culturale impresso dall’HEOA abbia favorito la nascita e la diffusione, su tutto il territorio nazionale, di un numero sempre maggiore di PSE specificamente dedicati alle persone con disabilità intellettiva, promuovendo e sostenendo le opportunità di accesso di questi studenti attraverso una varietà di approcci (Grigal, Hart e Weir, 2013).
Accesso all’higher education: quali possibilità?
Il passaggio dall’istruzione secondaria all’higher education si configura spesso per gli studenti con disabilità intellettiva un momento particolarmente critico (Bouck e Park, 2019). Will (1984) la definisce «an outcome-oriented process encompassing a broad array of services and experiences that lead to employment. Transition is a period that includes high school, the point of graduation, additional postsecondary education or adult services, and the initial years of employment. Transition is a bridge between the security and structure offered by the school and the risks of life» (p. 1). Inoltre, negli Stati Uniti, gli studenti con disabilità possono uscire dalla scuola secondaria con un regolare diploma o un certificate of attendance — ogni Stato con il proprio sistema — oppure a seguito di un drop out o del raggiungimento dell’età massima per legge.
I giovani adulti con disabilità intellettiva interessati a continuare il proprio percorso di studi dopo la high school possono scegliere tra due differenti tipologie di accesso ai PSE (Grigal, Hart e Weir, 2013; Plotner e Marshall, 2015). La prima, cosiddetta «tradizionale», consiste nell’immatricolarsi e frequentare regolarmente un corso di laurea o un certificate program, completare gli esami presenti nel piano di studi, usufruendo di misure e ausili compensativi e dispensativi (come ad esempio: note taker, interpreti, tutor, tempo prolungato per i test, consulenza e/o uso di tecnologie assistive). La seconda tipologia («non tradizionale»), invece, non è finalizzata al conseguimento di una laurea o di un certificate, ma prevede che lo studente con disabilità intellettiva partecipi a corsi universitari (con o senza crediti formativi), audit,9extended study course (Hart, Grigal e Weir, 2010) o ancora a programmi di studio «separati» progettati specificamente per lui/lei. Questi percorsi alternativi sono stati classificati in tre categorie (Hart e Grigal, 2009; Hart, 2006).
- Dual or concurrent enrollment (per studenti della scuola secondaria). Finanziati attraverso i fondi dell’IDEA (2004), si tratta di programmi frequentati da studenti con disabilità intellettiva — di età compresa tra 18 e 21 anni — che partecipano alle attività accademiche pur rimanendo iscritti alle high school, spesso avviati su iniziativa dei transition service10 delle scuole secondarie per supportarli nel passaggio ai percorsi di istruzione superiore (Grigal, Hart e Weir, 2012). Questi programmi dual enrollment possono anche tradursi in corsi di formazione continua progettati appositamente per gli studenti con disabilità intellettiva (Hart, Grigal e Weir, 2010; Hart e Grigal, 2009). Secondo gli ultimi dati disponibili, circa un terzo dei PSE oggi esistenti per studenti con disabilità intellettiva offre questo tipo di percorsi (Papay e Grigal, 2019; Grigal et al., 2019).
- College-initiated programs and services. Specificamente per adulti con disabilità intellettiva fra 18 e 24 anni, sono generalmente in collaborazione con gli adult services o altri enti del terzo settore e mirano a supportare la loro partecipazione all’higher education. In linea con la mission dei precedenti, essi sono finalizzati, generalmente, al raggiungimento di uno specifico traguardo professionale.
- Individual- or family-initiated supports. Gli studenti e le loro famiglie presentano autonomamente domanda di ammissione ai PSE, seguendo le procedure di accesso standard oppure si rivolgono a un individual instructor (esterno) o ai Disability Service Office (DSO) (Weir, 2004).
Inoltre, nei PSE i giovani adulti con disabilità intellettiva possono usufruire di differenti tipologie di programmi/corsi accademici che variano per grado di inclusività (Bouck e Park, 2020). I ricercatori hanno identificato, a tal proposito, tre principali modelli di erogazione dell’offerta formativa all’interno dei PSE (Hart e Grigal, 2010; Neubert e Moon, 2006).
- Separate program. Le istituzioni superiori che gestiscono PSE seguendo questo modello offrono corsi e attività distinti per gli studenti con disabilità intellettiva che, generalmente, portano a un certificate of completation. Questa tipologia di PSE è principalmente finalizzata all’acquisizione delle life skills e delle competenze necessarie per un futuro inserimento professionale: i giovani con disabilità intellettiva hanno tendenzialmente poche possibilità di interagire con il resto della popolazione studentesca, al di là della partecipazione allo specifico corso/lezione (Hart e Grigal, 2010).
- Mixed/hybrid program. Prevedono una maggiore partecipazione alle attività e alle iniziative del campus (Hart e Grigal, 2010) da parte degli studenti con disabilità intellettiva, i quali, in genere, seguono, insieme ai pari, solo specifici audit o corsi che non prevedono crediti formativi. Questo modello offre anche percorsi per supportare il giovane adulto nel futuro inserimento lavorativo (Plotner e Marshall, 2015), come stage o internship all’interno o all’esterno del campus. I programmi misti/ibridi, nella maggior parte dei casi, hanno una durata biennale (Hart e Grigal, 2010).
- Inclusive individual support program. I giovani adulti con disabilità intellettiva prendono parte, al pari e insieme al resto della popolazione studentesca, a tutte le attività e le iniziative (curricolari ed extracurricolari) del campus. Per favorire la loro partecipazione, questi studenti sono, generalmente, seguiti da un coach, fornito dal servizio di counseling and instructional support (Folk, Yamamoto e Stodden, 2012) che, individualmente e/o in piccoli gruppi, li supporta nel raggiungimento dei traguardi didattici e professionali (Hart e Grigal, 2010). Questa tipologia di programmi offre ai giovani adulti con disabilità intellettiva la possibilità di raggiungere sia certificate program sia degree programs (Grigal, Hart e Weir, 2012).
Va, inoltre, sottolineato che i college e le università che ospitano i diversi PSE per studenti con disabilità intellettiva mettono a disposizione un’ampia gamma di servizi di supporto. Primi tra tutti, i Disability Service Office (DSO) — denominati anche Disability Resource Center, Center of Disability Services (DSS), ecc. — che hanno la responsabilità di condurre l’assessment in ingresso (servendosi anche del supporto di una terza parte) e di fornire agli studenti con disabilità intellettiva tutti gli accomodamenti ragionevoli necessari per garantire loro, conformemente alle disposizioni di legge, equal access, ovvero «the opportunity to attain the same level of performance or to enjoy equal benefits and privileges as are available to a similarly situated students without disability» (Section 504, Rehabilitation Act). Le principali misure compensative e dispensative includono una maggiorazione del tempo in sede di esame, modalità di iscrizione prioritaria, la registrazione (audio/video) di lezioni, la fornitura di materiale didattico accessibile e di specifiche tecnologie educative e assistive (Sharpe et al., 2005). Per fare ciò, i DSO, nella maggior parte dei casi, mettono a disposizione dello studente con disabilità intellettiva peer mentor, coach o ambassador (Grigal, Hart e Weir, 2013).
Un altro fondamentale supporto è fornito dai college-based transition service, principalmente responsabili, insieme ai transition service della scuola secondaria, della progettazione dei percorsi dual/concurrent enrollment. Essi svolgono una varietà di azioni, tra cui assistenza e consulenza di base oppure programmi specifici composti da academic enrichment activities (es: tutoraggio, summer school, attività extracurricolari o per il tempo libero), divulgazione di informazioni per studenti e famiglie (relative all’offerta formativa, ai requisiti per test di ammissione, alle procedure di richiesta dei sussidi federali, ecc.) oppure attività di mentoring (da parte di un pari o di un altro membro della faculty per favorire i processi di inclusione didattica e sociale).
Infine, altri servizi, non esclusivi per gli studenti con disabilità intellettiva, ma che offrono loro un’assistenza e un accompagnamento specifici, sono i career o employment services (che supportano con attività di coaching o tutoring nelle fasi di orientamento, ricerca, candidatura, reclutamento professionale oppure nei percorsi di work-based learning)11 e i residential o housing services (in cui un advisor o un peer tutor accompagna il giovane adulto con disabilità intellettiva nella scelta della soluzione abitativa, interna o esterna al campus, adeguata e rispondente alle sue esigenze).
I dati della disabilità intellettiva nei PSE
Le 25 strutture beneficiare dei TPSID, a partire dal 2010, nell’anno 2018-2019 hanno implementato 59 programmi (di cui 18 in percorsi quadriennali e 41 biennali) dislocati su 19 Stati; 35 dei quali approvati come Comprehensive Postsecondary and Transition Program (CTP).
Questi percorsi sono frequentati da un totale di 981 studenti con deficit cognitivo, di cui l’89% con un’età compresa tra i 18 e i 25 anni. La quasi totalità di questi (96%) ha una disabilità intellettiva e/o un disturbo dello spettro autistico12 (Grigal et al., 2019). Poco più di un terzo di questi studenti (33%) frequenta programmi dual enrollment supportato dai college-based transition services dell’istituto di appartenenza.
Inoltre, come evidenziato dall’ultimo censimento prodotto da Grigal e colleghi (2019) per il Think College, 969 studenti sui 981 complessivi che partecipano ai programmi TPSID si sono iscritti a un totale di 6.762 corsi accademici, con una media di 6 corsi all’anno seguiti dagli studenti dei college biennali e 7 negli istituti quadriennali. Il 58% delle iscrizioni è a inclusive individual support program in cui il 29% sono corsi con crediti formativi, il 20% audit, il 9% sono corsi che gli studenti hanno frequentato in modo non ufficiale.
Un’ampia maggioranza degli studenti (64%) usufruisce dei servizi di base dei DSO del proprio campus e anche del supporto di tutor alla pari (86%). Per quanto riguarda, invece, i career service o le forme di supporto diretto per l’inserimento lavorativo, tali servizi sono forniti da tutti i 58 programmi TPSID i cui studenti, nella quasi totalità (93%), hanno partecipato ad almeno una delle iniziative formative da essi erogate, come esperienze di work-based learning, orientamento professionale, stage, ecc. Nel 2018-2019, 362 studenti hanno svolto un lavoro retribuito in concomitanza con la frequenza a percorsi di istruzione superiore.
Relativamente ai servizi per la residenzialità dei giovani adulti con disabilità intellettiva, i dati non sono così incoraggianti, a causa spesso della limitata disponibilità di alloggi (Grigal et al., 2019). Infatti, nel 2018-2019, più di due terzi degli studenti iscritti ai programmi TPSID (67%) viveva con la propria famiglia e solo il 23% degli studenti abitava nelle residenze accademiche interne o esterne al campus. Solo 32 (su 981) vivevano in un proprio appartamento indipendente e i restanti, invece, fruivano di servizi residenziali gestiti da enti esterni a college o università, come group home o appartamenti protetti.
In ultima analisi, va segnalato che, oltre all’istituzione dei TPSID, negli ultimi dieci anni negli Stati Uniti si è assistito allo sviluppo e all’espansione di altri programmi di istruzione superiore per studenti con disabilità intellettiva (Domin et al., 2020), passando dai 149 in 19 Stati del 2009 (Grigal, Hart e Weir, 2012) ai 280 in 49 Stati del 2019, con un aumento dell’88%. Si stima che in questi college e università siano iscritti un totale di 6.440 studenti con disabilità intellettiva (Grigal et al., 2019). Tali istituiti, pubblici e privati, sono gestiti sia da singoli istituti di higher education — l’83% dei programmi si trovava presso atenei pubblici — sia dai distretti scolastici in collaborazione con altre istituzioni, anche del terzo settore (es: adult service).
Tra benefici e ostacoli: alcune considerazioni preliminari13
Alla luce del numero sempre maggiore di giovani adulti con disabilità intellettiva che frequenta i PSE e del rinnovato quadro giuridico che norma questi percorsi negli Stati Uniti, l’accesso e la partecipazione ai programmi di istruzione superiore rappresenta un tema particolarmente rilevante negli studi di settore sulla disabilità (Gibbons et al., 2015), sebbene la letteratura prodotta sia ancora esigua (Lombardi et al., 2018).
In particolare, va sottolineato che gli studi finora pubblicati circa le caratteristiche e l’efficacia dei PSE per i giovani adulti con disabilità intellettiva sono di natura prevalentemente descrittiva (Grigal, Hart e Weir, 2012; Papay e Bambara, 2011; Hart e Grigal, 2009) — finalizzati a raccogliere dati quantitativi relativi alle caratteristiche e alle attività/esperienze svolte dagli studenti all’interno dei programmi di formazione superiore — e si basano in gran parte su single case study o sull’analisi qualitativa di piccoli campioni (Thoma et al., 2011) a discapito di più solidi disegni di ricerca (Faggella-Luby et al., 2014).14
Nel numero sempre maggiore di indagini condotte sul modello statunitense (Morgan e Riesen, 2016; Leake e Stodden, 2014), gli autori sottolineano che non solo le persone con disabilità, diversamente da certi retaggi e stereotipi culturali, possono frequentare con successo percorsi di istruzione post-secondaria, ma che l’accesso agli studi superiori rappresenta per questi studenti, oltre che un diritto, un’occasione importante per lo sviluppo delle competenze personali, professionali e sociali fondamentali per il raggiungimento di una vita indipendente, per lo svolgimento di un’occupazione remunerativa e soddisfacente (Grigal e Papay, 2018; Grigal et al., 2018; Butler et al., 2016; Plotner e Marshall, 2015; Moore e Schelling, 2015) e per l’acquisizione degli strumenti di partecipazione comunitaria e di cittadinanza attiva (Hosp et al., 2014). A tal proposito, gli studi prodotti suggeriscono che gli studenti con disabilità intellettiva che accedono ai programmi di istruzione post-secondaria maturano promettenti educational outcomes fondamentali per la vita adulta, quali autodeterminazione, self-advocacy, problem solving, autoregolazione, automonitoraggio, decision making, goal setting (Shogren et al., 2018; Butler et al., 2016; Grigal et al., 2016; Moore e Schelling, 2015; Shogren et al., 2015).
La letteratura, inoltre, indica che la partecipazione a percorsi di istruzione superiore inclusivi può avere un significativo impatto non solo sugli studenti con disabilità intellettiva, ma anche sull’intera comunità accademica che li accoglie. Con riferimento ai primi, i PSE si configurano come un importante contesto formativo in cui apprendere nuove abilità, sviluppare percorsi professionalizzanti, creare un’allargata rete di supporto sociale e, di conseguenza, generare nuove aspettative personali in uscita (occupazionali, abitative, ecc.) (Bethune-Dix et al., 2020). Per i pari, l’apprendimento e la convivenza con gli studenti con disabilità possono favorire più positivi atteggiamenti e percezioni nei confronti di questa condizione (Carter e McCabe, 2021; Gilson et al., 2020; Gilson e Carter, 2016) e influire, di conseguenza, a lungo termine, sul loro impegno e sensibilità nei confronti dell’inclusione sociale e delle diversità (Carter et al., 2019; Griffin et al., 2016). Infine, l’attuazione di questi programmi ha ricadute concrete anche per i membri della faculty e l’intera comunità accademica poiché essi possono contribuire alla creazione di spazi, di opportunità sociali e accademiche nel campus (Bethune-Dix et al., 2020; Gilson et al., 2020), promuovendo una rinnovata cultura inclusiva (Harrison, Bisson e Laws, 2019).
Una cospicua parte della letteratura prodotta sui benefici e l’efficacia dei PSE per i giovani adulti con disabilità intellettiva si focalizza, in particolare, sui processi e sugli esiti professionali, riconosciuti come key outcome per molti programmi e, in particolare, per i TPSID (Thoma, 2013). Studi di follow-up suggeriscono, nello specifico, che l’accesso ai PSE migliora anche i successivi risultati occupazionali nella prima età adulta (Butler et al., 2016; Moore e Schelling, 2015), soprattutto se accompagnato durante il percorso da esperienze di work-base learning (Grigal et al., 2018).
Tuttavia, nonostante gli effetti positivi fin qui menzionati, il processo di inclusione nei programmi di istruzione superiore negli Stati Uniti si configura, generalmente, come un percorso complesso e intricato per gli studenti con disabilità intellettiva (Hart, Grigal e Weir, 2010) per i quali, infatti, si attestano tassi più alti di drop out e di ritardi/abbandoni nel completamento del percorso di studi (Newman et al., 2011).
Molteplici sono le sfide comunemente affrontate da questi studenti nel passaggio a percorsi PSE. In primo luogo, alcune criticità sono dovute proprio alla differenza tra le istituzioni secondarie e post-secondarie, in termini non solo di servizi e strutture ricettive e di disposizioni legislative che li regolano (Lovett, Nelson e Lindstrom, 2015), ma anche all’eterogeneità dell’offerta formativa dei diversi programmi (Grigal, Papay e Paiewonsky, 2020; Morgan e Riesen, 2016).
Inoltre, a differenza dal contesto scolastico, con l’accesso all’higher education, gli studenti con disabilità intellettiva diventano, per legge (ADAAA, 2008), direttamente responsabili del proprio percorso formativo e viene chiesto loro di assumere un ruolo proattivo sia nelle fasi di ingresso e richiesta di informazioni, sia nella ricerca dei servizi e degli ausili di supporto per le loro esigenze di apprendimento (Hong, 2015). Ciò richiede allo studente adeguate competenze (self-advocacy, autodeterminazione, decision making, ecc.) e relative strategie di compensazione (autoregolazione, goal setting, metacognizione, ecc.), organizzazione e comunicazione che non sempre la persona con disabilità intellettiva possiede (Shogren et al., 2018) o che non possiede ancora. A tal proposito, una delle principali difficoltà riguarda proprio la dichiarazione del deficit nel momento di iscrizione ai percorsi di istruzione superiore, identificato in letteratura come disclosure.15 Negli Stati Uniti, solo il 50% degli studenti dei PSE rivela, ai servizi preposti, le proprie esigenze speciali (Newman e Madaus, 2015) e la causa sarebbe da rintracciare nella scarsità di informazioni disponibili, nella copiosa documentazione da presentare, nella quantità di tempo che l’espletamento di tali procedure richiede (Grimes, 2020; Grimes et al., 2019), nonché nel connesso rischio di esposizione al pregiudizio o nell’effetto-stigma (Grimes et al., 2020). Pertanto, a fronte delle stime ufficiali secondo le quali circa l’11% della popolazione accademica è composta da giovani adulti con disabilità, va considerato che c’è potenzialmente un numero cospicuo di studenti che, poiché non diagnosticati o registrati dai DSO, rimangono nell’ombra (Lombardi et al., 2018).
Infine, oltre alle difficoltà legate alle fasi di accesso e immatricolazione, diversi ricercatori (Plotner e Marshall, 2015; Thoma et al., 2011) hanno sottolineato che alcune delle principali barriere sperimentate dai giovani adulti con disabilità intellettiva riguardano proprio aspetti cruciali della vita universitaria, come la scelta della struttura residenziale, le reali opportunità di inclusione nelle attività extracurricolari, la disponibilità e l’accessibilità dei corsi universitari e, in generale, gli atteggiamenti da parte dei pari e della faculty. In riferimento a quest’ultima, la riluttanza — giustificata, in alcuni casi, dal timore dei docenti di non essere adeguatamente formati o sufficientemente qualificati (Causton-Theoharis, Ashby e DeClouette, 2009) — si traduce, in molti casi, nella scarsa propensione a adottare modalità e strumenti (didattici e valutativi) specifici e flessibili, come materiale di studio in formato accessibile e misure compensative/dispensative in sede di esame (Lombardi e Murray, 2011).
Per quanto concerne, infine, i servizi di base dedicati alle persone con disabilità (DSO), la letteratura se, da un lato, ne elogia la copiosità e la disponibilità all’interno dell’higher education, dall’altro, ne evidenzia alcune criticità connesse alle modalità con cui essi vengono erogati, ai frequenti ritardi nei processi di definizione dei supporti, alla mancanza di un coordinamento adeguato con gli altri servizi interni al campus (es: career service) o con altre realtà sociali e occupazionali del territorio (es: adult service) e alla scarsa personalizzazione degli interventi (soprattutto nelle fasi di orientamento in ingresso e transizione al mondo del lavoro) (Sheppard-Jones et al., 2015; Noonan, Morningstar e Gaumer Erickson, 2008). Come sottolineano Grimes e colleghi (2018), tali fattori disincentivanti sono spesso causati da un processo di «accomodamento a bisogno» di tipo assistenzialistico, concentrato più sulla certificazione della disabilità dello studente che sull’analisi delle sue concrete esigenze contestuali e dei reali bisogni associati al suo profilo di funzionamento (Kurth e Mellard, 2006). Ciò potrebbe essere imputato alle stesse disposizioni legislative e a un sostanziale fraintendimento, da parte dei DSO ma non solo, del concetto di accomodamento ragionevole, che porta le istituzioni post-secondarie a adottare implicitamente un approccio medico basato sulla certificazione del deficit. Non stupisce, dunque, che alcuni studiosi (Lombardi et al., 2018) sottolineino la crescente necessità di riconfigurare la tradizionale impostazione dei DSO in una prospettiva integrata, sistemica ed estesa all’intera comunità accademica e territoriale, auspicando altresì che essi possano essere amministrati e gestiti anche da professionisti con disabilità (Strauss e Sales, 2010).
Inoltre, nonostante i numerosi progressi nella promozione di processi inclusivi nei PSE, gli stessi studenti con disabilità intellettiva segnalano numerose barriere sociali che ancora ostacolano la loro piena partecipazione, spesso legate ad atteggiamenti negativi o evitanti dei loro pari e dei membri della faculty (Gilson et al., 2020; Gibbons et al., 2015). Tali ostacoli non solo generano stigmatizzazione ed esclusione sociale (Leake e Stodden, 2014), ma sono anche tra le principali cause di drop out (Lombardi e Murray, 2011).
Ulteriori criticità riguardano il ruolo svolto da altri fattori contestuali, come la famiglia e il percorso scolastico pregresso.
In relazione alla prima, Culnane, Eisenman e Murphy (2016) hanno affermato che le aspettative dei genitori rispetto alla possibilità che il/la proprio/a figlio/a possa accedere a programmi PSE sono direttamente proporzionali alla percezione che essi hanno del disturbo e del modo con cui la disabilità intellettiva ha influito non solo sul percorso scolastico del giovane, ma anche sui diversi contesti e attività della vita quotidiana. In particolare, alcune ricerche sottolineano il ruolo fondamentale svolto dalla famiglia nella scelta del programma PSE a cui iscriversi e nella relativa fase di transizione (Argawal, Heron e Burke, 2020).
Per quanto riguarda, invece, il precedente percorso scolastico, la letteratura evidenzia che le principali difficoltà sono, anzitutto, direttamente connesse alle conseguenze di una preparazione in uscita non sempre completa e sufficientemente rigorosa da consentire agli studenti con disabilità intellettiva di accedere e sostenere futuri corsi accademici (Dutta, Schiro-Geist e Kundu, 2009). Solo il 50% degli studenti con disabilità intellettiva usciti dalla high school si iscrive a percorsi di istruzione post-secondaria (Domin et al., 2020). In secondo luogo, il mancato accesso a percorsi di istruzione superiore sarebbe dovuto alla scarsa conoscenza da parte dei docenti della scuola secondaria dei vari PSE e della loro offerta formativa, in particolare, delle differenze che essi presentano in termini di inclusività, accesso e accessibilità ai corsi e ai percorsi di internship (Hart, Grigal e Weir, 2010). La letteratura rileva, inoltre, criticità nell’azione di orientamento, supporto e promozione svolta dai transition service: benché ritenuti fondamentali, essi si rivelano spesso inadeguati o inefficaci, soprattutto per quanto riguarda la costruzione di progettualità person-centered e student-directed (Thoma e Wehman, 2010), l’erogazione di supporti adeguati in collaborazione con le atre istituzioni formative e/o professionali coinvolte (Certo et al., 2008; Noonan, Morningstar e Gaumer Erickson, 2008) e la creazione di opportunità individuali e specifiche di partecipazione alla vita del campus (Griffin et al., 2016; Grigal, Hart e Migliore, 2011).
Riflessioni conclusive sul modello statunitense
In linea con il richiamo della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (ONU, 2006) al diritto all’apprendimento permanente e ai principi di equità, cittadinanza attiva e inclusione, l’evoluzione delle politiche post-secondarie e il conseguente aumento di PSE per persone con disabilità intellettiva hanno contribuito, negli Stati Uniti, alla diffusione di diversi approcci e assetti organizzativi nel tentativo di migliorare la qualità della vita accademica e del percorso di studi per questa popolazione studentesca.
Tuttavia, come emerso nel corso del contributo, il crescente afflusso di giovani adulti con disabilità intellettiva ai programmi di higher education non sempre si traduce in percorsi di istruzione superiore realmente inclusivi in grado di garantire eque opportunità e di offrire un supporto autenticamente rispondente alle esigenze del singolo studente che richiede servizi e facilities specifici (Higbee, Katz e Schultz, 2010).
Al di là delle particolari caratteristiche che la postsecondary education assume negli Stati Uniti — connesse al loro specifico sistema di istruzione —, il quadro fin qui presentato fa emergere alcuni elementi di riflessione che, senza la pretesa di restituire un’analisi comparativa, offrono l’occasione per ragionare sul processo inclusivo degli studenti con disabilità intellettiva nei percorsi di istruzione superiore. Un tema che interroga oggi, in modo sempre più vigoroso, la pedagogia speciale, anche in Italia, in cui una nuova popolazione studentesca sta facendo il suo ingresso negli Atenei (ISTAT, 2019), portando con sé nuove sfide educative e formative (Bocci, Cajola e Zucca, 2020; Giaconi et al., 2020; Bellacicco, 2018; Pavone, 2018; 2014; D’Amico e Arconzo, 2013).
Un primo aspetto, più generale, riguarda direttamente il paradigma inclusivo: sebbene, come emerge dall’esperienza statunitense, la progressiva crescita dei PSE sia stata fondamentale per affermare la mission inclusiva anche nell’higher education plasmando relativi modelli, pratiche e alleanze educative (Bumble et al., 2018), tali principi non sempre trovano concreta attuazione. Molti programmi, pur dichiarandosi inclusivi e prevedendo una certa flessibilità (es: nel piano di studi, nei programmi, ecc.), spesso promuovono e realizzano, per gli studenti con disabilità intellettiva, un’offerta formativa separata, non solo differenziata o personalizzata (si pensi, ad esempio, ai separate program). In tal senso, si può affermare che la «parità di accesso» ai PSE non esaurisce e risolve la questione della reale accessibilità di questi percorsi (in termini di programmi, materiali didattici, servizi, ecc.) e che l’assicurazione di tale diritto, in rigorosa ottemperanza della normativa vigente (come la Sezione 504 dell’ADA), non si traduce automaticamente in una maggiore partecipazione degli studenti con disabilità intellettiva a un contesto sociale e di apprendimento autenticamente inclusivo. Generalmente, gli istituti si limitano a offrire, in linea generale, risposte «tecniche» ascrivibili in una logica del bisogno (es: trattamento individualizzato in sede di esame, assessment diagnostico, erogazione di servizi, ecc.) senza, tuttavia, considerare le uniche e specifiche esigenze del singolo studente con disabilità intellettiva dettate anche, ma non solo, dal suo profilo di funzionamento (Leake e Stodden, 2014). Si verifica, pertanto, uno scollamento tra il piano delle (buone) intenzioni, ispirato ai principi inclusivi radicati nel modello dei diritti umani e nei valori della giustizia sociale, e quello più operativo, in cui si concretano pratiche di natura principalmente assistenzialistica (Beauchamp-Pryor, 2013).
Un secondo elemento da considerare riguarda i vari servizi a cui il giovane adulto con disabilità può rivolgersi all’interno del campus (DSO, career service, residential service, ecc.). Da un lato, il crescente numero di servizi offerti per la popolazione studentesca con disabilità testimonia la diffusione di una nuova sensibilità e attenzione formative, dall’altro, però, questa diversificazione, amplificata anche dalle numerose figure coinvolte per i diversi aspetti della vita accademica (mentors, peer tutor, DSO, ecc.), rischia di generare, in risposta, un’azione di supporto frammentaria che, invece di orientare lo studente, lo confonde ulteriormente. Questa sensazione potrebbe, oltretutto, essere alimentata nel giovane adulto con disabilità intellettiva dalla concomitante richiesta di adattamento a un nuovo contesto sociale, organizzativo e formativo (Dutta, Shiro-Geist e Kondu, 2009).
Come sottolineato da alcuni autori (Grimes et al., 2020; 2018), la piena affermazione dell’inclusione implica da parte delle istituzioni superiori uno sforzo culturale, sociale e formativo ad ampio raggio, un ripensamento profondo che va assunto e orchestrato a livello di sistema tra i vari stakeholder coinvolti e che guarda oltre il diritto di studio o di accesso. Il fine dovrebbe essere rappresentato dal progetto di vita della persona con disabilità, che scaturisce sempre da un pensare in prospettiva futura, o meglio un «pensare doppio» (Ianes e Cramerotti, 2009): «immaginare, fantasticare, desiderare aspirare, volere e contemporaneamente […] preparare le azioni necessarie, prevedere le varie fasi, gestire i tempi, valutare i pro e i contro, comprendere la fattibilità» (p. 44). Se si manca questa sfida, i percorsi di istruzione superiore rischiano di diventare solo delle incubatrici in cui procrastinare l’ingresso nella vita adulta, garantendo sì alla persona con disabilità un ulteriore contesto, più o meno protetto, dopo la scuola, in cui sperimentarsi, senza tuttavia costruire un ponte e uno snodo chiave per la vita indipendente (lavoro, abitare, ecc.) e per la cittadinanza attiva.
In contrapposizione a tutto ciò, tuttavia, una preziosa risorsa che viene restituita dall’esperienza dei PSE statunitensi — e ciò costituisce il terzo spunto di riflessione — riguarda i transition service, sia quelli delle scuole secondarie e quelli college-based, il cui coordinamento risulta essenziale e determinante per il buon esito dei processi di transizione e di inclusione e partecipazione all’interno dei PSE (Morgan e Riesen, 2016). Tali servizi, che richiedono specifiche attenzioni educative e progettuali, non solo possono rappresentare un raccordo cruciale tra il ciclo scolastico e l’istruzione superiore, ma soprattutto, sempre in risposta alla logica integrata, sistemica e life span che il progetto di vita richiama, possono costruire e garantire quella continuità formativa che ancora troppo spesso non caratterizza i percorsi di vita dei giovani adulti con disabilità intellettiva.
La sfida, pertanto, non consiste solo nell’investire su azioni di avvicinamento degli studenti ai percorsi di istruzione superiore al termine delle scuole secondarie — ancor più se solo in procinto dell’uscita dal percorso scolastico —, ma nel garantire loro, lungo tutto l’arco della vita, un’azione di orientamento educativo e professionale, personale e sociale. In tal senso, si chiede alle istituzioni di «mettersi in gioco non soltanto sul piano della didattica e della ricerca (prima e seconda missione universitaria) ma anche nello sviluppo di quella terza missione che vede le università parti attive nella promozione e sviluppo dei contesti territoriali, sia a livello locale, sia a livello globale e internazionale, avvicinando e riconnettendo le esperienze formative formali, non formali e informali» (Moliterni, 2018, p. 99). In tal senso, l’accesso e la partecipazione ai percorsi di istruzione post-secondaria da parte dei giovani adulti con disabilità permetterebbero agli Atenei, se intrinsecamente community engaged (Boyer, 1990), di promuovere, realizzare e divulgare un decisivo inclusive turn dal punto di vista sociale, culturale e strutturale.
Concludendo, è proprio in questa direzione che, come sostiene Pavone (2018), i discorsi sulla disabilità possono diventare motore di innovazione per l’intero sistema di istruzione superiore facendo evolvere, in senso batesiano (1984), linguaggi, modi di pensare, modelli, pratiche e relazioni.
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1 Università degli Studi di Bergamo.
2 Università degli Studi di Bergamo.
3 Programmi simili si trovano anche in altre nazioni, come Australia (Gadow e MacDonald, 2019), Canada (Hughson e Uditsky, 2019), Islanda (Stefánsdóttir e Björnsdóttir, 2018), Irlanda (Kubiak, et al., 2019) e molti altri.
4 Si precisa che nel sistema di istruzione superiore statunitense, college e università non sono da considerarsi come sinonimi. Con il primo termine, infatti, si intendono quegli istituti che offrono programmi undergraduate (Bachelor Degree), più avanzati rispetto alla scuola secondaria, ma che si collocano al di sotto del grado di formazione graduate (Master Degree), offerto dalle università. Il college può fare riferimento a uno di questi tre tipi di istituzione educativa: 1) community college, detti anche junior college: sono delle istituzioni pubbliche che prevedono due anni di studio e possono offrire associate’s degree, ovvero diplomi di istruzione superiore o certificati tecnici, GED e un numero limitato di diplomi quadriennali; 2) liberal arts college: si tratta di istituti di istruzione superiore in cui vengono offerti percorsi di studio alternativi a quelli di indirizzo tecnico e i corsi della durata di 4 anni possono portare all’ottenimento di un Bachelor (per es., of Arts, BA, of Science, BS, of Science in Engineering, BSE); 3) college all’interno di un’università: rappresentano generalmente il percorso di istituzione undergraduate di un’università, mentre altri sono istituzioni separate. Le università, infatti, offrono programmi undergraduate (Bachelor) e graduate e questi ultimi comprendono Doctorate (Ph. D.), Master of Science (MS), Master of Business Administration (MBA), Master of Arts (MA) o Master of Fine Arts (MFA). Inoltre, alcune università hanno scuole professionali, come journalism school, business school, medical school, pharmacy school e dental school. Infine, va sottolineato che negli Stati Uniti il sistema di istruzione superiore è decentralizzato in quanto in base alla Costituzione la competenza in materia di istruzione è affidata agli Stati (dalla scuola elementare alla post-secondaria), per cui, nelle diverse giurisdizioni, varia in misura considerevole. L’istruzione è principalmente finanziata mediante stanziamenti statali, locali e privati (rette scolastiche e donazioni), mentre il governo federale finanzia borse di studio, sostiene un vasto programma di prestiti destinati agli studenti e rappresenta una delle principali fonti di finanziamento della ricerca. Attraverso questi finanziamenti, il governo federale esercita un’influenza sulle politiche di istruzione superiore a livello degli Stati e degli istituti, ma non esercita alcuna forma di controllo diretto.
5 A tal proposito, si ricorda che il Movimento nacque proprio all’Università di Berkeley (California) negli anni Sessanta quando un gruppo di studenti con disabilità grave, capeggiati da Ed Roberts, rivendicò il proprio diritto a godere una piena partecipazione alle attività e ai luoghi fino ad allora fisicamente limitata a causa di una serie di barriere architettoniche presenti nel campus e nella comunità circostante.
6 Per l’elenco aggiornato degli istituti CTP approvati a livello federale, si veda http://studentaid.ed.gov/eligibility/intellectual-disabilities (consultato il 15 luglio 2021).
7 Si veda il link: https://www2.ed.gov/programs/tpsid/index.html (consultato il 15 luglio 2021).
8 Per approfondimenti, si veda il sito www.thinkcollege.net/about-us/think-college-grant-projects/national-coordinating-center (consultato il 15 luglio 2021).
9 Si riferisce a quei corsi che lo studente con disabilità può frequentare in qualità di uditore.
10 Il termine transition service si riferisce, nel generale sistema di educazione e istruzione degli Stati Uniti, a un insieme di attività, coordinate e realizzate in ambito scolastico sia da docenti sia da consulenti per l’orientamento (psicologi, assistenti sociali, vocational trainer, ecc.), con l’obiettivo di facilitare «the student’s movement from school to post-school activities such as postsecondary education, vocational education, integrated employment (including supported employment), continuing and adult education, adult services, independent living or community participation» (IDEA, 2004). Esse includono anche attività finalizzate a garantire agli studenti una maggiore comprensione della loro disabilità e lo sviluppo di condotte autodeterminate (Cortiella, 2006).
11 «Work-based learning was defined as paid or unpaid activities that help students develop and practice work-specific skills as well as general employment and soft skills. The primary purpose of the work-based learning is to prepare for a particular job or improve general employment skills, and can be related or unrelated to course work» (Grigal et al., 2019, p. 11). Il work-based learning può includere un’ampia gamma di esperienze professionali (retribuite o meno), come: a) stage, transitional jobs, on-the-job-training o forme di apprendistato (Cahill, 2016); b) esperienze come job shadowing o volontariato (Martinez et al., 2008); o ancora c) colloqui informativi, tour sul posto di lavoro o service learning (Luecking e Gramlich, 2003). Alcune di queste attività, compreso il completamento di stage ed esperienze lavorative retribuite, sono state identificate come predittori comuni dei risultati post-scolastici per i giovani in età di transizione (Test et al., 2009).
12 Come specificato nel report: il 64% di questi studenti ha una disabilità intellettiva ma non un disturbo dello spettro autistico, il 28% presenta entrambi i deficit, il 4% presenta tratti autistici ma non una disabilità intellettiva e, infine, il 4% ha altre disabilità (Grigal et al., 2019).
13 I dati presentati in questo paragrafo sono stati selezionati a partire da una narrative literature review (Levy e Ellis, 2006) delle fonti scientifiche (primarie/secondarie) relative all’accesso e alla partecipazione delle persone con disabilità intellettiva ai PSE negli Stati Uniti. Tutti i lavori oggetto di indagine sono stati identificati nel mese di giugno 2021 a partire dai seguenti database: SocIndex, Psych ARTICLE, Pubpsych, EBSCO host, PsychINFO, Science Direct. I database sono stati interrogati mediante una ricerca avanzata e multifase derivante dalla combinazione delle seguenti parole chiave (AND e OR rappresentano gli operatori booleani utilizzati): a) intellectual disability or mental retardation; b) higher education; c) postsecondary program. Dai 678 documenti iniziali individuati sono stati inclusi nella ricerca 56 studi, tra articoli scientifici, monografie e capitoli di volume peer reviewed e pubblicati in ambito statunitense tra il 2008, anno dell’HEOA, e oggi. Tutte le ricerche sono citate all’interno del paragrafo e i riferimenti bibliografici completi sono riportati al seguente link: https://drive.google.com/file/d/1qXwhpb6MySp7bgLeMylrLgwuM0UM946W/view?usp=sharing (consultato il 28 gennaio 2022).
14 Le principali limitazioni segnalate dagli autori riguardano: 1) i dati a disposizione non consentono a ricercatori o professionisti del settore di determinare se i risultati ottenuti dagli studenti al termine di questi percorsi fosse in linea con ciò che il programma ha dichiarato che avrebbero offerto (Grigal e Hart, 2010); 2) gli studi finora prodotti non forniscono un’analisi incrociata e comparata delle variabili contestuali associate alle diverse offerte formative, dal punto di vista non solo didattico e professionale, ma anche educativo, personale e sociale (Thoma et al., 2011); 3) il campione preso in considerazione nella maggior parte delle indagini considera la «disabilità intellettiva» come un’unica ampia categoria senza opportunamente distinguere l’eterogeneità di condizioni (cliniche, psicologiche, linguistico-comunicative, sociali, cognitive, ecc.) che, inevitabilmente e a titolo diverso, possono impattare sull’accesso e sulla partecipazione dei giovani ai programmi PSE (Lombardi et al., 2018).
15 Come previsto per legge (ADAAA), per usufruire dei residential service, gli studenti devono comunicare ai DSO e i relativi servizi la loro disabilità, così da valutare gli accomodamenti necessari (Lovett, Nelson e Lindstrom, 2015).
Vol. 21, Issue 1, February 2022