Vol. 19, n. 4, novembre 2020

MONOGRAFIA

Il corpo con-diviso

Scienze mediche e scienze dell’educazione a confronto

Patrizia Pentassuglia1

Sommario

La riflessione sul dialogo tra medicina e scienze sociali è oggetto, particolarmente attuale, di numerose ricerche. Vi sono diversi motivi per domandarsi se questo sia proficuo per l’individuo e se tale dialogo possa migliorare sia la formazione dei futuri medici quanto il rapporto medico/paziente. Essere sani e in buona salute è un imperativo imprescindibile. Nel rapporto medico/paziente l’azione non si limita ad alleviare gli effetti di malattie o traumi, ma implica un impegno teso alla conoscenza dell’individuo, a maggior ragione nel caso di individui con disabilità. A fronte di continue sollecitazioni, la scienza medica, non trovando risposte soddisfacenti e talvolta concrete alle varie problematiche e criticità, cerca i modi e gli strumenti per non abdicare la propria egemonia. Innanzitutto, a fronte delle continue trasformazioni che il sistema della salute impone, la medicina è chiamata costantemente a riflettere sul proprio modus operandi in un’ottica multidisciplinare. Inoltre, nella concezione dell’individuo come autonomo e responsabile, il rapporto medico-paziente si pone al centro di nuove problematiche.

Parole chiave

Corpo, visibile/invisibile, incertezza, educazione terapeutica, formazione umanistica.

MONOGRAPHY

The shared body

A comparison between medical science and education sciences

Patrizia Pentassuglia2

Abstract

Analysis of the dialogue between medicine and social sciences is the subject, especially nowadays, of numerous research projects. There are many reasons why we should question whether this is productive for the individual and whether such a dialogue can improve both the training of future doctors and the doctor/patient relationship. Being in good health is an absolute necessity. In the doctor/patient relationship actions are not limited to mitigating the effects of an illness or trauma but imply a commitment aimed at understanding the individual, all the more so in the event of individuals with disabilities. Faced with repeated requests, medical science, not finding satisfactory and at times concrete solutions to various problems and critical issues, attempts to find ways and instruments so as not to abdicate its rule. First of all, facing the continuous changes that the health system imposes, medicine is repeatedly called upon to reflect on its own modus operandi from a multidisciplinary perspective. Furthermore, in the conception of the individual as autonomous and responsible, the doctor-patient relationship is placed at the heart of a new set of problems.

Keywords

Body, visible/invisible, uncertainty, therapeutic education, humanistic training.

Dovendo reinventare un nuovo rapporto con le norme vitali e sociali che intervengono sull’esperienza patologica e sulla disabilità, la medicina constata, all’interno e all’esterno d’essa, l’esistenza di paradigmi differenti poiché diversi e imprevedibili sono i modelli e i sistemi di ricerca.

Al di là dell’orientamento teorico, il medico riconosce una responsabilità sociale: deve prodigarsi per migliorare la salute e il benessere dei pazienti e della comunità; deve riflettere costantemente sul ruolo paziente/malato. La scienza medica è allora chiamata costantemente a inventare nuovi modi di gestire la salute avendo un accesso privilegiato alla malattia, al corpo, e raramente al vissuto e all’esperienza di vita dei pazienti e dei loro familiari.

E il corpo (Corbin, Courtine e Vigarello, 2005)? Il corpo è un elemento centrale del pensiero dominante; è un essere simbolico, espressione di un concetto che costituisce la nostra storia e la nostra archeologia. C’è un corpo biologico che analizza e crea connessioni, ma è incapace di inventarsi l’immaginario e il simbolico. Tuttavia, è una struttura che evolve non soltanto attraverso reazioni chimiche complesse; difatti, ogni suo funzionamento, è legato a un complesso meccanismo unitario che si nutre di emozioni soggettive e collettive più o meno intense. La riflessione sul corpo è sempre stata caratterizzata, nei secoli, da una dicotomia, all’interno della quale si ha un’oscillazione ovvero una coesistenza di due opposizioni a seconda dell’epoca nella quale s’inscrive. Sin dalle origini il corpo rivela l’esistenza di una polarità: visibile/invisibile. Questa polarità implica due aspetti di un medesimo problema: essa non è mai rigidamente l’una o l’altra cosa, ma gioca un percorso semantico fra di esse. Se la dicotomia appartiene a una realtà che muta costantemente, in alcuni casi, viene annullata, essa diventa espressione di situazioni esistenziali che si compenetrano. In quest’ottica, il corpo dell’individuo con disabilità merita una riflessione. Per sua natura è il luogo dell’apparire; quanto più elevato è il grado di disabilità, tanto più il corpo esprime una potenza in atto: la visibilità nella sua pienezza, ciò che potremmo definire l’apoteosi del visibile (Pentassuglia, 2018). La visibilità è sottoposta allo sguardo medico il quale indugia alla ricerca degli aspetti patologici dell’individuo oggetto del suo interesse. Tuttavia, la visibilità reca in sé non solo la traccia dell’esistenza, ma il segno di una visibilità diversa, di una presenza diversa: l’invisibile (Pentassuglia, 2013). E se il corpo simbolico è un’invenzione recente (Courtine, 2011), il segno visibile, e al contempo invisibile di un’interiorità, è necessario restituirgli uno spessore di interiorità. Si sa, nella sofferenza non c’è solo dolore fisico, così come nella disabilità non c’è necessariamente malattia. Al di là del visibile, quale invisibilità abita l’individuo, quali spazi da condividere e quale zona d’ombra reclama il loro diritto a esistere; e, soprattutto, come rendere esplicita quella intensità, quella invisibilità? La narrazione potrebbe essere un suggerimento già sperimentato da anni ma pur sempre proficuo ed efficace. Perché usare la narrazione? Forse perché mediante la narrazione ci si racconta; essa permette di afferrare una pluralità di significati, alieni al linguaggio medico. Poiché il narrare è uno strumento catartico, il racconto lenisce le ferite e allevia il dolore, la paura. C’è tutto un filone della medicina narrativa (Charon, 2006) la quale contempla la costruzione e la condivisione di emozioni, significati personali e collettivi e consente altresì di affermare al paziente la propria unicità. Vien spontaneo domandarsi come la narrazione possa essere inclusa nella pratica medica. Questo obiettivo esige dai clinici un’adeguata competenza pedagogico-educativa.

Se le scienze mediche fanno costantemente appello a una presunta oggettività del loro operare, a fronte di ciò, la storia di ciascun individuo è spesso marginalizzata. Per i più reticenti, sembrerebbe che il narrare non possa veicolare l’oggettività del caso, dei sintomi o della malattia. Pare, invece, che il motivo di tali timori risieda nel fatto che la medicina sia spesso inconsapevole e a digiuno di competenze e strumenti educativi. Per ovviare a queste problematiche, le Medical Humanities, nate nel mondo anglosassone, propongono agli studenti di medicina la possibilità di acquisire conoscenze e competenze relative alle pratiche mediche secondo paradigmi antropologici, pedagogici e sociologici. Alla Sorbonne Nouvelle di Parigi, una formazione chiamata Humanités médicales,3 aperta agli studenti di medicina, ha avviato un programma interdisciplinare nella prospettiva di una medicina più attenta alle esigenze di pazienti e familiari. La formazione offre strumenti efficaci per la definizione dei problemi legati alla salute, al paziente e ai disabili. A Ginevra dal 2001, nella Facoltà di medicina sono previsti dei seminari obbligatori dal secondo al quinto anno tenuti da un clinico e da uno specialista delle scienze umane e sociali.4 Grégory Aiguier, all’Università di Lille propone l’Etica della salute, ovvero l’etica nella pratica medica come apprendimento sociale per la salute. Lo studente di medicina o gli attori sanitari mettono in campo le proprie esperienze cercando di evidenziare sia la dimensione oggettiva e soggettiva del proprio operare e fonderle in un processo di riflessione collettiva e multidisciplinare (Aiguier e Cobbaut, 2016).

Al fine di favorire una migliore comprensione empatica di sé, degli altri e del processo terapeutico intervengono le scienze dell’educazione le quali con le scienze mediche hanno in comune un interesse che viaggia parallelo: il corpo. Se le prime si interrogano sull’essere corpo, tuttavia, le seconde restano ancorate alla teoria secondo la quale l’individuo possiede un corpo: corpo — oggetto, corpo sano/malato, corpo normale/anormale. Tuttavia, la malattia mettendo in discussione ogni certezza è ancorata al corpo e, senza di esso, non ha alcun motivo di esistere; si è insinuata sin dalla notte dei tempi imponendo, ben presto, il suo statuto di zona d’ombra. La scienza medica è chiamata allora ad inventarsi costantemente; tende, anche in eccesso di difesa, a sopprimere tutto ciò che concorre a contrastare il corpo sano. Troppo spesso questo corpo viene identificato dai luminari (Marino, 2005) solo e soltanto nei termini di corpo biologico e macchina perfetta; si neglige l’unicità e la totalità del vissuto di ciascun individuo e, in particolare, il processo di autodeterminazione nell’individuo con disabilità (Stiker, 2013). Tanto più si diventa consapevoli della propria memoria e di quella zona d’ombra (la consapevolezza non è l’atto di pensare, ma di interrogarsi costantemente), ancor più si eleva la qualità della relazione medico/paziente.

Quando incontrarsi e come incontrarsi? Nella formazione, nel percorso terapeutico e nella qualità della relazione. La Pedagogia speciale potrebbe suggerire gli strumenti del come addentrarsi in quella zona d’ombra, espressione costante dell’incertezza, ma che la stessa costituisce l’habitat naturale della vita. Cosicché l’analisi delle incertezze dovrebbe essere la prassi fondamentale delle tecniche diagnostiche e del rapporto paziente/medico. La tecnologia ha consentito all’uomo di essere una leva attiva, un interlocutore informato (c’è da sottolineare che spesso il paziente non è in grado di discriminare le informazioni e, pertanto, spesso fuorvianti, non aiutano la relazione medico/paziente) nel suo processo di guarigione e di cura. In questa prospettiva, l’individuo ha acquisito risorse che gli hanno consentito di partecipare attivamente al suo progetto di vita. Una buona comunicazione medico/paziente migliora notevolmente il processo di cura o il percorso diagnostico: tuttavia, i ricercatori s’interrogano sull’esistenza di quali modelli di relazione paziente/medico. Tale comunicazione-relazione non può prescindere dal supporto pedagogico-educativo il quale suggerirebbe al clinico validi strumenti per l’acquisizione consapevole dell’interiorità corporea ed emozionale del paziente. Nella promozione alla salute, la relazione terapeutica è un elemento della pratica medica alla quale il medico deve fare ricorso. Nell’incrementarsi di malattie croniche è maggiore il ricorso all’azione multidisciplinare (Pentassuglia, 2019). Questo approccio multidisciplinare consentirebbe di fornire ai professionisti della pratica medica gli strumenti necessari per far fronte alle richieste dei malati e dei loro familiari e una maggiore comprensione della malattia, del paziente in un contesto sociale e culturale in continua evoluzione. I medici non devono volgere l’attenzione solo alla comprensione dei sintomi, al corpo-oggetto, ma alle capacità sensibili, emotive e fantasiose del paziente. Il corpo esige competenze e capacità relazionali che sono la porta d’ingresso per un miglioramento dello stato di salute dell’individuo e che consentono una migliore comprensione empatica di sé, degli altri e del processo terapeutico. In periodo di Covid-19, il distopico ha preso il sopravvento in maniera del tutto imperante; l’incertezza e la zona d’ombra rivendicano un posto d’onore. Questo alter provoca un senso di panico: interroga e scuote l’immaginario collettivo (Pentassuglia, 2011). A digiuno di certezze e pretesa oggettività emerge l’errore, figlio dell’incertezza; un’incertezza che potremmo chiamare epistemica, cioè incertezza dovuta alla mancanza di conoscenza, ma necessaria al medesimo processo di conoscenza. La scienza medica sta prestando particolare attenzione e in modo del tutto schizofrenico ai sintomi, cosicché l’egemonico sguardo medico si sta riappropriando del corpo. Tuttavia, di fronte a questo tentativo, il Covid-19 impone il ricorso all’acquisizione di risorse e competenze che non sono di esclusiva natura medicale. In quest’ottica, gli obiettivi sarebbero quelli di esaminare dinamiche, strategie e strumenti per ricreare ambienti sempre più empatici ed emozionali. L’oggettività alla quale fa appello la medicina è l’ancora di salvezza a fronte delle costanti incertezze con le quali deve dialogare. Tuttavia, l’incertezza non è un disvalore; essa cancella ogni tentativo di relazione asimmetrica sia tra paziente/ medico, altresì tra pratica medica e pratica educativa. Nel rapportarsi a paradigmi diversi e nel riconoscimento dei propri limiti, la scienza medica potrebbe non lasciare spazio ad alcuna contrapposizione e dialogare con saperi differenti. Infatti, nel periodo di grande emergenza, la pandemia ha indotto i sanitari a rivedere le proprie competenze relazionali e comunicative, nonché a gestire l’urgenza dialogando con i professionisti delle scienze sociali. Sulla base di quali progetti e dispositivi pedagogici potrebbe instaurarsi un proficuo dialogo? L’arduo compito è quello di scardinare i presunti saperi della scienza medica; pertanto, la richiesta rivolta ai clinici è quella di rivedere il proprio ruolo in rapporto alle esigenze di ogni individuo. Una consapevolezza così strutturata e acquisita consente di oltrepassare il mero corpo biologico. Ogni medico dovrebbe assolvere il ruolo di osservatore operante ed indagare quale valore, quale invisibilità si esprime attraverso il sintomo e la relazione. La riduzione dell’individuo alle sue funzioni biologiche e cartesiane lo relega in un universo chiuso, paradossalmente tolemaico. Pensare, invece, alla qualità della relazione significa analizzare come realizzarla e con quali strumenti e, soprattutto, quali contributi, suggerimenti operativi e metodologici. Allora perché non fare una storia della dialettica tra corpo, scienze dell’educazione e scienze mediche? Quale importanza riveste questa dialettica nella pratica medica! Una tale storia dovrebbe considerare non solo la relazione terapeutica, bensì il rapporto dei medici con il valore che essi stessi attribuiscono alla relazione, al rapporto con le scienze dell’educazione e alla formazione dei futuri medici. Una apertura di largo respiro consentirebbe di affrontare al meglio la complessità delle pratiche mediche, consentirebbe loro di migliorare il rapporto clinico stesso, attraverso una migliore padronanza del discorso, e una migliore comprensione dei meccanismi che condizionano la rappresentazione che i pazienti hanno della salute e della malattia.

Bibliografia

Aiguier G. e Cobbaut J.-Ph. (2016), Le tournant pragmatique de l’éthique en santé: enjeux et perspectives pour la formation, «Journal international de bioéthique et d’éthique des sciences», vol. 27, n. 1-2, pp. 17-40.

Charon R. (2006), Narrative Medicine: Honoring the Stories of Illness, New York, Oxford University Press.

Corbin A., Courtine J.J. e Vigarello G. (2005), Histoire du corps, Paris, Le Seuil.

Courtine J.J. (2011), Déchiffrer le corps. Penser avec Foucault, Grenoble, Jerome Millon.

Marino I. (2005), Credere e curare, Torino, Einaudi.

Pentassuglia P. (2011), La reconnaissance de la diversité au XVI e siècle. À propos de la difformité, «ALTER - European Journal of Disability Research», vol. 5, n. 4, pp. 233-329.

Pentassuglia P. (2013), La visibilité des invisible, «Journée d’étude sur visibilité et invisibilité du handicap», Paris, Université de Paris 7 Diderot.

Pentassuglia P. (2018), Il riconoscimento della diversità. A proposito di difformità, XXXI Convegno IMER «Le malformazioni craniofacciali: un percorso di cura complesso», Bologna, 13 aprile.

Pentassuglia P. (2019a), L’approccio multidisciplinare (tavola rotonda), XXXI Convegno IMER «Le malformazioni dell’apparato genitale», Bologna, 5 aprile.

Pentassuglia P. (2019b), Il concetto di inclusione nel corso della storia, Convegno IMER «La famiglia nella terapia intensiva neonatale», Rimini, 30 novembre.

Stiker H.J. (2013), Corps infirmes et sociétés. Essais d’anthropologie historique, Paris, Dunod.


1 Docente di scuola secondaria superiore, Dottoranda, Université de Paris 8-Vincennes Saint-Denis.

2 Université de Paris 8-Vincennes Saint-Denis.

3 Si veda http://www.univ-paris3.fr/diplome-humanites-medicales-126293.kjsp?RH=1215780868521 (consultato il 10 novembre 2020).

4 Si veda https://www.maisonmedicale.org/Sciences-humaines-et-medecine-une.html (consultato il 10 novembre 2020).

Vol. 19, Issue 4, November 2020

 

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