Vol. 19, n. 3, settembre 2020

MONOGRAFIA

La scuola da casa (ognuno porti qualcosa)

Carlo Scataglini1

Sommario

L’esperienza della didattica a distanza, in seguito alla chiusura delle scuole per Covid-19, ha determinato moltissime difficoltà per l’inclusione scolastica. In molti casi gli ostacoli sono stati enormi, in particolare per quegli alunni con gravi ritardi cognitivi e relazionali oppure per quelli con disturbi dello spettro autistico. Occorre tuttavia analizzare bene ciò che è accaduto durante la DaD per trovarne gli aspetti in qualche modo positivi e per riconoscere e poter superare gli errori che già si commettevano in presenza all’interno delle nostre classi. La DaD ha evidenziato le difficoltà che derivano da un approccio della didattica tradizionale e trasmissivo, in cui viene data prevalente importanza alle informazioni e ai contenuti disciplinari e minor valore alle risorse e ai contributi personali che gli studenti possono portare e far circolare nei processi di apprendimento. Una didattica maggiormente costruttiva, in cui «ognuno porti qualcosa», rappresenta sicuramente un terreno più fertile per l’inclusione di tutti gli alunni nelle attività comuni.

Parole chiave

Scuola, didattica a distanza, inclusione.

Monography

School at house (everyone bring something)

Carlo Scataglini2

Abstract

The experience of online teaching, due to schools closing in the Covid-19 pandemic, caused huge issues to inclusion. Often the obstacles have been overwhelming, especially for pupils with severe cognitive and relational impairments and for students within the autistic spectrum. It is nonetheless worthy to subject online schooling to a in depth scrutiny, to find out some positive outcomes and to recognize (and therefore overcome) many mistakes that were already made in the classroom. Online schooling highlighted the limits of a transmissive and traditional way of teaching, where the main focuses are information and subject-related contents, while little attention is given to personal skills and resources that each and every student can bring and circulate within her context of learning. An educational framework that is more constructive, and in which everyone can «bring their own contribution» would be a better ground to cultivate inclusion, everyday and for everyone.

Keywords

School, online schooling, inclusion.

La didattica a distanza può essere veramente inclusiva?

C’è una domanda che mi sono sentito rivolgere in tutti gli incontri, rigorosamente online, a cui ho partecipato nel periodo di chiusura per Covid-19 delle scuole: «La didattica a distanza può essere veramente inclusiva?». La risposta che ho dato è stata sempre più o meno la stessa, più o meno calibrata tra aspetti positivi (pochi) e aspetti negativi (troppi) di una situazione emergenziale alla quale, in tutta onestà, non era per nulla facile rispondere con una soluzione risolutiva al cento per cento. Dentro di me, però, c’era il desiderio di rispondere a quella domanda con un’altra domanda: «La didattica a distanza può essere veramente didattica?». Si tratta di una domanda retorica e anche provocatoria che parte dal presupposto che in ogni apprendimento c’è una piccola parte di informazione e una grande parte di relazione. La relazione, quasi sempre, agisce in modo da rendere per ciascuno di noi un’informazione agevole o ostica, piacevole o fastidiosa, significativa o inutile. Moltissimo, nell’apprendimento, dipende dalla parte di relazione perché in essa si muovono le nostre emozioni, i nostri interessi e i nostri desideri. La relazione a distanza è complicata e meno efficace perché deve rinunciare a tutti quei segnali relazionali (sguardi, sorrisi, contatti, ecc.), per nulla secondari, che gli alunni colgono da compagni e insegnanti quasi esclusivamente in presenza. È possibile quindi mettere in chiaro subito una cosa grazie alla domanda provocatoria («La didattica a distanza può essere veramente didattica?») che avrei voluto rilanciare negli incontri sulla DaD: la scuola a distanza penalizza non solo l’inclusione, ma tutta la didattica, non solo gli alunni e le alunne con difficoltà, ma tutti gli studenti e le studentesse della scuola.

Per valutare come sono andate e come potrebbero andare in futuro le cose con la didattica a distanza possiamo, inoltre, prendere lo spunto da una considerazione espressa in vari suoi interventi pubblici da Martina Fuga, scrittrice, madre di una ragazza con sindrome di Down e attivista in varie associazioni: «Nelle situazioni in cui l’inclusione funzionava bene in presenza, prima della chiusura delle scuole, le cose hanno funzionato anche a distanza, seppur tra molte difficoltà. Dove, invece, l’inclusione già non funzionava in presenza, a distanza è stato un vero fallimento». Questa riflessione deve portarci a valutare quali sono i principi generali su cui si fonda una reale e concreta inclusione e quando essa funziona veramente bene. Per prima cosa, ritengo che il pericolo maggiore e l’ostacolo più diffuso all’inclusione sia il fenomeno della delega e dell’individuazione di una figura unica preposta ad occuparsi di tutto ciò che riguarda gli alunni e le alunne con difficoltà scolastiche e in particolare con disabilità. Da tre decenni, ormai, lavoro a scuola come insegnante di sostegno e conosco bene il meccanismo che, a volte, si attiva in automatico e porta gli insegnanti del consiglio di classe, e spesso anche i dirigenti scolastici, ad «affidare» un alunno e la didattica ad esso rivolta a un solo insegnante. Con questo approccio è difficile che ci sia vera inclusione in quanto vengono a mancare i necessari collegamenti operativi tra la classe e l’alunno in difficoltà e, ancora peggio, tra i percorsi didattici che invece dovrebbero essere comuni. Uno dei principi base dell’inclusione, infatti, è proprio la condivisione di gruppi, tempi e spazi a cui, necessariamente, deve aggiungersi la condivisione di attività comuni. Nessun alunno è incluso se, pur facendo parte di un gruppo-classe, in un determinato tempo-scuola e in una determinata aula, è chiamato a svolgere un percorso di apprendimento completamente sganciato da quello dei suoi compagni. La condivisione di attività comuni è il vero nodo da sciogliere in qualsiasi percorso inclusivo e necessita di continui interventi di aggiustamento da realizzare attraverso facilitazioni e semplificazioni mirate. Ecco perché nessuna delega può portare al successo inclusivo, nessun insegnante di sostegno, seppur preparato e motivato nel suo lavoro, può da solo riuscire a saldare i percorsi didattici «di sostegno» con quelli di classe. Per questa ragione, da qualche anno, Andrea Canevaro e Dario Ianes parlano della necessità di superare il concetto di un unico sostegno e di promuovere, invece, l’attivazione di più «sostegni» dinamici e diffusi. Al sostegno dell’insegnante specializzato devono affiancarsi quelli di tutti i docenti della classe, dei compagni, degli assistenti educativi, delle famiglie, delle associazioni di riferimento e degli operatori significativi che svolgono la loro attività nell’extra-scuola. I sostegni dinamici e diffusi sono quelli dai quali scaturiscono i materiali didattici di aiuto progettati e realizzati in situazione, in una attività laboratoriale di costruzione che coinvolge in prima persona tutti gli studenti della classe e a tutti loro porta beneficio. I sostegni dinamici e diffusi sono quelli che attivano e mettono in circolo le risorse di tutti gli alunni e consentono a tutti di beneficiarne e di avere un ruolo attivo nel gruppo di apprendimento. I sostegni dinamici e diffusi, in sostanza, rompono definitivamente l’equivoco che in classe esista un solo problema, quello dell’alunno disabile con difficoltà di apprendimento, piuttosto che un gruppo di studenti, ciascuno portatore di risorse e di abilità, di interessi e di motivazioni, di emozioni e di desideri. La circolarità delle risorse e dei sostegni, in definitiva, consente di raggiungere e di praticare l’inclusione con naturalezza e spontaneità, senza protagonismi e deleghe, senza legare la riuscita di un percorso a un solo operatore. Quella che deve funzionare è l’organizzazione inclusiva. Una salda organizzazione inclusiva rende i processi educativi più stabili e concreti e non li lega ad aspetti aleatori e temporanei. «Quest’anno col sostegno siamo stati proprio fortunati!» è una frase che a volte i genitori pronunciano quando sono molto soddisfatti dell’insegnante di sostegno assegnato al loro figlio. Non si dovrebbe però più parlare di fortuna se la riuscita dei percorsi scolastici fosse maggiormente legata a una solida organizzazione inclusiva. Non più sostegno, quindi, ma sostegni, sia in presenza in classe che a distanza con la DaD, questo credo sia un presupposto essenziale nella nostra riflessione.

Occorre però guardare all’esperienza della didattica a distanza con occhi sereni e riconoscerne sia gli aspetti positivi che quelli negativi. Che cosa ha funzionato e cosa, invece, ha rappresentato un ostacolo all’inclusione e alla didattica in genere?

Partiamo dagli aspetti positivi.

  • Per prima cosa la DaD ha sfatato due luoghi comuni. Non è sempre vero che gli studenti, considerati «nativi digitali», sono in grado di gestire in maniera generalizzata, autonoma e funzionale gli strumenti tecnologici e quindi di usarli in modo proficuo anche nella didattica e nelle attività scolastiche. Nello stesso tempo, non è vero che gli insegnanti sono nella maggior parte dei casi restii ad usare il computer e a comunicare attraverso internet. Nei mesi di didattica a distanza si è visto come le abilità che gli alunni mostrano nell’uso dei social non sempre garantiscono pari abilità per usi diversi. Nel contempo, i docenti hanno prodotto un impegno notevole e continuo che li ha portati nella maggior parte dei casi ad utilizzare efficacemente le varie piattaforme per svolgere le loro lezioni.
  • Il secondo aspetto positivo è che la didattica a distanza ha dimostrato in maniera palese cosa già non funzionava bene in presenza, sia a livello di didattica che per quanto riguarda l’approccio inclusivo all’apprendimento. Mi riferisco alle difficoltà manifestate dagli studenti di fronte a una didattica tradizionale, prevalentemente di tipo trasmissivo e centrata soprattutto sui contenuti disciplinari. Nello stesso tempo, si è avuta conferma che l’approccio didattico basato prevalentemente sulla delega all’insegnante di sostegno determina in modo netto la separazione dei percorsi tra l’alunno disabile e i propri compagni.
  • Il terzo aspetto positivo, a mio avviso, è che con la didattica a distanza molte situazioni difficili sono emerse in modo diffuso e senza schermi. La DaD ha portato le lezioni nelle case e nella maggior parte delle situazioni ha coinvolto direttamente le famiglie. Tutto ciò ha aperto una comunicazione diretta e critica tra la scuola e la famiglia sull’intervento didattico attuato, con la possibilità di discuterne elementi di forza e criticità. So che questo aspetto ha provocato anche delle spigolosità e dei contrasti, ma ritengo che portare alla luce e discutere ciò che va bene e ciò che invece non va sia un momento di crescita e di progresso.
  • Un altro aspetto positivo è stata la dimostrazione che la didattica a distanza non può assolutamente sostituire in toto la didattica in presenza, ma che può essere presa in considerazione solo come strategia emergenziale, per un periodo limitato di tempo, o come parziale integrazione ad essa.

I principali aspetti negativi della didattica a distanza possono essere invece sintetizzati nei seguenti punti.

  • La DaD ha escluso in partenza dai processi educativi quegli studenti che non possedevano i necessari strumenti informatici o le adeguate connessioni ad internet. Nello stesso tempo sono stati esclusi quegli alunni con gravi difficoltà cognitive e relazionali che non hanno potuto usufruire da casa dei necessari aiuti e sostegni per condividere le attività di classe.
  • La DaD, in molti casi, nelle situazioni di gravi disabilità ha accentuato il fenomeno della delega, spostandola paradossalmente dall’insegnante di sostegno ai genitori e ai familiari dell’alunno con difficoltà.
  • La DaD ha reso difficili gli scambi relazionali e la comunicazione non verbale legata alle emozioni, al contatto e alla vicinanza, rendendo in molti casi freddi e impersonali i momenti dell’apprendimento.
  • La DaD ha ostacolato di fatto la circolarità delle risorse e degli aiuti tra alunni, rendendo più difficili le collaborazioni e la cooperazione nelle attività di classe. Nello stesso tempo, le interazioni operative tra docenti sono risultate più difficili, sia nel momento della programmazione comune degli interventi che in quella della loro attuazione.
  • La DaD ha reso più difficile la preparazione e l’utilizzazione dei materiali di aiuto che, per risultare efficaci, hanno bisogno di un continuo feedback in presenza nel momento in cui vengono proposti agli alunni con difficoltà.
  • La DaD si è dimostrata inefficace con molti studenti con gravi difficoltà di comunicazione e di relazione, in particolare nei casi di disturbi dello spettro autistico.
  • La DaD ha spesso portato gli alunni a nascondersi nelle attività e ad evitare l’esecuzione dei compiti e la partecipazione e il coinvolgimento nel lavoro. Molti insegnanti raccontano dei continui richiami agli studenti e degli inviti ad attivare la videocamera e il microfono del computer, tenuti spesso spenti durante le lezioni online.
  • La DaD ha reso più difficile lo scambio dei materiali e la consegna dei compiti tra insegnanti e studenti.
  • Durante la DaD (soprattutto nel periodo iniziale) c’è stata poca chiarezza e trasparenza rispetto ai criteri di verifica e di valutazione finale, con la conseguenza, in molti casi, di deresponsabilizzare e demotivare gli studenti.

Una volta elencati i principali aspetti positivi e negativi emersi durante l’esperienza della didattica a distanza è importante ragionare su cosa fare in futuro, sia nel caso di dover ripetere tale esperienza, sia in quello sicuramente più auspicabile del ritorno alla didattica in presenza, nelle aule delle nostre scuole. Occorre riflettere su come fare tesoro di tutte le indicazioni che la didattica a distanza ci ha fornito, sui punti di forza e sulle criticità del percorso emergenziale che è risultato indicativo anche rispetto al nostro modo di fare scuola in presenza.

Come contributo alla riflessione voglio riportare in sintesi la mia esperienza personale di didattica a distanza, come insegnante di sostegno, in una classe seconda della scuola secondaria di primo grado in cui era inserito uno studente con autismo.

Un’esperienza di didattica a distanza

La classe seconda della scuola secondaria di primo grado in cui ho lavorato nell’anno scolastico scorso era formata da 25 alunni. In essa era inserito S.C., un ragazzo con sindrome dello spettro autistico. Nella classe erano presenti anche quattro alunni stranieri, ben integrati nel contesto sociale e nelle attività che in essa venivano svolte. S.C. usufruiva di 18 ore settimanali di attività di sostegno ed era seguito per ulteriori 12 ore da un’assistente educativa. Il sostegno e l’assistenza, quindi, coprivano l’intero arco orario curricolare scolastico, di complessive 30 ore settimanali. S.C. aveva strutturato un buon livello partecipativo alle attività della classe che, per lui, venivano riadattate e semplificate, in considerazione del fatto che non sa utilizzare le abilità di base della scrittura e della lettura. Per tale ragione, è stato specificato nel PEI dell’alunno che la ricerca del punto di contatto rispetto alle attività di classe viene promosso attraverso la proposta di materiali funzionali all’apprendimento in cui fosse prevalente l’uso di immagini significative e in cui le parti scritte venissero costantemente lette da un compagno o da un insegnante. Al di là delle difficoltà evidenti dovute alla mancanza delle abilità di base di lettura e scrittura, l’alunno mostrava un certo interesse rispetto alla maggior parte degli argomenti che gli venivano proposti, unitamente a una buona motivazione e a tempi di attenzione e di lavoro che sono andati via via aumentando nel corso dei due anni scolastici di frequenza nella scuola secondaria di primo grado. In base alle considerazioni sopra esposte, nel PEI dell’alunno venivano evidenziati, tra gli altri, i seguenti punti di forza:

  • buona motivazione al lavoro in attività comuni o comunque riconducibili a quelle della classe;
  • buona capacità di lavorare per tempi sufficientemente lunghi per portare a termine un’attività e realizzare il prodotto o la risposta attesi;
  • buona comprensione di informazioni facilitate attraverso l’uso di immagini significative e di brevi e semplici testi letti da un compagno o dall’insegnante.

In considerazione di quanto premesso, nel momento di chiusura per Covid-19 della scuola e dell’avvio dell’esperienza di didattica a distanza, il lavoro riferito all’alunno S.C. è stato impostato nel seguente modo:

  • partecipazione dell’alunno S.C. alle lezioni sincrone di classe delle varie discipline sulla piattaforma della scuola;
  • creazione di un piccolo gruppo dinamico, denominato «Scuola aperta», formato da: S.C., un docente disciplinare, l’insegnante di sostegno, l’assistente educativa e, a rotazione, di volta in volta 3 compagni di classe diversi.

La creazione di due percorsi paralleli è stata determinata dalla difficoltà di S.C. di rapportarsi a distanza contemporaneamente con tutti i suoi compagni. L’idea era quella di curare in modo più efficace nel gruppo ristretto le relazioni tra l’alunno e i suoi compagni di classe. Nel piccolo gruppo, inoltre, S.C. era chiamato, in maniera più diretta, a svolgere in videoconferenza alcuni compiti, come il completamento di schede didattiche illustrate riferite ad argomenti, opportunamente facilitati e semplificati, trattati anche dai compagni di classe. Tali schede sono state costruite attraverso la tecnica dei contenuti essenziali, presentati nei loro concetti chiave e richiedendo all’alunno il completamento di brevi parti scritte in dissolvenza da ricalcare e di disegni da completare e colorare.

Nei primi periodi della didattica a distanza, S.C. ha mostrato di partecipare con piacere alle lezioni sincrone con tutta la classe. In particolare, egli seguiva e apprezzava il flusso di voci e di volti che apparivano sullo schermo, ma si innervosiva e si agitava nel momento in cui veniva coinvolto direttamente con domande o altre sollecitazioni. Dopo circa un mese, però, S.C. ha iniziato a gradire di meno le lezioni sincrone, mostrando di annoiarsi e di stancarsi dopo poco tempo. Nelle lezioni sincrone disciplinari di classe si è cercato comunque di coinvolgere S.C. attraverso collegamenti con quanto già elaborato in presenza o con riferimenti ad aspetti particolarmente motivanti. In una lezione di antologia, per esempio, S.C. ha mostrato notevole interesse verso l’ascolto di un brano tratto da Il piccolo principe del quale ha potuto mostrare egli stesso una versione illustrata e semplificata ai propri compagni di classe. Conoscendo già l’argomento ed essendo lo stesso di suo particolare gradimento, la partecipazione di S.C. all’attività di classe migliorava sensibilmente.

Anche nel piccolo gruppo «Scuola aperta», S.C. ha inizialmente partecipato con entusiasmo, rispondendo alle sollecitazioni dei compagni e comunicando con loro, seppur in modo telegrafico, e dando la sua disponibilità al lavoro, completando le scritte e i disegni delle schede che gli venivano assegnate. Con l’andare del tempo, però, e in particolare nell’ultimo mese dell’anno scolastico, l’alunno si è mostrato insofferente verso qualsiasi proposta didattica e anche la relazione con i propri compagni nel piccolo gruppo è risultata frammentaria e meno comunicativa.

Una riflessione particolare merita il ruolo dei genitori di S.C. durante il periodo della DaD. Sia nelle lezioni sincrone che nelle attività del piccolo gruppo, i genitori hanno dovuto: affiancare il figlio nella gestione degli strumenti informatici e dei materiali; aiutarlo nell’esecuzione dei compiti; scaricare le schede didattiche e stamparle; seguire il figlio durante il lavoro; rassicurarlo e sostenerlo nei momenti di crisi. Tutto ciò ha rappresentato per i genitori un carico di lavoro inusuale e particolarmente pesante. In alcuni momenti, noi insegnanti sentivamo che, nostro malgrado, stavamo inevitabilmente delegando alla famiglia dell’alunno un lavoro che ci apparteneva e del quale eravamo responsabili.

Un’altra riflessione, a mio avviso molto significativa, riguarda l’andamento delle lezioni sincrone per tutti gli alunni della classe. Sono risultati frequenti i tentativi di evitamento rispetto alle attività proposte, in particolare a quelle legate alle verifiche disciplinari in cui gli alunni dovevano riferire su un argomento studiato attraverso una interrogazione orale tradizionale. In molti casi gli alunni segnalavano il cattivo funzionamento del microfono o della videocamera per giustificare l’uscita repentina e strategica dalla lezione in corso. Molto meno frequenti sono risultati tali atteggiamenti in quelle lezioni in cui gli studenti erano chiamati a ricercare informazioni o materiali rispetto a un tema e a presentarli ai propri compagni di classe, senza l’ufficialità dichiarata dal docente di una valutazione in corso.

In prossimità della fine dell’anno scolastico, la sensazione prevalente che si avvertiva durante le lezioni era di stanchezza e insoddisfazione diffuse. Gli stessi studenti invocavano, almeno per gli ultimi giorni prima della chiusura dell’anno scolastico, il ritorno in classe in presenza, insieme ai propri compagni.

Conclusioni: cosa ci lascia l’esperienza DaD?

In conclusione, voglio augurarmi che il periodo della DaD non sia stato tempo perso, non sia stato tutto da buttare. Sono certo che non sia stato così. Cosa dobbiamo conservare, quindi, di questa esperienza così dura? Come possiamo tornare alla scuola vera, di contatto, in presenza, inclusiva, facendo tesoro di quello che la DaD ci ha mostrato in modo evidente? Come possiamo, in caso di nuova emergenza, pensare di tornare a fare scuola a distanza in modo migliore?

Vorrei centrare l’attenzione principalmente su un aspetto che ritengo essenziale: la partecipazione alle attività didattiche di tutti gli alunni della classe, senza lasciare indietro o escludere nessuno. Con la didattica a distanza, su questo non ci sono dubbi, ad essere esclusi o ad autoescludersi non sono stati solo gli alunni «fragili», quelli cioè con disabilità o con difficoltà scolastiche più o meno marcate. La sensazione è stata quella di un continuo dover rincorrere molti studenti, un’alta percentuale in ogni classe, per tenerli agganciati in qualche modo al lavoro. A mio avviso, sarebbe riduttivo imputare le difficoltà solo alla distanza oppure alla mancanza dei necessari strumenti tecnologici o, ancora, alle scarse abilità di docenti e studenti nell’usarli. Io credo che parte delle ragioni del fallimento della didattica a distanza sia da ricercare nel modello e nell’impostazione tradizionale della didattica. Era prevedibile che la richiesta di partecipazione a distanza richiesta agli alunni avrebbe ricevuto una risposta negativa in tutti quei casi in cui l’impostazione della didattica intendeva ricalcare quella trasmissiva, già poco funzionale ed efficace in presenza. Nel momento in cui gli insegnanti, durante le ore disciplinari sincrone, hanno scelto lo schema tradizionale e trasmissivo di lezione (lettura collettiva del capitolo, aggiunta di alcune spiegazioni o approfondimenti da parte dell’insegnante sulle informazioni lette, studio individuale degli alunni, restituzione delle informazioni studiate con una verifica orale o scritta individuale) ci si è trovati di fronte a frequenti situazioni di disinteresse ed evitamento, se non addirittura a fughe con le strategie più fantasiose (microfono spento, videocamera oscurata, improvvisa mancanza di energia elettrica, visite mediche improvvise, ecc.). Fenomeni, tra l’altro, già diffusi in presenza, seppur con diverse modalità e strategie.

Un approccio migliore è sicuramente stato quello costruttivo che, tenendo conto degli argomenti e dei contenuti disciplinari, parte dalle risorse e dai contributi degli studenti stessi. «La scuola da casa (ognuno porti qualcosa)» è un approccio che non deresponsabilizza e allontana gli alunni, ma al contrario li invita alla ricerca, alla produzione, alla rielaborazione attiva delle informazioni, fornendo un contributo personale che attinge dalle risorse di ciascuno e le mette a disposizione di tutti (ognuno porti qualcosa, appunto).

Volendo schematizzare un percorso di didattica costruttiva, a distanza o in presenza, si possono individuare i seguenti momenti operativi.

  • Annuncio della tematica e dell’argomento da trattare.
  • Ricognizione delle risorse presenti in classe sull’argomento (ciò che ciascuno conosce o ha già vissuto rispetto ad esso).
  • Schematizzazione delle informazioni presentate dal libro di testo sull’argomento trattato e confronto con quanto già conosciuto nella classe.
  • Eventuale costruzione di materiali aggiuntivi, facilitati e semplificati, sull’argomento trattato.
  • Ricerca individuale o in piccoli gruppi di ulteriori informazioni e immagini riferite all’argomento trattato.
  • Produzione da parte degli studenti (individualmente, a coppie o in piccolo gruppo) di un breve resoconto (orale o scritto) e di una galleria di immagini sull’argomento.

La didattica costruttiva costruisce (appunto) mettendo insieme i pezzi e i vari punti di vista rispetto a un contenuto disciplinare, attingendo e partendo da quello che ciascuno studente sa, perché lo ha già letto o lo ha già vissuto nell’esperienza personale, e può e vuole riferire e mettere a disposizione degli altri. «Ognuno porti qualcosa» è il modo giusto di sviluppare il senso cooperativo e collaborativo nella classe, in cui, a distanza o in presenza, il successo di ciascuno passa attraverso il successo di tutti, nessuno escluso. È questo il senso e la pratica dell’inclusione vera, concreta, operativa. Costruire insieme l’apprendimento, secondo ruoli e compiti rispondenti a competenze, conoscenze, risorse, abilità, interessi e desideri di ciascuno, è il modo migliore per coinvolgere tutti, all’interno dell’aula di classe o attraverso lo schermo di un computer o di un tablet, con il microfono e la videocamera sempre ben attivati.

Bibliografia

Fuga M. (2014), Lo zaino di Emma, Milano, Mondadori.

Fuga M. e Scataglini C. (2018), Giù per la salita, Trento, Erickson.

Ianes D. e Canevaro A. (2015), Orizzonte inclusione, Trento, Erickson.

Ianes D. e Canevaro A. (2019), Un altro sostegno è possibile, Trento, Erickson.

Ianes D. e Cramerotti S. (2013), Alunni con BES – Bisogni Educativi Speciali, Trento, Erickson.

Scataglini C. (2017a), Gli Essenziali, Trento, Erickson.

Scataglini C. (a cura di) (2017b), Facilitare e semplificare libri di testo, Trento, Erickson.

Scataglini C. (2018a), Il piccolo principe – I classici facili, Trento, Erickson.

Scataglini C. (2018b), Storia facile per la scuola secondaria di primo grado – classe seconda, Trento, Erickson.

Scataglini C. (2020), Scienze facili per la scuola secondaria di primo grado – classe prima, Trento, Erickson.


1 Insegnante specializzato nella scuola secondaria di primo grado a L’Aquila.

2 High school teacher, L’Aquila.

Vol. 19, Issue 3, September 2020

 

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