Vol. 19, n. 1, febbraio 2020

Introduzione alla Monografia

Mettere l’operosità di cui si è capaci accanto a quella degli altri

La ricerca delle condizioni che consentano a tutti di venir riconosciuti e di riconoscersi produttivi

Angelo Errani1

Sono tante le cose che non crediamo possibili, semplicemente perché sono in contraddizione con tutto quello che sappiamo. Così, dopo aver condiviso per decenni il modello liberista, diventa indubbiamente assai difficile, come suggerisce Edmondo Berselli, individuare una prospettiva diversa (Berselli, 2010).

Il modello liberista, trionfante fin dagli anni Ottanta, anni in cui aveva ottenuto libertà d’azione dalle politiche di Margareth Thatcher e di Ronald Reagan, prometteva a gran voce:

Non preoccupiamoci della distribuzione delle risorse e dell’equità sociale; delle preoccupazioni per una democrazia stabile; di migliorare altri aspetti della qualità della vita degli esseri umani che non siano direttamente collegati alla crescita economica […] la crescita economica porterà infatti automaticamente tutto il resto: sanità, istruzione, diminuzione delle disuguaglianze (Nussbaum, 2011, p. 21).

Abbiamo dunque vissuto un imbroglio. Il modello di sviluppo millantato si è rivelato nel vissuto delle popolazioni un volano di vecchie e nuove ingiustizie e nella valutazione condivisa dagli studiosi e dai rappresentanti delle istituzioni internazionali, addirittura insostenibile: insostenibile sul piano ambientale, insostenibile sul piano economico, insostenibile sul piano sociale.

Persino l’etica è stata strumentalizzata e fatta oggetto di interessi speculativi.

Visto che i temi dell’etica potevano avere un riscontro commerciale, si è fatto dell’etica un po’ come si fa con la pubblicità (Marzano, 2011, p. 113).

La strumentalizzazione dell’etica è funzionale all’idea di capitalismo globale: per perseguire l’obiettivo della riduzione del peso della politica, si è millantato che potessero essere direttamente le aziende a prendersi cura del bene comune.

Finanza e multinazionali sono state libere così di muoversi a livello dell’intero pianeta, svincolandosi dalle regole e dal controllo degli Stati, dato che questi non dispongono di poteri extraterritoriali. Anzi, gli Stati sono sotto ricatto della finanza sovranazionale, con pressioni speculative che potrebbero decretarne, all’occorrenza, la rovina.

È indubbiamente molto difficile individuare una prospettiva diversa, ma non possiamo non provarci.

La logica dominante di un mercato libero da regole ha infatti profondamente dilaniato le comunità, suddividendo le persone, a seconda degli interessi del momento, in individui ritenuti produttivi, e quindi utili, e individui improduttivi, e quindi, inutili, scarti da relegare al massimo nell’assistenza.

Gli studi di Paul Krugman (2009) e Joseph Stiglitz (2002) dimostrano che non stiamo affatto vivendo una penuria di risorse, come si vorrebbe far credere. La spirale di crisi economiche che si avvicendano è addebitabile, secondo i due premi Nobel per l’economia, all’immane quantità di risorse inutilizzate, è il prodotto di milioni di disoccupati. È banale infatti ricordare che un reddito da lavoro ne crea a sua volta altri in più settori, mentre un reddito in meno non è un risparmio ma un impoverimento, non solo del singolo, ma sociale. Il mercato liberato dalle regole ed elemosine per i più bisognosi è la logica del liberismo.

Politiche che compensino gli svantaggi per consentire a tutti di esser parte e di veder riconosciuta l’utilità dell’operosità di cui sono capaci è la logica della valorizzazione delle risorse.

Senza la ricerca di valorizzazione delle risorse umane e di misure per far uscire dall’emarginazione gli esclusi e tutti coloro che vengono relegati nell’irrilevanza, non c’è politica, c’è soltanto la gestione amministrativa degli uomini e delle cose (Bloch, 1994).

Le persone e i loro ambienti di vita hanno bisogni differenziati, ma hanno anche capacità diverse per affrontarli e risolverli. Occorre ricercare i modi e i mezzi per convertire queste differenze in risorse, cioè in funzionamenti operosi, che, integrando gli specifici contributi, producano risultati produttivi frutto del lavoro comune. Sono tante le persone disabili che, pur divenute adulte, restano bloccate nel ruolo infantilizzante dell’occupazionale, un tempo che sembra non poter mai evolvere. E sono sempre di più le persone scartate dalle riconversioni aziendali e quelle con svantaggi e fragilità sociali, spesso imprigionate in contenitori da cui, pur intenzionati da apprezzabili finalità formative, non riescono, se non in minime percentuali, mai a uscire.

È questo il tema della ricerca, documentata dai contributi proposti da studiosi e responsabili istituzionali in occasione del Seminario «Transizione e realizzazione occupazionale delle persone con disabilità-vulnerabilità complesse», svoltosi il 15 Maggio 2019, presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università degli Studi Bologna, ospitati in questo numero della rivista. In particolare:

Andrea Canevaro offre una riflessione sul concetto di operosità, un dato che è presente in tutti, da rendere produttivo, integrandolo in filiera con l’operosità degli altri, e lo strumento operativo del VedoCurricolo, come mediatore di una conoscenza e di un riconoscimento dei soggetti a partire dalle rispettive validità. Questo è un riferimento che apre una prospettiva a condizioni di vita bloccate e offre l’impalcatura su cui poggiare il lavoro di ricerca e operativo.

  • Patrizio Bianchi riprende il riferimento dell’operosità ponendolo sullo sfondo dei cambiamenti economici e produttivi di cui descrive gli avvicendamenti storici e di cui delinea le tendenze in atto. Trasformazioni che hanno provocato, e continuano a provocare, profondi mutamenti anche del paesaggio sociale, caratterizzandone le frantumazioni, le spaccature e producendo nuove marginalità. Essendo il lavoro fondamento della cittadinanza, l’autore riconosce che questa viene supportata dal concetto di operosità. Essa infatti veicola la possibilità di sviluppo di un paesaggio sociale più articolato e ricco di nuove configurazioni.
  • Leonardo Callegari documenta il lavoro di collaborazione fra istituzioni, cooperazione e imprese che si è concretizzato nell’istituzione dell’Albo Metropolitano delle Aziende Solidali, le aziende del territorio che hanno fatto la propria parte nell’inclusione lavorativa in contesti aziendali di persone disabili e a rischio di marginalità, un lavoro che, secondo lo studioso, dalla prospettiva dell’operosità produttiva riceve un riferimento guida per il lavoro riguardante le persone di più difficile occupabilità. La valorizzazione degli aspetti attivi di ciascuno, da trasferire in attività produttive, può incontrare inoltre il campo ampio della cura dei beni comuni, ottenendone un riconoscimento di fondamentale utilità da parte delle collettività.
  • L’attività politica, come lavoro di cura dei bisogni di una comunità, viene descritta da Francesco Errani nella concretezza della ricerca di strategie e di decisioni istituzionali che contrastino le cause dell’estendersi delle disuguaglianze. Ne vengono documentate le realizzazioni e si accoglie la prospettiva dell’operosità come guida di una politica che non mortifichi le persone nell’assistenza, ma valorizzi le risorse umane del territorio inattive o umiliate nell’esclusione e ne promuova la partecipazione come cittadini.
  • Il confronto fra modelli e pratiche di promozione della realizzazione professionale delle persone con disabilità psichica, una disabilità che fa registrare tassi di disoccupazione fra i più alti, è il contributo offerto da Vincenzo Trono. La prospettiva della recovery e il modello IPS, che guidano il lavoro dei servizi di salute mentale, si collegano strettamente con la logica dell’operosità, poiché spostano il riferimento dai limiti delle persone, collegati al deficit, alle risorse da valorizzare, promuovendone la partecipazione attiva al lavoro e alle attività sociali.
  • La ricerca di cui José Juan Carrión-Martínez e María del Mar Fernández-Martínez, docenti rispettivamente delle Università Spagnole di Almerìa e di Huelva, ci offrono la documentazione riguardante la realizzazione professionale di alcune persone disabili. Si tratta di una ricerca che utilizza lo strumento dell’intervista per accogliere le testimonianze di un dirigente aziendale e di una docente universitaria, testimonianze che vengono proposte come guida per una riflessione riguardante il ruolo dell’informazione nella ricerca del lavoro, e il ruolo della riformulazione e degli adattamenti dei contesti di lavoro e della vita quotidiana.

Bibliografia

Berselli E. (2010), L’economia giusta, Torino, Einaudi

Bloch E. (1994), Il principio speranza, Milano, Garzanti.

Krugman P. (2009), Il ritorno dell’economia della depressione e la crisi del 2008, Milano, Garzanti.

Marzano M. (2011), Etica oggi, Trento, Erickson.

Nussbaum M.C. (2011), Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Bologna, Il Mulino.

Stiglitz J. (2002), La globalizzazione ed i suoi oppositori, Torino Einaudi.


1 Professore Associato, Università degli Studi di Bologna.
 

Indietro