Vol. 24, n. 2, maggio 2025
PROSPETTIVE E MODELLI ITALIANI
Educazione civica per favorire il dialogo tra pari e la partecipazione di tutte e tutti
Creare ambienti democratici e inclusivi nella scuola secondaria di primo grado
Sabina Langer1
Sommario
Intento dell’articolo è sondare la possibilità di favorire il dialogo e la partecipazione nella scuola secondaria di primo grado attraverso l’educazione civica. L’autrice intende questo «insegnamento» (istituito in Italia con la legge 92/2019) come opportunità per creare spazi democratici in cui tutte le voci possano esprimersi e trovare ascolto. Si prendono le mosse dalle competenze per l’agire democratico dialogico e partecipativo — centrali per promuovere la cittadinanza attiva. Segue una breve descrizione della ricerca — ascrivibile all’Educational Design Research —, del prototipo di curricolo sviluppato per la scuola secondaria di primo grado e della sperimentazione dello stesso. Si presentano poi alcuni risultati della ricerca. Vengono descritti frammenti di testo relativi alle categorie «dialogo tra pari» e «partecipazione», «differenze tra educazione civica e lezioni normali». I dati sono poi discussi in relazione alla letteratura. Concludendo, si afferma che attraverso il curricolo di educazione civica sperimentato e la disposizione a mettersi in gioco degli insegnanti si sono creati spazi generativi, inclusivi e democratici, in cui — all’interno di un gruppo più coeso — tutte le ragazze e tutti i ragazzi hanno avuto la possibilità di attivarsi e sentirsi inclusi.
Parole chiave
Educazione civica, Dialogo tra pari, Partecipazione, Ambiente democratico e inclusivo.
ITALIAN MODELS AND PERSPECTIVES
Civic education to foster peer dialogue and participation of all
Creating democratic and inclusive environments in middle schools
Sabina Langer2
Abstract
This article explores the possibility of fostering dialogue and participation in middle schools through civic education. The author understands this «teaching» (established in Italy by Law 92/2019) as an opportunity to set up democratic spaces in which all voices can express themselves and be heard. The starting point will be the skills for democratic dialogic and participatory acting, which are core to promoting active citizenship. It follows a brief description of the research — ascribable to Educational Design Research –, the prototype curriculum developed for secondary schools and its implementation. Text fragments relating to the categories «peer dialogue», «participation», «differences between civic education and normal lessons» are described. The data are then discussed in relation to the literature. In conclusion, it is argued that the civic education curriculum experienced and the teachers’ willingness to get involved have provided generative, inclusive and democratic spaces, in which all pupils had the chance to become active and feel included.
Keywords
Civic education, Peer dialogue, Participation, Democratic and inclusive environment.
Introduzione: la scuola palestra di vita democratica
Favorire la partecipazione di bambine, bambini, ragazze e ragazzi3 è un modo di intendere l’inclusione scolastica e sociale all’interno di un orizzonte di ricerca e di pensiero ascrivibile a una pedagogia democratica, nonviolenta, trasformativa e impegnata (Dewey, 1916; Dolci, 1988; Freire, 1968; hooks, 1994). Inoltre, le odierne sfide sistemiche e la crescente complessità delle nostre società e classi, caratterizzate da un’enorme pluralità, rendono più urgente perseguire intenzionalmente e dare realtà all’idea che siamo tutte persone diverse ma equivalenti, che ogni voce ha il diritto di essere ascoltata e che le decisioni vanno prese in maniera condivisa da tutte le persone interessate, «senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali» (art. 3 della Costituzione).
Avere uno sguardo democratico e inclusivo a scuola presuppone (e orienta verso) una prospettiva ecosistemica ampia, permette di effettuare collegamenti inediti e di sviluppare la capacità di contaminarsi per creare insieme nuovi scenari. L’inclusione è un processo evolutivo che implica intenzionalità e scelte consapevoli (Canevaro, 2019) al fine di individuare e rimuovere ostacoli, garantire equità, presenza, partecipazione e apprendimento di tutte e tutti, monitorare e tutelare chi potrebbe sentire esclusione e marginalizzazione (Booth e Ainscow, 2014; Ainscow, 2016; UNESCO, 2017). La scuola — la classe — potrebbe (dovrebbe?) quindi essere luogo di possibilità, un luogo privilegiato per allenarsi nell’arte della convivenza pacifica nelle pluralità.
«La prospettiva inclusiva è costruire insieme un progetto per il futuro» (Canevaro, 2010, p. 4) e l’introduzione dell’insegnamento di educazione civica (Legge n. 92 del 20 agosto 2019; d’ora in avanti legge 92/2019) fornisce uno spazio di almeno 33 ore annuali in contitolarità ai docenti di una classe, volto a formare cittadine e cittadini attivi e a favorire la piena partecipazione (art. 1). Adottando una prospettiva trasformativa e impegnata, questa legge offre (secondo chi scrive) una grande opportunità per ripensare il ruolo e il compito della scuola, nonostante le molte criticità e ambiguità che la caratterizzano essendo «fondata su un guazzabuglio di idee meritorie, ma confuse e talvolta contraddittorie» (D’Addelfio et al., 2021, p. 10).
L’autrice ha dedicato la propria ricerca di dottorato a sviluppare un curricolo di educazione civica per la scuola secondaria di primo grado volto a sostenere la cittadinanza attiva e la partecipazione. La «partecipazione di ragazze e ragazzi» è intesa come quel processo di condivisione delle decisioni che riguardano la propria vita e quella della comunità in cui si vive (Hart, 1992) e la conseguente responsabilità delle persone adulte di dare loro ascolto e di prendere in seria considerazione il loro punto di vista (Lundy, 2007). Il presente articolo si focalizza sulle competenze per l’agire democratico, rimandando ad altre sedi l’approfondimento di altri aspetti (Langer, 2024a, 2024b, 2024c, 2024d).
Le competenze per l’agire democratico
Dopo avere analizzato quanto emerge da normative nazionali e internazionali rispetto alle competenze di cittadinanza, si è deciso di mutuare dalla politische Bildung quella che viene definita politische Handlungsfähigkeit (GPJE, 2004) — suddivisa in capacità di azione comunicativa (articolare e argomentare) e partecipativa (negoziare e decidere) — e di adattarla a una prospettiva sistemica in cui sono imprescindibili interconnessione, interdipendenza, reciprocità. Ne conseguono quelle che chi scrive chiama competenze per l’agire democratico.
L’agire democratico dialogico riguarda il saper ascoltare in maniera attiva, il saper esplorare, esprimere e articolare un’opinione e il saper argomentare e confrontarsi su un’opinione. A scuola spesso l’ascolto è unilaterale («ascoltare la lezione») o finalizzato a dare un voto (come nelle interrogazioni); nella vita quotidiana e politica è inoltre frequente ascoltare per attaccare e dare contro a una persona o a un’idea, per imporsi. Per dialogare, invece, occorre ascoltare l’altra persona senza adottare un atteggiamento giudicante; non è sufficiente sentire quello che l’altra persona dice, occorre costruire un’interazione. Il metodo nonviolento dell’ascolto attivo (Sclavi, 2003) prende le mosse dal riconoscimento della divergenza, della diversità (cfr. ad esempio Canevaro, 2010, 2019). Con un atteggiamento esplorativo e curioso, si può abbandonare l’idea che l’altra sia una persona nemica da sconfiggere e la si può riconoscere come diversa ma equivalente. L’ascolto attivo presuppone un cambio di atteggiamento: anziché giudicare, cercare il giusto e lo sbagliato, si sondano le ragioni e l’esperienza altrui, si individuano motivi, preoccupazioni, cornici più generali. Per ascoltare in maniera attiva occorre sia accettare l’altra persona in quanto diversa sia porle domande legittime volte a capire meglio il suo pensiero (von Foester, 1984; Perticari, 1996).
Si gettano così le basi per co-costruire un sapere e trasformare insieme il mondo, sviluppare l’agire democratico partecipativo. Dolci (1988) sosteneva la possibilità di un rapporto maieutico reciproco attraverso cui potenziarsi a vicenda e creare nuovi scenari; era convinto che conoscenza, creatività e cambiamento personale e sociale si basassero su un mutuo adattamento creativo, sulla reciproca interdipendenza. Ogni individuo, dunque, può contribuire allo sviluppo delle altre persone e della comunità; l’evolversi personale è sempre un evolversi comunitario. L’ascolto attivo e il dialogo aprono la via alla ricerca condivisa di soluzioni reciprocamente vantaggiose volte a trovare l’accordo più inclusivo possibile tenendo conto e valorizzando tutte le idee (Sclavi e Susskind, 2011), costruendo un terreno comune. Per l’agire democratico occorrono il diritto di ascolto (l’essere ascoltati che incorpora il diritto di parola), il diritto di collaborare nella moltiplicazione delle opzioni (senza bloccarsi sui pro e contro delle opzioni iniziali) e il diritto al coprotagonismo nell’inventare nuove soluzioni, che andranno incontro alle esigenze di tutte e tutti (Sclavi, 2010).
La ricerca
La ricerca di dottorato si colloca nell’Educational Design Research (EDR), un approccio con la doppia finalità di contribuire al miglioramento dei contesti educativi stessi e di produrre conoscenze teoriche generalizzabili (McKenney e Reeves, 2019).
Nella prima fase dell’EDR, Analisi e Esplorazione, è stato delineato lo stato dell’arte e sono stati elaborati i requisiti di progettazione di un curricolo democratico di educazione civica per la scuola secondaria di primo grado (coerente con la legge 92/2019). Questi sono:
- mettere al centro le competenze democratiche (descritte sopra);
- promuovere la coprogettazione tra insegnanti e tra insegnanti e studenti;
- favorire un apprendimento reciproco e dialogico.
Nella seconda fase dell’EDR, Progettazione e Costruzione, è stato costruito il primo prototipo con tre elementi:
- gli incontri tra/con insegnanti (formazione iniziale e riunioni in itinere);
- le pratiche nonviolente e democratiche per rendere le dinamiche tra pari e quelle intergenerazionali più paritetiche e far diventare insegnanti e studenti l’equipaggio della nave Nonviolenza;
- il percorso Dire Fare Partecipare (formato da un arcipelago di sei isole da esplorare nel corso dell’anno) in cui studenti e insegnanti scelgono insieme un tema relativo al bene comune, lo studiano in modo interdisciplinare, decidono in maniera condivisa, coprogettano e realizzano un’azione trasformativa dello status quo.
Nella terza fase, Valutazione e Riflessione, il curricolo è stato sperimentato e valutato in maniera formativa.
Sono state coinvolte tre classi di un Istituto Comprensivo della periferia di una grande città del Nord Italia, dove circa due terzi dei ragazzi e delle ragazze hanno un background migratorio (2 o 3 sono «cosiddetti» NAI), più di tre studenti per classe sono certificati DVA, DSA o BES; il disagio socioeconomico e il basso livello di integrazione di molte famiglie sono tangibili. Oltre all’insegnante curricolare è quasi sempre presente l’insegnante di sostegno o l’educatore che spesso porta fuori dall’aula singoli o gruppetti; inoltre, percorsi individualizzati prevedono anche corsi di italiano L2 o attività educative individuali in orario scolastico. Durante le lezioni, i metodi didattici adottati sono prevalentemente riconducibili ad approcci frontali e tradizionali che causano non di rado disaffezione e aumentano le reazioni distruttive e i comportamenti sfidanti (Macchia e Cappello, 2022). Le dinamiche relazionali sono spesso piuttosto fragili sia tra pari sia tra insegnanti e studenti. Durante la sperimentazione del curricolo il gruppo-classe è sempre al completo e i docenti si alternano.
Per rendere inclusiva e democratica anche la valutazione formativa, sono state raccolte le voci di studenti e insegnanti mediante schede strutturate compilate in itinere da coppie di studenti (spesso con l’aiuto di chi scrive per sopperire alle difficoltà di letto-scrittura) o dai team-docenti durante le riunioni in itinere. A metà e fine percorso, tutte le persone coinvolte si sono espresse in gruppi di confronto semi-strutturati. Tali strumenti sono stati costruiti per raccogliere dati sul curricolo, sulle pratiche sperimentate e sui processi messi in atto (dialogo tra pari, partecipazione, dialogo e coprogettazione insegnanti-studenti, coprogettazione tra insegnanti). Questa grande mole di dati è stata organizzata, descritta e analizzata sistematicamente attraverso un articolato sistema di categorie (concept-driven e data-driven) costruito in base alla Qualitative Content Analysis (Schreier, 2012), con il supporto del software MaxQDA. Oltre alle categorie concept-driven, legate agli strumenti di raccolta dati e alla letteratura, sono emerse alcune categorie induttive. La triangolazione dei dati ha permesso una riflessione sul curricolo e sui processi attuati — informata dalla partecipazione riflessiva della ricercatrice (Muraca, 2020).
La sperimentazione
Durante l’anno di sperimentazione, in ogni classe, studenti e insegnanti hanno formato l’equipaggio della nave Nonviolenza, imparando nuove modalità relazionali, con il sostegno dell’autrice durante la formazione e la supervisione in itinere agli insegnanti, e con partecipazione riflessiva in classe.
Abbandonati banchi e cattedra, l’equipaggio si dispone in cerchio, pratica dialogica umanizzante (Veloria e Boyes-Watson, 2014) in cui le relazioni possono essere orizzontali. Il cerchio comincia con un momento ludico: lo Sguardo positivo. Inoltre, ogni partecipante ricopre un ruolo per favorire l’appartenenza al gruppo e l’ownership dell’impresa comune — promuovendo responsabilizzazione, collaborazione e condivisione di potere e controllo tra ragazzi e insegnanti (cfr., ad esempio, Johnson et al., 2004). Ogni equipaggio ha esplorato le isole dell’arcipelago Dire Fare Partecipare per sviluppare — attraverso attività di coppia, gruppo e classe — un percorso condiviso e partecipato. Insieme hanno individuato un tema-problema relativo al bene comune, lo hanno studiato, hanno confrontato idee e opinioni, hanno elaborato proposte tra cui decidere un’azione trasformativa, che hanno coprogettato, realizzato e poi condiviso con la comunità più ampia (compagne, familiari, ecc.). La tabella 1 riassume i tre percorsi.
Tabella 1
I percorsi nelle tre classi
2a B |
2a C |
3a E |
|
Equipaggi |
18 ragazze/i e 8 insegnanti |
19 ragazze/i e 5 insegnanti |
23 ragazze/i e 5 insegnanti |
Tema-problema |
Prevaricazione |
Differenze di genere |
Sporcizia nel quartiere |
Azione trasformativa |
Sito per documentare le attività svolte sul tema |
Drammatizzazione di 3 episodi di vita quotidiana |
Gara tra 6 classi per pulire il parco della scuola |
Educazione civica in classe |
48 ore |
35 ore |
39 ore |
Formazione e riunioni insegnanti |
9 ore 12 ore |
9 ore 12 ore |
9 ore 12 ore |
Risultati
In questo articolo vengono presentati i risultati relativi alle categorie induttive, differenze tra educazione civica e lezioni normali, non coinvolti e confusione, e quelle deduttive, dialogo tra pari e partecipazione di ragazze e ragazzi (trattate qui insieme per questioni di spazio).
Differenze tra educazione civica e lezioni normali
Questa categoria riguarda frammenti che riportano commenti sulle differenze tra il curricolo di educazione civica e le lezioni disciplinari (in termini di attività, relazioni, benessere, libertà, ecc.), come anche riflessioni su relazioni e impatto del curricolo sulle lezioni disciplinari.
Durante la sperimentazione, l’impegno messo dai docenti nel preparare l’ambiente democratico, ovvero le condizioni per dialogo e partecipazione, è stato veramente accentuato (sommandosi alla complessità delle loro vite professionali): attraverso un’impegnativa decostruzione del proprio ruolo prescrittivo, hanno imparato a lasciare ad alunne e alunni lo spazio affinché potessero sentirsi liberi. Ne è conseguito un più alto livello di benessere in classe, ricondotto al dialogo, al coinvolgimento e al sentirsi più liberi: durante educazione civica «si sta molto meglio che a lezione» (dice un ragazzo). Dai frammenti si evince come alunne e alunni si siano accorti della differente impostazione e come questo abbia influito sul:
- coinvolgimento attivo, dal momento che tutte e tutti sono presenti e attenti, nessuno si nasconde o scappa dall’aula; si sentono utili, più partecipi, con un compito da svolgere (che non sia solo studiare per la verifica o l’interrogazione);
- modo di interagire, perché il dialogo non è una conversazione a due (docente-studente) o un monologo dell’insegnante.
Dialogo tra pari e partecipazione
Rientrano nella categoria dialogo tra pari (suddivisa nelle sottocategorie: facilitatori, ostacoli, evoluzione) frammenti di testo che trattano dell’ascolto, dell’esporre e articolare la propria opinione, di atteggiamenti, attività e setting che favoriscono oppure ostacolano un confronto aperto e orizzontale tra pari, dell’evoluzione nel tempo. Rientrano invece nella categoria partecipazione (suddivisa come sopra) frammenti di testo che commentano elementi del curricolo che favoriscono o limitano la possibilità di essere parte attiva e prendere decisioni condivise, la collaborazione tra pari, l’evoluzione di autonomia, responsabilizzazione, coinvolgimento e impegno rispetto alla collettività e all’impresa comune.
Dai dati raccolti e analizzati emerge che, durante il percorso di educazione civica, in tutte e tre le classi è gradualmente aumentato il dialogo: alunne e alunni si ascoltano maggiormente, si conoscono e rispettano di più, scherzano di più e sono più rilassati; la confusione è andata scemando fino a raggiungere perfino momenti di silenzio. Alunne e alunni interagiscono in maniera nuova, si ascoltano e costruiscono insieme conoscenze e ne maturano consapevolezza. Gli insegnanti sottolineano che il cerchio è diventato per molti uno spazio sicuro, che la partecipazione è evoluta e che alunne e alunni hanno maturato (almeno in parte) responsabilità e consapevolezza: anche le persone più schive, timide, solitamente meno partecipi o marginalizzate sono emerse e si sono prese responsabilità, si sono impegnate sia per il proprio compito che per l’azione complessiva; hanno imparato a organizzarsi di più; in generale, tutte e tutti si sono sentiti più responsabili e parte di una comunità più grande (quella scolastica). Dal canto loro alunne e alunni sostengono di avere maturato consapevolezza di che cosa faciliti oppure ostacoli la partecipazione; di essersi conosciuti meglio e di sentirsi più uniti; dell’importanza della scelta condivisa per favorire coinvolgimento e impegno reciproci, di sentirsi utili. Secondo loro, dialogo e partecipazione sono interconnessi e vengono facilitati dal conoscersi e dall’apprendimento reciproco, dal fare insieme. Grazie alle attività e alle pratiche proposte nel curricolo — nelle tre classi si è perfino scherzato — creare un buon clima ha permesso di rilassarsi, sentirsi meno giudicati, lavorare meglio e migliorare i rapporti.
Le seguenti riflessioni emergono dai frammenti codificati:
- Il cerchio permette di guardarsi in faccia, ascoltare meglio e di più, stare più attenti alle altre persone.
- Lo sguardo positivo rilassa e aumenta il buon umore, fa iniziare bene, invoglia a parlare con persone diverse dal solito, permette di sapere cosa pensano di te, facilita commenti positivi che rendono felici.
- Gli argomenti — scelti da alunne e alunni — sono più interessanti e favoriscono l’ascoltarsi e l’esprimersi.
- I lavori a coppie o in piccoli gruppi permettono di scambiare idee, di conoscersi meglio; favoriscono l’esprimersi liberamente, la concentrazione, il pensiero e l’impegno; il trovare accordi.
- Attraverso la scelta del tema-problema hanno potuto esprimere opinioni personali, costruire insieme proposte e decidere che cosa fare.
- I ruoli e la realizzazione dell’azione trasformativa hanno permesso di sviluppare maggiore autonomia e responsabilità.
- Il ruolo dell’insegnante nel preparare un ambiente curato, formulare consegne chiare e sottolineare il carattere comune del progetto è fondamentale per la partecipazione.
Per le ragazze e i ragazzi gli ostacoli al dialogo e alla partecipazione (cfr. sottocategorie ostacoli al dialogo tra pari e ostacoli alla partecipazione) sono comportamenti e stati d’animo non del tutto slegati dal contesto scolastico, come timidezza, paura del giudizio, noia, distrazione e disinteresse. A questi si aggiungono, secondo i docenti: la fissità della postura dell’insegnante (spiegazioni frontali, consegne confuse, ecc.); la paura di alunne e alunni di esprimere il proprio punto di vista; l’arroccarsi sulle posizioni e la chiusura verso l’altra persona.
Discussione
Da un lato, quindi, gli elementi del curricolo favoriscono il dialogo tra pari e la partecipazione — e conseguentemente un’interazione più orizzontale —, dall’altro non possono essere trascurati gli ostacoli a tali processi inclusivi e democratici. Questi possono essere tendenzialmente riconducibili a un modello scolastico tradizionale:
- Quando l’insegnante utilizza approcci trasmissivi si innesca una dinamica tutt’altro che generativa e dialogica: alunni e alunne si distraggono, disturbano, attendono indicazioni che spesso non eseguono; l’insegnante, delusa e frustrata, diventa giudicante, etichetta l’alunna, l’alunno o l’intera classe come poco collaborativa (cfr. categoria non coinvolti — che raccoglie frammenti sul non coinvolgimento di alunni e alunne).
- All’inizio del progetto insegnanti, ragazze e ragazzi non sono abituati al nuovo setting e questo ha generato confusione: stare in cerchio e avere un ruolo (come suggerito dal curricolo) hanno modificato equilibri e dinamiche in classe, provocando comportamenti sfidanti e conseguenti reazioni autoritarie e prescrittive (cfr. categoria confusione — in cui rientrano segmenti su ciò che disturba il lavoro in classe). Già dopo qualche incontro, però, il cerchio è diventato più familiare e si sono aperti spazi di dialogo e di reciprocità. Non è semplice scardinare le dinamiche pregresse — ci vuole più tempo — ma il percorso di educazione civica ha permesso di «trasgredire i confini di un approccio all’apprendimento simile a una catena di montaggio» (hooks, 2020, p. 45) e ha aperto spazi di partecipazione, di dialogo e deliberazione.
Grazie al curricolo, alle pratiche proposte e alla disponibilità degli insegnanti, il clima in ognuna delle tre classi è migliorato (più conoscenza e fiducia reciproche) e sono stati sperimentati spazi di deliberazione e partecipazione, negoziazione e produzione di decisioni comuni che indirizzavano l’azione. A partire dalla decisione condivisa del tema, è stata avviata un’educazione problematizzante, dialogica (Freire, 2018) e così ragazze e ragazzi hanno potuto sentirsi più coinvolti, più protagonisti, più gruppo, come affermano nei seguenti frammenti: «Siamo stati più uniti, eravamo più uniti del solito nelle scelte»; «Siamo diventati molto più amici, ci conosciamo di più — perché abbiamo fatto lavori di gruppo e siamo diventati una classe più unita».
Attraverso il dialogo in cerchio e le attività, alunne e alunni hanno avuto la possibilità di rendersi conto della complessità del problema scelto, di ascoltare ed esprimere punti di vista, far evolvere le proprie opinioni; hanno sperimentato la «discussione» (Santerini, 2001) — ovvero il modo di educare alla cittadinanza che attiene alla ragione, alla comprensione critica del mondo — ma al contempo anche la «mediazione» (Santerini, 2001) che riguarda la capacità di costruire relazioni con gli altri.
Altresì il percorso Dire Fare Partecipare ha coinvolto i quattro livelli (personale, sociale, spaziale e temporale) che Santerini (2010) individua come necessari per un progetto di educazione civica: alunne e alunni sono stati messi nelle condizioni di sperimentare un insieme dinamico di conoscenze e abilità, pluridisciplinare e trasversale che mobilita competenze utili anche ad altri ambiti, fino ad arrivare a fare esperienza della «cittadinanza riflessiva» (Santerini, 2010) attraverso la formazione di uno spazio di pensiero, di confronto e di riflessione sui problemi del mondo.
Nei segmenti codificati, ragazze e ragazzi individuano come ostacoli al dialogo il giudizio e la mancanza di rispetto reciproco o del lavoro comune e — come altra faccia della medaglia — la timidezza (o la poca fiducia nelle proprie possibilità). Affermano, però, che durante l’anno grazie al percorso è aumentata la capacità di ascolto e di esprimersi, ovvero sono state sviluppate le competenze per l’agire democratico dialogico. Il saper ascoltare in maniera attiva (Sclavi, 2003) è proprio legato alla capacità sia di sospendere il giudizio sia di considerare le opinioni altrui equivalenti alle proprie.
Nel corso dell’anno hanno — per dirla usando le parole di Patfoort (2006) — indebolito il modello Maggiore-minore (in cui c’è sempre chi prevale sull’altra persona) per avvicinarsi gradualmente al modello nonviolento dell’Equivalenza (in cui ci si riconosce di egual valore, si rispettano le differenze). Questo ha permesso loro — anche a chi sperimenta timidezza e marginalizzazione — di prendere parola e articolare le proprie opinioni. Attraverso le occasioni di dialogo — il cerchio e il lavoro in gruppi — ragazze e ragazzi hanno sovente maturato anche quella che Cavalli (2015) chiama «disponibilità a cambiare idea».
Le pratiche democratiche, nonviolente e il percorso Dire Fare Partecipare hanno aperto uno spazio politico, condiviso, di partecipazione, ovvero uno spazio necessario per la comunità, ma al tempo stesso anche per dare un senso all’esistenza di ogni individuo. Per Mortari (2005, 2008) l’agire politico consiste sia nell’azione concreta sia di un agire con le parole basato sul pensiero (cfr. le competenze per l’agire democratico).
Teorizzando la necessità di un ambiente educativo in cui confrontarsi continuamente con le altre persone, uscendo dalla propria autoreferenzialità, Mortari parla di «comunità di discorso» (2008, p. 29) intesa come un laboratorio di pensiero basato sulla concezione di «partecipazione periferica legittima» (Lave e Wenger, 1991) in cui si impara partecipando, negoziando significati per trovare soluzioni a problemi del bene comune. Da quanto emerso dai dati, possiamo suppore che attraverso il curricolo di educazione civica si possano creare le condizioni per abituarsi al dialogo e avviare così una «comunità di discorso» in classe.
Ogni alunno e ogni alunna hanno esercitato le competenze per l’agire democratico partecipativo — realizzando insieme a compagni, compagne e insegnanti qualcosa di nuovo e inedito, a partire dal decidere insieme il tema fino alla realizzazione dell’azione trasformativa dello status quo. Ciò che emerge dai dati può essere ricollegato al concetto di cittadinanza deliberativa con cui Santerini (2010) supera un’idea formale di democrazia a favore di una concezione più attiva e partecipativa. Inoltre, quanto affermato da ragazze e ragazzi rispetto all’avere maturato responsabilità per il progetto comune e impegno reciproco ci porta a pensare che il curricolo sia conforme al pensiero di Dewey (1916) secondo cui la scuola dovrebbe offrire occasioni per sviluppare capacità personali e fondarsi sulla cooperazione per essere laboratorio di democrazia.
Attraverso il progetto di educazione civica «impariamo come si deve fare se vogliamo fare qualcosa per il quartiere: anche se adesso è solo qualcosa di piccolo, impariamo a organizzare qualcosa per il bene comune» — ha detto una ragazza —, confermando l’idea deweyana che la scuola non sia solo preparazione alla vita, ma essa stessa vita. Hanno sperimentato esperienze che li hanno portati a sentirsi parte di una comunità più ampia e così hanno potuto maturare responsabilità di sé e degli altri. Educazione e vita sociale sono intimamente legate. Facendo democrazia, si impara la democrazia.
Forse possiamo addirittura supporre che alcuni ragazzi e alcune ragazze abbiano avviato un processo di coscientizzazione (Freire, 1968), seppure embrionalmente. Penso ad esempio alle scene sulla discriminazione di genere scritte in 2a C in cui sono state riportate situazioni quotidiane vissute in famiglia, tra pari o a scuola. Alunne e alunni hanno avuto modo sia di tematizzare che di elaborare — fino a giungere al finale dello «spettacolo» in cui hanno affermato l’esigenza della parità di genere. Hanno compreso che possono «manifestare» per sensibilizzare l’opinione di una comunità più ampia.
Conclusioni
La sperimentazione del curricolo di educazione civica in tre classi permette di formulare alcune riflessioni adattabili anche ad altri progetti (di cittadinanza) e altri contesti educativi (formali o informali) su come promuovere il dialogo tra pari e la partecipazione di tutte e tutti in classi dalla composizione complessa.
Innanzitutto, occorre precisare che sono imprescindibili una disposizione e un agire intenzionale e coordinato di docenti e delle altre figure educanti per uscire da dinamiche abituali, fontali e frammentarie che caratterizzano ancora molto la cultura scolastica italiana (cfr. OECD, 2019, 2020; Fondazione Agnelli, 2021). Conseguentemente, per facilitare l’implementazione del curricolo sono previste una formazione iniziale e una supervisione in itinere durante le riunioni di coprogettazione dei team-docenti. Occorre infatti accompagnare in maniera attiva il mettersi in gioco di insegnanti, il loro cambiare paradigma. La loro disposizione al cambiamento — sostenuta anche da spunti concreti per le attività, da un percorso in parte strutturato — facilita l’utilizzo di modalità di insegnamento-apprendimento più interattive, come l’utilizzo del cerchio, dei ruoli, di momenti più ludici, del lavoro a coppie o in piccolo gruppo.
Attraverso queste modalità discorsive, relazionali e di apprendimento viene coltivato uno spazio di dialogo, premessa necessaria alla partecipazione, declinata come coinvolgimento di alunne e alunni nelle decisioni (il tema e l’azione) e maggiore autonomia nella strutturazione delle attività: ragazze e ragazzi si sentono così coprotagonisti di un progetto volto al bene comune. Conseguentemente viene favorito anche un clima più sereno e inclusivo in cui tutte e tutti crescono come individui situati e interconnessi, sviluppano competenze per l’agire democratico e si prendono cura insieme del bene comune.
Potremmo quasi affermare che è stato sperimentato come l’educazione civica possa perseguire la felicità e il benessere di tutte e tutti, l’eudaimonia di Aristotele (1999), intesa come un senso di appagamento a lungo termine che deriva dal condurre una vita «buona», uno stato di «fioritura» che implica l’autorealizzazione e un senso di autodeterminazione, un «pieno funzionamento» (Spratt, 2017; Decci e Ryan, 2008).
Bibliografia
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1 Libera Università di Bolzano/Bozen.
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2 Free University of Bolzano/Bozen.
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3 Nell’intento di rendere anche il linguaggio più democratico e inclusivo, nel testo si cercherà di evitare il maschile universale. Qualora non fosse possibile al fine di migliorare la fluidità di lettura, si specifica, in ogni caso, che le occorrenze al maschile universale sono sempre indirizzate indifferentemente a tutti i generi.
Vol. 24, Issue 2, May 2025