Vol. 23, n. 3, settembre 2024
TEMI APERTI
Il doppio confine dell’accessibilità nello sguardo filmico: dimensioni pedagogiche dell’esperienza immersiva e incarnata
Emiliano De Mutiis e Gianluca Amatori1
Sommario
Il concetto di accessibilità, investendo sempre di più anche la dimensione culturale, sociale e pedagogica oltre che quella infrastrutturale e architettonica, permette di individuare non solo barriere e ostacoli fisici ma anche barriere intangibili e invisibili. In quanto mediatore culturale, il cinema, sin dagli esordi, ha lavorato su tale confine, volgendo la sua attenzione soprattutto sulla rappresentazione esteriore, di tipo visivo-comportamentale, della persona con disabilità. In alcune recenti pellicole, viene invece a configurarsi un cambio di prospettiva spettatoriale, in grado di generare un’istanza proiettiva dentro la sfera percettiva e sensoriale del personaggio in condizione di disabilità. In ottica embodied, la rappresentazione esteriore della persona con disabilità viene integrata o sostituita dall’esperienza incarnata e immersiva della disabilità stessa. La relazione intende analizzare le differenti modalità attraverso cui nei film suddetti, focalizzati sulle disabilità visive e uditive, il pattern sensoriale della disabilità venga offerto agli spettatori in una sorta di traduzione percettiva attuata grazie al sound design e al video editing. In tal modo, la sfera percettivo-sensoriale diventa agente narrativo al posto della parola, consentendo, in ultima istanza, un ampliamento dello sguardo pedagogico e una riformulazione dei presupposti stessi di un pensiero in grado di generare barriere.
Parole chiave
Cinema, Disabilità sensoriali, Storytelling, Embodied Cognition, Realtà aumentata.
OPEN ISSUES
The Double Boundary of Accessibility From a Filmic Perspective: Pedagogical Dimensions of the Immersive and Embodied Experience
Emiliano De Mutiis and Gianluca Amatori2
Abstract
The concept of accessibility, increasingly affecting also cultural, social and pedagogical dimensions as well as infrastructural and architectural ones, makes it possible to identify not only physical but also intangible and invisible barriers. As a cultural mediator, cinema, since its beginning, has worked on this boundary, turning its attention primarily to the outward, visual-behavioural representation of the person with disabilities. Instead, in some recent films, a shift in spectatorial perspective has begun to appear, capable of generating a projective instance within the perceptual and sensory sphere of the character with a condition of disability. From an embodied perspective, the external representation of the person with a disability is supplemented or replaced by the embodied and immersive experience of the disability itself. This paper aims to analyse the different ways through which, in the aforementioned films focused on visual and auditory disabilities, the sensory pattern of the disability is offered to viewers in a kind of perceptual translation, implemented through sound design and video editing. In this way, the perceptual-sensory sphere becomes a narrative agent in place of speech, ultimately allowing for a broadening of the pedagogical perspective and a reformulation of the very assumptions of barrier-generating thinking.
Keywords
Cinema, Sensory disability, Storytelling, Embodied Cognition, Augmented Reality.
Introduzione: la cornice teorica
Il concetto di accessibilità, di norma associato ad aspetti infrastrutturali ed architettonici, investe sempre di più anche la dimensione culturale, sociale e pedagogica, individuando non solo barriere e ostacoli fisici ma anche barriere intangibili e invisibili. Nella sua dimensione concettuale, la barriera può essere pensata come un confine, che presuppone due versanti e due punti di vista, di chi è al di qua e di chi è al di là di essa: nel nostro caso specifico, della persona con disabilità che guarda al mondo e alle possibilità di una persona a sviluppo normotipico; e, simmetricamente, della persona a sviluppo normotipico che guarda al mondo e alle possibilità di una persona con disabilità.
Il cinema, in quanto mediatore culturale, è stato spesso una finestra su tale confine, in grado di mostrare punti di vista differenti nell’ambito della stessa narrazione, posti all’interno o all’esterno dei personaggi rappresentati (Bocci, 2005). Ma, come evidenziato da diverse riflessioni critiche condotte anche sul punto di vista dei Disability Studies (Kama, 2004; Allan, 2013; Bocci e Bonavolontà, 2013; Bocci, 2020; Fedeli, 2022), la sua narrazione si è spesso concentrata su uno solo dei lati del confine e, cioè, dal punto di vista esterno della persona a sviluppo normotipico che guarda alla persona con disabilità.
Tale prospettiva narrativa può essere definita come centrata su un di tipo rappresentazione «fenomenologico-descrittiva», volta cioè alla descrizione di «che cos’è e che cosa comporta avere una […] una determinata sindrome e/o una disabilità»; o, ancora, come collocabile a livello dello «sfondo psicologico-drammatico», dove le condizioni psichiche, fisiche, sensoriali o cognitive, «riconducibili a situazioni di malattia, di disagio, di disabilità», benché «non […] trattate come protagoniste nelle storie narrate […] ne costituiscano comunque l’orizzonte di senso entro il quale i personaggi pensano, si muovono e agiscono» (Bocci, 2005, pp. 244 e 250).3
In entrambe queste tipologie, la rappresentazione viene quindi condotta da un punto di vista esterno, focalizzato essenzialmente su:
- gli aspetti visivo-comportamentali della persona con disabilità (tratti fisici e movenze caratteristiche) e gli elementi costituenti il mondo fisico intorno ad essa (punto di vista fenomenologico-descrittivo);
- sull’esteriorizzazione della dimensione interiore, attuata attraverso i dialoghi e l’espressività attoriale (descrizione dello sfondo psicologico-drammatico).
Come andremo ad analizzare, in alcuni recenti contributi filmici centrati sulle disabilità sensoriali è possibile riscontrare la presenza di un’altra modalità di rappresentazione, con funzionalità differenti e complementari rispetto a quelle appena tratteggiate. Mentre nella modalità fenomenologico-descrittiva (e, ancor più, in quella basata sullo sfondo psicologico-drammatico) lo spettatore è posto davanti alla rappresentazione della disabilità, al di fuori del personaggio rappresentato di cui osserva le gesta e di cui ascolta le parole, nell’altra modalità che stiamo definendo lo spettatore va a proiettarsi dentro la sfera percettivo-sensoriale del personaggio con disabilità, vivendo dal suo punto di vista e di ascolto le vicende narrate e le difficoltà legate alla sua peculiare situazione funzionale.
Tale ribaltamento del punto di vista e di ascolto dello spettatore (dal fuori al dentro), protratto nel tempo della dimensione filmica, è in grado inoltre di generare anche un radicale cambiamento nei meccanismi di natura narrativa del cinelinguaggio.
Il cinema è da sempre stato in grado di suscitare nello spettatore una modificazione della condizione psichica simile a quella di persone che si trovano in situazioni di apprendimento, una condizione definibile di orientamento aspettante (Dieuzeide, 1966; Pavone, 2016). Coinvolto in un primo momento dai meccanismi tipici di un pensiero narrativo di natura essenzialmente linguistica, lo spettatore rielabora a posteriori i contenuti e i vissuti esperiti durante la visione grazie alle modalità tipiche del pensiero paradigmatico (Bruner, 1993), dando luogo a una situazione definibile di «tensione conoscitiva» (Bocci, 2012, p. 210).
Basando la sua azione sulla natura sincretica e multisensoriale — oltre che narrativa — del cinelinguaggio (Pavone, 2016), la diversa modalità di rappresentazione che stiamo tratteggiando — fondata sull’istanza proiettiva dentro la condizione del personaggio con disabilità — configura la sfera percettivo-sensoriale come agente narrativo al posto della parola. Grazie a una serie di interventi tecnici a livello di sound design e video editing — in grado di produrre distorsioni sonore e visive, fino ad arrivare agli estremi dell’azzeramento del suono o dello schermo nero — la funzione linguistica viene sospesa e delegata a un codice di stimolazioni visive e sonore, a un alfabeto fatto di sensi.
Ma non solo: la proiezione dello spettatore dentro la sfera percettivo-sensoriale del personaggio con disabilità consente l’attivazione di una dimensione conoscitiva più profonda e non-mediata.
Attraverso un percorso ben diverso rispetto alla cognizione astratta o all’osservazione esterna, la rappresentazione visivo-comportamentale della persona con disabilità viene integrata e/o sostituita dall’esperienza «incarnata» e immersiva della disabilità stessa, andando a configurare quello che possiamo definire un cambio di prospettiva spettatoriale: dall’osservazione del alla percezione nel corpo con disabilità. Non basata più esclusivamente sulla dialettica tra pensiero narrativo e paradigmatico, la capacità del cinelinguaggio di produrre situazioni simili a quelle di apprendimento va a incrementarsi grazie al potenziamento della mediazione corporea, fautrice di una comprensione più diretta e integrata (Ferri e Gamelli, 2017). Il corpo, infatti, secondo la prospettiva multidisciplinare dell’Embodied Cognition, può essere considerato propriamente soggetto di cognizione (Gomez Paloma, Ascione e Tafuri, 2016), mediatore privilegiato di una comprensione profonda e «dispositivo principale attraverso il quale, realizzando esperienze, sviluppiamo apprendimento e produciamo conoscenza» (Rivoltella, 2012, p. 12). Grazie al rispecchiamento sensoriale tra la condizione del personaggio e quella dello spettatore, l’esperienza, e la successiva riflessione sull’esperienza, favoriscono «un apprendimento significativo e trasformativo (apprendimento autentico che promuove cambiamento di habitus e atteggiamento)» grazie all’«aggancio delle dimensioni profonde pre e non verbali» (Damiani e Gomez Paloma, 2020, p. 103). Tale comprensione potenziata/aumentata, in grado di generare empatia cinestetica nello spettatore, crea una connessione con i funzionamenti dei personaggi, con lo spettro percettivo «ridotto» delle loro disabilità sensoriali, in base alla quale riconsiderare — in chiave educativa e pedagogica — le preconoscenze e le prassi comportamentali adottate verso tale condizione.
La proiezione nella dimensione percettivo-sensoriale del personaggio con disabilità è, inoltre, ancor più significativa nel caso delle disabilità sensoriali. Secondo Davies (1997), la visione di un «corpo disabile» è come un ritorno all’imago del corpo frammentato di cui fa esperienza il bambino nelle prime fasi del suo sviluppo: in tale esperienza, lo sguardo viene immancabilmente attratto dalle componenti anomale a scapito di quelle normotipiche. Nelle disabilità sensoriali non ci sono aspetti esterni sui quali incentrare una rappresentazione fenomenologico-descrittiva: in esse, il corpo è integro, non frammentato, essendo la frammentazione interna, inerente non a tratti fisici esteriori ma alla sfera di percezione interiore del mondo esterno. Nella rappresentazione filmica di tali disabilità la connessione con la dimensione del dentro, intima, organica, «regressiva», è, quindi, imprescindibile, legata al mondo sonoro dell’autoascolto.
Delineato il quadro teorico e concettuale, possiamo ora procedere con l’analisi di alcuni recenti esempi di questa diversa modalità di rappresentazione.
Rappresentazioni recenti della disabilità uditiva al cinema
Come già evidenziato in altra sede (Amatori e De Mutiis, 2022), in alcuni recenti contributi filmici è possibile ravvisare questa diversa modalità di rappresentazione delle disabilità in grado di generare un’istanza proiettiva dentro la sfera percettivo-sensoriale del personaggio.
Nel caso della disabilità uditiva, il cinelinguaggio riesce ad attuare questo tipo di rispecchiamento tra lo spettatore e il personaggio rappresentato grazie a una serie di interventi sul canale audio, utilizzato come mezzo per proiettare il primo nel punto di ascolto del secondo.4
Attraverso tecniche di sound design — tese alla manipolazione degli aspetti invisibili del linguaggio cinematografico — la veste acustica del mondo fisico, così come esperito dal personaggio con disabilità uditiva, viene restituita allo spettatore attraverso tre tipologie di soggettive sonore, tese a ricreare:
- lo spettro di frequenze e il tipo di disturbi acustici caratteristici dell’udito in fase di compromissione o compromesso;
- lo spettro di frequenze caratteristico di un ascolto effettuato attraverso impianto cocleare o apparecchio acustico;
- il silenzio profondo della sordità, reso tramite l’azzeramento completo del suono (traccia audio silenziosa).
Nel film Sound of metal (USA, 2019, regia di Darius Marder) sono presenti tutte e tre le suddette tipologie di soggettive sonore. Centrato sulla figura di Ruben, un batterista heavy metal, esso fonda la sua narrazione dal momento in cui la vita personale e musicale del personaggio viene sconvolta dall’improvvisa perdita dell’udito, condizione che lo condurrà verso la faticosa ricerca di un nuovo equilibrio interiore.
In diverse scene della pellicola, la rappresentazione delle varie condizioni di disabilità uditiva di Ruben avviene attraverso la presentazione di alcuni aspetti comportamentali ed esteriori dei membri della comunità di non udenti con cui a un certo punto del suo percorso si trova a interagire (la lingua dei segni, la percezione tattile, ecc.), ma soprattutto attraverso numerose soggettive sonore che riproducono in modo dettagliato il mondo sonoro interiore di Ruben, il suo punto di ascolto. Tali soggettive vengono rese, a seconda del punto della storia, attraverso i tre espedienti tecnici descritti sopra, e cioè: lo spettro di frequenze del suo udito parziale e compromesso; lo spettro di frequenze del suo ascolto tramite impianto cocleare; e, infine, il silenzio profondo della sua sordità.
In una delle scene iniziali del film, Ruben avverte un calo quasi totale dell’udito durante un concerto e si trova costretto a interrompere la performance musicale uscendo fuori dal locale; la narrazione viene condotta attraverso l’alternanza del punto di vista esterno e interno (lo spettatore vede da fuori o da dentro Ruben suonare e fuggire fuori dal locale) nonché del punto di ascolto esterno e interno (lo spettatore sente da fuori o da dentro i suoni e rumori della musica e dell’esterno del locale). In tale scena, il taglio delle frequenze medio-alte restituisce l’esperienza di un ascolto parziale, ovattato e rimbombante, proiettando lo spettatore nella situazione tipica di un funzionamento uditivo ridotto e percettivamente limitato, consentendogli non solo di vedere la sordità ma anche di sentirla. Dilazionata su una dimensione temporale di diversi minuti, tale proiezione consente all’elemento percettivo-sensoriale (traccia sonora) di diventare agente narrativo al posto della parola: le frasi concitate che Ruben scambia fuori dal locale con la sua ragazza non risultano infatti comprensibili attraverso il filtro applicato dal sound design, proprio a sottolineare l’insignificanza e la marginalità comunicativa della loro dimensione semantica rispetto al flusso principale dello storytelling.
In modo analogo, nella scena finale del film, Ruben siede su una panchina, ascoltando i suoni provenienti dal mondo circostante attraverso il suo impianto cocleare (dei ragazzi che giocano, la campana della chiesa, il traffico, ecc.): il taglio — questa volta — delle frequenze medio-basse e la distorsione dei rumori a più alta intensità riproducono questa differente esperienza di ascolto ridotto e limitato, che si estingue, alla fine della scena, nel silenzio totale della sordità: nessuna parola è presente in questa scena, in cui flusso narrativo è sostenuto esclusivamente dagli elementi della traccia sonora e dall’espressività comunicativa dell’attore protagonista.
A sottolineare come questo tipo di interventi proiettivi non siano un espediente accidentale ed episodico nella poetica filmica del regista è l’incidenza, in termini temporali, degli stessi rispetto alla lunghezza totale della pellicola: la somma della durata delle scene in cui queste tre tipologie di soggettive sonore sono presenti arriva infatti a coprire 17% della durata complessiva del film (a fronte di durate assai minori di interventi di natura simile attuati in film meno recenti).
In modo analogo a Sound of metal, nella miniserie animata El Deafo (USA, 2022, regia di Gilly Fogg)5 la rappresentazione delle disabilità uditive di Cece, una coniglietta molto intelligente che perde l’udito a causa di una malattia, avviene attraverso alcuni aspetti comportamentali ed esteriori dei membri della comunità di non udenti con cui Cece si trova a interagire, ma soprattutto attraverso numerose soggettive sonore in cui vengono presentati in modo molto dettagliato: lo spettro di frequenze del suo udito parziale e compromesso; lo spettro di frequenze del suo ascolto tramite apparecchio acustico; e il silenzio profondo della sua sordità (azzeramento del suono).
Anche in questo caso, la narrazione è condotta attraverso il punto di vista interno/esterno associato a un punto di ascolto principalmente interno, grazie al quale lo spettatore riesce a vedere da fuori e da dentro le situazioni vissute dalla protagonista nella loro normalità e, simultaneamente, a sentire da dentro i suoni esterni distorti e filtrati nella specialità di una percezione uditiva ridotta. Attraverso l’esperienza diretta di tale panorama sonoro, lo spettatore comprende — grazie all’istantaneità della mediazione corporea e non tramite concettualizzazioni astratte o precetti comportamentali — le numerose difficoltà ambientali, sociali e affettive di Cece, i «bisogni speciali» legati alla sua condizione, in chiave per così dire educativa e pedagogica.6
In modo ancor più rilevante che in Sound of metal, la centralità narrativa della dimensione percettivo-sensoriale è sottolineata dal fatto che la somma della durata delle scene in cui queste tre tipologie di soggettive sonore sono presenti arriva a più del 70% della durata complessiva della miniserie.7
Rappresentazioni recenti della disabilità visiva al cinema
Vediamo ora come, all’interno di questa diversa modalità di rappresentazione, il cinema riesca a proporre un tipo di esperienza proiettiva e immersiva anche in riferimento alla disabilità visiva. In alcuni recenti contributi filmici, tale intento è perseguito attraverso il ricorso a particolari interventi attuati su entrambi i canali percettivi a disposizione del cinelinguaggio (audio e video):
- in merito al canale uditivo, viene offerta, attraverso interventi di sound design, una simulazione dell’iperacutezza dell’udito che si sviluppa spesso nelle persone con disabilità visiva (in una sorta di compensazione intra-sensoriale del deficit);8
- in merito al canale visivo, vengono proposti, attraverso interventi di video editing, filtri distorcenti o, al limite, l’assenza totale di stimolazioni visive proprie dello schermo nero (black screen).9
Nel film Man in the dark (USA, 2016, regia di Fede Álvarez), tre adolescenti decidono di fare irruzione nella casa di un veterano di guerra cieco per tentare una rapina. In una scena molto nota del film — presente anche nel trailer — due di loro si trovano in cantina inseguiti dal veterano armato che, per metterli in una situazione di svantaggio, decide di togliere la luce, facendo sprofondare il tutto nel buio più totale. Per pochi secondi, il regista sostiene lo schermo nero sul canale video e il rumore di un respiro su quello audio, con il chiaro intento di proiettare lo spettatore nella condizione percettiva dei due adolescenti divenuti, in tale condizione, non vedenti: una scelta poetica esplicitamente sottolineata dalle parole sussurrate dal veterano cieco: «adesso vedete quello che vedo io».10
Tale istanza proiettiva non viene però protratta oltre il suddetto brevissimo intervallo temporale, non arrivando quindi a divenire agente narrativo al posto della parola, come evidenziato negli esempi precedenti sulla disabilità uditiva. Essendo un film rivolto a un pubblico mainstream — statisticamente meno predisposto a esperienze di tipo «straniante» —, lo schermo nero viene subito abbandonato, riportando lo spettatore all’esterno dei personaggi e sostituito da un filtro visivo monocromatico a bassa luminosità, riproducente una visione simile a quella possibile con i visori a infrarossi (utilizzati appunto per vedere al buio). Tale espediente semiotico viene utilizzato dal regista per mostrare allo spettatore i movimenti dei personaggi (allo scopo di intrattenerli) e, al contempo, far intendere come tali movimenti avvengano, nella realtà filmica, in un luogo buio.
Similmente a Sound of metal, nel film Il cieco che non voleva vedere Titanic (Finlandia, 2021, regia di Teemu Nikki)11 l’istanza proiettiva nella sfera percettivo-sensoriale del personaggio con disabilità viene protratta per un tempo sufficiente ad assumere la funzione di agente narrativo al posto della parola.
Le vicende sono incentrate sul personaggio di Jaakko, un uomo con sclerosi multipla, cieco e costretto su una sedia a ruote, grande appassionato di cinema; un giorno Jaakko decide di fare un viaggio da solo, senza assistente, per andare a fare visita a una donna anch’essa malata che conosce solo telefonicamente, con l’obiettivo di «vedere» Titanic insieme prima che l’aggravarsi delle condizioni di salute entrambi possa rendere l’esperienza impossibile.
La rappresentazione della disabilità visiva di Jaakko viene proposta dal regista su entrambi i canali del linguaggio cinematografico. Oltre ad alcuni aspetti comportamentali ed esteriori del personaggio (lo sguardo assente, l’uso del tatto come agente di riconoscimento di oggetti e luoghi, ecc.), sul canale visivo vengono utilizzati:
- l’azzeramento totale degli stimoli visivi tradotto nello schermo nero (black screen), in una scena del film;
- un filtro visivo atto a sfocare nell’inquadratura tutto ciò che si trova intorno a Jaakko, in diverse scene del film; esso viene usato come espediente semiotico per sottolineare — in modo analogo alle voci filtrate e non comprensibili di Sound of metal — la marginalità narrativa degli aspetti visibili rispetto a quelli sonori, gli unici in grado di riprodurre il tipo di immaginazione del protagonista, che non vede ma immagina visivamente ciò che ascolta.
Sul canale uditivo vengono utilizzate dal regista numerose soggettive sonore dotate di qualità timbrica e definizione molto elevata: in tal modo, il suono/rumore diventa agente di spazializzazione dell’ambiente, in grado di generare la sua immagine visiva (con l’intento di riprodurre l’esperienza di iperacutezza dell’udito suddetta).
In una scena del film, Jaakko, arrivato alla stazione ferroviaria di destinazione, viene minacciato da un malvivente e condotto in un luogo appartato per essere rapinato. Mentre viene spinto sulla sedia a rotelle, il punto di vista offerto dal regista è appena dietro a quello del protagonista, con l’applicazione del filtro visivo descritto sopra; ciò che è visibile non viene offerto come semioticamente rilevante, lasciando spazio significante quasi esclusivamente agli stimoli sonori pervenienti al punto di ascolto di Jaakko: i rumori della stazione che si allontanano e si diradano; l’intensificarsi del reverbero ambientale che segnala l’approssimarsi di spazi più aperti; il moltiplicarsi degli oggetti calpestati dalle ruote a indicare l’incremento di sporcizia tipico di una strada meno battuta. Con la consapevolezza di trovarsi lontano dalla possibilità di aiuto, Jaakko viene condotto in un ambiente chiuso e buio; per più di un minuto il regista sostiene uno schermo totalmente nero (dal minuto 47.10 a 48.18), con l’esplicito intento comunicativo di proiettare lo spettatore nella condizione percettiva del protagonista, nel suo punto di vista annullato e nel suo punto di ascolto potenziato: osservando uno schermo completamente nero (black screen), lo spettatore ascolta attraverso Jaakko, immaginandone la controparte fisica:
- il tonfo della porta, il cui reverbero traduce l’ampiezza dell’ambiente chiuso in cui sono entrati i personaggi;
- il rumore di vetri sotto le ruote, a indicare la presenza di rifiuti nella zona iniziale del luogo;
- il dissolversi dei rumori esterni nella frequenza bassa di sottofondo propria di un luogo molto grande e spazioso (residuo acustico dei vari reverberi attivati);
- il diminuire della stessa fino ad arrivare a un silenzio quasi totale, per diversi secondi (che conduce lo spettatore in una «straniante» assenza totale di stimolazioni, sia visive che uditive);
- lo sbattere delle ali di un uccello, che rompe il silenzio, a indicare lo stato di abbandono del luogo.
Nessuna parola e nessuna immagine sono presenti: i soli rumori costituenti la traccia audio assolvono la funzione di agenti narrativi di quel segmento della storia.
Un film che ambisce a estendere ulteriormente la funzione narrativa della sfera percettiva sonora in completa assenza di stimolazioni visive (black screen) è Blindfold (India, regia di Binoy Karamen), al momento ancora in fase di produzione: esso costituisce il primo tentativo al mondo di proporre un’esperienza cinematografica senza immagini, sostenuta dal solo canale audio per circa 50 minuti.
La storia è narrata dal punto di ascolto di Rajan, un venditore di lotterie cieco della città di Kozhikode (India), che si trova ad assistere a un omicidio, ascoltandone gli eventi costituenti. Nell’indagine conseguente condotta dalla polizia, Rajan contribuisce alla risoluzione del caso, basando la sua testimonianza esclusivamente sui dettagli acustici percepiti sulla scena del crimine.
Dalla struttura significante della pellicola, così come dalle parole stesse del regista, l’intento proiettivo è esplicito e dichiarato: l’obiettivo di Blindfold è, infatti, quello di «ispirare l’immaginazione del pubblico con il sound design, la musica e i dialoghi», aiutandolo a immergersi nel mondo invisibile del suono, al fine di «valorizzare la capacità di concentrazione sull’ambiente circostante» e di far «comprendere l’importanza degli aspetti sonori interiori più di quelli legati alla vista».12
In modo analogo a Il cieco che non voleva vedere Titanic, in Blindfold il disinvestimento circa gli aspetti visivi è compensato da un’iper-definizione di quelli sonori (volta alla simulazione dell’iperacutezza dell’udito): il film, infatti, utilizza la tecnologia audio del Dolby Atmos, nota per la sua capacità sia di catturare che di ricreare un’esperienza sonora panoramica e immersiva per lo spettatore-uditore.
Note conclusive
La modalità proiettiva e immersiva, a mediazione corporea, che abbiamo analizzato sopra nell’ambito del linguaggio cinematografico, richiama inevitabilmente l’approccio embodied alla base di tutte le attività che utilizzano i dispositivi per la realtà virtuale e aumentata (AR); approccio noto per la sua efficacia didattica e inclusiva in ambito di apprendimento (Kaufmann e Schmalstieg, 2003; Feng, Duh e Billinghurst, 2008; Di Martino, 2011; Di Martino e Longo, 2019). Mentre nel caso della AR elementi di natura digitale vengono aggiunti alla realtà fisica percepita, nella modalità di rappresentazione cinematografica analizzata elementi di natura fisica vengono sottratti dallo spettro percettivo dello spettatore, arrivando a configurare quella che abbiamo definito — in altra sede — una realtà diminuita (Amatori e De Mutiis, 2022).13
Similmente all’ambito cinematografico, l’esperienza di tale realtà diminuita potrebbe essere offerta in ambito formativo proprio attraverso le tecnologie immersive usate per la AR: rinunciando all’aspetto narrativo tipico del cinema a favore di una maggiore immersività ed efficacia educativa, ciò permetterebbe, ad esempio, a degli studenti di entrare dentro la condizione di disabilità, così da vivere le difficoltà e le limitazioni ad essa correlate direttamente, in modo incarnato, bypassando la mediazione concettuale e linguistica.14
Considerato anche dalla prospettiva dell’analisi istituzionale, questo incontro con la diversità attraverso la mediazione corporea permetterebbe alla differenza di mantenere con più efficacia la sua forza di istituente: non sarebbe infatti la diversità a essere assimilata e quindi immunizzata nella normalità istituita, ma sarebbe la normalità a incorporarsi — in questo caso, nel senso letterale del termine — nella diversità istituente, con tutto il portato di positivo disorientamento e di contatto con la complessità che ne conseguirebbe. Esito inevitabile di tale incontro sarebbe una sollecitazione delle forme di coscientizzazione continua (Gardou, 2006) nonché un avvicinamento, in questo caso di tipo fisico-percettivo, ai tratti più problematici insiti nella differenza, al fine di contrastare l’allontanamento tipico dell’anxious displacement (Cavalcante, 2014; Bocci e Domenici, 2019).
Tornando, in chiusura, alle barriere invisibili da cui abbiamo avviato la trattazione, possiamo affermare che il tipo di istanza proiettiva finora delineato consentirebbe, in ultima istanza, un arricchimento percettivo — dello sguardo e dell’ascolto — delle persone a sviluppo normotipico, le quali, sperimentando in prima persona le limitazioni funzionali di una condizione di disabilità — in questo caso — sensoriale, arriverebbero sempre di più ad avvertire l’accessibilità come una componente automatica del pensiero, volto ad aspetti sia architettonico-strutturali, sia educativi e sociali.
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Sacks O. (1995), Un antropologo su Marte, Milano, Adelphi.
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1 Dipartimento di Scienze Umane, Università Europea di Roma.
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2 Department of Human Sciences, European University of Rome.
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3 La distinzione tra film a contenuto fenomenologico-descrittivo e film a sfondo psicologico-drammatico è stata operata da un gruppo di psichiatri (in modo particolare F. Russo, R. Vari e V. Remoli), che sotto la sigla «Psichiatria e immagine» agli inizi degli anni Novanta hanno compiuto una serie di indagini nel settore di intersezione tra la comunicazione per immagini, la formazione e la clinica nell’ambito della salute mentale (Bocci, 2005, nota 18).
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4 In un linguaggio più tecnico, si definisce l’auricolarizzazione come la relazione tra ciò che l’istanza narrante fa sentire e chi ascolta, corrispettivo uditivo della ocularizzazione. Nell’auricolarizzazione interna primaria il suono assume una dimensione soggettiva, dipendendo strettamente dalle condizioni di ascolto del personaggio. Quella che abbiamo definito istanza proiettiva dello spettatore nella condizione percettiva del personaggio con disabilità porta quindi il livello di «auricolarizzazione», o punto di ascolto, da esterna a interna-primaria.
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5 In Italia la miniserie in tre episodi, tratta dal graphic novel omonimo di Cece Bell, è stata distribuita da Apple TV con il nome di SuperSorda.
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6 Tali difficoltà ambientali, sociali e affettive vengono evidenziate in diverse situazioni-tipo, come: le voci che stridono, annullandosi reciprocamente, quando più persone parlano insieme; l’impossibilità di aiutarsi con il labiale quando l’interlocutore è troppo distante o si copre la bocca; l’indispensabile chiarezza e la grande utilità del microfono «da collo» connesso in modalità wireless con gli apparecchi acustici.
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7 Anche nella recente serie TV Only Murders in the Building (USA, 2021), prodotta da 20th Television, viene presentato un intero episodio «muto» (il settimo della prima stagione), con audio quasi azzerato e presenza del linguaggio dei segni e dei sottotitoli, condotto dal punto di vista e di ascolto del personaggio sordomuto Theo Dimas.
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8 Come molti studi evidenziano, tra cui Sacks (1995).
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9 Lo schermo nero, traducendosi in un azzeramento degli stimoli visivi, viene usato con molta parsimonia dai registi per via del suo effetto straniante e spiazzante: la vista è infatti il senso più legato all’esperienza cinematografica sin dagli inizi della sua storia, quando le pellicole erano — appunto — mute (anche nel linguaggio comune, un film «si va a vedere»). Fare a meno di questo aspetto è come generare nello spettatore una sorta di horror vacui, come se l’aspetto uditivo non fosse sufficiente a giustificare l’atto dello stare in una sala ad assistere a una proiezione su uno schermo. Per questo i registi vi ricorrono molto raramente, specialmente nelle pellicole a vocazione più commerciale e meno artistica.
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10 Man in the Dark (trailer italiano), https://youtu.be/ittmkmq8c0Q?t=115 (consultato il 9 settembre 2024).
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11 Titolo internazionale: The Blind Man Who Did Not Want to See Titanic (durata 82 minuti).
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12 Tratto dal sito web di Binoy Karamen, https://www.binoykaramen.com/blindfold (consultato il 9 settembre 2024) (traduzione nostra).
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13 L’aggettivo diminuita si riferisce chiaramente agli aspetti quantitativi della realtà percepita (rispetto alla totalità dello spettro di frequenze udibili o visibili), e non a elementi di natura qualitativa.
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14 Questo passaggio, dal cinelinguaggio alla realtà virtuale, è stato effettuato per la promozione di un altro film che ha come asse portante il racconto e la rappresentazione della disabilità visiva, Notes on Blindness (2016; regia James Spinney e Pete Middleton). In questa esperienza immersiva — vincitrice di vari premi — vengono proposte una sottostimolazione del canale visivo e una sovrastimolazione degli altri sensi: attraverso il tracciamento del movimento e la sua traduzione su altri canali sensoriali (visivi e uditivi), la spazializzazione del suono e la possibilità di interazione con vari controller, tale esperienza cerca di far vivere ai fruitori il vissuto del protagonista (un professore) che, nella sua progressiva perdita della vista, aveva sviluppato un’iperacutezza percettiva negli altri sensi, arrivando ad avere una comprensione concettuale dello spazio, del luogo e dell’ambiente attraverso l’udito, il tatto e l’olfatto (presentazione sul canale televisivo Arte: https://www.arte.tv/digitalproductions/en/notes-on-blindness/, consultato il 9 settembre 2024).
Vol. 23, Issue 3, September 2024