Vol. 23, n. 3, settembre 2024
PRECURSORI
Per un’idea innovativa di progettazione
Design for the Real World di Victor Papanek e lo sguardo della pedagogia speciale1
Federico Chiappetta2 e Mabel Giraldo3
Sommario
Victor Papanek è considerato uno dei protagonisti indiscussi del design sociale del secolo XX e ha incarnato una prospettiva progettuale ricchissima, capace di ricomprendere il concetto di accessibilità all’interno di una più ampia interpretazione del design e del suo ruolo trasformativo all’interno della società. Nel suo testo emblematico Design for the Real World. Human Ecology and Social Change (1971), il designer, riflettendo criticamente sulle analogie fra i processi educativi e quelli propri del design e interrogandosi a fondo sul tema delle «minoranze», ha saputo riconoscere e tematizzare l’esigenza di una rinnovata attenzione sociale e progettuale nei confronti delle persone con disabilità. Il contributo intende indagare, all’interno del pensiero e della produzione di Papanek, l’apporto che questa inedita prospettiva sulla progettazione e sull’accessibilità ha fornito e può fornire — a livello epistemologico-culturale, educativo e metodologico — alla riflessione della pedagogia speciale.
Parole chiave
Victor Papanek, Design for the Real World, Progettazione, Design sociale, Disabilità.
PIONEERS
For an Innovative Design Idea
Design for the Real World by Victor Papanek and the Perspective of Special Pedagogy4
Federico Chiappetta5 and Mabel Giraldo6
Abstract
Victor Papanek is considered one of the undisputed protagonists of social design of the 20th century, embodying an extremely rich design perspective, while including the concept of accessibility within a broader interpretation of design and its transformative role within society. In his emblematic work Design for the Real World. Human Ecology and Social Change (1971), the designer, by critically reflecting on the analogies between educational processes and those of design, and by questioning himself in depth on the theme of «minorities», recognized and thematised the need for renewed social and design attention towards persons with disabilities. This paper intends to investigate, within Papanek’s thought and production, the contribution that this unprecedented perspective on design and accessibility has provided and can provide — at an epistemological-cultural, educational and methodological level — to reflections on special pedagogy.
Keywords
Victor Papanek, Design for the Real World, Social design, Disability.
Ogni uomo è designer. Tutto ciò che facciamo è quasi sempre design, proprio perché il design sta alla base di ogni attività umana. La pianificazione e l’attuazione, secondo un modello prefissato, di qualunque gesto tendente a un fine desiderato, costituiscono il processo di progettazione. Qualsiasi tentativo diretto a isolare il design per renderlo autosufficiente lavora in senso opposto al valore intrinseco del progetto, inteso come matrice primaria della vita. Scrivere un poema epico, dipingere un affresco, mettere su tela un capolavoro, comporre un concerto: è design. Ma lo è anche pulire e riordinare un cassetto, sbloccare un ingranaggio, cuocere nel forno una torta, scegliere i lati del campo per giocare a baseball, educare un bambino (Papanek, 2022, p. 51).
«Progetto», «progettare» e «progettazione» sono parole che, da molto tempo e sulla base di essenziali prospettive filosofiche sottostanti, animano la riflessione sui saperi dell’educazione. Si tratta di termini ai quali, anche all’interno della stessa riflessione pedagogica, è certamente possibile guardare a partire da prospettive anche molto diverse. Se da una parte la «progettazione» può essere intesa come un processo aperto e ricorsivo che esprime la propria natura in ben calibrate e ponderate azioni, dall’altra è necessario sottolineare che la stessa prospettiva progettuale assume significato e valore — in relazione a specifiche direzioni intenzionali — all’interno di un percorso, di volta in volta, peculiare, di un farsi in itinere della riflessione su determinati oggetti o a partire da ben delineate esperienze (relazionali, conoscitive, emotive).
Nella progettazione, osserva Natascia Bobbo (2020) sulla scorta delle riflessioni di Martin Buber, «gettiamo in avanti un’idea, un pensiero, un desiderio che deve assumere le forme di un’intenzione sostenibile e allo stesso tempo utopica perché deve palesare, per una persona o una comunità, un futuro diverso, non ancora reale ma non impossibile» (p. 17). Forse proprio in quest’ultima accezione il concetto di «progettazione» — e in particolare di «progettazione universale» — è stato posto in primo piano anche all’interno della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (ONU, 2006).
In questo autorevole documento, all’articolo 2, viene descritta come «universale» una modalità di progettare e realizzare oggetti, strutture, percorsi e servizi in modo tale da renderli il più accessibili possibile, senza il bisogno — a posteriori — di eccessivi adattamenti «specializzati». In un certo modo, all’interno di questo orizzonte di senso, può essere individuato un fondamentale mandato e un compito assai significativo per la pedagogia speciale. In particolare, si può affermare che un’interpretazione inclusiva della prospettiva progettuale supporta e promuove un’idea di accessibilità come diritto per tutti. Come è noto, e come viene sottolineato dalla Convenzione stessa, il terreno della «progettazione» — e della «progettazione universale» — è centrale anche per altri percorsi e sviluppi disciplinari come, ad esempio, l’architettura e il design. Questo, ovviamente, con una serie di significati che, di volta in volta, possono convergere o divergere da quelli messi in luce all’interno del pensiero sull’educazione.
Il designer e ricercatore Victor Papanek, di cui si dirà meglio nel seguito, ha a lungo riflettuto sul significato e sul valore che assume la prospettiva progettuale in ambiti del sapere quali il design e l’architettura, suggerendo, peraltro, delle analogie feconde con altri ambiti conoscitivi, fra cui, appunto, l’educazione. Partendo da una presentazione del profilo biografico-culturale del designer, si propone allora di guardare alla riflessione di Victor Papanek per individuare alcune possibili intuizioni, consonanze e aperture in grado di apportare un contributo alle pratiche di riflessione e di «progettazione» proprie della pedagogia speciale.
Victor Papanek. L’itinerario inedito di un designer sociale
«L’essere umano è un animale sociale e la vita non è facile quando vengono recisi i legami sociali. Nel contesto di una società è molto più semplice mantenere i valori morali. Ben pochi individui hanno la forza di conservare la propria integrità se il loro status sociale, politico e giuridico è del tutto indefinito […]. Una persona che vuole liberarsi del proprio sé scopre in effetti le possibilità dell’esistenza umana che sono infinite, come infinita è la creazione. Ma il recupero di una nuova personalità è arduo — e illusorio — quanto una nuova creazione del mondo» (Arendt, 2022, pp. 21-23). Nel 1943, quando, a due anni dal suo arrivo a New York, Hannah Arendt scriveva queste parole preziose e vibranti sullo statuto del rifugiato, Victor Papanek stava studiando architettura e design presso la Cooper Union School of Art, sempre a New York. Anche lui — che sarebbe diventato uno dei protagonisti indiscussi del design sociale del secolo XX — si era rifugiato negli Stati Uniti nel 1939, dopo l’Anschluss della natìa Austria alla Germania nazista.
In quegli anni, Victor Papanek, come la filosofa tedesca, stava attraversando, in prima persona, le infinite possibilità dell’esistenza umana nel tentativo di recuperare una nuova personalità, di dare una forma nuova e inedita alla propria esistenza. Come riporta la sua biografa Clarke (2022): «appena uscito dal centro di smistamento dell’immigrazione di Ellis Island, con la sua nuova identità di rifugiato ormai strappato dal comodo stile di vita borghese che conduceva a Vienna, Papanek si ritrovò a soli quindici anni catapultato a sud di Manhattan, nel quartiere operaio in cui si mescolavano nazionalità e livelli sociali diversi» (p. 13).
Furono anni decisivi questi, nei quali il futuro designer, «senza arte né parte ma con opinioni politiche estremamente sofisticate, maturate nella illuminata “Vienna rossa”» (Clarke, 2022, p. 13), iniziava a interessarsi all’architettura e alla progettazione, probabilmente per avere assistito in prima persona alla grande Esposizione Universale di New York (aprile 1939-ottobre 1940).
Gli anni della sua formazione — segnati in modo decisivo anche dalla collaborazione con il famoso architetto Frank Lloyd Wright — coincisero, come nota Emanuele Quinz (2022), con il boom economico conosciuto dagli Stati Uniti nel secondo dopoguerra e con la conseguente diffusione, su scala mondiale, di tendenze, di prodotti, di modelli e di stili di vita statunitensi.
I successivi anni Sessanta, centrali nello sviluppo della prospettiva intellettuale e progettuale del designer austriaco, conobbero «l’ansia della minaccia atomica», «l’emergente coscienza ecologica», ma anche «un vento di rivoluzione, di cambiamento, di emancipazione e di libertà» (Quinz, 2022, pp. 396-397). In questa temperie socioculturale complessa e sfaccettata, Papanek si immerse, manifestandosi sensibile e «poroso» alle sollecitazioni intellettuali più diverse, come testimoniato, peraltro, dalla significativa «bibliografia interdisciplinare» proposta alla fine della sua grande opera, Design for the Real World (1971-1972).
Nel volgere di pochi mesi e a ritmo incalzante si diffondevano le dichiarazioni di principi, così come riviste e testi destinati a tracciare il profilo di un’epoca; giovani e artisti si mobilitavano insieme «ai lavoratori e alle minoranze in rivolta, spinti dalla volontà di discutere, lottare, manifestare e scrivere manifesti, sognare e costruire una società più giusta e aperta» (Quinz, 2022, p. 397). Sorgeva, insomma, una nuova attenzione sociale, all’insegna della condivisione e della partecipazione. Anche per quanto concerne le persone con disabilità, la loro vita e le loro possibilità, si trattava di anni cruciali: a partire dalla penisola scandinava e, in seguito, dagli Stati Uniti sorsero movimenti e gruppi (Disability Rights Movement, The Independent Living Movement e altri) con la finalità di rivendicare opportunità e politiche fondate sul diritto alla partecipazione e all’inclusione sociale: «le persone con disabilità imparavano a sostenersi e ad aiutarsi a vicenda rivendicando il loro diritto ad assumere il controllo della propria vita e a rivestire un ruolo da protagonisti nelle decisioni che riguardavano tutti gli aspetti della loro quotidianità e non solo» (Giraldo, 2020, p. 64). La diffusione e la pressione di questi movimenti contribuirono a fare emergere una nuova idea di società, più attenta alle esigenze di tutti e maggiormente capace di includere. La società civile, progressivamente, prese contezza di queste problematiche e delle possibili e auspicabili prospettive di sviluppo.
Cresciuto e vissuto, inoltre, in anni di fervente sviluppo della «progettazione» e delle prospettive architettoniche, Papanek — come si evince, in modo emblematico, dalla sua opera principale Design for the Real World. Human Ecology and Social Change, pubblicata nel 1970-1971 — fu, nel corso della sua vita, fra i primi a farsi promotore di un design capace di trarre spunto dalle più complesse problematiche sociali emergenti, un design «ecologicamente responsabile e socialmente rispondente» e quindi «rivoluzionario e radicale nel senso più vero dei termini» (Papanek, 2022, p. 370). Vicino, per sensibilità, ad alcune istanze della Scuola di Francoforte e della riflessione di Ivan Illich, del quale condivideva la riflessione «per una trasformazione radicale degli “strumenti” (tools), da strumenti di controllo a strumenti di convivialità» (Quinz, 2022, p. 403), Victor Papanek giunse a ritenere che «la funzione primaria del designer» è quella «di risolvere problemi» (Papanek, 2022, p. 189). Si trattava di quelle problematiche e complessità emergenti dal tessuto vivo di società, che, proprio negli anni in cui il designer scriveva, stavano cambiando volto in modo significativo e radicale.
Design for the Real World: prospettive progettuali «rivoluzionarie»
Con l’intenzione di provare a delineare, almeno in parte, la concezione di design propria di Victor Papanek, è essenziale il riferimento a un altro incontro, a un altro elemento. Pari almeno all’interesse per le sollecitazioni culturali già richiamate fu l’ammirazione per la prospettiva progettuale e sociale — con particolare riferimento alle questioni relative alle persone con disabilità — diffusa in molti Paesi del nord Europa. In questo contesto, i decenni tra il 1960 e il 1980 sono stati descritti come un periodo di profonde trasformazioni, durante il quale si sono affermati sempre di più l’attivismo progettuale (design activism), il design sociale, la partecipazione diretta dei fruitori (user participation) e la sostenibilità ecologica (ecological sustainability) (Fallan et al., 2023).
In particolare, una figura di riferimento fu certamente Alvar Aalto (1898-1976), celebre architetto finlandese studiato e apprezzato da Papanek, il quale seppe cogliere e valorizzare il nesso fra le prospettive finlandesi — o comunque nordiche — sul welfare state e un’idea innovativa e alternativa di design (Clarke, 2022). Non si può dimenticare che, proprio nei Paesi del nord Europa, gli anni Sessanta furono fortemente segnati, per quanto concerne gli orientamenti e le politiche a favore delle persone con disabilità, dal dibattito attorno al concetto di «normalizzazione».7 Contrariamente all’accezione negativa attualmente condivisa del termine «normalizzazione», all’interno del contesto delineato tale prospettiva rappresentò, di fatto, un elemento innovatore capace, a partire dalle idee e nelle pratiche, di promuovere e costruire un «mondo reale» differente: in particolare, in relazione ai percorsi di inclusione delle persone con disabilità nei diversi ambiti della vita.
Alla luce di questa idea innovativa: «il carattere di custodia degli istituti venne criticato, così come le condizioni di vita, che rimanevano molto lontane da quelle ritenute accettabili rispetto agli standard del welfare state in evoluzione. La segregazione giunse a essere vista come stigmatizzante e in conflitto con l’idea di cittadinanza piena. Il concetto di normalizzazione divenne la bandiera ideologica di questo movimento di riforma» (Tøssebro et al., 2012, p. 135).
La complessa e articolata concezione di design di Papanek, dunque, fu fecondata sia dai fermenti culturali della New York degli anni Cinquanta e Sessanta — animata da molteplici istanze di emancipazione — sia dalle riflessioni e prospettive radicali, sulle scelte politiche e sulle attenzioni alle esigenze delle «minoranze», proprie dei Paesi del nord Europa, nei quali lo stesso ricercatore si recava di frequente. Si domandava in modo significativo e provocatorio il designer:
Stiamo ancora progettando per le minoranze? Il fatto è che a un certo punto della nostra vita siamo stati bambini, e abbiamo bisogno di educazione durante tutta la vita. Diventiamo adolescenti, di mezz’età, e vecchi. Abbiamo tutti bisogno dei servizi e dell’aiuto di insegnanti, dottori, dentisti e ospedali. Apparteniamo tutti a speciali gruppi di bisogni, e tutti viviamo in un paese, il paese della mente umana, che è appena nato ed è in via di sviluppo, non importa quale sia la nostra collocazione geografica e culturale. Abbiamo tutti bisogno di trasporti, comunicazioni, prodotti, utensili, riparo e vestiti. Abbiamo bisogno di acqua e aria pura. Come specie, abbiamo bisogno della sfida, della ricerca, dell’appagamento della conoscenza. Se quindi «mettiamo insieme» tutte le minoranze apparentemente piccole di cui s’è parlato sopra e se combiniamo tutti questi bisogni «speciali», ci rendiamo conto di aver disegnato per la maggioranza (Papanek, 2022, p. 106).
Fin dai primi anni di attività, proprio sulla scorta di queste sollecitazioni e intuizioni, Papanek propose, in seminari, testi e progetti, una modalità attiva, trasformativa e inclusiva di intendere la «progettazione» di oggetti, di strumenti, di ambienti: «il designer deve avere coscienza della sua responsabilità sociale e morale. Infatti, il design è lo strumento più potente che l’uomo abbia per poter dare una forma ai suoi prodotti, ai suoi ambienti e, per estensione, a se stesso» (Papanek, 2022, p. 137). Si trattava, come si comprende facilmente, di una prospettiva progettuale ricchissima, capace di ricomprendere il concetto stesso di accessibilità all’interno di una più ampia interpretazione del design e del suo ruolo trasformativo all’interno della società. Ne è indubbiamente una splendida e vibrante testimonianza il Big Character, Poster n. 1, Work Chart for Designers. Si tratta di un’opera grafica che documenta l’instancabile attitudine di Papanek all’esposizione e alla discussione seminariale delle proprie idee con studenti e giovani colleghi.
A conferma di questa sensibilità, corre lungo le nervature dell’intera riflessione del designer la pregnante analogia fra la progettazione di oggetti e le dinamiche evolutive dei processi educativi; a tal proposito, Papanek giunse ad affermare che «tutto il design è una sorta di educazione. Si può fare dell’educazione studiando o insegnando in una scuola o in una università, o mediante il design […] Ma è estremamente difficile far emergere il problema della responsabilità» (Papanek, 2022, p. 138). «Progettazione» come modo di esserci e di pensare responsabilmente che ha sollecitato, come messo in evidenza, la riflessione sulle presunte «minoranze» (bambini, persone svantaggiate, persone con disabilità, persone con culture differenti da quelle maggioritarie, ecc.) e l’individuazione di specifici e concreti problemi sociali. Fra questi risultavano certamente centrali quelli legati alle esigenze specifiche delle persone con disabilità: così, ad esempio, alcuni brillanti studenti del designer, abituati a lavorare in gruppo con il maestro, nel corso degli anni Sessanta idearono «un congegno economico e tascabile per scrivere in Braille» (Papanek, 2022, p. 168).
Si trattava certamente di uno sviluppo di grande interesse, anche se a Papanek non sfuggiva che un importante «compito del designer potrebbe essere quello di elaborare processi di fabbricazione in relazione diretta con le capacità manuali del cieco, che sono spesso sorprendenti», perché comprendeva bene che «i ciechi hanno anche bisogno di un lavoro che sia più soddisfacente di fabbricare cestelli e spazzole» (Papanek, 2022, p. 169). Emerge con insistenza, nelle parole del padre del design sociale, l’idea di «progettazione» come apertura a possibilità alternative, in particolar modo, come detto, a vantaggio delle «minoranze». Un design che, prima di essere riflessione estetica e realizzazione tecnica, è responsabilità sociale e morale (De Bont, 2021).
Era certamente presente, nella riflessione del designer, la convinzione di dover andare molto al di là della semplice attenzione per l’oggetto specifico; si trattava, infatti, di porre a tema — in modo sistemico — la relazione stessa fra oggetti, persone, servizi e possibilità. Le idee progettuali, così come i problemi di volta in volta individuati, dovevano scaturire sempre, nella prospettiva di Papanek, dall’interazione con persone, con gruppi, con situazioni specifiche, con domande di ricerca emergenti dai contesti, dai tessuti vivi degli incontri. «Contro la razionalità astratta dello standard, Papanek rivendica l’intelligenza concreta della situazione; alla pianificazione scientifica ed estetica oppone una prospettiva ecologica e antropologica. Ma, soprattutto, all’imposizione di una forma (che, sottilmente, impone una morale) contrappone la libertà per l’utilizzatore di appropriarsi degli oggetti e, di conseguenza, di diventare esso stesso «l’artefice della progettazione», ribadendo che proprio su questa partecipazione si fonda la vera moralità» (Quinz, 2022, p. 403).
Un progetto innovativo: l’ambiente inclusivo di gioco «CP-1» (1968)8
È stato osservato che la «progettazione» di ambienti e oggetti destinati ai bambini ha promosso, nella storia del design contemporaneo, una sorta di elevazione morale e spirituale all’interno delle forti tensioni e contraddizioni del nostro tempo (Kinchin, 2012). Non a caso, forse, Victor Papanek si è interessato e accostato alle problematiche del design degli ambienti di gioco. La riflessione sulla possibilità di rendere accessibile il gioco — esperienza fondante per ogni bambino e per ogni bambina — ha condotto Papanek sulla soglia delle possibilità aperte dalla prospettiva della «progettazione universale».
Nell’estate del 1968, infatti, il ricercatore, insieme ad altri importanti designer e architetti (fra i quali Richard Buckminster Fuller, con il quale vi era un rapporto di collaborazione e di confronto da molti anni), partecipò ai Suomenlinna Design Seminars, nei pressi di Helsinki in Finlandia. Intercalati fra numerose discussioni critiche sui più recenti sviluppi del design, molti degli interventi proposti da Victor Papanek costituirono, poi, parti essenziali della sua opera Design for the Real World (Clarke, 2013):
Durante l’estate del 1968 un gruppo multidisciplinare di studenti finlandesi di design […] lavorò con me su un’isoletta e inventò, disegnò e costruì un ambiente ripiegabile e trasportabile per bambini colpiti da paralisi cerebrale. Questo ambiente comprendeva giocattoli, congegni per esercizi e molti altri pezzi. Ci incontrammo a Helsinki, dopo che otto studenti membri del gruppo avevano già giocato con i bambini e li avevano intervistati […] Avevano trovato che non era stato inventato quasi nulla di specifico per questi bambini e che alcuni dei giocattoli usati per addestrare (sic!) i bambini a particolari movimenti erano inumani e barbari. […] Si progettarono e fabbricarono diversi giocattoli […] Passammo ore a studiare in gruppo un cubo di 2 metri di lato […] Una volta montato, il cubo si apre e si trasforma in un ambiente di gioco alto 2 metri, con un’attrezzatura che copre un’area di 16 metri quadrati. È a colori vivaci e comprende scivoli, attrezzi per arrampicarsi, una superficie mobile e molti giocattoli individuali. È anche facile da costruire e costa poco (Papanek, 2022, pp. 334-338).
In particolare, a partire dalla bozza progettuale, possono essere individuati alcuni degli elementi caratteristici della struttura: uno scivolo mobile, saldato con una catena; un disco di legno fissato a una corda con funzione di altalena e un pavimento in gomma piuma, ricoperta di tessuto lucido e resistente (Kinchin, 2012). Molto interessante è la ricostruzione che della progettazione e della realizzazione ha proposto Alison Clarke:
Un ambiente per bambini con paralisi cerebrale infantile ha rappresentato la base del contributo di Papanek all’evento. Nove studenti di design dalla Finlandia, dalla Svezia e dall’Ungheria hanno condotto una ricerca di base relativa ai bisogni dei bambini con paralisi cerebrale infantile da una prospettiva interdisciplinare e hanno sviluppato una ricerca etnografica con interviste faccia a faccia fatte ai clinici, così come sessioni di gioco con bambini caratterizzati da questa condizione. Partendo dalla premessa che nessun singolo gioco era mai stato progettato in modo specifico per bambini con paralisi cerebrale infantile, il team, guidato da Victor Papanek, Zolton Popovic e Yrjö Sotamma, ha iniziato a progettare ambienti e oggetti che coniugassero divertimento e playfulness offrendo, nel contempo, percorsi terapeutici (Clarke, 2013, p. 162).
Proprio in uno dei Paesi con il sistema di welfare più avanzato, alla fine degli anni Sessanta, Papanek e il suo gruppo misero a tema la necessità di rendere inclusiva la «progettazione» degli ambienti di gioco. Il designer respinse una visione di «progettazione» a favore delle persone con disabilità costruita e sviluppata soltanto in termini riabilitativi; egli si spinse oltre, giungendo a integrare le pratiche terapeutiche con la prospettiva ludica, all’insegna della playfulness.
A partire dal confronto dialogico e progettuale attorno alla realizzazione di un ambiente di gioco inclusivo, il gruppo coordinato dal designer ha svolto «una ricerca empirica e intuitiva sui materiali», riscoprendo «il piacere del processo creativo» (Kinchin, 2012, p. 30) orientato a promuovere l’inclusione sociale e la partecipazione dei bambini con disabilità. Un altro elemento essenziale, che di certo esprime molto bene la volontà politica di innovazione propria di Victor Papanek, è la consapevolezza di esprimere, con il proprio lavoro, un elemento di novità all’interno delle questioni sociali avvertite come maggiormente problematiche dal punto di vista della «progettazione».
Proprio a partire dal legame inscindibile fra innovazione progettuale e responsabilità sociale è possibile osservare che «il suo supporto alla collaborazione multidisciplinare, al design democratico, al pensiero sistemico e la sua profonda comprensione (antropologica) della interazione fra persone e artefatti sono ancora attuali» (De Bont, 2021, p. 275). Assolutamente attuali e centrali nella costruzione condivisa, aperta da istanze progettuali innovative, di oggetti, ambienti e percorsi per favorire, nel modo più ampio possibile, l’inclusione sociale delle persone (bambini, ragazzi e adulti) con disabilità.
Progettare con un differente sguardo: Victor Papanek e la pedagogia speciale
Avere degli antenati permette di sentirsi parte di una dinamica evolutiva […]Antenati sempre incompleti (Canevaro, 2020, p. 44).
È stato saggiamente osservato che una via per accostare e comprendere la pedagogia speciale è quella finalizzata a individuarne dei possibili antenati (Canevaro, 2020). Ma si rischierebbe, certamente, di seguire criteri arbitrari se non ci fossero delle regole. «Prima regola: gli antenati sono da cercare in un’epoca diversa da quella in cui ci troviamo. Seconda regola: gli antenati della pedagogia speciale potrebbero avere agito sotto copertura, vivendo in un ruolo sociale o professionale ben diverso. Terza regola: gli antenati che individuiamo singolarmente costituiscono una costellazione dell’intera tribù della pedagogia speciale» (Canevaro, 2020, pp. 43-44).
Il confronto, aperto, evolutivo e sempre incompleto, con l’opera di Victor Papanek, almeno per quanto concerne la «progettazione» (di percorsi e di scambi inter e trans-disciplinari) e l’ideazione di contesti di vita, può, a nostro avviso, preservare la pedagogia speciale da illusorie e approssimative generalizzazioni (sempre in agguato!), riorientandola verso un approccio fortemente situato, caratterizzato dall’attenzione al singolo, al particolare, al minuto. Guardando al lavoro dell’autore di Design for the Real World è certamente possibile infondere un respiro nuovo al concetto di «progettazione», che, molto spesso, è limitato e confinato da logiche emergenziali o meramente utilitaristiche. La rotta tracciata da Papanek pare spingerci, al contrario, a superare una visione soltanto tecnico-strumentale delle prospettive progettuali e dei relativi strumenti e dispositivi.
Nell’ideazione delle proprie soluzioni progettuali, il designer austriaco si è sempre mosso a partire dall’incontro «in carne e ossa», dal dialogo interpersonale, dalla conoscenza in prima persona dei luoghi, dalla ricerca di soluzioni artigianali connesse indissolubilmente alla singola e specifica situazione. Sulla scorta delle intuizioni di Claude Lévi-Strauss, Emanuele Quinz, nella sua disamina puntuale del pensiero e dell’opera di Victor Papanek, ha rievocato la categoria di bricoleur, ovvero di colui che «non mira all’universale, ma opera in situazione, con ciò che è dato, e deve spesso accontentarsi di ciò che è disponibile» (Lévi-Strauss, 2015, p. 33). Un design, quello di Papanek, che, anche quando, ad esempio, analizza e affronta la complessità delle varie situazioni di disabilità, predilige «soluzioni artigianali […] tecnologie semplici o su piccola scala, tattiche adattive o nomadiche, il riciclaggio di materiali» (Quinz, 2022, p. 408). Negli scritti di questo grande precursore ed esponente del design sociale, rispetto alle persone con disabilità viene sempre riconosciuta l’esigenza di una peculiare attenzione sociale e progettuale. Una prospettiva ricchissima capace di scorgere nuovi orizzonti e di iniziare a delineare percorsi coraggiosi e inediti. Al punto che è possibile affermare, come ha osservato Elizabeth Guffey, che «il lavoro di Papanek […] ha definito alcuni dei precetti fondamentali del nascente movimento dell’Universal Design» (Guffey, 2015, p. 365).
A partire dal fitto intreccio di sentieri che fecondano la riflessione e animano la «progettazione» del ricercatore austriaco, è possibile delineare tre differenti livelli di lettura di un certo interesse, crediamo, per la pedagogia speciale:
- Livello epistemologico-culturale. La riflessione di Victor Papanek ci offre una rinnovata concezione di «progettazione», necessaria alla pedagogia speciale, come disciplina speculativa, ma anche come professionalità pratica. La prospettiva del ricercatore, infatti, permette un ampio recupero della dimensione sociale e si oppone a una visione limitata e utilitaristica del «progetto» e del «progettare». In questo, a nostro avviso, è possibile cogliere alcune notevoli consonanze con l’approccio generativo dell’innovazione sociale.
- Livello educativo. Il lavoro del designer austriaco apre, certamente, a un ripensamento della «progettazione» in relazione alla vita delle persone con disabilità, nel segno di una maggiore «situazionalità», di una più marcata valorizzazione del contesto e di un approccio integrato-sistemico e collaborativo capace di coinvolgere le stesse persone con disabilità e i diversi attori coinvolti. Al tempo stesso, viene sottolineato il valore della «progettazione» come processualità aperta, sempre capace di rinnovarsi sulla base di quanto emerge dalla e nella esperienza educativa.
- Livello metodologico. È un movimento, quello prodotto dalle idee di Victor Papanek, che interroga discipline e ambiti diversi e innesca un cambio di paradigma teorico e metodologico producendo idee, modelli e metodi nuovi. Risulta così possibile disegnare e realizzare contesti concreti e immateriali innovativi, aperti alle differenze e flessibili al punto da accogliere anche esigenze speciali o inusuali, favorendo di fatto la partecipazione delle persone con disabilità e rispondendo alla loro tensione verso il pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali (ONU, 2006).
Implicando, di fatto, una concezione di design radicalmente innovativa — dove l’innovazione non può e non deve essere riconosciuta nella possibile anticipazione di futuro, ma piuttosto nel percorso, quotidiano e «accidentato», per raggiungere un futuro immaginato (Corà, 2023) —, il riferimento a Victor Papanek può certamente arricchire la riflessione teorica e le progettualità pratiche di questo sapere speciale sull’educazione. Nelle parole e nei progetti del designer austriaco scorgiamo idee vive e originali di «progettazione», nelle quali il concetto di accessibilità è sempre presente come idea intrinseca: egli, in definitiva, ci pone di fronte a una sfida aperta che offre i suoi frutti più preziosi, non nella delineazione e diffusione di conoscenze procedurali perimetrate, ma nella costruzione condivisa di domande di senso. Lasciamoci interrogare.
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Papanek V. (1983), Design for Human Scale, New York, Van Nostrand.
Papanek V. (2022), Design per il mondo reale, trad. it. a cura di Guido Morbelli, Macerata, Quodlibet (ed. orig. 1971).
Perrin B. (1999), The original «Scandinavian» Normalization principle and its continuing relevance for the 1990s. In R.J. Flynn e R. Lemay (a cura di), A Quarter-Century of Normalization and Social Role Valorization. Evolution and Impact, Ottawa, Les Presses de l’Université d’Ottawa, pp. 181-196.
Quinz E. (2022), Postfazione. Design nella crisi, design della crisi. Rileggere Design for the Real World. In V. Papanek, Design per il mondo reale, Macerata, Quodlibet, pp. 393-411 (ed. orig. 1971).
Tøssebro J., Bonfils I., Teittinen A., Tideman M., Traustadóttir R. e Vesala H. (2012), Normalization Fifty Years Beyond-Current Trends in the Nordic Countries, «Journal of Policy and Practice in Intellectual Disabilities», vol. 9, n. 2, pp. 134-146.
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1 Gli autori hanno condiviso le idee generali e la struttura complessiva del contributo. Nello specifico, Federico Chiappetta ha scritto i paragrafi Victor Papanek. L’itinerario inedito di un designer sociale, Design for the Real World: prospettive progettuali «rivoluzionarie» e Un progetto innovativo: l’ambiente inclusivo di gioco «CP-1» (1968), mentre Mabel Giraldo ha curato la stesura del paragrafo Progettare con un differente sguardo: Victor Papanek e la pedagogia speciale.
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2 Dottorando in Scienze della Persona e Nuovo Welfare, Università degli studi di Bergamo.
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3 Ricercatrice in Didattica e Pedagogia Speciale, Università degli studi di Bergamo.
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4 The authors share the general ideas and overall structure of the paper. Specifically, Federico Chiappetta wrote the paragraphs Victor Papanek. The novel itinerary of a social designer, Design for the Real World: «revolutionary» design perspectives, and An innovative project: the inclusive environment of play «CP-1» (1968), whilst Mabel Giraldo drafted the paragraph Designing with a different perspective: Victor Papanek and special pedagogy.
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5 PhD student in Human Sciences and Welfare Innovation, University of Bergamo.
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6 Research fellow in Didactics and Special Pedagogy, University of Bergamo.
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7 «Il principio di Normalizzazione si sviluppò nella penisola Scandinava alla fine degli anni Sessanta. […] Da allora esso ha avuto un profondo effetto in tutto il mondo. In modo significativo ha fatto progredire le opportunità di ogni persona, incluse le persone con disabilità intellettiva o con altre forme di disabilità, nel poter vivere nella comunità al pari di tutti gli altri. Esso ha anche avuto il ruolo di riorientare le politiche sociali e la natura dell’offerta di servizi al fine di rendere possibile una vita «normale»» (Perrin, 1999, p. 181).
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8 Sul progetto è possibile consultare materiali e visionare immagini ai seguenti link: https://papanek.org/archivelibrary/victor-papanek/ ; https://www.rca.ac.uk/students/kaisu-savola/ (consultato il 4 luglio 2024).
Vol. 23, Issue 3, September 2024