Vol. 23, n. 3, settembre 2024

RICERCHE, PROPOSTE E METODI

«E voi cosa ne pensate?»

La percezione di benessere e di sviluppo socio-emotivo degli studenti durante l’apprendimento cooperativo

Benedetta Zagni,1Annalisa Pasini,2Valentina Grosselli,3Aurora Miorandi,3Sara Verardo,3Mark Van Ryzin4 e Dario Ianes5

Sommario

L’apprendimento cooperativo — inteso come pattern di interazione cooperativa strutturata — è riconosciuto a livello internazionale per i suoi benefici sull’apprendimento, la motivazione, il benessere psicologico e le competenze sociali ed emotive. Poco esplorate rimangono, invece, la percezione e la voce degli studenti in riferimento ai benefici dell’apprendimento cooperativo.

Questo studio, condotto su 100 studentesse e studenti (quarta-quinta primaria), mira a esplorare qualitativamente la percezione del grado di benessere degli studenti durante il lavoro in piccoli gruppi strutturati in apprendimento cooperativo (secondo i cinque principi di Johnson e Johnson) e a indagare quali competenze socio-emotive di autoregolazione e coregolazione sentono di avere sviluppato in questo contesto.

L’analisi ha rilevato che la maggior parte degli studenti percepisce un alto livello di benessere durante le attività di apprendimento cooperativo, con emozioni predominanti di tranquillità, felicità e sicurezza. Tuttavia, sono emerse anche difficoltà legate alle dinamiche di gruppo e alla pressione dei pari. Gli studenti hanno riportato di sentirsi migliorati nelle competenze di ascolto, nell’espressione delle emozioni, nell’empatia, nell’accoglienza degli altri, nel rispetto dei turni di parola e nella capacità di risolvere conflitti.

La metodologia dell’apprendimento cooperativo si rivela efficace non solo per migliorare il successo accademico, ma anche per promuovere un ambiente inclusivo e collaborativo, essenziale per il benessere e lo sviluppo globale degli studenti.

Parole chiave

Apprendimento cooperativo, Student voice, Competenze sociali, Competenze emotive.

RESEARCH, PROPOSALS AND METHODS

«And What Do You Think?»

The Perception of Well-Being and Socio-Emotional Development of Students During Cooperative Learning

Benedetta Zagni,6Annalisa Pasini,7Valentina Grosselli,8Aurora Miorandi,3Sara Verardo,3Mark Van Ryzin,9 and Dario Ianes10

Abstract

Cooperative Learning — understood as a pattern of structured cooperative interaction — is internationally recognized for its benefits on learning, motivation, psychological well-being, and social-emotional skills. However, the perception and voice of students regarding the benefits of cooperative learning remain underexplored.

This study, conducted on 100 students (4th-5th grade), aims to qualitatively explore students’ perceived well-being during structured small group work in cooperative learning (according to Johnson and Johnson’s five principles) and investigate the social-emotional self-regulation and co-regulation skills they feel they have developed in this context.

The analysis revealed that most students perceive a high level of well-being during cooperative learning activities, with predominant emotions of tranquillity, happiness, and security. However, difficulties related to group dynamics and peer pressure also emerged. Students reported improved listening skills, emotional expression, empathy, acceptance of others, turn-taking, and conflict-resolution abilities.

The cooperative learning methodology proves effective in enhancing academic success and promoting an inclusive and collaborative environment, which is essential for students’ well-being and holistic development.

Keywords

Cooperative learning, Student voice, Social skills, Emotional skills.

Introduzione

Le esperienze cooperative non sono un lusso. Sono una necessità assoluta per lo sviluppo della salute psicologica e sociale degli individui (Johnson e Johnson, 1999, p. 34).

Nella formulazione dei suoi padri fondatori, David W. Johnson e Roger T. Johnson, l’Apprendimento Cooperativo (AC) è definito come un’attività che «coinvolge gli studenti nel lavorare insieme in piccoli gruppi per raggiungere obiettivi condivisi ed è questo senso di interdipendenza che motiva i membri del gruppo ad aiutarsi e sostenersi a vicenda»(Johnson e Johnson, 2003, p. 136). Si tratta di una pratica pedagogica ampiamente riconosciuta a livello internazionale e validata da numerose ricerche scientifiche (Gillies, 2003), che può essere utilizzata dalla scuola dell’infanzia fino all’università in diverse discipline (Cohen, 1994) al fine di promuovere sia la socializzazione sia l’apprendimento degli studenti. La letteratura ha evidenziato come solamente in un pattern di interazione cooperativo, a differenza di quello competitivo e individualistico, si rilevino effetti positivi sulle interazioni tra pari, sulla motivazione e il coinvolgimento nell’apprendimento, oltre che sul benessere psicologico (Johnson e Johnson, 1983). Più precisamente, decenni di ricerche (Hattie, 2008; Mitchell e Sutherland, 2022; Johnson, Johnson e Smith, 1998) hanno rilevato come l’apprendimento cooperativo produca molteplici effetti positivi. In primo luogo, in termini di apprendimento su più discipline e competenze (Slavin, 2013; Stevens, 2003; Gillies, 2007, 2014; Johnson e Johnson, 2009) promuovendo, in generale, un maggiore successo accademico (per vari livelli di abilità degli studenti e per tutti i gradi scolastici) (Stevens e Slavin, 1995; Shachar, 2003). In secondo luogo, i benefici sono emersi anche in riferimento al benessere psicologico, ad esempio, su variabili come l’autostima, la percezione di sé (Johnson, Johnson e Smith, 1998), la riduzione dell’ansia e l’aumento della soddisfazione per il lavoro svolto (sense of achievement; Zhou e Colomer, 2024, p. 567).

Non solo, l’apprendimento cooperativo è stato associato anche a una maggiore motivazione intrinseca e senso di autoefficacia, a un miglioramento delle capacità sociali ed emotive (Allen, 1976) (ad esempio, capacità di assumere il punto di vista altrui; Johnson e Johnson, 2009), a una maggiore maturità emozionale, a comportamenti prosociali, a maggiori comportamenti inclusivi nei confronti delle differenze (Van Ryzin, Roseth e Biglan, 2020), a maggiori emozioni a valenza positiva (Gartner, Kholer e Riesman, 1971). Viceversa, in un clima individualistico il singolo studente tende a perseguire un obiettivo individuale senza coinvolgersi nel confronto con i pari e dunque senza innescare conflittualità, ma nemmeno dinamiche di supporto e aiuto. All’interno di un clima competitivo, invece, l’obiettivo dello studente è ancora quello di raggiungere un successo individuale, ma con grande attenzione al confronto con i pari: vuole essere il migliore e dunque può vivere il successo altrui come un rischio.

La letteratura ha altrettanto dimostrato, però, che gli effetti positivi dell’apprendimento cooperativo sono rilevabili solo nella misura in cui le attività vengono condotte (i materiali, i ruoli, ecc.) rispettando i cinque principi cardine della metodologia (interdipendenza positiva, promozione dell’interazione, responsabilità individuale, allenamento delle abilità sociali, riflessione metacognitiva di gruppo) (Johnson, Johnson e Holubec, 2015; La Prova, 2017; Johnson e Johnson, 1989).

La forza di questa metodologia è infatti quella di integrare contemporaneamente lo sviluppo di competenze cognitive e di apprendimento, insieme a quelle sociali ed emotive, senza dover ricorrere a programmi specifici o curricula socioemotivi «in aggiunta» alla didattica. Le competenze socio-emotive sono un insieme di abilità che permettono di riconoscere, comprendere, regolare ed esprimere le proprie emozioni (e quelle altrui), e di agire in modo socialmente efficace e responsabile (Jennings e Greenberg, 2009). Le competenze che siamo in grado di impiegare senza il supporto degli altri e che quindi riguardano noi stessi rientrano nel termine di autoregolazione: esse comprendono una serie di funzioni psicologiche come la motivazione, la percezione, la volontà e il comportamento diretto a uno scopo(Campos, Frankel e Camras, 2004; Thompson e Meyer, 2007; Silkenbeumer et al., 2016); quelle che invece mettiamo in campo negli scambi interpersonali e che sono volte ad aiutare gli altri nella regolazione di stati emotivi, comportamentali e cognitivi, rientrano nella coregolazione (Hadwin, Järvelä e Miller, 2017). Ad esempio, alcuni studi evidenziano che gli studenti che lavorano in gruppo secondo la metodologia dell’AC sono più disponibili ad aiutare verbalmente i compagni e si aiutano reciprocamente (Gillies, 2003), utilizzano un linguaggio più inclusivo (ad esempio, uso del «noi») (Gillies e Ashman, 1996). Inoltre, l’AC produce un aumento dell’empatia in entrambe le sue componenti affettiva e cognitiva (Van Ryzin e Roseth, 2019; Muños-Martínez, Monge-López e Torrego Seijo, 2020).

Grazie allo sviluppo di queste competenze sociali ed emotive, in letteratura emerge come l’apprendimento cooperativo sia così un importante fattore preventivo non solo del bullismo e di processi di vittimizzazione (Van Ryzin e Roseth, 2018), ma anche di comportamenti a rischio come l’uso di alcol e di sostanze negli adolescenti (Van Ryzin e Roseth, 2018, 2019). Inoltre, favorisce lo sviluppo di comportamenti sociali positivi in classe anche nei ragazzi che presentano disturbi del comportamento o scarsa regolazione emotiva (Johnson e Johnson, 2000), che sono considerati meno popolari e/o che hanno bisogni educativi speciali(Perlado Lamo de Espinosa, Muños-Martínez e Torrego Seijo, 2021), beneficiandone in termini di autostima (Gillies, 2007; Shah, Nazir e Fazal, 2024) e di successo scolastico grazie a un’attenzione positiva da parte dei compagni e a un incoraggiamento a impegnarsi nel lavoro scolastico. Tuttavia, l’apprendimento cooperativo è benefico anche per gli studenti più brillanti(Gillies, 2007; Shah, Nazir e Fazal, 2024) poiché l’esperienza di gruppo permette loro di raggiungere un livello più elevato di comprensione metacognitiva, di consolidare i concetti e affinare il linguaggio spiegando i contenuti ai compagni.

Risulta evidente, oltre che supportato da evidenza scientifica, il ruolo centrale dell’insegnante(Gillies, 2007; Shah, Nazir e Fazal, 2024) nell’assicurare l’efficacia dell’apprendimento cooperativo. Questo si realizza nella strutturazione della lezione secondo i 5 principi evidenziati in precedenza e nell’adozione di uno stile assertivo-metacognitivo(Andrich e Miato, 2003), che permette e favorisce interazioni positive con gli studenti e tra pari. Inoltre, l’insegnante ha un ruolo chiave nel compito di strutturare i gruppi(Gillies, 2007) e di curare aspetti quali:

  1. il tipo di compito assegnato — deve essere aperto e richiedere non l’applicazione di una procedura ma di un processo di ragionamento;
  2. la numerosità — le ricerche dimostrano che la dimensione ottimale di un gruppo è tra i due e i quattro membri;
  3. il livello di apprendimento dei membri — mescolando studenti con diverse capacità di apprendimento oppure studenti di pari livello, giocando sulla conoscenza pregressa per evitare abbinamenti poco utili.

Obiettivo dello studio

Come emerge dal precedente paragrafo, sono ormai numerosi in letteratura gli studi che dimostrano gli esiti positivi dell’utilizzo dell’apprendimento cooperativo secondo i suoi cinque principi. A fronte di ciò, però, rimane ancora poco esplorata la percezione da parte degli studenti rispetto a come si sentono durante le lezioni condotte secondo questa metodologia. Fondamentalmente, gli esiti (quantitativi) positivi sono chiari, ma la student voice non è considerata con la stessa importanza. In letteratura troviamo solo pochi studi che si sono concentrati sulla percezione degli studenti sia di scuola primaria che secondaria, limitatamente a un programma di apprendimento cooperativo che coinvolgeva l’educazione fisica. Tra le tematiche riportate dagli studenti si evidenziano quelle relative al sentirsi maggiormente coinvolti e uniti, al divertimento ma anche alle difficoltà e fatiche (Silva, Farias e Mesquita, 2021; Dyson, Howley e Shen, 2021).

Per questo il presente studio si pone l’obiettivo di analizzare qualitativamente la percezione del grado di benessere degli studenti durante il lavoro in piccoli gruppi strutturati. Parallelamente, considerati gli effetti positivi sulle competenze sociali ed emotive, lo studio vuole indagare — sempre in un’ottica qualitativa — quali competenze gli alunni sentono di avere messo in campo in termini di autoregolazione (cosa ho fatto per stare bene nel gruppo) e di coregolazione (cosa ho fatto per far stare bene gli altri e cosa gli altri hanno fatto per far star bene me).

In sintesi, tre sono le domande di ricerca che hanno guidato questo studio:

  1. Come stanno gli studenti durante le lezioni in apprendimento cooperativo?
  2. Cosa fanno gli studenti per stare bene nel gruppo (competenze socio-emotive di autoregolazione)?
  3. Cosa fanno gli studenti per far stare bene gli altri nel gruppo e cosa percepiscono che fanno gli altri per farli stare bene (competenze socio-emotive di coregolazione)?

Il programma PeerLearning.net©

Considerati i numerosi esiti positivi associati all’uso dell’apprendimento cooperativo, in un’ottica di evidence-aware education(Vivanet e Hattie, 2016; Dell’Anna, Bellacicco e Ianes, 2023), ovverosia scegliere consapevolmente metodologie didattiche per i loro effetti dimostrati dalla ricerca e dell’evidenza sul campo, come mai rimane una metodologia poco utilizzata o comunque in misura inferiore rispetto a quella frontale nella scuola italiana (e non solo)?

Sicuramente una spiegazione riguarda la mole di lavoro che richiede a un docente in termini di preparazione, programmazione, organizzazione e gestione ex-ante, in itinere e ex-post. Spesso gli insegnanti considerano il lavoro di gruppo come faticoso e non sempre rilevano gli effetti desiderati perché non strutturano l’interazione positiva, i ruoli e i materiali secondo i cinque principi dei padri fondatori Johnson e Johnson, lasciando spazio alle dinamiche interpersonali della classe e alle personalità degli alunni (ad esempio, il più timido non partecipa, il brillante prevarica, ecc.).

Per superare queste difficoltà e portare l’apprendimento cooperativo nella scuola, in modo sistematico e basato sulle evidenze, mantenendo un’interfaccia e un utilizzo semplici, è stata creata una WebApp da parte dell’Oregon Research Institute e dalla University of Oregon (responsabile del progetto Mark Van Ryzin, PhD). Questo software permette, in modo semplice e intuitivo, di costruire e condurre lezioni in apprendimento cooperativo — supportati dalla tecnologia —, integrando lo sviluppo di abilità socio-emotive secondo l’approccio del Positive Behavior Support (Carr et al., 2002) (supporto/rinforzo dei comportamenti positivi). Questo permette al docente di sgravarsi del lavoro faticoso di progettazione secondo i principi — integrati nella struttura della WebApp — e della gestione dei tempi, ruoli, istruzioni, ecc., durante la lezione, lasciandogli più spazio per l’affiancamento dei gruppi e per l’attenzione agli aspetti sociali ed emotivi.

PeerLearning.net© è stata ampiamente sperimentata negli Stati Uniti, soprattutto sugli adolescenti, e ha mostrato — come riportato sopra — ottimi risultati in termini di coinvolgimento, motivazione, miglioramento delle relazioni tra pari, riduzione di episodi di bullismo e vittimizzazione (si vedano i riferimenti bibliografici precedenti). Da qui nasce l’idea di una sperimentazione italiana, quindi in un contesto diverso da quello statunitense, e su un campione di studenti più giovani, ovvero della scuola primaria e secondaria di primo grado.

La sperimentazione italiana del Programma Peer Learning.net©

La sperimentazione italiana (approvata dal Comitato Etico dell’Università di Padova) è stata proposta nell’anno scolastico 2023/2024 nelle ore di italiano, focalizzandosi in particolare sull’acquisizione in parallelo di un’abilità (fine-grained competence) di comprensione del testo e di un’abilità sociale. È stata effettuata in 18 classi di tre plessi di un Istituto Comprensivo della città di Trento (8 quarte, 8 quinte e 2 prime classi della scuola secondaria di primo grado; per una descrizione del campione complessivo si veda la tabella 1). Alle classi coinvolte ne sono state affiancate 18 di controllo, non sottoposte al programma (sempre della Provincia Autonoma di Trento), per le quali è stata prevista solamente la rilevazione dei dati a inizio e a fine anno, senza svolgere nient’altro in riferimento all’apprendimento cooperativo e/o alle abilità socio-emotive. Per partecipare alla ricerca è stato richiesto il consenso informato firmato da parte dei genitori, mentre la partecipazione al programma (nel gruppo sperimentale) era obbligatoria per tutti in quanto parte della consueta attività didattica.

Tabella 1

Statistiche descrittive del campione dello studio principale

Tempo 1

Tempo 2

Età media (DS)

Gruppo sperimentale (18 classi)

341 (180 maschi)

320 (170 maschi)

9.48 (0.78)

Gruppo di controllo (18 classi)

268 (119 maschi)

258 (120 maschi)

9.62 (0.82)

Il progetto ha preso avvio con una rilevazione di baseline relativa agli ambiti di interesse della ricerca. Per tutte le variabili misurate sono stati utilizzati diversi questionari ampiamente validati in letteratura e proposti compiti comportamentali riconosciuti per la loro efficacia. Infine, nella penultima lezione del progetto, su un sottocampione di 6 classi a adesione volontaria da parte delle insegnanti è stata realizzata una raccolta dati qualitativa, nonché oggetto del presente studio. Alla fine dell’anno è stata effettuata, poi, la rilevazione finale della baseline.

Nello specifico, il progetto ha previsto inizialmente un breve percorso sulla regolazione emotiva e la prosocialità,11 per poi proseguire con il lavoro di apprendimento cooperativo. Le lezioni in apprendimento cooperativo si sono sviluppate tramite la WebApp PeerLearning.net©. Il percorso era strutturato in 4 moduli da 4 lezioni di un’ora ciascuno alla presenza dell’insegnante di italiano (in job shadowing con una figura esperta). I moduli sono stati costruiti in modo da permettere agli studenti di lavorare in gruppo su aspetti specifici della comprensione del testo (De Beni et al., 2003), con un livello di complessità crescente e tramite diverse modalità di lavoro cooperativo: indagine di gruppo, progetto di gruppo, jigsaw (a loro volta di crescente complessità di strutturazione). A ciascun modulo è stata abbinata un’abilità sociale specifica (saper ascoltare, saper rispettare i turni, saper chiedere aiuto, saper risolvere i conflitti), che è stata spiegata all’inizio del modulo e poi richiamata sia nell’app sia nelle spiegazioni verbali.

Il percorso prevedeva una modalità di verifica dell’utilizzo dell’abilità sociale nei lavori di gruppo. Dopo una prima fase di consegna, in cui oltre alla spiegazione del compito l’esperto spiegava l’abilità sociale — richiamandone il significato, ricollocandola entro il percorso di sviluppo, sottolineandone un’altra sfumatura, facendo degli esempi —, la WebApp chiedeva di fissare un punteggio da raggiungere al termine della lezione (qui si evidenzia l’approccio del Positive Behavior Support). Era poi compito dell’insegnante e dell’esperto assegnare i punti ai gruppi e dare feedback sia durante i lavori di gruppo sia in plenaria rispetto al punteggio ottenuto dalla classe.

Da ultimo, la lezione si concludeva con un piccolo questionario di autovalutazione, previsto nella app, in cui ciascun alunno attribuiva alla lezione un punteggio su una scala da 1 a 10 su 4 aspetti: coinvolgimento, apprendimento, collaborazione, piacere. Doveva poi confrontarsi con i compagni del gruppo per comprendere le differenze nei punteggi assegnati. Il confronto non era condiviso in plenaria, ma era un’occasione di metariflessione condivisa sull’andamento del gruppo, sulla possibilità di apprendimento e sul gradimento.

Partecipanti

Come anticipato, per il presente studio sono state considerate 6 classi a adesione volontaria e dunque il sotto-campione è composto complessivamente da 100 studenti. Nello specifico, il gruppo era composto da allievi appartenenti a tre differenti plessi scolastici, piuttosto equidistribuiti. Per il 52% si trattava di maschi e per il 48% di femmine. L’età media dei partecipanti era di 9,4 anni, con una deviazione standard di 0,67. Rispetto alla classe frequentata, 33 studenti frequentavano la quarta primaria, e gli altri 67 frequentavano la quinta primaria.

Procedura

Come riportato poc’anzi, il presente studio si pone l’obiettivo di raccogliere la voce dei bambini ed esplorare la loro percezione individuale riguardo al percorso e al miglioramento percepito in termini sia di apprendimento sia di consapevolezza emotiva e relazionale.

La rilevazione (in forma cartacea) è avvenuta durante l’orario scolastico, al termine della penultima lezione in apprendimento cooperativo. La figura esperta, dopo avere spiegato attentamente ai bambini le domande, assicurandosi che avessero capito, gli ha permesso di rispondere in autonomia nel rispetto dei loro tempi. Le risposte erano del tutto anonime perché a ogni bambino veniva associato un codice segreto numerico.

L’indagine qualitativa è stata scelta come framework di riferimento perché mira a entrare più in profondità nel tema oggetto di studio, con l’intento non di spiegare ma di comprendere, non di indagare nessi causali ma di accedere alla prospettiva dei bambini coinvolti nell’esperienza cooperativa. Seguendo Corbetta, «l’obiettivo non è quello di cogliere le relazioni fra le variabili ma di capire le manifestazioni nella loro individualità: alla categoria del nesso causale si è sostituita quella dell’esperienza vissuta» (Corbetta, 2003, p. 77).

Con questo obiettivo, è stata elaborata ad hoc un’intervista strutturata tramite questionario (si veda l’Appendice) come stimolo uguale per tutti: le domande, in parte chiuse e in parte aperte, erano proposte nella stessa formulazione e nella stessa sequenza, per poter raccogliere i dati entro una cornice comune, ma senza perdere l’analisi in profondità.

Le domande vertevano su:

  1. autopercezione del proprio benessere — come il bambino si sente nel gruppo, nomina delle emozioni provate e motivi;
  2. capacità di riflessione metacognitiva (group processing) sul proprio modo di stare nel gruppo — comunicare il proprio stato emotivo con i compagni e motivi;
  3. abilità socio-emotive sia su se stessi (autoregolazione) che nei confronti degli altri (coregolazione) — azioni per stare bene nel gruppo, far stare bene gli altri nel gruppo, e azioni che il bambino pensa che gli altri abbiano fatto per farlo stare bene;
  4. capacità di autoriflessione sull’intero percorso e miglioramenti percepiti.

Per il presente studio, sono stati analizzati gli aspetti di autopercezione del proprio benessere (1), di autoregolazione e di coregolazione (3).

Come metodo di analisi dei dati raccolti si è scelto di utilizzare, nel framework qualitativo, un’analisi tematica (Clarke e Braun, 2015; Carrera-Fernàndez, Guàrdia-Olmos e Però-Cebollero, 2012). Si tratta di un metodo per identificare, analizzare e interpretare pattern di significato (temi appunto) nei e tra i dati, in riferimento all’esperienza vissuta, alle prospettive e alle convinzioni dei partecipanti, oltre che ai comportamenti e alle pratiche (Braun e Clarke, 2006). La salienza dei temi non dipende solo dalla frequenza nei dati ma anche dalla possibilità di cogliere gli aspetti chiave relativi ai quesiti di ricerca.12

Il processo è stato svolto manualmente: inizialmente si sono generati i codici — unità di analisi che colgono una specifica caratteristica, coerente con le domande di ricerca — , poi essi sono stati aggregati in temi per creare una mappa concettuale in grado di dare ordine e senso al percorso di lettura e di rielaborazione dei materiali raccolti.

L’esito della ricerca, che per la sua natura qualitativa presenta il limite di non essere generalizzabile ed esportabile, offre però una thick description in cui si è potuto mettere in luce, attraverso le parole e le espressioni dei bambini, gli aspetti che li hanno più sollecitati, gli elementi su cui sentono di essere cresciuti e, infine, i significati che sono stati in grado di elaborare nell’esperienza vissuta.

Risultati

Il panorama offerto dalle risposte dei bambini è davvero molto ricco e prezioso: si entra nel loro mondo interiore, in emozioni e stati d’animo, si attraversano le loro relazioni fra pari, toccando anche punti di fatica e di criticità, ci si addentra nel loro modo di pensare e di riflettere sulle loro esperienze. Per questa ragione l’analisi tematica che viene riportata in questo articolo non ha nessuna pretesa di racchiudere o limitare i significati e le infinite sfumature che i bambini intendevano dare a ciò che hanno scritto sul questionario. I risultati cercano di mettere in luce, attraverso le loro parole, le risposte ai quesiti di ricerca, attorno ai quali infatti sono raccolti i temi emersi dall’analisi.

Autopercezione del proprio benessere

Diverse sfumature emozionali

Un primo elemento che si osserva nell’analisi dei questionari è l’utilizzo, da parte dei bambini, di un vocabolario emozionale piuttosto ricco di sfumature. I bambini mostrano in generale una buona capacità di esplorare le proprie emozioni, di nominarle e anche di manifestare una coesistenza di emozioni diverse, così come di essere consapevoli dei propri tratti di personalità (ad esempio, la timidezza) che influenzano le relazioni con i pari. Si sono anche dimostrati per lo più capaci di renderle in modo profondo e accurato.

Tra le risposte positive rispetto a come si sentono nel lavoro cooperativo, in cui prevalgono «tranquillo» e «felice» (il che peraltro non è da sottovalutare in termini di benessere rispetto all’esperienza scolastica), si ritrovano anche «sicuro, emozionato, calmo, attivo, concentrato, curioso, unito, gioioso, sereno, meravigliato». Tra le negative appaiono «annoiato, irritato, indeciso, agitato, agitato, impaziente, dubbio, stanco, escluso, a volte solo», segno che non è scontato sentirsi a proprio agio e sereni per il solo fatto di lavorare in gruppo, ma c’è bisogno di presidiare il metodo e le interazioni; una risposta mostra una interessante capacità di autolettura: «sciocca (quando ho il ruolo di registratore delle risposte scrivo anche delle sciocchezze)». La più nominata risulta comunque «infastidito», come era suggerito dal questionario, che prevalentemente viene aggiunto all’emozione positiva, come contraltare quando il lavoro è svolto con compagni che non lavorano, ad esempio «un po’ felice un po’ infastidita se perdono tempo giocando». Quest’ultimo aspetto indica come i bambini abbiano mostrato di saper individuare molto bene l’origine del loro stato d’animo.

Piacevolezza e divertimento

In generale, il lavoro cooperativo produce emozioni positive «perché è bello collaborare con i miei compagni e imparare un’attività diversa e nuova», implica «stare con gli amici e non» e sperimentare un’esperienza scolastica piacevole in cui «mi sento tranquilla, calma e di essere sincera perché i miei compagni mi trattano bene e quando parlo mi ascoltano», o ancora «nei miei gruppi non ho trovato compagni che si sentivano male».

Una sfaccettatura più specifica, connessa alla piacevolezza del lavoro, è il divertimento che viene indicato in diverse risposte dei bambini rispetto al lavoro in gruppo: «scherziamo, ridiamo», «i compagni mi fanno divertire e mi fanno felice».

Talvolta, il benessere percepito viene attribuito non soltanto al lavoro di gruppo ma più in generale al clima di classe: «in questa classe mi sento bene perché sono tutti molto rispettosi e gentili» e viene utilizzato «unito» per tradurre il proprio stato d’animo. Su questo senso di essere uniti, c’è chi afferma che grazie al lavoro di gruppo sente di «aver rafforzato con del cemento i miei legami con i compagni» e chi specifica che avrà nostalgia di questi momenti scrivendo che «mi mancherà lavorare a gruppi».

Fatica

Gli aspetti positivi del lavoro cooperativo non nascondono, tuttavia, anche alcuni elementi di fatica legati alle dinamiche che si sviluppano nel portare avanti il lavoro in gruppo: «Mi sento felice perché ho fatto un buon lavoro. Mi sento annoiata e stanca quando non vado d’accordo con il gruppo con cui lavoro e pure quando il compito è difficile», oppure «[mi sento] bene "quasi" sempre perché certe volte mi ritrovo a lavorare con compagni con cui non sono molto a mio agio, e certe volte neanche lavorano».

Queste risposte celano entrambi gli elementi che vengono vissuti come faticosi rispetto al lavoro cooperativo e che vengono colti in modo differente da diversi bambini. Con un accento sulla performance, i compagni più distratti o che non lavorano bene creano difficoltà o frustrazioni, specie per i bambini più interessati al risultato. Alcuni riportano che farebbero meglio da soli, altri si lamentano di dover lavorare con compagni meno interessati o che disturbano perché a loro sembra di doversi assumere un carico di lavoro maggiore rispetto agli altri: «[mi sento] arrabbiata perché dei compagni non facevano nulla e io alla fine facevo il lavoro pesante», «se fossi solo sarei più veloce a fare le cose». Questo viene confermato da altri che scrivono che «alcuni vogliono fare il lavoro da soli». È curioso notare come il bambino che ha scritto che avrebbe fatto più velocemente il lavoro da solo sia lo stesso che si dice «migliorato a controllare le emozioni». Ciò risulta in linea con quanto la letteratura sopra citata segnala rispetto al beneficio del lavorare in gruppo per lo sviluppo delle proprie competenze sociali ed emotive.

Inclusione e valorizzazione delle differenze

La performance però non è l’elemento maggiormente menzionato. Per i bambini conta molto di più la fatica di esporsi nelle relazioni con i compagni rispetto al desiderio di ottenere risultati, a volte ostacolati da compagni percepiti «meno performanti». Pertanto, emerge da parte loro una maggiore importanza al tema relazionale di accettazione, paura del giudizio e autostima, che è sicuramente in linea con la fase evolutiva (classi quarta e quinta primaria) in cui il progetto di apprendimento cooperativo si è collocato. «Mi vergogno» o «ero imbarazzato» o «ho paura che mi giudichino per quello che sono» sono risposte ricorrenti, accanto ad altre più specifiche, ad esempio: «non sempre mi sento coinvolta nel gruppo e quindi ho scritto "esclusa". Per il resto bene, a parte quando sono agitata perché ho paura con chi devo stare perché di solito sto sempre con le stesse persone e un po’ così», «un po’ arrabbiato e infastidito perché qualche volta non mi lasciavano esprimermi».

Il lavoro di gruppo è comunque riconosciuto dalla gran parte dei bambini come una grande opportunità di inclusione, collaborazione ma anche di benessere percepito: «Ho imparato che è importante lavorare anche con altri bambini, anche con quelli più birichini e non sempre con le stesse persone», «allora io mi sento migliorata anche con i compagni che non andavo d’accordo, ma è grazie ai lavori di gruppo che ora ci parlo e mi sento più felice con me stessa».

Abilità socio-emotive di autoregolazione

Abilità sociali

Ascolto, rispetto dei turni di parola e capacità di chiedere aiuto nel lavoro di gruppo, che erano le abilità sociali previste dalla WebApp insieme alla gestione dei conflitti, sono state menzionate dai bambini in maniera trasversale in tutte le classi, con una frequenza notevole dell’ascolto. Può darsi che in parte ciò si spieghi con il rinforzo dato costantemente su questo aspetto durante il percorso; è vero però che l’ascolto è stato ripreso da molti bambini nelle risposte relative ai propri miglioramenti percepiti, e dunque sembra essere stato realmente interiorizzato grazie al costante allenamento, il che si può considerare un esito particolarmente significativo (Dyson, Howley e Shen, 2021).

Oltre alle abilità sociali già previste nel programma cooperativo, i bambini hanno molto arricchito l’orizzonte, includendo altre sfaccettature, tra le quali la più di frequente è «parlare», «dire la propria opinione», un elemento che peraltro indica la stessa letteratura sull’apprendimento cooperativo (Johnson e Johnson, 1990). Sono state aggiunte però anche altre azioni, come collaborare, coinvolgere, impegnarsi, concentrarsi, ignorare ciò che non va e fare sforzi per far andare tutti d’accordo. Vengono menzionate anche capacità che appartengono specificamente agli atteggiamenti relazionali del singolo bambino, ad esempio «non stuzzicare», o «spostare le mie "ambizioni" lasciando spazio a quelle degli altri», «non fare tutto io ma lasciare anche agli altri l’opportunità di rispondere», «ho parlato sinceramente e cercavo di arrabbiarmi il meno possibile».

Dal momento che molti di questi aspetti sono stati inseriti anche nelle azioni che consentono di perseguire non solo il benessere dei compagni ma anche il proprio, possiamo pensare che fungano da regolatori per la propria esperienza relazionale. Parlare e collaborare può voler dire sentirsi inclusi, potersi esprimere, essere valorizzati e compresi, con risvolti sull’autostima e sul clima di classe.

Empatia e azioni prosociali

I bambini in generale sono stati in grado di comprendere quali atteggiamenti fanno stare bene gli altri in una logica prosociale e costruttiva per il lavoro di gruppo, che era un’abilità richiesta dal percorso stesso. Diverse risposte riportano la capacità di accorgersi di come stanno i compagni, anche in relazione ai propri comportamenti, come ben evidenzia questa risposta: «per far stare bene i miei compagni ho fatto in modo che si sentissero bene o che parlassero perché si sentivano male e allora sapevo che quella cosa li faceva stare male e così ho smesso».

Anche dare consigli o incoraggiare, non imporre le proprie idee, aiutare chi si trova in difficoltà con il compito sono elementi menzionati dai bambini come possibili strategie di regolazione, insieme a un miglioramento nella tolleranza: «io mi sono sentito cambiato nel mio comportamento perché ho iniziato ad accettare le idee degli altri», «sono migliorata nello stare insieme con tutti, ascoltare le opinioni degli altri e capire i miei sbagli. Ho imparato che siamo tutti diversi e che ognuno ha opinioni diverse» e nella disponibilità a cogliere nuove opportunità di conoscenza reciproca e valorizzazione: «io in generale sono sempre felice, forse quando vedo i gruppi e sono con chi non sto molto mi fermo un attimo ma poi mentre lavoriamo scopro nuove cose del mio compagno e da lì iniziamo a giocare quasi sempre assieme».

Consapevolezza ed espressione delle proprie emozioni

Alcune risposte evidenziano miglioramenti sul piano delle proprie competenze emotive («credo che sono diventata più brava a essere tollerante e più sensibile perché qualche volta rispondevo in modo brusco senza accorgermene»), della consapevolezza («[ho imparato a] pensare prima di parlare») e della sicurezza di sé. Altre risposte molto interessanti sono: «capire come gestire le mie emozioni in un gruppo che magari non mi fa bene», oppure «qualche volta ho preso coraggio e glielo ho detto», che emergono come segnali di consapevolezza emotiva e buone premesse per la propria regolazione. La risposta «riesco a esprimere come sto con loro dicendolo dagli occhi» mette in luce la capacità di riconoscere e utilizzare non solo il canale verbale ma anche i segnali non verbali. Risposte come «proporre più spesso la mia idea, chiedere aiuto» e «mi sento più sicura a discutere con i miei compagni» evidenziano poi anche lo sviluppo di una maggiore capacità di esprimersi. Di fatto, emerge anche in questo caso l’importanza di sentirsi bene in classe, sia nelle interazioni verbali sia nel vissuto complessivo, comprese le dimensioni non verbali, l’esperienza corporea e le regole implicite delle relazioni fra pari.

Abilità socio-emotive di coregolazione

Ascolto reciproco e accoglienza emotiva

Una delle domande del questionario mirava a esplorare la possibilità che i compagni diventino, con le loro azioni, co-regolatori dello stato emotivo. Ritorna nelle risposte nuovamente l’importanza dell’ascolto e tra le risposte più frequenti e più simili fra le classi vi sono: «Mi hanno aiutato, ascoltato, coinvolto, accolto». Un altro aspetto sottolineato da più di un bambino è la gentilezza: «Mi hanno trattato con gentilezza», «non mi urlano me lo dicono gentilmente». Non emerge qui soltanto il tema del rispetto (e dunque del riconoscimento del valore di ciascuno), ma anche la modalità con cui possono funzionare bene le interazioni tra compagni, anche quando ci sono opinioni divergenti e i toni emotivi potrebbero potenzialmente esagerare. Altre sfaccettature della coregolazione fanno riferimento a elementi nuovi: «stare in silenzio» o «aiutare a mantenere la calma», «far divertire», «mi hanno chiesto la mia opinione», «se un compagno è giù di morale lo consolo».

Collaborazione reciproca

Infine, viene messa in luce nelle risposte un’interessante dimensione relazionale di reciprocità. Il confronto, la collaborazione vengono ripresi da molti bambini: «Decidiamo le risposte insieme», «ho provato a riunirci tutti così tutti potessero collaborare bene con tutti e non farli sentire esclusi dal gruppo», «ho capito che per poter lavorare bene in gruppo bisogna fare lavoro di squadra» e in modo esemplare: «Chiedo aiuto e uno mi tira su», scritto insieme a «a volte quando vedo compagni tristi li tiro su».

La coregolazione avviene sia attraverso la condivisione emotiva dell’esperienza e la capacità di attivare empatia nei confronti della percezione altrui, sia nella capacità di costruire un clima collaborativo e inclusivo.

Accogliere l’aiuto

Un aspetto che si può considerare un limite rispetto alla capacità coregolatoria dei bambini, e che è coerente con le difficoltà relazionali relative al rapporto con i pari, riguarda la capacità di accogliere l’aiuto. Appare molto più facile aiutare o ricevere aiuto dall’insegnante piuttosto che manifestare la propria fragilità o difficoltà e accettare l’aiuto dei compagni. È interessante notare il fatto che, da un punto di vista qualitativo e di osservazione in classe (da parte delle figure esperte), i bambini più disposti ad accettare l’aiuto sono quelli considerati «più fragili». Sono, quindi, quei bambini che maggiormente sentono la necessità di essere aiutati e che «ammettono» di aver bisogno di aiuto. Questo è sicuramente benefico anche per chi è più competente, perché si mette nella predisposizione di «insegnare», ma non c’è dubbio che dovrebbe essere un elemento da attenzionare maggiormente.

Discussione dei risultati

Il presente studio si è posto l’obiettivo di esplorare il vissuto dei bambini durante le lezioni in apprendimento cooperativo e di indagare se questa metodologia didattica potesse migliorare le loro competenze sociali ed emotive di auto e di coregolazione.

Sulla base di questa premessa, il primo elemento che preme sottolineare è la ricchezza di pensieri, vissuti e significati che i bambini hanno espresso nelle risposte al questionario. Occorre lasciare ai bambini lo spazio per sperimentare e poi far tesoro dell’esperienza attraverso la riflessione, la comprensione e l’attribuzione di significati. Significati che possono essere costruiti sia individualmente sia in relazione, se si predispone il setting adeguato ad accoglierli e metterli in circolo. I bambini hanno dimostrato di riconoscere abbastanza bene le loro emozioni e di saperne individuare l’origine. Ciò che si evidenzia in generale nella ricerca è che i bambini si sentono tranquilli, alcuni felici, nel loro contesto classe. Chiaramente non si può generalizzare. Accanto a chi esprime emozioni positive, si sente sicuro e sperimenta benessere e capacità di autocontrollo, vi sono bambini che si sentono maggiormente in difficoltà o esprimono emozioni ambivalenti, se non negative.

In effetti ciascun bambino arriva nel contesto scolastico con un’esperienza variegata e personale, appresa nelle relazioni di accudimento, di sviluppo emotivo e di capacità autoregolatoria, il che si traduce non solo in atteggiamenti ma anche in vissuti molto diversi. Tuttavia, sappiamo quanto incida l’esperienza vissuta per consolidare modelli interiorizzati oppure offrire possibilità incrementali di cambiamento in grado di modificare le traiettorie di sviluppo. Ad esempio, il bambino che dichiara di avere imparato a gestire meglio la rabbia, il bambino che sente di essere maggiormente altruista o quello che si sente migliorato nell’empatia sono esempi di come l’esperienza scolastica possa fare la differenza nel benessere percepito e nel rinforzo di un’identità positiva e di abilità prosociali.

Qui emerge forse il dato più interessante, ovvero l’intreccio chiaro ed evidente tra la dimensione emotiva di ciascun bambino e l’esperienza relazionale che vive nella classe e nella relazione con i pari. Con alle spalle la teoria della mente relazionale (Siegel, 2020), riconoscere i fili di questa connessione diventa non solo più facile ma anche più generativo. I bambini dimostrano di avere bisogno di ambienti relazionali in cui sperimentarsi, per accrescere l’autostima e la fiducia in sé e per poter trovare modalità efficaci di regolazione delle proprie emozioni. Tutto ciò è fortemente legato alla presenza di un contesto affettivo, dove si possono sperimentare accettazione, valorizzazione e riconoscimento di sé.

I pari diventano opportunità di benessere: i bambini hanno fatto fatica a distinguere cosa fa stare bene se stessi e cosa fa stare bene gli altri, in parte perché il quesito è complesso ma in parte anche perché le due risposte spesso si sono sovrapposte. Del resto, la classe è un luogo in cui stare bene insieme. I bambini lo hanno tradotto nella possibilità di ascoltarsi ed esprimere la propria idea, nell’aiutarsi reciprocamente, nell’essere interessati agli altri, addirittura nel renderli felici. Sono tutti elementi sui quali l’apprendimento cooperativo fa perno e che chiede di mettere in gioco nella dinamica di gruppo; dunque, è importante sottolineare che i bambini ne hanno riportato il nocciolo nelle loro osservazioni.

Un punto di attenzione, tuttavia, è fondamentale: la difficoltà nel gruppo dei pari esiste, soprattutto quando si tratta di verbalizzare la propria dimensione emotiva. Dirsi ciò su cui si fa fatica non è facile (per il vero neppure per gli adulti) e i bambini hanno espresso la paura di essere giudicati o di sentirsi esclusi, e si può pensare che questo riguardi soprattutto i più fragili o quelli che sperimentano già dinamiche di esclusione e isolamento.

Ma l’apprendimento cooperativo punta proprio a costruire opportunità che permettano di superare questa difficoltà. La possibilità di percepirsi interdipendenti e responsabili nei confronti non solo del proprio apprendimento ma anche di quello altrui, l’interazione diretta fra pari, lo sviluppo di abilità che facilitano un’interazione positiva e costruttiva sono tutti elementi che cercano di offrire possibilità di dialogo autentico. In più, sperimentare un approccio metacognitivo, dove è valorizzata la capacità di osservare, comprendere e rilanciare ciò che accade nella dinamica formativa condivisa, è un’ulteriore opportunità per abituarsi a mettere in gioco se stessi, ad accrescere le proprie competenze sociali e a creare ambienti cooperativi.

Certo, questo presuppone un ambiente di apprendimento in cui gli studenti si sentono sicuri, sono capaci di partecipare, possono contribuire alla discussione senza paura di essere presi in giro o derisi dai compagni e così si sentono più motivati a continuare a partecipare e a coinvolgersi (Gillies, 2007).

Arriviamo così alla parte che spetta agli adulti: riconoscere che l’apprendimento si gioca contemporaneamente sia sul piano cognitivo sia sul piano emotivo e sociale e che uno spazio di metariflessione condivisa è necessario per permettere il consolidamento di entrambi gli obiettivi. Non si tratta di depositare un mattoncino di conoscenza sopra l’altro, producendo costruzioni dagli equilibri precari, ma di offrire una cornice in cui tanti elementi, di molteplici consistenze, colori e provenienze, possono intrecciarsi, scontrarsi, riassestarsi in modo creativo e fertile.

Perché l’apprendimento sia, come suggeriscono Johnson e Johnson, «una storia di successo» (Johnson e Johnson, 2009), i bambini devono poter sperimentare la classe come luogo di benessere per e con tutti i soggetti coinvolti: se stessi come competenti e capaci di stare nella relazione e nell’apprendimento in modo efficace e «gentile», i compagni come coregolatori della propria esperienza e, infine, gli insegnanti come attivatori e accompagnatori di tutto ciò. Una scuola attenta allo sviluppo della persona a tutto tondo è una scuola che cura il benessere dei propri studenti e lo sviluppo delle loro competenze trasversali. Allora, l’apprendimento cooperativo — anche secondo la percezione degli studenti — può diventare un’esperienza di apprendimento significativo attenta allo sviluppo della persona a 360°.

Limiti e indicazioni future

Sebbene il presente studio possa contribuire in modo significativo alla letteratura che esplora la percezione degli studenti durante le lezioni in apprendimento cooperativo, emergono diversi limiti che è importante rilevare. In primo luogo, l’indagine qualitativa di per sé non porta a risultati generalizzabili e va tenuto conto, in un’ottica ecologica, che tutte le risposte sono raccolte in uno stesso ecosistema scuola. Inoltre, la partecipazione allo studio è stata volontaria da parte delle docenti coinvolte nel progetto. Pertanto, è possibile ritenere che le classi che hanno partecipato allo studio erano anche le classi in cui il progetto veniva percepito come utile e come un’occasione per la classe, una percezione trasmessa agli studenti che può quindi influenzare in parte i risultati raccolti.

Un altro limite riguarda la metodologia rispetto al fatto di utilizzare uno strumento di misura non validato in letteratura e quindi con proprietà psicometriche scarse. Lo studio, che fotografa la conclusione di un percorso in apprendimento cooperativo, ci rimanda una situazione temporale ben definita e quindi non può ritenersi valido in termini longitudinali (ad esempio, rimarrebbero le stesse percezioni se si continuasse a fare lezione in apprendimento cooperativo lungo tutti gli anni della scuola primaria?). Da ultimo, la forza dell’analisi qualitativa risiede nell’analizzare in profondità il processo, ma non rileva alcun nesso causale tra il progetto in apprendimento cooperativo e la percezione degli studenti. Per questo, lo studio più generale in cui questo sotto-campione si inserisce ha rilevato anche (su un campione più ampio) dati quantitativi tramite strumenti psicometricamente validi e riconosciuti in letteratura.

A fronte di questi limiti, le ricerche future — soprattutto se qualitative — dovrebbero considerare campioni più ampi, su territori diversi e con una partecipazione randomizzata. Inoltre, dovrebbero utilizzare strumenti qualitativi riconosciuti validi in letteratura unendo anche una parte di rilevazione qualitativa.

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Appendice

Qualche domanda sul percorso «Apprendere insieme per stare bene!»

(lavori in gruppo con il tablet)

Di seguito trovi alcune domande. Nessuno saprà le tue risposte, quindi rispondi sinceramente.

Qui scrivi il tuo codice segreto: _______________________________

Qui scrivi la tua classe mettendo il numero, la lettera e la scuola (ad esempio, 4B Mazzini): ________________________________

1. Come sto nel gruppo?

Quando lavoriamo in gruppo con il tablet di solito mi sento:

Q Molto male

Q Abbastanza male

Q Così così

Q Abbastanza bene

Q Bene

Quali emozioni provo di solito quando lavoro in gruppo con i miei compagni e compagne? (ad esempio, mi sento felice, tranquillo, infastidito, arrabbiato… puoi metterne più di una).

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Perché?

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2. Parlo con i compagni di come sto

Sono riuscito a dire ai miei compagni che non ero contento del lavoro in gruppo?

Q Sì

Q No

Q Qualche volta

Q Sono sempre stato/a bene

Perché sono (o non sono) riuscito a parlarne con loro?

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3. Cosa ho fatto per il benessere nel gruppo

Cosa ho fatto per stare bene nel gruppo?

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Cosa ho fatto per far stare bene i miei compagni nel gruppo?

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Cosa hanno fatto gli altri che mi ha fatto stare bene nel gruppo?

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Alla fine di questo percorso sul tablet sento di essere migliorato/a? In che cosa? (puoi dire se hai imparato qualcosa sulla comprensione del testo ma anche sul tuo modo di lavorare in gruppo, di sentire come stai, di capire se i compagni stanno bene…).

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Grazie per la tua preziosa collaborazione!


  1. 1 Centro Studi Erickson e Università degli Studi di Padova.

  2. 2 Università degli Studi di Trento.

  3. 3 Psicologa e professionista esperta coinvolta nel progetto.

  4. 4 University of Oregon and Oregon Research Institute.

  5. 5 Centro Studi Erickson e Libera università di Bolzano.

  6. 6 Centro Studi Erickson and University of Padua.

  7. 7 University of Trento.

  8. 8 Psychologist and professional expert involved in the project.

  9. 9 University of Oregon and Oregon Research Institute.

  10. 10 Centro Studi Erickson and Free University of Bozen-Bolzano.

  11. 11 I laboratori sono stati curati dalla dott.ssa Valentina Grosselli, psicologa esperta nel tema e parte del Team Isola Della Calma dell’Università di Padova, supervisionato dalla Prof.ssa Sara Scrimin.

  12. 12 I temi, quindi, non emergono da sé o vengono «scoperti» come se il ricercatore avesse un ruolo passivo, ma dipendono dal suo interesse (i temi, infatti, possono essere data-driven oppure theory-driven a seconda delle scelte di ricerca).

Vol. 23, Issue 3, September 2024

 

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