EDITORIALE

Quanto è inclusiva la nostra società? Quanto lo sono i servizi e le istituzioni?

A che punto siamo con l’inclusione scolastica e sociale delle persone con disabilità, e quali barriere permangono?

Siamo in grado di rispondere a queste domande in modo esaustivo?

Questo numero di maggio della rivista «L’integrazione scolastica e sociale» si propone di fornire delle risposte, abbracciando una vasta gamma di tematiche, accomunate da alcuni termini chiave: accessibilità, partecipazione e autodeterminazione.

Ci si interroga su come analizzare, comprendere e rinnovare le attuali prassi, tenendo come riferimento alcune prospettive culturali cardine: lo Universal Design, nella progettazione dei contesti di vita e di apprendimento (art. 2, CRPD, UN, 2006); l’approccio critico-decostruttivo dei Disability Studies, che sposta l’attenzione sul contesto disabilitante, barriera alla piena realizzazione delle persone con disabilità (Oliver, 1990); e l’ICF, la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (WHO, 2001, 2007), che promuove una visione dinamica e multidimensionale del funzionamento individuale, in una stretta connessione e relazione tra individuo e fattori contestuali.

Queste prospettive, che rappresentano un orizzonte culturale da perseguire, si declinano in aree e questioni più specifiche: l’accessibilità museale, nel contributo di Barbara Baschiera; l’autovalutazione dell’inclusività delle università europee per gli studenti con disabilità, nell’articolo di Elena Bortolotti; l’accessibilità dei contesti lavorativi, nel contributo di Enrico Miatto, Cecilia Pellizzari, Fabio Sacchi e Valeria Friso, con il relativo approfondimento sulla professionalità dei docenti con DSA di Dario Ianes e del team Ricerca & Sviluppo Erickson; l’accessibilità dei processi decisionali e di pianificazione, nello studio di Debora Aquario e Maria Gabriella Formicola, che coinvolge una delle porzioni di popolazione la cui voce rimane generalmente inascoltata o viene silenziata, i bambini; e, infine, l’accessibilità dei dati di ricerca e statistici, nell’articolo di Fabio Sacchi.

La sezione sugli aggiornamenti normativi di Nocera ci ricorda quanto lavoro resta da fare sul fronte della didattica inclusiva e della formazione dei docenti, mettendo in evidenza le fragilità, criticità e tensioni che permangono tra professionisti, famiglie e persone con disabilità. Lancia uno sguardo sulle contraddizioni esistenti nel panorama della pedagogia speciale e dell’inclusione sulla complessa compenetrazione tra progettualità, strategie e bisogni di tutti, e modalità, interventi e scelte operative specifiche, per funzionamenti altamente individuali, come quelli che possono caratterizzare le persone con disabilità intellettive o disturbi dello spettro autistico. In letteratura questo intricato dialogo bidirezionale, tra normalità intesa come appartenenza e specialità come valorizzazione individuale e risposta efficace, costituisce un ambito di discussione, riflessione e dibattito (Ianes e Demo, 2023; Tomlinson, 2017; Norwich, 2013).

Questi contributi affrontano temi rilevanti per l’attualità e per il contesto nazionale, ma non solo.

Nel numero troviamo anche un affascinante approfondimento relativo alle radici pedagogiche del settore: Ines Guerini, Virginia Benedetti e Monica Neccia riportano l’attenzione sul pensiero e lascito di Ovide Decroly, evidenziandone le chiavi di lettura fortemente ancorate all’attualità. Questo sguardo al passato e alla corrente dell’attivismo pedagogico ci ricorda i rischi insiti nella categorizzazione, che rafforza la dicotomia tra «regolarità» e «irregolarità», e costruisce recinti piuttosto che ponti. Quello sguardo, che «pietrifica» in aspettative al ribasso e appiattisce la complessità del funzionamento umano nella distinzione tra «norma» e «deficit», resta tristemente attuale, nonostante il tempo trascorso. Si traduce in spaccature, suddivisioni, separazioni, che limitano il confronto, il contatto e la partecipazione.

Nell’attualità le barriere hanno forme e manifestazioni in parte prevedibili, in parte del tutto nuove, forse perché osservate e comprese con una consapevolezza del tutto rinnovata: accanto alle più tradizionali barriere fisiche e strutturali, troviamo una crescente sensibilità nei confronti delle barriere sensoriali, linguistiche, culturali ed economiche.

Attraverso una lettura complessiva dei vari contributi si nota che l’accessibilità, da un lato, travalica le tematiche relative alla disabilità, per allargare la prospettiva e la comprensione a quel concetto di inclusione ampio e votato all’eterogeneità, molteplicità e pluralità. È la prospettiva culturale ribadita nei documenti e nelle politiche internazionali, quali la Convenzione per i Diritti delle Persone con disabilità (UN, 2006) e l’Agenda 2030 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UN, Assemblea Generale, 2015). Dall’altro, nel parlare di disabilità, si prende in considerazione l’elevato grado di variabilità interindividuale presente all’interno della categoria: non si interpreta più la disabilità come un gruppo monolitico indistinto, ma si è consapevoli e fortemente intenzionati a sollevare riflessioni puntuali e a creare approfondimenti specifici, a seconda delle situazioni e dei sottogruppi considerati (come, ad esempio, le disabilità intellettive, le disabilità sensoriali, le neurodivergenze).

In altri contributi, come ad esempio quelli di Fabio Sacchi e di Debora Aquario con Maria Gabriella Formicola, si apre un ulteriore spiraglio in materia di accessibilità. Ci si interroga su come ampliare gli spazi di partecipazione anche in ambiti più trascurati, come i processi decisionali e di attuazione delle politiche, ma anche quelli analitici e di studio dei fenomeni. Si riflette su come promuovere un dialogo spontaneo e paritario, su come creare occasioni adeguate di confronto e partecipazione attiva, e su come superare il «paradigma della dipendenza perpetua», che ritroviamo preponderante nell’ambito lavorativo, ma che persiste in tutti gli altri ambiti di vita dove l’accesso risulti parziale o inefficace.

Molto resta da fare per indagare queste tematiche sul fronte della ricerca, della valutazione e dei dati statistici. In ambito lavorativo, ad esempio, le disuguaglianze e le discriminazioni prendono forma a livello interpersonale, organizzativo e normativo, e appaiono difficili da smantellare a causa dell’elevata parcellizzazione dei dati statistici e di ricerca sullo stato occupazionale delle persone con disabilità. Queste informazioni, seppure parziali, fungono da indicatori del benessere e delle condizioni di vita. Si suggerisce pertanto l’adozione di indicatori comuni, utili a individuare le barriere in modo concreto e a ripensare prassi e contesti, ma anche livelli essenziali che possano rappresentare delle garanzie a tutela dei diritti.

In questi processi non può e non deve mancare la voce e il punto di vista di coloro direttamente interessati: il motto «nulla su di noi senza di noi» (Charlton, 1998) ci ricorda che le persone con disabilità (così come i bambini, le persone con DSA, le minoranze e altri gruppi vulnerabili) osservano e comprendono questi fenomeni da una prospettiva testimoniale e interna, e sono quindi nella posizione di reinterpretare la realtà attraverso contronarrazioni, mettendo in luce e scardinando anche le manifestazioni più sottili di discriminazione e disuguaglianze da loro subite. Rappresentano, inoltre, degli informatori privilegiati sui bisogni e sulle aspettative minoritarie, rendendo possibile la progettazione e l’attuazione di politiche sempre più universali e inclusive.

Questo processo partecipativo, oltre a rendere più efficace la comprensione dei fenomeni e la trasformazione di politiche, prassi e contesti, può contribuire ad abbattere confini fittizi tra gruppi e a ridurre lo stigma associato all’appartenenza a una categoria discriminata. Un discorso simile vale anche sul fronte della ricerca, dove la prospettiva soggettiva di chi vive e sperimenta quotidianamente le discriminazioni deve sempre più divenire parte integrante, se non centrale, dei risultati disseminati: lo studio di Dario Ianes e del team Ricerca & Sviluppo Erickson interpella in prima persona coloro che hanno ricevuto una diagnosi di DSA e le persone che li circondano, facendo affiorare pregiudizi e discriminazioni nella triangolazione tra punti di vista (di insegnanti con DSA, colleghi di insegnanti con DSA, genitori di figli/e con DSA e dirigenti scolastici). L’autopercezione e l’esperienza individuale del soggetto discriminato restano al centro del discorso, accanto a quelle di coloro che, spesso involontariamente e inconsapevolmente, rafforzano e rigenerano questi fenomeni.

Vi è poi la questione, estremamente attuale, della disponibilità e dell’accessibilità dei risultati di ricerca e dati statistici. In particolare, i dati sulla disabilità risultano frammentati e insufficienti, il che rende la loro divulgazione scarsamente informativa e il loro impatto limitato. Non basta, tuttavia, che il dato sia reso disponibile; infatti, esso deve essere comprensibile e accessibile a diverse tipologie di utenti: oltre alla comunità scientifica e accademica, alla popolazione generale e ai soggetti più direttamente interessati, come le persone con disabilità. La conoscenza può divenire uno strumento per il miglioramento della qualità dei servizi, delle istituzioni e dei sistemi, ma anche un tramite fondamentale per la sensibilizzazione della popolazione generale, e per l’empowerment e l’autoconsapevolezza delle persone discriminate.

Accanto a questi processi di ascolto, non può tuttavia mancare un lavoro istituzionale di auto-analisi e valutazione, come quello presentato da Elena Bortolotti nell’ambito del progetto «EUni4all». Il contributo ribadisce l’importanza di definire indicatori comuni, per mantenere vivo il dialogo trans-disciplinare, trans-settoriale e trans-nazionale, e avviare processi di riflessione e miglioramento istituzionale, accademico e politico.

Le barriere sono quindi anche di natura sistemica, nel rapporto e raccordo tra segmenti e aree fondamentali: la valutazione a livello di sistemi, istituzioni e servizi; la ricerca accademica; le prassi; le statistiche e le politiche. Queste dimensioni sembrano essere reciprocamente distanti e, talvolta, internamente frazionate e incoerenti.

Prendiamoci il tempo per approfondire.

Buona lettura!

Silvia Dell’Anna

Riferimenti bibliografici

Charlton I.J. (1998), Nothing about us without us: Disability oppression and empowerment, Berkeley, University of California Press.

Ianes D. e Demo H. (2023), Specialità e normalità?, Trento, Erickson.

Norwich B. (2013), Addressing tensions and dilemmas in Inclusive Education, London, Routledge.

Oliver M. (1990), Politics of Disablement, London, MacMillan.

Tomlinson S. (2017), A Sociology of Special and Inclusive Education, London, Routledge.

UN (2006), Convention on the Rights of Persons with Disabilities and Optional Protocol. https://www.ohchr.org/en/instruments-mechanisms/instruments/optional-protocol-convention-rights-persons-disabilities (consultato il 22 aprile 2024).

UN, Assemblea Generale (2015), Trasformare il mondo: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, https://unric.org/it/wp-content/uploads/sites/3/2019/11/Agenda-2030-Onu-italia.pdf (consultato il 22 aprile 2024).

WHO (2001), ICF. International Classification of Functioning, Disability and Health, Geneva, WHO, trad. it. Organizzazione Mondiale della Sanità, ICF. Classificazione internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, Trento, Erickson, 2013.

WHO (2007), ICF-CY. International Classification of Functioning, Disability and Health – Children and Youth, Geneva, WHO, trad. it. Organizzazione Mondiale della Sanità, ICF-CY. Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute. Versione per Bambini e Adolescenti, Trento, Erickson, 2007.

 

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