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Riccardo Mazzeo e Tāriq Ramadān, Il musulmano e l’agnostico. Dialogo per conoscere e intercultura sono indispensabili uno all’altro
Riccardo Mazzeo e Tāriq Ramadān, Il musulmano e l’agnostico. The dialogue for knowledge and interculturality are indispensable partners for each other

Andrea Canevaro


Autore per la corrispondenza

Andrea Canevaro
Indirizzo e-mail: andrea.canevaro@unibo.it
Professore Emerito dell’Università di Bologna. Scuola di Psicologia e Scienze della Formazione, Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Dipartimento Scienze dell’Educazione, Via Filippo Re, 6, 40126, Bologna,



Due persone dialogano. Ciascuna vede la realtà e si fa delle domande. Risponde e rivolge le stesse domande anche all’altra persona, sapendo che, ed è un bene, le risposte che ascolterà derivano da un diverso punto di vista. Possono nascere opinioni diverse? Certamente, ma nessuno dei due tenta di delegittimare la posizione dell’altro. È possibile, nel dialogo, il conflitto. Perché il dialogo ha un presupposto che non è quello di aver ragione, ma quello di conoscere. La conoscenza fa avanzare il dialogo fra culture diverse.

Le due persone che dialogano sono il musulmano Tāriq Ramadān e l’agnostico Riccardo Mazzeo, e il loro dialogo è diventato un libro: Il musulmano e l’agnostico (2017). Un libro che è «un atto di resistenza» alle semplificazioni che imbrogliano, alle suggestioni emotive e al rischio di ritagliarsi una realtà auto poietica, che cioè si autoalimenta.

Due culture e una ragione per dialogare e conoscere. Questa dovrebbe essere la ragione di ogni dialogo, soprattutto interculturale. I due autori hanno amicizie comuni, come ad esempio Edgar Morin. Questo facilita certo l’avvio del dialogo, senza attenuare i differenti punti di vista. È evidente che se il dialogo va avanti per più di 150 pagine è perché nessuno dei due dialoganti partiva da una presunzione di autoreferenzialità. Ciascuno dei due dialoganti ha già molta conoscenza, ma non sembra essere sazio. Vuole conoscere ancora. Per questo è interessato al punto di vista dell’altro: perché è diverso dal suo. Sembra una cosa semplice, quasi banale. Ma se fosse stata tenuta presente e vissuta in tante situazioni, non avremmo avuto la guerra dell’Iraq, basata su una falsa conoscenza frettolosamente assunta per cercare di confermare una superiorità culturale e di civiltà.

Il dialogo per conoscere è particolarmente necessario quando c’è di mezzo l’Islam, la cui conoscenza è ostacolata dallo stereotipo contenuto nell’autoreferenzialità. A sua volta resa possibile da una convinzione di superiorità che viene alimentata giorno per giorno da un certo impiego massiccio delle informazioni. Ed è sorprendente leggere questo libro e scoprire quante informazioni i due dialoganti si scambiano dialogando. Se ne deduce che ogni dialogo è favorito soprattutto da ogni forma di lotta all’ignoranza. Ma questo sarebbe un problema se ciascuno considerasse che la lotta all’ignoranza significhi sostanzialmente assumere le conoscenze dei dominatori del mondo. Il dialogo è in primo luogo una lotta nei confronti della propria ignoranza. E in questo senso il libro aiuta a capire quanto razzismo e ignoranza vadano d’accordo. Se l’appartenenza a una certa presunta «razza» determina superiorità e non inferiorità, chi è nella razza superiore può restare ignorante e quindi disprezzare ogni forma di dialogo, che peraltro rivelerebbe la sua personale ignoranza. Il grande, e dimenticato, Nuto Revelli diceva che l’ignoranza è una brutta malattia. Il libro di cui parliamo lo conferma.

È difficile riassumere questo libro, perché i dialoganti parlano e si interrogano su tanti argomenti, che ciascuno conosce ma vorrebbe conoscere le conoscenze dell’altro, sperando così di conoscere un punto di vista diverso dal proprio. Si interrogano e interrogano la realtà, fatta da fenomeni religiosi, politici, sociali. Cosa pensano le nuove generazioni? I conflitti sono utili per conoscere? O impediscono le conoscenze? E quale è il rapporto fra le religioni e le violenze?

Le strumentalizzazioni sono facilitate dalle ignoranze presuntuose, che fingono di conoscere, ma fanno caricature astraendole dai contesti reali. E in questo convincono facilmente alla violenza: quella che riteniamo sia giusta, mettendo al riparo le nostre ignoranze e così vedendo nell’altro che viene da lontano una minaccia. Tanto più siamo ignoranti presuntuosi, tanto più possiamo fingere di saper leggere in un’altra cultura una minaccia a quella che riteniamo essere senza ombra di dubbio la civiltà: «dobbiamo augurarci tutti di essere analfabeti. Quell’analfabetismo che non ci fa mai sentire arrivati, chiusi in illusorie certezze, ma disponibili allo stupore da cui nasce prepotente il bisogno di capire» (Ciotti, 2011, p. 116)

Per queste e tante altre ragioni, questo Il musulmano e l’agnostico è utile. È utile scoprire le nostre ignoranze e il bisogno che abbiamo di dialogare con chi ha una cultura diversa. Ricordando che: «Quando indicate un intero gruppo di persone con un unico termine, come per esempio musulmani, agite come se voleste sbarazzarvene: non sapete più distinguere i singoli individui. Il nome, la parola vi avrà così impedito di comportarvi come un essere umano in relazione con altri esseri umani)» (Krisnhnamurti, 1960, p. 85).

Bibliografia

Ciotti L. (2011), La speranza non è in vendita, Firenze, Giunti-Gruppo Abele.

Mazzeo R. e Ramadān T. (2017), Il musulmano e l’agnostico, Trento, Erickson.

Rahnema M. (2005), Quando la povertà diventa miseria, Torino, Einaudi.


© 2017 Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A.
ISSN 2421-2946. Educazione interculturale.
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