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Esperienze e progetti / Experiences and projects

La danza delle parole. Un laboratorio teatrale per donne migranti alla scoperta della lingua italiana
The dance of words. A theatrical workshop for migrant women to discover the Italian language

Irene Salza


Autore per la corrispondenza

Irene Salza
Indirizzo e-mail: ireblu@yahoo.com
dottoranda in Studi Teatrali presso la Universidad Autónoma di Barcellona. si occupa di teatro di interazione sociale come artista, formatrice e ideatrice di progetti teatrali e di sviluppo di comunità in Italia e in ambito internazionale, in collaborazione con diversi enti, associazioni, Università e ONG. Via Cottolengo, 4, 10152, Torino



Sommario

L'articolo si propone di illustrare e discutere l'esperienza quadriennale del progetto teatrale «La danza delle parole», ideato e condotto dall’associazione culturale torinese Onda Teatro in partenariato con l'associazione di volontariato Ewivere e attivo dall'anno 2013. Il progetto coinvolge ogni anno un gruppo di circa venti donne provenienti da diversi Paesi asiatici e africani che frequentano la scuola di italiano dell'associazione Ewivere e consiste nella realizzazione di un laboratorio teatrale della durata di una decina di incontri, che vede come conclusione la messa in scena di una performance aperta al pubblico presso la Casa del Teatro Ragazzi e Giovani di Torino. L’esperienza si è evoluta nel corso degli anni, per rispondere ai bisogni linguistici ed espressivi di persone che si trovano in Italia dopo avere dovuto lasciare il proprio Paese d'origine, strettamente legati ai bisogni di inserimento socio-culturale. L'idea alla base del lavoro è che il teatro possa offrire occasione di espressione di sé, valorizzazione delle proprie risorse e riappropriazione della propria identità e che l'apprendimento della lingua serva non solo a soddisfare i bisogni primari di sopravvivenza, ma anche a condividere emozioni, cultura, storie, temi centrali del processo di inclusione sociale.

Parole chiave

Teatro, inclusione sociale, lifelong learning, interculturale


Abstract

The article intends to illustrate and discuss the 4 year experience of the theatrical project «The Dance of Words», created and produced by the Turin Cultural Association Onda Teatro in partnership since 2013 with the voluntary organisation Ewivere. Every year the project involves a group of around 20 women from different countries in Asia and Africa, who are attending Italian schools which cooperate with Ewivere. This collaboration involves the creation of a theatrical workshop lasting 10 sessions with the aim of staging a final performance open to the public at the Casa del Teatro ragazzi e Giovani di Torino. Over the years, the project has evolved to address the linguistic and expressive needs of people coming to Italy from their home countries, with the sole purpose of helping people to understand how to integrate into the social and cultural aspects of Italian life. We feel that theatre can offer a means of expressing oneself, drawing on your own resources, and re-affirming your own identity. Furthermore, understanding the Italian language will help not only to meet your first needs of living in Italy, but also to share the central topics surrounding the process of social integration: feelings, culture, history.

Keywords

Theatre, social inclusion, lifelong learning, intercultural


Introduzione

L’associazione di volontariato Ewivere, attiva sul territorio torinese dal 2002, nasce con l’obiettivo di offrire ogni anno la possibilità a circa una ventina di donne migranti di frequentare una scuola di lingua italiana, avendo cura di proporre anche un contatto con i servizi offerti dalla Città di Torino (Consultori, Biblioteche Pubbliche, Uffici Relazioni con il Pubblico, Musei), uscite e visite culturali sul territorio, sessioni di educazione civica, incontri con esperti. Il progetto, finanziato dalla Fondazione San Paolo, prevede che le partecipanti vengano segnalate a Ewivere da associazioni e cooperative attive sul territorio nell'accoglienza dei migranti.

A partire dall’anno 2012 l’utenza, fino ad allora costituita principalmente da donne dell’Est Europa e maghrebine, si è notevolmente ampliata e differenziata, includendo donne provenienti da Nigeria, Eritrea, Somalia, Camerun, Burundi, Congo, Costa d’Avorio, India, Cina, in gran parte in fuga da situazioni di guerra o vittime di sfruttamento. Con il loro portato di storie, vissuti, percezioni, dolori, visioni del mondo le «nuove straniere», come scrive Antonia Inghingalo, «hanno costretto le volontarie di Ewivere a riflettere sulla propria esperienza: dovevamo sperimentare nuovi metodi di incontro e riconoscimento, con la consapevolezza di esserci reciprocamente straniere» (Inghingalo, 2017).

Le attività proposte dall’associazione sono state così ripensate in funzione della sperimentazione di nuovi spazi e modalità di incontro, dando vita a laboratori espressivi e artigianali volti ad agevolare l'inserimento sociale e orientandosi ancor più verso un insegnamento della lingua attento a favorire gli aspetti comunicativi legati all’espressione di sé e alla manifestazione di idee, opinioni e vissuti, veicolo per la ricostruzione della propria identità in una nuova realtà. In questo contesto di riprogettazione delle proprie attività formative l’associazione Ewivere ha incontrato la compagnia teatrale Onda Teatro, diretta dall’attore e regista Bobo Nigrone, una delle storiche realtà teatrali torinesi di riferimento soprattutto nell’ambito del Teatro Ragazzi e negli ultimi anni particolarmente orientata alla sperimentazione teatrale legata alla dimensione sociale, attraverso il lavoro con diversi gruppi e associazioni e la collaborazione con Enti del territorio piemontese.

Il laboratorio teatrale «La danza delle parole», a cura di Francesca Guglielmino e oggetto della presente trattazione, ha preso avvio nell’anno scolastico 2013/2014 e da allora ha coinvolto ogni anno l'intero gruppo di allieve della scuola di Ewivere, arrivando a interessare circa un'ottantina di donne nel corso di quattro anni e producendo quattro performance aperte al pubblico presso la Casa del Teatro Ragazzi e Giovani di Torino. Nell’anno scolastico 2016/2017 l'associazione Ewivere ha intrapreso un’importante trasformazione, che ha coinciso con la conclusione del finanziamento della Fondazione San Paolo e che la vede attualmente operare all'interno delle attività del Sermig, presso l'Arsenale della Pace di Torino, un'importante realtà cittadina per quanto riguarda l'accoglienza e l'integrazione tra le culture. Si stanno così cominciando a immaginare nuove possibili collaborazioni, soprattutto per quanto riguarda il laboratorio teatrale: gli allievi e gli insegnanti della scuola di italiano del Sermig hanno assistito alla performance «La danza delle parole-2017» e hanno espresso il desiderio di far parte dell'esperienza. Così, dal prossimo anno scolastico, oltre alle donne di Ewivere, il progetto coinvolgerà anche un gruppo di allievi del Sermig, per lo più di sesso maschile, affrontando così una nuova sfida nel processo di integrazione.

Riferimenti teorici

Il progetto «La danza delle parole» può inscriversi in quell'ampia rosa di progetti teatrali transitivi, partecipativi e relazionali che negli ultimi due decenni sono stati definiti teatro sociale e che vedono fra le principali formulazioni teoriche italiane quelle proposte da Claudio Bernardi, Sisto Dalla Palma e Alessandro Pontremoli. Il teatro sociale «si occupa dell'espressione, della formazione e dell'interazione di persone, gruppi e comunità, attraverso attività performative che includono i diversi generi teatrali, il gioco, la festa […]», (Bernardi, 1998, p. 157) e può essere inteso come quell'insieme di attività performative non strettamente professionistiche che si svolgono in genere fuori dai convenzionali tempi e spazi dello spettacolo e che perseguono finalità socio-politiche, educative, terapeutiche, elaborando le problematiche sociali mediante percorsi drammaturgici e rivelandosi uno straordinario strumento per la salute degli individui e il benessere della società (Dragone, 2000).

Trattandosi di un lavoro con persone provenienti da culture diverse, che hanno attraversato esperienze traumatiche e dolorose, si rilevano come utili ai fini dell'analisi gli scritti di Claudio Bernardi, Monica Dragone e Guglielmo Schininà rispetto al teatro in contesti di conflitto, affiancati dalle più recenti riflessioni a cura di Lauretta D'Angelo e Rosa di Rago sulle pratiche teatrali come veicolo di didattica attiva e interculturale.

Le riflessioni sulla creazione drammaturgica nel laboratorio teatrale fanno riferimento in particolare ai contributi teorici di Alessandra Rossi Ghiglione. Si tratta di un'elaborazione drammaturgica basata sull'esperienza teatrale condivisa del laboratorio, che porta alla realizzazione di una performance frutto dei contributi tematici e stilistici offerti dalle partecipanti, una performance dove «la parola individuale e collettiva diviene sulla scena azione comunitaria» (Rossi Ghiglione, 2005, p. 158).

Per quanto riguarda invece l'ambito dell'apprendimento linguistico costituiscono orizzonte di riferimento gli studi di glottodidattica di Paolo Balboni, che sottolinea come la dimensione dell'insegnamento delle lingue nelle società complesse in una logica di lifelong learning non possa prescindere dalla culturizzazione, senza la quale non possono prodursi né socializzazione né autopromozione (Balboni, 2015). Per quanto riguarda in particolare l'apprendimento di una lingua straniera attraverso il teatro ci si basa, per una lettura critica del progetto, sulle riflessioni sulla glottodidattica teatrale a cura di Mirco Magnani e Filippo Fonio, basate sul presupposto che la didattica delle lingue moderne fonda sempre più i propri presupposti su esperienze in grado di coinvolgere i discenti non solo dal punto di vista linguistico, ma anche da quello affettivo e corporeo, ovvero nella totalità della loro personalità (Magnani, 2002).

Il progetto teatrale «La danza delle parole»

Il progetto «La danza delle parole», articolato ogni anno in un laboratorio teatrale di circa una decina di incontri di due ore e mezza, ha prodotto nel corso delle sue quattro edizioni altrettante performance teatrali e ha coinvolto, tra partecipanti, insegnanti volontarie e pubblico, circa cinquecento persone. Il percorso è stato ideato e condotto da Francesca Guglielmino e Irene Salza, con la collaborazione, nelle diverse edizioni, di Anna Carla Bosco e Simona Carapella.

Il laboratorio teatrale, inteso come luogo di un processo protetto che organizza il suo setting in base ai soggetti a cui si rivolge e mette il gruppo a contatto con tecniche eterogenee finalizzate alla messa in gioco del sé nella sua totalità psicofisica (Pontremoli, 2005), costituisce il cuore pulsante del progetto ed è stato ideato e condotto secondo le fasi processuali tipiche del teatro sociale: il training, l'improvvisazione, la narrazione e infine la creazione performativa.

Tra gli obiettivi fondamentali del percorso, oltre a quelli legati al consolidamento delle competenze linguistiche e l'esplorazione dell'espressività individuale e collettiva, vanno ricordati: «il benessere, l'apertura verso gli altri, il riconoscere aspetti positivi di sé, il valutare/rivalutare se stesse, i propri valori, le tradizioni, la lingua, i desideri, le speranze. L'obiettivo principe per tutte le donne partecipanti è di essere riconosciute nella totalità di se stesse».1

Il titolo «La danza delle parole» pone in evidenza il tema di lavoro, declinato in maniera diversa a seconda degli anni e delle specificità emerse dai diversi gruppi di donne partecipanti: le parole, che nella loro danza diventano suoni e musica, corporeità ed espressività; le parole, cercate e scoperte nella lingua italiana, evocate, ricordate, cantate nelle lingue d'origine, hanno costituito il filo rosso dell'esperienza, ponendo al centro il processo di appropriazione di una nuova lingua, l'italiano, come strumento di comunicazione e riconoscimento di sé in una realtà nuova e per molti versi ancora sconosciuta, oltre che come veicolo di dialogo con la propria lingua e cultura d'appartenenza.

Le parole, dette, imparate, tradotte, declamate in coro, regalate, trovate, hanno accompagnato ogni anno una ricerca teatrale che ha avuto cura di tenere insieme e valorizzare le potenzialità di sviluppo artistico-espressivo e relazionale offerte dalle tecniche del teatro sociale e un apprendimento linguistico stimolato dalla sollecitazione dell'espressività come esperienza formativa di apprendimento personale e di gruppo. Presentato come parte integrante del percorso didattico offerto dall'associazione Ewivere alle allieve migranti, il laboratorio arricchisce il percorso educativo con strumenti e tecniche che favoriscono la presa di parola e il coinvolgimento e nello stesso tempo riguardano non solo le capacità logico-razionali, ma anche quelle creative e immaginative, nella convinzione che il linguaggio artistico sia un linguaggio universale e dunque spazio di incontro privilegiato tra persone appartenenti a culture diverse.

Le sessioni di laboratorio, distribuite secondo un calendario leggermente diverso nel corso degli anni, a seconda delle esigenze dell'associazione e nel tentativo di rispondere in maniera sempre più puntuale all'equilibrio del percorso didattico (creazione del gruppo, rafforzamento dei legami interni, superamento delle diffidenze, padronanza linguistica) sono state frequentate, in alcune edizioni, da giovani studentesse italiane interessate al progetto, oltre che, a rotazione, da un ampio gruppo di insegnanti volontarie. Alcune di loro hanno partecipato assiduamente, svolgendo un ruolo attivo anche nella performance finale, altre più saltuariamente e mettendosi in gioco soprattutto negli esercizi di riscaldamento. Il contatto tra insegnanti volontarie e donne migranti è stato vissuto da entrambe le parti come un'occasione per accrescere la confidenza e l'empatia, contribuendo a migliorare la comunicazione in un rapporto nella maggior parte dei casi già caratterizzato da stima e fiducia reciproche.

Il teatro è l'arte che lavora sul ruolo, sulla relazione e sulla comunicazione e in cui l'interrelazione tra queste componenti è più forte, oltre ad avere dalla sua, rispetto ad altre arti creative, il valore performativo, dato dalla possibilità che offre di comunicare all'esterno un processo interno al gruppo (Schininà, 2002). L'occasione di portare l'esito performativo del laboratorio sul palco della Casa del Teatro Ragazzi e Giovani, riconosciuto luogo di arte e di cultura, è stato uno degli elementi che hanno contribuito all'empowerment delle allieve: vedere riconosciuti le proprie storie, apprendimenti e rappresentazioni come qualcosa di valore artistico e umano le ha portate a riconoscere quel valore come parte di sé e a essere orgogliose di volerlo comunicare.

Il training linguistico-teatrale

L'attenzione del progetto al consolidamento degli apprendimenti linguistici e comunicativi in lingua italiana delle partecipanti ha fatto sì che il training teatrale venisse in larga parte orientato a tale scopo, avendo cura che le strutture linguistiche riprese o presentate fossero funzionali all'emersione di tematiche significative per le partecipanti e che favorissero un'«applicazione forte» degli approcci comunicativi. Per «applicazione forte» si intende quella che si concentra su esperienze pratiche in lingua straniera che enfatizzano l'uso attivo del linguaggio, concedendo poco spazio alla riflessione metalinguistica e privilegiando il contatto e l'utilizzazione diretti della lingua (Fonio, 2013).

Le strutture linguistiche e gli elementi lessicali trattati emergono chiaramente, come vedremo in seguito, quali assi portanti della costruzione drammaturgica di ogni performance, oltre che come ponti per creare collegamenti tra le proprie lingue e culture di origine e quella del Paese di accoglienza. Un lavoro particolarmente significativo, ripreso nel corso degli anni con effetti di volta in volta diversi, è stato quello di richiedere alle partecipanti di cercare e scegliere delle parole in lingua italiana importanti per sé e per la propria vita, parole da cui poi hanno tratto nutrimento successivi sviluppi dell'esplorazione teatrale.

L'impostazione generale del training linguistico-teatrale, soprattutto a partire dal 2015, si rifà al metodo «Alphabets of Tomorrow», elaborato e sperimentato da Anna Carla Bosco e Irene Salza in diversi contesti formativi nazionali e internazionali e messo a punto in occasione dell'omonimo Workshop Europeo Grundtwig, realizzato a Torino nell'estate 2014, che proponeva a insegnanti e educatori un’esperienza di apprendimento sull’applicazione di tecniche artistiche e performative nell’alfabetizzazione linguistica degli adulti.2

L’esperienza artistica proposta permette di cercare le parole per definire temi importanti e significativi a livello personale attraverso un’esperienza concreta di messa in azione. Diventa così fondamentale nell’apprendimento il ruolo della motivazione: la capacità e la rapidità di apprendimento dipendono anche dal significato e dal valore che ad esso è attributo dal discente. L’inserimento di tecniche e metodologie che permettano al singolo di definirsi ed esprimere se stesso, la propria cultura e i propri vissuti può costituire un importante incentivo all’apprendimento nei percorsi di alfabetizzazione. La metodologia proposta è particolarmente indicata per gruppi di migranti che devono apprendere la lingua del Paese di accoglienza.

Partire dalla terra d’origine, abbandonare gli affetti, la casa, i ritmi di vita, la cucina, gli odori, i paesaggi, i suoni, i riti, le abitudini, le lingue, i linguaggi e i registri comunicativi del proprio Paese natio, così come perdere i punti di riferimento, il riconoscimento sociale, il senso di autonomia assimilato in tutto il percorso di una vita, la propria identità, sono tutti fattori che pongono l’immigrato in una condizione di incertezza. Il delicato equilibrio emotivo, psicologico, familiare, le risorse intellettuali e professionali acquisite e conquistate nel Paese d’origine vengono messi fortemente in crisi e possono portare a situazioni di marginalità e isolamento.

L’inserimento delle tecniche proposte nel workshop nei percorsi di alfabetizzazione linguistica rivolti a queste persone può intervenire in modo significativo su queste difficoltà. La rielaborazione artistica attraverso attività concrete di vissuti ed esperienze personali volte ad attività di comunicazione e condivisione con l’altro permettono una rivalutazione e riscoperta della propria identità e influiscono sulla motivazione e interesse verso l’apprendimento della lingua. Inoltre questo tipo di attività, grazie agli esiti artistici concreti (installazioni, performance ecc.) si rivela anche utile a favorire momenti di comunicazione e incontro con la comunità locale promuovendo il dialogo interculturale e i percorsi di integrazione.

Sebbene le riflessioni sulla glottodidattica teatrale esaminate si concentrino per lo più sull'apprendimento linguistico attraverso la messa in scena di testi teatrali già esistenti, gli aspetti positivi di quella che viene definita una «attività didattica altamente motivante, che coinvolge la figura del discente in maniera olistica puntando allo sviluppo della totalità della sua personalità» (Magnani, 2002) sono quelli che emergono anche nel percorso proposto: il discente realizza un'esperienza concreta che va al di là della semplice comunicazione linguistica scolastica; la sua non è una lingua arida e artefatta, ma è una lingua viva, che veicola significati concreti fortemente allacciati alla realtà circostante; il suo apprendimento sarà un'esperienza cognitiva, emotiva e al tempo stesso pragmatica, divenendo così un'esperienza totale (Magnani, 2002).

Nel caso del percorso proposto dal laboratorio «La danza delle parole», basato sulle tecniche del teatro sociale e sul training linguistico-teatrale, a questi aspetti si aggiungono quelli legati all'esperienza trasformativa del vedere i propri contenuti (aneddoti, storie, emozioni, ricordi, parole, canzoni, improvvisazioni) tradotti in una costruzione drammaturgica efficace, poetica, che riesca a restituire al pubblico e alle partecipanti stesse «il cuore, il motore profondo dell'esperienza» (Rossi Ghiglione, 2005, p. 165).

Verso una drammaturgia dell'esperienza

Come osserva Giulia Innocenti Malini, nell'esperienza del laboratorio teatrale interculturale ognuno porta la sua storia e la storia incarnata e complessa della sua cultura, e «dà vita in forma collettiva all'invenzione del processo e del prodotto culturale, interagendo e rinnovando il proprio dono per la costruzione di un'azione collettiva e partecipata, in cui il piano simbolico interculturale si esprime attraverso la pratica della performance» (Innocenti Malini, 2009).

Fin dai primi incontri di laboratorio, tutto ciò che emerge durante gli esercizi proposti, in termini di relazioni, tematiche, talenti, è considerato come possibile spunto per l'apertura di successive piste drammaturgiche per gli incontri seguenti; in questo modo, nel corso degli anni, da situazioni di partenza simili (un gruppo di donne migranti provenienti da diversi Paesi del mondo che frequentano tutte insieme una scuola di italiano e vengono a contatto con giochi teatrali, esercizi che mettono in gioco la sfera corporea e quella linguistica, parole significative, stimoli narrativi) si sono andati delineando percorsi dotati ciascuno della propria specificità.

Le esperienze condivise dalle partecipanti, come il trauma dell'allontanamento dal proprio paese, la necessità di ambientarsi in una nuova realtà, la quotidianità che le accomuna in quanto studentesse di italiano, il desiderio di vedere soddisfatti i propri bisogni materiali e affettivi, il contatto con la città di Torino, vengono esplorate teatralmente attraverso improvvisazioni ed esercizi e costituiscono ogni anno materiale privilegiato per la costruzione drammaturgica, integrato dai contenuti personali emersi dall'esplorazione linguistica e lessicale.

In fase di costruzione della performance, il montaggio delle diverse scene prende forma con l’intento di dare a ogni donna la possibilità di avere un ruolo, di portare il proprio contributo e sentirsi rappresentata, nel tentativo di «offrire la più efficace forma di rappresentazione possibile rispetto a quanto emerso in termini di intenzione ed espressione» (Rossi Ghiglione, 2005, p. 166). Così ogni dato ed elemento emerso nel lavoro diviene potenziale elemento di costruzione drammaturgica, nella consapevolezza che il lavoro teatrale con attori non professionisti comporta, da parte dei conduttori del processo, la grande responsabilità di tutelare le persone, facendo sì che ognuna trovi nella performance lo spazio che più le si addice, in accordo con le proprie aspirazioni, talenti e personalità.

A livello metodologico si procede lasciando ampio spazio all'emersione durante i primi incontri di laboratorio, che sono orientati alla creazione di un clima di fiducia, in cui ogni partecipante possa sentirsi libera di portare i propri contributi e la propria personalità. Dalle tematiche emerse dagli esercizi proposti si cerca poi di intuire quelle più significative per le partecipanti e di attribuire a ognuna un ruolo che rispecchi e valorizzi non solo i propri contributi, ma anche il proprio ruolo all'interno del gruppo.

Nell'ultima edizione del progetto, per esempio, uno degli spunti iniziali per la costruzione della performance è stato offerto da P. il primo giorno di laboratorio, quando durante un gioco di presentazione ha dichiarato: «Io vorrei un documento per costruire la mia vita». Questo è stato lo spunto sia per lavorare sui desideri e sul modo condizionale «Io vorrei…», sia per riflettere su quali documenti sono importanti: «Permesso di lavoro», «Permesso di soggiorno», ma anche «Permesso di essere me stessa», «Permesso di essere felice» e così via. Sempre nella stessa edizione E., una giovane ragazza proveniente dalla Nigeria, piuttosto chiusa e con grandi difficoltà a esprimersi in italiano, durante un esercizio aveva danzato indossando un tutù e a tutte era sembrato di vederla trasformata, finalmente in grado di esprimersi. La performance è stata aperta da lei nelle vesti di una «fatina-afro» che danzando depositava fogli «magici» sulle sedie di tutte le altre (fogli che sarebbero poi diventati mappe, quaderni, lettere, documenti). Invece S., leader positiva per tutta la durata del workshop, si è poi ritrovata quasi spontaneamente a ricoprire il ruolo di capo-coro anche nella performance, offrendo spesso la prima battuta per i cambi di scena e guidando i movimenti di tutto il gruppo.

Per quanto riguarda la dimensione linguistica, nella costruzione della performance viene messa molta cura nel cercare di dare vita a una dimensione verbale autentica, che corrisponda all'esperienza multiculturale del gruppo e che riesca nell'intento di «ritessere un vocabolario e una sintassi incarnata nell'identità di chi parla» (Rossi Ghiglione, 2005, p. 170). Oltre all'italiano, lingua comune di apprendimento e lingua di appartenenza della cultura in cui tutte le donne sono immerse, vengono valorizzate le lingue madri di ciascuna, che emergono nelle performance perlopiù sotto forma di canti, auguri, saluti, a intrecciare fili tra il passato e il presente e a ribadire il valore delle proprie culture di appartenenza.

Io sono una donna

Mantenendo uno sguardo trasversale sulle quattro edizioni del progetto si evidenziano sviluppi e specificità di una creazione corale, che appare ogni anno come l'irripetibile armonia di un coro polifonico delle differenze (Schininà, 2004). A titolo esemplificativo porremo lo sguardo sulla tematica dell'apprendimento dell'italiano e della frequentazione della scuola dell'associazione Ewivere, che emerge in tutte le performance come esperienza comune a tutte le partecipanti.

È importante sottolineare come il lavoro sulle strutture basilari della lingua (io ho/io sono, io sarò/io avrò, c'è/ci sono, voglio/vorrei, ecc.) corrisponde anche a lavorare sulle strutture basilari dell'identità, permettendo di prendere la parola per parlare di sé, dirsi e riconoscersi non solo nella propria condizione di «straniere», ma anche nell'affermazione dei propri saperi, gusti, bisogni, desideri e volontà.

 

Ecco alcuni esempi:

 

Laura: Buongiorno ragazze.

Tutte: Buongiorno maestra.

Laura: Allora, avete studiato? Vediamo quali sono i verbi più importanti in italiano.

Najat: Essere e avere.

Laura: sentiamoli: il verbo avere.

Tutte: io ho, tu hai, lui ha, noi abbiamo, voi avete, essi hanno.

Laura: bene. e adesso il verbo essere.

Tutte: io sono, tu sei, lui è, noi siamo, voi siete, essi sono.

Milouda: ma avere cosa, essere cosa? cosa abbiamo e cosa siamo?

Raja: io ho un grande cuore.

Edith: io sono Edith.

Saida: io sono calma.

Christiana: io sono una studentessa.

Milouda: io ho una brava mamma.

Juliet: io ho una bellissima borsa.

Bedingue: io ho due amiche incredibili.

Blessing: io sono giovane.

Vanessa: io ho una figlia

Charity: io sono intelligente.

Franca: io sono bellissima.

Tessy: io sono mamma con due figli.

Angela: io sono qua.

Karima: io sono musulmana.

Najat: io ho una famiglia grande.

Claudia: io ho i miei libri.

Ghizlaine: io sono contenta.

Lydia: io sono una donna.

 

Jonela: in Romania c’è una montagna con il castello di Dracula.

Ranja: in Egitto ci sono le piramidi. E il Nilo.

Farah: in Somalia ci sono montagne alte e fiumi.

Abiba: in Eritrea c’è un’isola: Darah.

Peace: in Nigeria ci sono belle spiagge.

Angie: in Rwanda ci sono tantissimi animali. Un leopardo cammina in mezzo alla strada.

Kautar: in Marocco c’è la moschea in mezzo al mare.

Mariama: in Gambia c’è il mare.

Betty: in Etiopia ci sono le oasi e chiese antiche.

 

Soumia(al pubblico): io sono arrivata qui tanti anni fa ma mio figlio parla italiano meglio di me. Io voglio imparare l’italiano per aiutarlo. Per questo adesso anche io vado a scuola. Ci sono tante parole che non capisco, per esempio che cosa è vorrei?...

Francesca: vorrei è un modo condizionale.

Tutte: ah…

Quuen edo: vorrei è quando vuoi una cosa molto importante per la tua vita, per esempio io vorrei una casa però non ho i soldi per comprarla. Hai capito? Questo è vorrei. Hai capito?

Ese: così così…

Milouda: io vorrei aiutare la mia famiglia.

Kate: io vorrei una bella figlia.

Soumia: vorrei un miracolo per sistemare le cose.

Tina: io vorrei un lavoro. L’ho già detto.

Happinness: io vorrei una bella vita.

Ese: adesso ho capito. Io vorrei diventare una donna forte.

 

Kautar: vorrei andare in Marocco e vedere la mia mamma.

Yuet: vorrei trovare un lavoro.

Alima: vorrei aggiustare i denti.

Farah: vorrei studiare e imparare la politica.

Angie: vorrei andare in California.

Mariama: vorrei un bel lavoro.

Eritrea: vorrei che i miei bambini venissero in Italia.

Blessing: vorrei avere soldi e una bella casa.

Rachel: è importante parlare italiano.

Shamia: vorrei che il mio bambino nascesse in salute.

Marnet: vorrei studiare e leggere l’italiano.

Peace: vorrei avere i soldi.

Mesi: vorrei il matrimonio.

Aziza: vorrei la salute per la mia famiglia.

Miriam: vorrei mandare mio padre alla Mecca.

 

Bedingue: questo è il libro più importante. È il libro della nostra storia: c’è il passato e c’è il futuro. Guardate: questa sono io quando sono nata, vedete che c’è una bimba piccola sul tetto? Nel mio villaggio quando nasce un bambino si mette sul tetto.

Vanessa: questa sono io a sette anni e stavo andando alla festa di Natale perché nel mio paese, il Camerun, si fa una bellissima festa di Natale con gli amici e la famiglia.

Karima: questa sono io fra un giorno: ho trovato lavoro. Vedete? Sono infermiera.

Raja: questa sono io tra due mesi: sono in Marocco e vedo mia mamma e le mie sorelle.

Tessy: questa sono io fra un mese: sono mamma di tre bambini.

Riflessioni conclusive

«Maestra, voglio fare ancora teatro!», «Abbiamo imparato a non vergognarci di parlare», «Sai, maestra, a volte davanti allo specchio ripeto le battute dello spettacolo», «Io sono orgogliosa di quello che abbiamo fatto».

Ogni edizione del progetto «La danza delle parole» è stata progettata e ripensata sulla base delle valutazioni condivise, sia in itinere che al termine di ogni laboratorio, tra le insegnanti volontarie dell'associazione Ewivere e le operatrici teatrali. Le insegnanti dell'associazione hanno riportato come significativi effetti del laboratorio quelli di un miglioramento delle comunicazioni tra le allieve e tra allieve e insegnanti, la costruzione di un positivo clima di gruppo, il superamento dei timori nell'esprimersi in italiano e l'accrescimento della volontà di mettersi in gioco a livello personale nella nuova vita in Italia.

Dal punto di vista dello sviluppo della metodologia è interessante notare come quello che è nato come un incontro tra tecniche e modalità diverse (quelle teatrali e quelle dell'apprendimento linguistico) all'interno di un percorso formativo, nel corso degli anni, sia andato affinandosi fino a diventare una metodologia replicabile, dotata di tecniche e modalità specifiche, rivolta a un determinato tipo di discenti. Trattandosi di una metodologia che mette insieme l'apprendimento della lingua e lo sviluppo di abilità espressive e relazionali utili all'inserimento del discente all'interno di una cultura «altra», risulta particolarmente significativa in un momento storico come questo, in cui sempre più si lavora su percorsi di accoglienza e di inserimento socio-culturale in cui l'empowerment personale e la fiducia nelle proprie possibilità possono giocare un ruolo fondamentale nel processo di inclusione sociale.

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Note

1 Dal progetto «La danza delle parole» del 2014.
2 Molto brevemente, il metodo «Alphabets of Tomorrow» affianca alle tecniche proprie del teatro sociale quelle della creazione artistica e produzione di installazioni. Ai partecipanti viene proposta la realizzazione dei propri «alfabeti», veri e propri dizionari, realizzati con materiali semplici o di recupero, in cui trovano posto le parole importanti (in L2) della propria vita, che vengono cercate, rappresentate con segni e immagini, condivise, narrate e messe in scena, individualmente, a coppie, in piccoli gruppi.

DOI: 10.14605/EI1521709


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ISSN 2421-2946. Educazione interculturale.
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