La Dislessia evolutiva in Italia

Giacomo Stella

Negli ultimi vent'anni la dislessia evolutiva è «arrivata» anche in Italia. Oggi tutti ne parlano, non sempre sapendo con certezza a cosa si riferiscono (un disturbo del linguaggio, un disturbo dell'intelligenza, un generico problema di apprendimento?) ma, comunque, non succede più di dover insistere per far inserire l'argomento nel programma di un convegno scientifico, oppure di dover convincere un intero consiglio di classe, preside in testa, che un bambino intelligente può essere dislessico. Nelle scuole e nei convegni scientifici, negli ambulatori e nei centri di riabilitazione il problema viene ormai affrontato come uno dei più frequenti disturbi che possono rendere difficile la crescita di un bambino. Ma «dov'era» la dislessia prima degli anni '80, visto che in Italia nessuno ne parlava? Dato che non si tratta di un virus o di una malattia contagiosa, dobbiamo pensare che anche prima di quegli anni ci fossero molti bambini italiani dislessici, che però non venivano riconosciuti come tali. Due sono i fattori che hanno ritardato il riconoscimento della dislessia anche in Italia: la relativa facilità della nostra ortografia e lo sbilanciamento della psicologia clinica italiana, soprattutto di quella dell'età evolutiva, verso modelli interpretativi di tipo psicodinamico.

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