Vol. 22, n. 1, febbraio 2023

PROSPETTIVE E MODELLI ITALIANI

Insegnare in carcere1

Riflessioni per una formazione mirata ai docenti

Luca Decembrotto2, Luca Ferrari2 e Stefano D’Ambrosio2

Sommario

La scuola in carcere costituisce un’opportunità di crescita umana e professionale, presentando caratteristiche di intervento educativo peculiari. Ai docenti che vi lavorano non è richiesta alcuna formazione specifica, sebbene l’approfondimento del contesto e dei processi in atto al suo interno agevolerebbero la lettura di una complessità che richiederebbe l’opportuno adattamento delle pratiche didattiche. In questo articolo gli autori presentano un’esperienza di formazione finalizzata a questo scopo, strutturata secondo il modello dei Massive Open Online Courses (MOOC). Vengono considerate le fasi della pianificazione e dello sviluppo del corso, nonché le percezioni raccolte dagli studenti e dalle studentesse, al termine del percorso formativo. Tali feedback sono stati analizzati, per strutturare una riflessione che contribuisca a delineare i contenuti necessari a una formazione specifica per la professione docente svolta in contesto di privazione della libertà.

Parole chiave

Carcere, Scuola, Formazione, MOOC, Didattica.

ITALIAN MODELS AND PERSPECTIVES

Teaching in prison

Thoughts for dedicated teacher training

Luca Decembrotto3, Luca Ferrari1 and Stefano D’Ambrosio1

Abstract

School in prison is an opportunity for human and professional growth. Teachers working there are not required to have any specific training, although in-depth study of the context and processes at work within it would facilitate the reading of a complexity that would require the appropriate adaptation of teaching practices. The authors present a continuous training course structured as a Massive Open Online Course (MOOC). The paper illustrates the characteristic of the didactical proposals and the participant’s perception of the quality of the course. Quanti-qualitative data are analysed, in order to structure a reflection that would help outline the content needed for specific training for the teaching profession in prison.

Keywords

Prison, School, Training, MOOC, Didactic.

La necessità di una formazione mirata

L’istruzione e la formazione in carcere sono elementi cardine dell’esperienza detentiva, così come codificata dall’Ordinamento penitenziario (artt. 15, 19, Legge 354/1975). Attraverso l’istruzione si genera un interessante spazio di intersezione tra istituzioni: scuola, enti di formazione professionale, università e carcere si incontrano e si accordano per rendere effettivo il diritto allo studio. Tenendo conto della radicata funzione contenitiva della detenzione, di smistamento, deposito e neutralizzazione dei detenuti (Wacquant, 2002) e nonostante gli elementi problematici, le tensioni e le contraddizioni che questo spazio genera (Vianello e Sbraccia, 2018), l’accesso al diritto allo studio è un’occasione di riscatto e un’opportunità di emancipazione soggettiva (Friso e Decembrotto, 2018). A condizione, però, che lo studio preservi una prospettiva aperta a tutte le direzioni (Migliori, 2007), mantenendo un approccio libero da compromessi con le posizioni correttivo-punitive di cui è ancora intrisa l’istituzione detentiva (Cosman, 1995).

Secondo i dati ufficiali del Ministero della Giustizia, il grado di formazione complessivo dei ristretti in Italia è critica: prendendo in considerazione i dati aggiornati al 31 dicembre 2021, su una popolazione di 54.134 persone, l’1,1% ha una laurea, l’8,3% ha un diploma, l’1,2% ha un diploma di scuola professionale, il 30,8% ha superato l’esame conclusivo del primo ciclo scolastico (licenza media), il 9,4% ha concluso le scuole primarie, il 2,7% è analfabeta o privo di un titolo di studio; del 46,5% non si hanno informazioni riguardanti il grado di istruzione (non rilevato). A fronte di ciò, i corsi attivati — che si suddividono in percorsi di primo livello gestiti dai CPIA (Centri provinciali istruzione adulti) e in percorsi di secondo livello — hanno riguardato circa un terzo del totale della popolazione ristretta. Complessivamente, si sono realizzati 1.655 corsi di alfabetizzazione, di primo e secondo livello che hanno coinvolto 15.224 persone, a cui si aggiungono 370 corsi professionali che hanno coinvolto 3.824 persone (tra primo e secondo semestre 2021) e circa un migliaio di studenti universitari. Molti detenuti rimangono esclusi dal circuito formativo e chi vi entra ha comunque difficoltà a portare a termine il percorso: solo il 48,2% degli studenti è promosso nei percorsi di alfabetizzazione, di primo livello e secondo livello, una percentuale che si abbassa ulteriormente scendendo a 42,0% prendendo in considerazione gli studenti stranieri.

Pertanto, insegnare in carcere significa entrare in un contesto singolare, caratterizzato da vulnerabilità e disagio, che si sommano all’esperienza di privazione della libertà. Un contesto di marginalità e di confine, in cui ogni progetto formativo (di apprendimento degli adulti) deve confrontarsi con limiti, variabili e linguaggi specifici differenti da quelli ordinari, in grado di influenzare tanto le relazioni quanto le prassi didattiche.

La letteratura scientifica restituisce un quadro articolato della valenza della scuola in carcere e della significatività della sua presenza. Questa è definita come «prigioniera» (Lizzola, Brena e Ghidini, 2017) o «incarcerata» (Benelli, 2020), a sottolineare i vincoli imposti dalle dinamiche trattamentali e securitarie, che ne ostacolano il potenziale e concorrono a formulare le sfide con cui essa stessa, e non solo i suoi alunni e le sue alunne, deve confrontarsi. Il diritto allo studio rende tangibile la sfida dell’emancipazione (Benelli, 2012) e offre la possibilità di trasformare la pena in una reale opportunità formativa (Zizioli, 2014; Zizioli e Colla, 2016), modificando un tempo «privo di stimoli», «sottratto alla vita», «di attesa», in un tempo dell’apprendere (Zizioli, 2014). Nonostante ciò, allo stesso modo di altri diritti sociali, anche il diritto allo studio si manifesta come un «diritto fragile», in cui è visibile la distanza tra il valore dichiarato e la sua effettiva disponibilità, rendendo l’esperienza formativa una «opportunità condizionata» (Prina, 2018). Ad esempio, in un momento complicato come quello vissuto durante la pandemia da Covid-19, la scuola in carcere è stata sospesa al pari di altre attività culturali, senza garantire forme di didattica alternativa a livello nazionale, anche quando sperimentate con successo a livello locale (Decembrotto, 2020). Mantenere una prospettiva aperta a tutte le direzioni, si diceva poc’anzi, significa anche ripensare la qualità della formazione (Migliori, 2007), discutendo sugli esiti conseguiti dal progetto di formazione (dimensione valutativa) e sul senso di optare per determinate scelte ritenute qualitativamente preferibili rispetto ad altre nel realizzarlo (dimensione qualitativa delle scelte teorico-metodologiche, dell’intenzionalità del/la docente, ecc.).

Considerando la condizione psicologica e sociale di persone private della libertà e riconoscendo la loro libertà di conseguire, di pensare al proprio futuro, la formazione deve offrire la possibilità di elaborare strategie personali per uscire dalla situazione creata dal reato e dalla pena: nella direzione della comprensione/autocomprensione di eventi e relazioni vissute con la loro carica di conformità/devianza, di innovazione/ribellione, di libertà/condizionamento, oppure nella direzione dell’abbandono del comportamento che è stato all’origine della reazione sociale, o nella direzione della riaffermazione della legittimità di quello stesso comportamento e del diritto delle persone a praticarlo nelle condizioni storicamente definite (Migliori, 2007, p. 98).

Un tale obiettivo necessita l’acquisizione da parte degli studenti di strumenti culturali sempre più affinati, che permettano di riconoscere i propri bisogni e quelli altrui, di prendere decisioni e di attuare azioni, di interpretare e risignificare il mondo, di relazionarsi senza ricorrere a rapporti di potere. Strumenti che diano anche la possibilità di dilatare il campo di esperienza, per dare occasione di potersi confrontare con vissuti di segno diverso da quelli fino a quel momento sperimentati (Bertolini e Caronia, 1993), rendendo possibile l’emergere di un nuovo punto di vista su di sé e sul mondo (Cavana, 2016). Oppure — ponendosi in una prospettiva più radicale, come quella sviluppata da Paulo Freire (2011) e attuata in alcuni contesti sudamericani (Bustelo e Decembrotto, 2020), strutturando percorsi educativi che offrano occasioni per ampliare la propria consapevolezza («coscientizzazione») — strumenti che diano la possibilità di riscoprirsi attraverso la riflessione critica sulla propria esperienza esistenziale, per problematizzare la dialettica oppressori-oppressi che ognuno vive, sviluppando pratiche di liberazione che spezzino la spirale di disumanizzazione legata alla condizione di subalternità e ai rapporti di violenza e che diano la possibilità di diventare sempre più consapevoli di sé, del proprio modo di agire, di pensare e del ruolo attivo giocato nella società (Catarci, 2016).

In questa scuola non è tanto importante ciò che si impara, che pure è importante, ma chi si diventa (Benelli, 2020; Lizzola, 2016). Una scuola capace di lavorare sul contesto, modificandone — nei limiti del possibile — le variabili culturali e le dinamiche relazionali, e con la comunità degli studenti/studentesse, rispondendo ai bisogni educativi e sociali di ognuno/a; uno spazio pubblico in cui realizzare l’integrazione scolastica e l’inclusione sociale necessaria a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona (si veda l’art. 3 della Costituzione), limitando di fatto la sua libertà e l’eguaglianza come cittadini. In uno scenario di questo tipo il ruolo dell’insegnante e la sua preparazione sono decisivi. Egli/ella è un/a «agente di cambiamento» (Zizioli, 2014), capace di introdurre lo/a studente privato/a della libertà a nuove conoscenze individuali e relazionali. È una «figura di confine» (Benelli, 2012), che necessita di competenze relazionali avanzate, in grado di muoversi anche sul piano della «relazione d’aiuto» (Benelli, 2012; Decembrotto, 2015). Al momento, nonostante la sottoscrizione del protocollo d’intesa tra MIUR e Ministero della Giustizia del 23 maggio 2016, non è prevista una formazione introduttiva per gli/le insegnanti con didattica in carcere; le competenze specifiche sono comunemente acquisite tramite l’esperienza diretta e non sempre sono in grado di fornire elementi utili a problematizzare il contesto e le sue dinamiche. Di seguito viene presentata l’esperienza di un corso online progettato dall’Università di Bologna e dal CPIA Metropolitano di Bologna, il cui scopo è quello di evidenziare alcune delle specificità della scuola in carcere. Il corso, rivolto agli insengnanti, è intitolato Liberi di apprendere: fare scuola in carcere ed è stato finanziato dal Ministero dell’Istruzione all’interno del progetto PAMISC4 (art. 3, DM 174/2019).

Una proposta di Massive Open Online Courses

MOOC, acronimo di Massive Open Online Course, è diventato negli ultimi anni, nel contesto europeo e nazionale, uno dei termini più utilizzati in ambito accademico (e non) per prefigurare una «nuova» e promettente frontiera della formazione a distanza (Guerra e Ferrari, 2015). I MOOC sono corsi in cui gli utenti iscritti, secondo un tempo scandito in settimane, hanno la possibilità di approfondire alcuni temi, valorizzando modalità di apprendimento di natura individuale (xMOOC) e/o sociale (cMOOC). Questi corsi possono rientrare, se rispettano determinati requisiti di apertura, all’interno del movimento dell’Open Education che «si basa sulla semplice, ma potente idea che il mondo della conoscenza dovrebbe essere un bene pubblico e quindi il web aperto fornisce una straordinaria opportunità pedagogica al mondo dell’istruzione formale» (Banzato, 2011, p. 61). Al di là delle diverse opportunità offerte da questi corsi, una delle problematiche maggiormente riscontrate in letteratura, è l’elevato tasso di abbandono tra i partecipanti iscritti (Wukman, 2012 in Cheng, 2019; Dalsgaard e Gislev, 2019): il 90-95% degli studenti che si iscrive a un corso online, infatti, non lo porta a termine. Alcune delle ragioni di questo fenomeno di drop-out possono essere rintracciate nei processi e nelle meccaniche di apprendimento autoregolato che vengono spesso ostacolate dalle caratteristiche tecniche e dal design didattico della piattaforma che ospita un corso (Crosslin, 2018). Altri studi, inoltre, mettono in luce «che molti partecipanti si iscrivono a un MOOC per curiosità, altri sono operatori del settore interessati ad acquisire elementi utili alla progettazione ma non a completare il corso, mentre altri ancora seguono tutte le lezioni ma non completano attività e quiz perché non sono interessati alla certificazione» (Nascimbeni, 2020, p. 47).

A partire dallo scenario brevemente descritto, è stato progettato e realizzato il corso online ad accesso gratuito Liberi di apprendere: fare scuola in carcere per gli insegnanti che hanno scelto di operare in questo contesto. Di seguito sono riportate le tappe che ne hanno costituito le diverse fasi dello sviluppo.

In primo luogo, il gruppo di lavoro ha individuato la piattaforma online in grado di ospitare il corso. Considerando le caratteristiche di flessibilità e di accessibilità, tale scelta è ricaduta sulla piattaforma LMS (Learning Management System) open-source Moodle (Zhang, Ghandour e Shestak, 2020). Si è quindi proceduto con la personalizzazione delle grafiche e l’implementazione dell’architettura didattica del corso, organizzando le sequenze didattiche e le meccaniche di fruizione dei contenuti e dell’attività.

In secondo luogo, la progettazione del corso ha previsto il coinvolgimento di diversi professionisti che hanno lavorato sinergicamente nella fase di ideazione e in quella di realizzazione: un eLearning designer (esperto di progettazione didattica di corsi online), un content-creator (esperto di produzione multimediale dei contenuti), un tutor didattico (esperto di Moodle e dei contenuti del corso) e undici docenti che hanno collaborato, con il supporto del content-creator, alla preparazione delle risorse didattiche e alla realizzazione del corso.

In terzo luogo, facendo riferimento alla fase di creazione dei contenuti, ogni docente si è avvalso delle linee guida di progettazione delle risorse didattiche per auto-produrre il materiale del corso. Questa fase è stata, infatti, sviluppata durante il periodo di pandemia (Covid-19), che ha richiesto di minimizzare gli spostamenti e i contatti diretti, incidendo così sulla qualità delle registrazioni e della creazione dei contenuti. Tali effetti imprevisti sono stati contenuti attraverso suggerimenti legati all’allestimento dell’ambiente dedicato alla registrazione dei video, potenziali software da utilizzare per produrre il materiale didattico e, in taluni casi, l’accompagnamento da remoto del content-creator. Nei restanti casi, i docenti hanno registrato autonomamente la lezione attraverso l’uso di un software di screen recording, recordscreen (https://recordscreen.io).

La fase conclusiva di editing, montaggio e di pubblicazione dei video (caricati, in modalità «non in elenco», all’interno del canale YouTube) è stata curata dal content-creator. All’interno del corso sono state considerate le linee guida WCAG3, per creare un ambiente digitale il più inclusivo possibile. I video, per esempio, sono stati caricati sulla piattaforma YouTube abilitando la possibilità di trascrizione automatica (speech to text). Per quanto riguarda la documentazione, i file sono stati trasformati in pagine web leggibili dai comuni programmi di screen reading. I file in formato pdf, invece, sono stati resi accessibili attraverso l’applicativo online PDF Accessibility Validation Engine (PAVE, https://pave-pdf.org).

La struttura didattica

Il MOOC Liberi di apprendere: fare scuola in carcere (http://pamisc.unibo.it) è articolato in 10 moduli, equivalenti a 40 ore di formazione, di cui 14 ore legate alla fruizione delle videolezioni e 26 ore dedicate allo studio individuale e al completamento dei test previsti a conclusione di ogni modulo e al termine del corso. Il corso prevede, inoltre, una sezione di contenuti extra — trasversali a tutti i moduli didattici — in cui sono riportate una serie di testimonianze raccolte dagli esperti esterni coinvolti nel corso. Da un punto di vista della fruizione, a ogni partecipante è stata data la possibilità di personalizzare il proprio percorso di apprendimento, decidendo autonomamente la sequenza dei moduli da frequentare. Il tempo di fruizione non è vincolato a una calendarizzazione stabilita a monte.

All’interno di ogni modulo è presente una nota biografica del docente/formatore, una serie di videolezioni, una bibliografia di riferimento, alcune risorse di approfondimento (nella maggior parte dei casi rilasciate con licenze aperte) e il test di fine modulo (a risposta multipla).

Gli argomenti — riguardanti tematiche generali, didattiche e di approfondimento — sono stati così suddivisi.

  1. L’inquadramento normativo e organizzativo del carcere.
  2. L’amministrazione minorile.
  3. La specificità dell’istruzione in carcere.
  4. Sociologia delle migrazioni e criminalizzazione.
  5. Insegnare italiano come seconda lingua in carcere.
  6. Tecnologie per la didattica inclusiva.
  7. Pedagogia della marginalità e contesti detentivi.
  8. I poli universitari penitenziari.
  9. Il Garante delle persone private della libertà.
  10. La prevenzione del radicalismo religioso in carcere.

Il superamento del test finale consente di ottenere la certificazione (attestato di partecipazione riconosciuto ai fini della formazione in servizio dei docenti) e il rilascio dei crediti formativi.

Il giudizio complessivo del corso: punti di forza e aspetti da migliorare rilevati dai corsisti

In questa sezione del contributo si delineano sinteticamente le caratteristiche dei frequentanti e si riportano alcune opinioni espresse dai corsisti rispetto alla qualità del corso. I dati quanti-qualitativi sono stati raccolti tramite questionario semi strutturato erogato online, reso disponibile nella piattaforma MOOC, il cui accesso è vincolato al completamento del test di fine corso. I dati fanno riferimento all’anno 2021 e rappresentano le percezioni dei partecipanti (251, il 51% degli iscritti) che attualmente (considerando il numero totale di iscritti, 492) ha concluso il percorso formativo.

Dati quantitativi

Considerando i profili professionali di provenienza degli iscritti si nota, in ordine di frequenza, una prevalenza di insegnanti di scuola (402), pedagogisti, educatori e funzionari giuridici pedagogici (25), studenti e tutor universitari (22), psicologi (7), dirigenti scolastici (4), agenti di polizia penitenziaria (5), volontari (4), legali e altre figure come mediatori, formatori enti professionali, amministrativi (23).

Rispetto alla provenienza geografica dei partecipanti il corso è stato frequentato da professionisti che risiedono in 19 regioni italiane su 20 (nessun partecipante proviene dalla Valle d’Aosta). Per evidenti motivi di funzionalità, la regione italiana più rappresentata è l’Emilia-Romagna, seguita dalla Campania, dal Lazio, dall’Abruzzo, dalla Sicilia, dalla Lombardia, dalla Toscana e dalle altre regioni indicate in figura 1.

Se facciamo riferimento al livello di soddisfazione percepito dai partecipanti al termine del percorso formativo (da figura 2 a figura 7), si denota un giudizio complessivo «molto soddisfacente». Tra gli aspetti più apprezzati troviamo, ad esempio, la fruizione della piattaforma, la chiarezza dei contenuti, l’adeguatezza delle videolezioni in rapporto alle finalità di apprendimento e la congruenza dei contenuti rispetto agli obiettivi. I corsisti, invece, considerano come «soddisfacente» l’applicabilità dei contenuti affrontati in relazione ai contesti di intervento.

Figura 1

Regioni di provenienza dei partecipanti.

Figura 2

I livelli percepiti di soddisfazione (2021): applicabilità dei contenuti nei contesti d’intervento.

Figura 3

I livelli percepiti di soddisfazione (2021): adeguatezza delle videolezioni.

Figura 4

I livelli percepiti di soddisfazione (2021): fruizione della piattaforma.

Figura 5

I livelli percepiti di soddisfazione (2021): congruenza dei contenuti.

Figura 6

I livelli percepiti di soddisfazione (2021): chiarezza dei contenuti.

Figura 7

I livelli percepiti di soddisfazione (2021): giudizio complessivo.

Dati qualitativi

Riprendendo i dati qualitativi del questionario, «le voci dei partecipanti», è possibile identificare quelli che, attualmente, sono i principali punti di forza, i suggerimenti e gli aspetti da migliorare del corso Liberi di apprendere.

Considerando gli aspetti positivi del corso, coerentemente con quanto espresso nella parte quantitativa del questionario, i partecipanti rilevano un incremento delle loro conoscenze specialistiche sul tema oggetto del corso. In particolare, riprendendo le parole di alcuni rispondenti:

Il corso ha confermato le aspettative e soprattutto rafforzato le competenze già acquisite nel corso dell’esperienza di insegnamento nel carcere. Confido nella possibilità di fruire di altre iniziative formative dello stesso calibro.

I corsi come questo dovrebbero essere molti di più, perché c’è bisogno di una preparazione più specialistica per chi, come noi docenti, intraprende questo ruolo così particolare e così delicato.

Credo sia un corso da promuovere tra i docenti che intendono intraprendere questo tipo d’insegnamento in una struttura così complessa che è il carcere. Con questo corso ho rafforzato e aumentato le conoscenze dell’ambiente in cui lavoro.

Un altro aspetto che ha funzionato adeguatamente è relativo alla organizzazione delle videolezioni. Organizzazione, evidentemente, che è stata il frutto di un attento e competente design didattico del MOOC che potrebbe essere reso trasferibile, in futuro, su altre tipologie di contenuti e corsi. Riprendendo le voci dei partecipanti:

Ho apprezzato che molti moduli siano stati suddivisi in pochi minuti di lezione (7-8-10 minuti), meno le lezioni più lunghe. Ho apprezzato le lezioni che hanno fornito strumenti pratici, meno le lezioni troppo teoriche.

Non riesco a trovare suggerimenti per migliorare il corso, poiché ho trovato tutti i video interessanti, tanto che vorrò riascoltare tutto anche in futuro. Essendo molto incuriosita dal tema dell’istruzione nelle carceri, non solo questo corso ha soddisfatto le mie curiosità, ma è andato oltre le mie aspettative. Spero possiate organizzare in futuro altri corsi, anche su altri contenuti.

Un’ultima dimensione percepita come un punto di forza del corso è la chiarezza espositiva dei docenti. Su questo punto, secondo le opinioni dei rispondenti:

Il corso si è rivelato veramente interessante e ben strutturato; i docenti preparati e chiari nell’esposizione dei contenuti. Molto soddisfatta.

Insegno da tanti anni in carcere e ho fatto anche esperienza di OPG. Il corso è stato strutturato molto bene spiegando in modo chiaro la realtà del mondo carcerario e degli operatori carcerari. Molto interessante anche la parte legislativa che mi ha permesso di avere tanti chiarimenti.

Approccio all’argomento lineare e spendibile professionalmente.

Riportiamo, a conclusione del paragrafo, quelli che sono emersi come suggerimenti e aspetti da migliorare. Tali indicazioni, fornite dai corsisti, possono essere raggruppate in due grandi categorie: tecnica e didattica.

Da un punto di vista tecnico, l’unica raccomandazione che emerge riguarda la necessità di migliorare la qualità di alcuni file audio e video:

In alcuni video non si sentiva bene l’audio e/o le inquadrature non erano ottimali, così da risultare non favorenti l’ascolto.

Da un punto di vista didattico si rilevano, invece, una serie di indicazioni migliorative che dovrebbero essere considerate per incrementare la qualità complessiva del corso.

In primo luogo, emerge la richiesta di ripensare il formato di erogazione del corso; da un modello totalmente online (l’attuale) a un modello «blended» che sia in grado di alternare momenti di didattica (anche laboratoriale) in presenza e momenti di lavoro a distanza.

Si suggerisce, tra l’altro, la possibilità di collegare il corso a un tirocinio. Come rilevano alcuni rispondenti:

Il corso è impegnativo e completo. Certamente se fosse in presenza sarebbero possibili maggiori approfondimenti e anche riferimenti alle esperienze delle persone a cui il corso è rivolto (non solo insegnanti) […].

Il corso è stato particolarmente interessante e formativo. Un suggerimento: fare un mini tirocinio in carcere per poter capire davvero il contesto carcerario che è difficilmente immaginabile per chi vive in libertà […].

Personalmente non amo questo tipo di corsi. La didattica online a mio avviso risulta efficace se fatta in modo sincrono, diversamente (almeno per me) risulta dispersiva e fine a se stessa.

In secondo luogo, i partecipanti sottolineano la necessità di integrare, nei moduli di insegnamento, alcuni esempi specifici contestualizzabili all’interno della realtà carceraria. Rispetto a questo tema, percepito come «soddisfacente» nella parte quantitativa del questionario, i corsisti evidenziano che:

Le proposte e gli argomenti trattati sono risultati esaustivi e utili per il miglioramento dell’ambiente lavorativo anche se spesso poco attuabili.

Mi aspettavo maggiori riferimenti alla pratica didattica del docente nelle classi degli istituti penitenziari, magari con riferimenti concreti a esperienze di docenti e condivisione di buone pratiche […].

Sarebbe stato interessante che fossero riportate all’interno del corso delle esperienze del «dopo la detenzione» per sottolineare l’importanza della formazione all’interno degli istituti penitenziari.

Infine, un ulteriore aspetto didattico che viene identificato come «da migliorare» è relativo alla creazione dei test (di valutazione sommativa) da parte dei docenti. Molto spesso, infatti, i test a risposta multipla e/o «vero/falso» presenti in piattaforma non hanno consentito ai partecipanti di ricevere un feedback immediato e suggerimenti migliorativi sul loro operato. Come sottolineano alcuni corsisti:

Avrei utilizzato con più profitto le domande a quiz come occasione per ogni utente di imparare […].

Ho trovato difficoltà nei quiz, nonostante gli appunti presi e l’attenzione sono state chieste cose troppo specifiche che potrebbero essere sfuggite anche data la lunghezza e talvolta dei moduli e del corso stesso.

Nell’elaborazione dei quiz non ho capito dove ho sbagliato, andando a rivedere gli appunti ritenevo che la mia risposta fosse giusta. Insomma, mi è sembrato che non andasse mai bene niente. Un po’ penalizzante e frustrante ciò.

L’elemento da considerare nella «revisione didattica» del corso riguarda, in quest’ultimo caso, la possibilità di inserire feedback formativi automatizzati, che potranno essere una risorsa fondamentale per sostenere l’apprendimento dei corsisti. Il feedback, in questa direzione, si configura come una strategia di informazione, quando restituisce informazioni sulla qualità della performance dello studente, e di motivazione, quando fa emergere con chiarezza le possibilità di miglioramento e cambiamento (Ciani et al., 2019, pp. 252-253).

Riflessioni aperte

Liberi di apprendere: fare scuola in carcere si pone in continuità con quanto proposto in precedenza dall’Università di Bologna con il Corso di Alta Formazione Professione docente e carcere: insegnare, apprendere, educare, nell’anno accademico 2010/2011. In quell’occasione si tentò di valorizzare l’esperienza sviluppata dai docenti all’interno degli istituti penali per minorenni, per raggiungere alcuni obiettivi formativi: conoscere e comprendere le questioni e le problematiche del carcere, degli universi di reclusione, della condizione di marginalità vissuta in carcere; acquisire conoscenze sulle competenze relazionali e disciplinari; trasformare i conflitti distruttivi in costruttivi e l’incontro multiculturale in proposta per costruire pace; strutturare il progetto di vita, indicando gli sviluppi formativi necessari; formarsi sulle metodologie relative all’insegnamento/apprendimento; aggiornarsi relativamente alle tecnologie educative e didattiche appropriate nel contesto scolastico del carcere; conoscere le possibilità legislative di intervento sociale e scolastico nei confronti delle persone detenute. Tuttavia, promuovere lo sviluppo inclusivo, la prevenzione e l’integrazione (Canevaro, 2020) in carcere appare tuttora come un obiettivo distante dal tempo presente, anche quando applicato agli spazi dell’apprendimento. Sarebbe necessario un ripensamento delle pratiche didattiche e una loro riprogettazione, anche attraverso il confronto con esperti, con altri docenti e sostenendo l’avvio di tirocini presso esperienze significative, come richiesto da diversi docenti. Cionondimeno, la promozione di una maggiore consapevolezza dei confini istituzionali permetterebbe di affrontare diversamente la questione dei limiti posti alla didattica dalle restrizioni penitenziare, anche in presenza di formali accordi interistituzionali (inattuati). L’accesso alle tecnologie digitali è un esempio di questo problema: pur essendo previsto da una circolare del 2 novembre 2015 del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Possibilità di accesso a Internet da parte dei detenuti), alla scuola e ai suoi studenti non è permesso far uso di tali tecnologie, indipendentemente dagli effettivi rischi di un possibile contatto comunicativo tra interno ed esterno. Obiettivi come l’alfabetizzazione informatica divengono così irrealizzabili, generando frustrazione nei docenti, che li percepiscono come proposte non applicabili, fantascientifiche, utopie. Perfino alcuni diritti vengono considerati tali, attinenti a una realtà ideale priva di concretezza. A questa sfida la Pedagogia risponde attuando la realizzazione dell’utopia attraverso un approccio problematizzante, in grado di programmare la sua fattibilità nel «domani» attraverso la pianificazione di fasi intermedie. In tal senso, il possibile richiede l’acquisizione di competenze progettuali, di competenze critiche rispetto alla comprensione e al cambiamento dei contesti, la dimestichezza con strumenti didattici trasformativi, in grado di non omologarsi. Per un insegnante in carcere ciò si traduce nel non conformarsi al linguaggio penitenziario e non reiterare l’esperienza dei fallimenti scolastici passati facendo ricorso a categorie escludenti, permettendo così di migliorare l’esperienza scolastica, riducendo le barriere all’apprendimento e offrendo pari opportunità di successo a tutte le studentesse e gli studenti.

Bibliografia

Banzato M. (2012), Open Learning. Il caso dei MOOC tra luci e ombre, «Formazione & Insegnamento», n. 3, pp. 11-33.

Benelli C. (2012), Coltivare percorsi formativi. La sfida dell’emancipazione in carcere, Napoli, Liguori.

Benelli C. (2020), La scuola incarcerata, «L’integrazione scolastica e sociale», vol. 19, n. 2, pp. 38-46. DOI: 10.14605/ISS1922005.

Bertolini P. e Caronia L. (1993), Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento, Firenze, La Nuova Italia.

Bustelo C. e Decembrotto L. (2020), La universidad y la comunidad en diálogo: la experiencia de una acción transformadora en una cárcel de Argentina, «Educazione aperta», n. 7, pp. 86-103.

Canevaro A. (2020), Il carcere nel tempo della pandemia, «L’integrazione scolastica e sociale», vol. 19, n. 2, pp. 1-2. DOI: 10.14605/ISS1922005.

Catarci M. (2016), La pedagogia della liberazione di Paulo Freire. Educazione, intercultura e cambiamento sociale, Milano, FrancoAngeli.

Cavana L. (2016), L’impegno nella prassi educativa. Le idee di disadattamento e delinquenza minorile in Piero Bertolini, «Encyclopaideia», vol. 20, n. 45, pp. 53-66.

Cheng X. (2019), Collaborative approach for improving the audiovisual accessibility of Open Education. In 2019 4th International Conference on Humanities Science and Society Development (ICHSSD 2019), Atlantis Press, pp. 540-544. DOI: 10.2991/ichssd-19.2019.109

Ciani A., Ferrari L. e Vannini I. (2019), Progettare e valutare per l’equità e la qualità nella didattica. Aspetti teorici e indicazioni metodologiche, Milano, FrancoAngeli.

Cosman B. (1995), Views from the International Council for adult education. Education in prison. In UNESCO Institute for Education (a cura di), Basic education in prisons, UNESCO, pp. 68-76.

Crosslin M. (2018), Exploring self-regulated learning choices in a customisable learning pathway MOOC, «Australasian Journal of Educational Technology», vol. 34, n. 1, pp. 131-144. DOI: 10.14742/ajet.3758

Dalsgaard C. e Gislev T. (2019), Embracing Dropouts in MOOCs: Exploring Potentials of Invisible Learners, «Journal of Interactive Media in Education», n. 1, p. 3. DOI: 10.5334/jime.498

Decembrotto L. (2015), La relazione d’aiuto come possibile strumento d’ascolto e di sostegno al cambiamento in carcere, «Studium Educationis», vol. 16, pp. 119-129.

Decembrotto L. (2020), L’istruzione degli adulti in carcere durante l’emergenza Covid-19, «Italian Journal of Special Education for Inclusion», vol. 8, n. 2, pp. 278-290. DOI: 10.7346/sipes-02-2020-18

Freire P. (2011), La pedagogia degli oppressi, Torino, Gruppo Abele.

Friso V. e Decembrotto L. (a cura di) (2018), Università e carcere. Il diritto allo studio tra vincoli e progettualità, Milano, Guerini.

Guerra L. e Ferrari L. (2015), MOOC: Migliorare le Opportunità dell’Online Collettivo. In G. Adorni, M. Coccoli, F. Koceva e I. Torre (a cura di), Didamatica 2015 - Studio ergo Lavoro Dalla società della conoscenza alla società delle competenze, Milano, AICA, pp. 1-8.

Lizzola I. (2016), Fare scuola, rendere giustizia. La scuola in carcere: ritrovare persone, ritessere legami, «Formazione, lavoro, persona», vol. 6, n. 17, pp. 131-176.

Lizzola I., Brena S. e Ghidini A. (2017), La scuola prigioniera. L’esperienza scolastica in carcere, Milano, FrancoAngeli.

Migliori S. (2007), Carcere, esclusione sociale, diritto alla formazione, Roma, Carocci Faber.

Nascimbeni F. (2020), Open Education: Oer, mooc e pratiche didattiche aperte verso l’inclusione digitale educativa, Milano, FrancoAngeli.

Prina F. (2018), I Poli universitari penitenziari in Italia. L’impegno delle università per il diritto allo studio dei detenuti. In V. Friso e L. Decembrotto (a cura di), Università e carcere. Il diritto allo studio tra vincoli e progettualità, Milano, Guerini, pp. 87-113.

Vianello F. e Sbraccia A. (2018), I Poli universitari in carcere. Appunti e note critiche a partire dalle esperienze in corso. In V. Friso e L. Decembrotto (a cura di), Università e carcere. Il diritto allo studio tra vincoli e progettualità, Milano, Guerini, pp. 115-137.

Wacquant L. (2002), The Curious Eclipse of Prison Ethnography in the Age of Mass Incarceration, «Ethnography», vol. 3, n. 4, pp. 371-397.

Zhang Y., Ghandour A. e Shestak V. (2020), Using learning analytics to predict students performance in moodle LMS, «International Journal of Emerging Technologies in Learning (iJET)», vol. 15, n. 20, pp. 102-115.

Zizioli E. (2014), Essere di più. Quando il tempo della pena diventa il tempo dell’apprendere, Firenze, Le Lettere.

Zizioli E. e Colla E. (2016), Il diritto di rinascere nel tempo della pena: lo spazio della formazione, «Formazione Lavoro Persona», n. 17, pp. 63-73.


1 Il presente contributo, ideato e condiviso nella sua integralità dai tre autori, è così attribuibile: i paragrafi «La necessità di una formazione mirata» e «Riflessioni aperte» sono di Luca Decembrotto; i paragrafi «Una proposta di Massive Open Online Courses» e «La struttura didattica» sono di Stefano D’Ambrosio; il paragrafo «Il giudizio complessivo del corso: punti di forza e aspetti da migliorare rilevati dai corsisti» è di Luca Ferrari.

2 Università di Bologna.

3 Università di Bologna.

4 Percorsi di Ampliamento dell’Offerta formativa, realizzazione di Misure di Sistema e sviluppo di Competenze per la Scuola in Carcere (PAMISC).

Vol. 22, Issue 1, February 2023

 

Indietro