Vol. 1, n. 2, ottobre 2024

Implicazioni etiche e sfide professionali nell’utilizzo di tecnologie digitali nei servizi sociali

Beatrice Cacopardo1

Sommario

L’articolo esplora le implicazioni etiche e le sfide professionali poste dall’integrazione delle tecnologie digitali nei servizi sociali, con particolare attenzione alla situazione lombarda a partire dalla pandemia da Covid-19. Le tecnologie digitali hanno accelerato una trasformazione nelle modalità di intervento sociale, portando miglioramenti per alcune persone e per i professionisti ma sollevando al contempo dilemmi etici, relativi alla protezione della privacy e al rispetto del principio di giustizia sociale. La ricerca presentata utilizza una metodologia qualitativa, analizzando le esperienze e le percezioni degli assistenti sociali sull’utilizzo di tecnologie digitali tramite interviste semi-strutturate e focus group.

Dallo studio emergono tre temi centrali: (1) le sfide legate alla riservatezza nelle comunicazioni digitali, spesso in contesti domestici che non garantiscono il rispetto della privacy; (2) l’esclusione digitale, che limita l’accesso ai servizi per le fasce più vulnerabili, accentuando le disuguaglianze esistenti; (3) il mantenimento della professionalità online, reso difficile dalla natura degli strumenti digitali. L’articolo suggerisce la necessità di nuove linee guida etiche e di una formazione mirata per gestire consapevolmente l’uso delle ICT, promuovendo un intervento sociale etico e inclusivo. I risultati indicano come l’adozione delle tecnologie digitali richieda una riflessione strutturata sugli standard professionali e la costruzione di una «cultura digitale», essenziale per garantire la qualità e l’equità dei servizi sociali in un’era sempre più digitalizzata.

Parole chiave

Etica digitale, competenze tecnologiche, esclusione digitale, professionalità online, sfide deontologiche.

Ethical Implications and Professional Challenges in the Use of Digital Technologies in Social Services

Beatrice Cacopardo2

Abstract

The article explores the ethical implications and professional challenges posed by the integration of digital technologies in social services, with particular attention to the Lombardy region since the beginning of the COVID-19 pandemic. Digital technologies have accelerated a transformation in social intervention methods, improving services for some individuals and for professionals but raising at the time ethical dilemmas related to privacy protection and adherence to social justice principles. This research uses a qualitative methodology, analyzing the experiences and perceptions of social workers through semi-structured interviews and focus groups.

Three key themes emerge from the study: (1) challenges related to confidentiality in digital communications, often occurring in home environments with limited privacy; (2) digital exclusion, which restricts access to services for the most vulnerable populations, thereby exacerbating existing inequalities; (3) maintaining professionalism online, complicated by the nature of digital tools. The article suggests the need for new ethical guidelines and targeted training to ensure the conscious use of ICT, promoting ethical and inclusive social intervention. The findings indicate that adopting these technologies requires a structured reflection on professional standards and requires the construction of a «digital culture», which is essential to guarantee the quality and equity of social services in an increasingly digitalized era.

Keywords

Digital ethics, technological skills, digital exclusion, online professionalism, edeontological challenges.

Introduzione

Nella società contemporanea, le tecnologie digitali sono diventate parte integrante delle vite di un numero crescente di persone, influenzando un’ampia gamma di attività quotidiane. La rapida evoluzione tecnologica ha profondamente trasformato modalità, abitudini e prassi in ogni ambito: dalla vita privata a quella pubblica, dalle attività lavorative ai servizi destinati ai cittadini. Tale trasformazione (Larsson e Teigland, 2019) ha richiesto un continuo adattamento e una progressiva acquisizione di competenze per l’utilizzo dei nuovi strumenti digitali.

L’emergenza sanitaria causata dalla pandemia da Covid-19 ha ulteriormente accelerato la transizione digitale, spingendo numerosi settori, inclusi i servizi sociali (Mishna et al. 2021), verso un uso intensivo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) per garantire la continuità delle attività. In questo contesto di rapidi cambiamenti, il servizio sociale si trova a confrontarsi con le sfide e le opportunità della «network society» (Baker et al., 2014). Questo richiede lo sviluppo di approcci innovativi che valorizzino i benefici della trasformazione tecnologica, affrontando al contempo le sue implicazioni etiche e operative (Pink et al., 2022).

In questo contesto, il rapido sviluppo tecnologico ha ridefinito le dinamiche di inclusione ed esclusione sociale, trasformando radicalmente le modalità di intervento nei servizi sociali e il rapporto tra i professionisti e le persone che accedono ai servizi (Brennen e Kreiss, 2016; Castells, 2010). La digitalizzazione ha modificato in profondità l’interazione tra i professionisti del lavoro sociale e i beneficiari, e, più in generale, l’organizzazione stessa dei servizi. Con l’avvento della «digital by default society»,3 i servizi pubblici si stanno orientando verso una progettazione sempre più digitale, diventando accessibili in alcuni casi esclusivamente online (Watling e Rogers, 2012). Questa trasformazione, intensificata dalla pandemia da Covid-19, ha costretto gli assistenti sociali ad adottare rapidamente tecnologie digitali per garantire la continuità dei servizi e mantenere il contatto con le persone, nonostante le restrizioni e il distanziamento sociale (Dominelli, 2020; Green e Moran, 2021).

L’adozione su larga scala di pratiche mediate dalla tecnologia ha generato un ampio ventaglio di questioni etiche complesse, in particolare legate alla privacy, alla giustizia sociale e alla professionalità online, oltre a sfide relative alla gestione dei rischi (López Peláez et al., 2020; Reamer, 2013). La ricerca presentata nell’articolo si propone di esplorare tali tematiche nel contesto lombardo, offrendo una prospettiva empirica sulle implicazioni etiche derivanti dalla trasformazione digitale dei servizi sociali.

Sfide etiche nell’adozione delle tecnologie digitali nei servizi sociali

Le riflessioni di Reamer (Reamer, 2013, 2017) e Barsky (2017) sulle implicazioni etiche dell’uso delle tecnologie digitali nei servizi sociali offrono un contributo significativo alla comprensione di questa complessa transizione. Si sottolinea come l’adozione di strumenti tecnologici, seppur indispensabile per affrontare le sfide della contemporaneità, sollevi interrogativi cruciali legati alla privacy, alla riservatezza e alla gestione dei confini professionali (Reamer, 2013). Le piattaforme digitali, infatti, espongono al rischio di violazioni dei dati sensibili e rendono più difficile mantenere una chiara distinzione tra la sfera personale e quella professionale. Allo stesso modo, si evidenzia l’importanza di garantire trasparenza e consenso informato nell’uso di questi strumenti, assicurando che gli utenti siano pienamente consapevoli delle modalità di utilizzo dei loro dati (Barsky, 2017). Si pone inoltre l’accento sulla necessità di affrontare il problema del digital divide, che rischia di escludere le fasce più vulnerabili della popolazione dai servizi sociali, rafforzando le disuguaglianze. L’utilizzo delle ICT ha amplificato le problematiche legate al divario digitale, obbligando anche i beneficiari meno competenti a livello tecnologico a utilizzare strumenti online per accedere ai servizi essenziali (Sanders e Scanlon, 2021).

Inoltre, l’uso dei social network e di altre piattaforme digitali ha introdotto ambiguità nei confini tra la sfera personale e quella professionale, mettendo a rischio i principi etici fondamentali del lavoro sociale, come il rispetto della dignità, la promozione dell’uguaglianza e la riservatezza (Boddy e Dominelli, 2017).

Gli autori (Reamer, 2013, 2015; Barsky, 2017; Steiner, 2021) che hanno affrontato il tema convergono infine sulla necessità di sviluppare linee guida etiche e operative, integrate da percorsi di formazione e supervisione dedicati, che permettano agli assistenti sociali di navigare le complessità etiche connesse alla digitalizzazione. Questi strumenti, se adottati in modo sistematico, consentirebbero di preservare i principi fondamentali della professione, bilanciando innovazione e integrità etica.

Digitalizzazione nei servizi sociali: l’inclusione come sfida etica

Nel discutere le implicazioni etiche connesse all’utilizzo della tecnologia digitale nei servizi sociali, appare necessario intrecciare il tema con i principi che orientano la pratica professionale degli assistenti sociali. Come evidenziato nella Global Definition of Social Work (2014), uno dei valori cardine del social work è la giustizia sociale. Numerose definizioni, sia nazionali che internazionali, sottolineano questo aspetto (Watling e Rogers, 2012): il lavoro sociale non deve rispondere solo alle necessità dei singoli, ma contribuire al benessere dell’intera collettività, riconoscendo che l’accesso alle risorse essenziali per la sopravvivenza e lo sviluppo del potenziale umano dovrebbe essere garantito a tutti come un diritto universale (Sanders e Scanlon, 2021). In linea con questa visione, anche l’accesso a una connessione Internet ad alta velocità può essere visto non semplicemente come una comodità, ma come una necessità, e recentemente, come un diritto umano essenziale. La pandemia ha infatti dimostrato quanto sia cruciale l’accesso alle tecnologie digitali per partecipare alla vita sociale odierna (Sanders e Scanlon, 2021).

Nell’adozione delle tecnologie digitali nella pratica professionale, gli assistenti sociali hanno la responsabilità di promuovere il benessere, la giustizia sociale e l’uguaglianza, oltre a dover preservare l’integrità professionale attraverso una riflessione critica e un comportamento etico. Gli operatori sociali sono chiamati a rispettare i diritti umani e la dignità delle persone, sostenendo il diritto all’autodeterminazione: ciò significa incoraggiare e supportare le scelte degli utenti in merito all’uso delle tecnologie nei servizi, richiedendo il consenso per la raccolta dei dati personali e, quando possibile, informando le persone prima di condividerli (Barsky, 2017; Reamer, 2013). Gli assistenti sociali devono inoltre impiegare la tecnologia in modi che favoriscano la partecipazione attiva delle persone ai processi decisionali, consentendo loro di assumere un ruolo attivo e responsabile nelle decisioni e nelle azioni che influenzano le loro vite.

Inevitabilmente, dunque, le tecnologie digitali sollevano preoccupazioni etiche per gli assistenti sociali nell’assistenza ai cittadini, principalmente a causa dei rischi di esclusione e marginalizzazione che queste possono comportare. L’uso di strumenti tecnologici nei processi di aiuto rischia di ampliare le esperienze di esclusione sociale e povertà delle persone che accedono ai servizi sociali (Parrot e Madoc-Jones, 2008): se l’equità e la giustizia sociale sono principi fondanti del servizio sociale, nell’utilizzo della tecnologia diventa essenziale considerare i concetti di digital divide (Steyaert e Gould, 2009) e digital exclusion (Molala e Makhubele, 2021). Le tecnologie digitali, quindi, se da un lato possono ridurre le divisioni sociali, dall’altro possono anche amplificarle (Warschauer, 2004), generando una «doppia esclusione» per chi si trova dalla parte sbagliata del divario digitale e creando il rischio di una sottoclasse digitale. È perciò necessario riflettere sulla sfida rappresentata dalla connessione tra servizio sociale ed esclusione digitale (Molala & Makhubele, 2021; Steyaert e Gould, 2009), poiché l’esclusione digitale può comportare una crescente emarginazione dalla partecipazione alla società e al mercato del lavoro, rendendo la «disabilità digitale» una nuova categoria di esclusione sociale nel XXI secolo (Watling e Rogers, 2012).

Navigare l’etica digitale: standard e indicazioni per assistenti sociali

La complessità etica dell’uso delle ICT nel lavoro sociale ha portato allo sviluppo di standard etici specifici in diversi Paesi.

La National Association of Social Workers (NASW) negli Stati Uniti ha introdotto già nel 1996 linee guida etiche per l’uso delle tecnologie nel lavoro sociale, aggiornate nel 2005 con gli Standards for Technology and Social Work Practice (NASW, 2005) e successivamente nel 2017. Questi standard offrono indicazioni specifiche per tutelare la privacy, garantire la riservatezza e mantenere la sicurezza delle informazioni digitali, stabilendo un quadro per una pratica professionale sicura ed eticamente responsabile. Tuttavia, con l’evoluzione tecnologica, molti di questi standard risultano oggi datati (Lopez, 2014).

In questo contesto, in cui le ICT rappresentano sia opportunità che rischi, sembra indispensabile mettere a disposizione degli operatori risorse che li aiutino a costruire e mantenere una direzione etica da seguire nell’utilizzo delle tecnologie digitali specialmente per adattarsi all’uso di nuove piattaforme come i social media (Reamer, 2017).

In Italia, l’aggiornamento del Codice Deontologico degli Assistenti Sociali (CNOAS, 2020) ha rappresentato un passo significativo nel riconoscere l’impatto delle tecnologie digitali sulla pratica professionale. Il Codice sottolinea l’importanza di un utilizzo consapevole e responsabile degli strumenti digitali, con particolare riferimento ai social media, ribadendo il dovere dell’assistente sociale di garantire la tutela della privacy, la riservatezza dei dati sensibili e il rispetto della dignità delle persone assistite. Tra i principi sanciti, viene specificato che i professionisti devono evitare comportamenti che possano compromettere la relazione professionale o minare l’immagine dell’assistente sociale, tanto nel contesto digitale quanto in quello fisico.

Tale orientamento è stato ulteriormente rafforzato dalle Linee Guida sull’utilizzo dei social media,4 approvate nel 2023, che forniscono indicazioni pratiche per affrontare le sfide deontologiche legate alla comunicazione online. Queste linee guida enfatizzano la necessità di distinguere nettamente la sfera personale da quella professionale nella presenza digitale dell’assistente sociale, raccomandando cautela nella gestione delle informazioni riservate e nella scelta di strumenti digitali sicuri per interagire con utenti e colleghi.

Nonostante tali progressi, tuttavia, le linee guida italiane restano parziali nel rispondere alla complessità etica e pratica che l’uso delle ICT comporta. Ad esempio, questioni come la predisposizione di setting adeguati per i colloqui online, la gestione di situazioni di emergenza a distanza o l’utilizzo di piattaforme conformi alle normative sulla protezione dei dati (ad esempio il GDPR) richiederebbero indicazioni più dettagliate e operative. Come evidenziato da Lopez Peláez e Kirwan (2023), un approccio sistematico e articolato a livello normativo è indispensabile per garantire che la pratica professionale sia in grado di adattarsi alle trasformazioni digitali in modo eticamente sostenibile.

In linea con questa necessità, Fitch (2012) sottolinea come la mancanza o l’obsolescenza delle linee guida a livello organizzativo rappresenti un ostacolo significativo per l’attuazione di una pratica etica nell’uso delle ICT. Questo richiede un maggiore coinvolgimento delle organizzazioni dei servizi sociali, le quali dovrebbero non solo sostenere la formazione continua degli assistenti sociali sull’uso etico delle tecnologie, ma anche sviluppare policy interne che integrino i principi deontologici con le specificità del contesto digitale.

E-Professionalism: le nuove frontiere della pratica professionali degli assistenti sociali

In stretta connessione con la necessità di orientamenti da parte degli Ordini Professionali, i professionisti rischiano di navigare in un ambiente digitale sempre più complesso senza gli strumenti necessari per agire in maniera responsabile (Lopez Peláez e Kirwan, 2023).

L’adozione delle tecnologie digitali nei servizi sociali richiede che i professionisti sviluppino una competenza specifica per operare in ambienti digitali, definita come e-professionalism (McAuliffe e Nipperess, 2017). Questo concetto implica un duplice impegno: da un lato, rafforzare le competenze etiche necessarie per affrontare le sfide emergenti legate all’uso delle ICT; dall’altro, migliorare l’alfabetizzazione digitale per garantire una pratica professionale sicura ed efficace. Tali competenze non solo contribuiscono a preservare l’integrità della professione e la reputazione personale, ma sono anche indispensabili per prevenire danni potenziali alle persone assistite derivanti da un uso inappropriato delle tecnologie (McAuliffe e Nipperess, 2014; Watling e Rogers, 2012).

Tra le principali sfide per gli assistenti sociali e le organizzazioni si annovera la necessità di valutare i rischi e le opportunità delle tecnologie digitali, garantendo il rispetto degli standard etici e deontologici anche in situazioni che coinvolgono strumenti online (McInroy, 2019). L’utilizzo delle ICT tende infatti a sfumare i confini tra la sfera personale e quella professionale, esponendo i professionisti al rischio di comportamenti inappropriati online. Tra le problematiche più comuni si segnalano le violazioni della privacy, come la gestione impropria di dati sensibili durante comunicazioni digitali o riunioni online; le comunicazioni inadeguate, che possono compromettere la qualità della relazione con l’utenza; la condivisione di contenuti problematici, anche involontaria, che potrebbe ledere l’immagine professionale o violare i principi deontologici.

In questo contesto, è fondamentale che gli assistenti sociali sviluppino una maggiore consapevolezza rispetto alle pratiche digitali: ogni azione online dovrebbe essere attentamente valutata alla luce dei principi etici e delle responsabilità della professione. Come evidenziato da McAuliffe e Nipperess (2017), questa consapevolezza non si limita alla prevenzione dei rischi, ma si estende alla capacità di utilizzare le tecnologie in modo proattivo e responsabile, trasformandole in strumenti per migliorare l’efficacia del lavoro sociale e il benessere delle persone assistite. Tuttavia, il percorso verso una piena integrazione delle competenze digitali nei servizi sociali richiede uno sforzo congiunto delle organizzazioni, chiamate a fornire formazione continua e policy chiare.

Metodologia della ricerca

I risultati presentati nell’articolo fanno parte di un progetto di ricerca più ampio, che si propone di esplorare l’esperienza degli assistenti sociali rispetto all’uso delle ICT a partire dalla pandemia da Covid-19.

La ricerca è stata svolta in Lombardia durante l’emergenza sanitaria che ha colpito l’Italia dal 2020 al 2022, che, in un generale clima di disorientamento, ha modificato notevolmente le pratiche professionali degli assistenti sociali con un’improvvisa implementazione dell’utilizzo di strumenti tecnologici nei servizi.

Nel presente contributo verranno presentati i risultati relativi alla domanda di ricerca sull’etica professionale: quali sono, secondo la prospettiva degli assistenti sociali impegnati sul campo, le implicazioni etiche derivanti dall’utilizzo delle ICT nei servizi sociali? Quali strategie possono essere adottate per affrontare e gestire tali implicazioni in maniera efficace?

La natura esplorativa della ricerca ha portato alla scelta di un metodo qualitativo, finalizzato a raccogliere informazioni nel modo più aperto possibile (Lucidi et al., 2008) e accedere al punto di vista degli assistenti sociali (Corbetta, 1999) in merito all’esperienza diretta con la tecnologia.

La selezione dei partecipanti è stata orientata dall’obiettivo di riprodurre su piccola scala le caratteristiche della popolazione di riferimento, massimizzando al contempo la variabilità (Mishna, 2020). Ciò ha permesso di includere assistenti sociali che lavorano in diverse aree, sia a livello di lavoro individuale (con persone o famiglie) che a livello di lavoro di gruppo o comunitario. Gli operatori intervistati, in totale 29, lavorano in diversi servizi nella regione Lombardia: Servizi per le Dipendenze (N = 5), Ospedale (N = 1), Servizi Famiglia e Minori (N = 6), Servizio Sociale Professionale (N = 5), Centro Psico-Sociale (N = 4), Ente Terzo Settore per grave emarginazione (N = 1), Assistenza domiciliare anziani (N = 1), Servizi di contrasto alla povertà (N = 3 persone), Servizio per le cure palliative (N = 1), Consultorio Familiare (N = 2), UEPE (Ufficio di Esecuzione Penale Esterna) (N = 1).

Si tratta di 26 donne e 3 uomini, dipendenti di enti pubblici (N = 17) o di privato sociale (N = 12), con impieghi full time (N = 25) e solo in minima parte part time (N = 4). La distribuzione di genere (M = 11%; F = 89%) sembra essere rappresentativa delle percentuali di donne e uomini che esercitano la professione di assistente sociale e che sono iscritte all’Ordine Regionale (tabella 1).

Tabella 1

Descrizione partecipanti 1

Genere

Anno di nascita

Servizio

1

F

1983

Servizio per le Dipendenze

2

F

1990

Ospedale

3

F

1993

Servizio Famiglia e Minori

4

F

1985

Servizio per le Dipendenze

5

F

1960

Servizio Sociale Professionale

6

F

1990

Centro Psico-Sociale

7

M

1989

Centro Psico-Sociale

8

F

1988

Servizio Famiglia e Minori

9

F

1974

Servizio per le Dipendenze

10

F

1993

Servizio Sociale Professionale

11

F

1991

Ente Terzo Settore per grave emarginazione

12

F

1990

Servizio Sociale Professionale

13

F

1993

Servizio Famiglia e Minori

14

M

1994

Servizio Famiglia e Minori

15

F

1960

Centro Psico-Sociale

16

F

1992

Assistenza domiciliare anziani

17

F

1992

Centro Psico-Sociale

18

F

1995

Servizio di contrasto alla povertà

19

F

1979

Servizio Sociale Professionale

20

F

1987

Servizio Famiglia e Minori

21

F

1992

Servizio Sociale Professionale

22

M

1985

Servizio per le Dipendenze

23

F

1985

Servizio per le cure palliative

24

F

1994

Servizio di contrasto alla povertà

25

F

1993

Servizio per le Dipendenze

26

F

1988

Consultorio Familiare

27

F

1988

Consultorio Familiare

28

F

1991

UEPE

29

F

1995

Servizio di contrasto alla povertà

Nella prima fase della ricerca, svoltasi nell’estate del 2021, sono state condotte 29 interviste semi-strutturate. Questa fase, di natura esplorativa, ha consentito di analizzare in modo critico le prospettive, le esperienze e le opinioni degli intervistati sull’utilizzo delle ICT nel contesto del servizio sociale. In questa fase il tema dell’etica professionale è stato affrontato insieme ad altre tematiche più ampie, quindi è seguita una fase di approfondimento, anche in considerazione di alcune ulteriori riflessioni di natura etica relative all’uso dei social network emerse durante alcune discussioni informali (off the record) e degne di approfondimento.

Per tale ragione, in seguito all’analisi dei dati emersi dalle interviste, nella seconda fase della ricerca, condotta nel giugno 2022, sono stati realizzati due focus group. L’obiettivo principale di questa fase è stato quello di approfondire le problematiche etiche connesse all’impiego delle ICT, prendendo in esame la crescente complessità e rilevanza della tematica.

Il primo focus group ha coinvolto alcuni partecipanti già intervistati nell’anno precedente. Nello specifico, vi hanno preso parte sei assistenti sociali, selezionati secondo un criterio di composizione mista del gruppo in base al tipo di servizio di appartenenza: N = 2 assistenti sociali operanti in servizi per minori e famiglie, N = 1 assistente sociale di un Centro Psico-Sociale (CPS), N=1 assistente sociale di un servizio per anziani, N =1 assistente sociale del servizio cure palliative di una ASST e N = 1 assistente sociale di un servizio dedicato al reddito di cittadinanza (tabella 2).

Tabella 2

Descrizione partecipanti FG1

Genere

Anno di nascita

Servizio

1

F

1993

Servizio Famiglia e Minori

2

F

1990

Centro Psico-Sociale

3

M

1994

Servizio Famiglia e Minori

4

F

1992

Assistenza domiciliare anziani

5

F

1985

Servizio per le cure palliative

6

F

1995

Servizio di contrasto alla povertà

Il secondo focus group, invece, ha coinvolto quattro membri della Commissione Etico-Deontologica del Consiglio Regionale degli Assistenti Sociali della Lombardia (tabella 3). Questo gruppo è caratterizzato da una significativa eterogeneità nelle esperienze professionali e nei ruoli ricoperti dai partecipanti. In particolare, alcuni componenti esercitano ancora la professione in posizioni apicali, mentre due membri risultano attualmente in pensione.

Tabella 3

Descrizione partecipanti FG2 1

Genere

Anno di nascita

Ruolo

1

F

1969

Responsabile Ufficio di Piano

2

M

1987

Coordinatore Ufficio di Piano

3

M

1952

Pensione

4

F

1959

Pensione

In entrambi i focus group è stata adottata la tecnica delle vignette (Jenkins et al., 2010), con l’obiettivo di esplorare le opinioni degli assistenti sociali attraverso scenari ipotetici. Questa tecnica, utilizzata come strumento di elicitazione, ha permesso di focalizzare l’attenzione su tematiche specifiche e di approfondire aspetti particolari in modo dettagliato (Jenkins, 2006), stimolando una discussione più ampia e approfondita su ciascuna situazione (Bloor e Wood, 2006).

Ai partecipanti sono state presentate due situazioni ipotetiche, che hanno facilitato un dibattito sui temi etici relativi alla relazione di aiuto e all’uso dei social network da parte degli assistenti sociali. La prima vignetta mirava a raccogliere le opinioni degli assistenti sociali circa la possibilità di mantenere una relazione di aiuto online, utilizzando videochiamate su WhatsApp, strumento che durante le interviste era stato ritenuto controverso. La seconda vignetta, invece, si concentrava sull’utilizzo dei social network durante la fase di assessment in tutela minori.

Tutte le interviste e i focus group sono stati registrati previo consenso informato e successivamente trascritti. Le trascrizioni sono state sottoposte a un’analisi tematica (Braun e Clarik, 2006) attraverso il software MAXQDA2021, volta a identificare temi ricorrenti e sotto-temi rilevanti, con l’obiettivo di far emergere le principali questioni etiche relative all’uso delle ICT nel lavoro sociale.

Risultati della ricerca

Il presente paragrafo illustra i principali risultati emersi dall’analisi delle interviste e dei focus group realizzati. L’introduzione delle tecnologie nei servizi sociali ha evidenziato numerose criticità che richiedono un’attenta riflessione per adeguare la pratica professionale alle nuove sfide. Tra i temi centrali si distinguono la tutela della privacy e della riservatezza, l’impatto dell’esclusione digitale e la gestione della professionalità online, con un focus sull’uso appropriato di strumenti digitali come WhatsApp e dei social network.

Riflessione etica tra urgenza e improvvisazione operativa

L’utilizzo di strumenti tecnologici nei servizi sociali porta numerosi interrogativi che attengono alla sfera etica e deontologica.

Tuttavia, durante la fase emergenziale della pandemia la priorità della maggior parte degli assistenti sociali intervistati è stata quella di assicurare i livelli essenziali dei servizi, senza soffermarsi sulle implicazioni «a cascata» che nuove modalità di lavoro online, metodi e prassi avrebbero potuto innescare. Gli intervistati si sono infatti soffermati spesso su racconti legati alla quotidianità dei servizi nel periodo pandemico e la riflessione sui temi legati all’etica e alla deontologia professionale sembra essere stata, nelle concitate fasi dell’emergenza sanitaria, pressoché assente: gli assistenti sociali affermano di non aver avuto tempo di pensare alle questioni etiche connesse all’utilizzo di strumenti tecnologici nel lavoro all’interno dei servizi sociali.

Parlo per me: io non ho neanche avuto il tempo di pensarci. È stata talmente una cosa così frenetica, una necessità che in qualche modo è arrivata che non… non ci ho neanche pensato alle perplessità etiche. (Int. 17)

Francamente, dal punto di vista deontologico, non mi sono forse veramente mai soffermata a pensare se ci potessero essere dei problemi rispetto all’utilizzo di piattaforme. Forse se mi ci mettessi un attimino a pensare con calma probabilmente qualche cosa la tirerei fuori, però così proprio su due piedi non mi vengono in mente dei grossi problemi rilevanti a livello deontologico. (Int. 12)

Molti operatori hanno infatti riferito che, durante i primi mesi della pandemia, l’urgenza di garantire la continuità dei servizi ha oscurato la riflessione etica, spingendo gli assistenti sociali a cercare soluzioni pratiche e immediate senza un quadro normativo o linee guida consolidate. Un intervistato descrive la situazione così:

Siamo stati costretti a improvvisare. L’idea di pensare all’etica dell’uso della tecnologia era secondaria rispetto alla necessità di rispondere ai bisogni immediati. (Int. 6)

Garantire la riservatezza in ambienti digitali

Una delle principali questioni etiche che emerge dalle interviste riguarda la difficoltà di garantire la riservatezza in ambienti digitali, soprattutto per ciò che concerne i colloqui a distanza. La natura stessa delle piattaforme di comunicazione online, spesso non progettate per i servizi sociali, comporta difficoltà nel mantenere la privacy e la sicurezza dei dati. Molti assistenti sociali intervistati hanno espresso preoccupazioni riguardo all’uso di strumenti come WhatsApp o Zoom, che, pur essendo utili in situazioni di emergenza, non garantiscono un controllo totale sulle informazioni sensibili delle persone. Gli assistenti sociali hanno affrontato sfide significative durante i colloqui a distanza: la necessità di prestare attenzione a cosa potessero ascoltare familiari o vicini ha reso difficile mantenere la riservatezza, compromettendo la qualità delle interazioni. Questo contesto ha limitato la capacità degli operatori di discutere liberamente temi sensibili, minando la fiducia e la relazione con le persone.

Lavorando con adolescenti, mi sono reso conto che non riuscivano a esprimersi liberamente da casa, magari perché il genitore era presente nella stanza accanto o non aveva la possibilità di chiudere la porta. Questa situazione limita la nostra capacità di offrire un sostegno veramente efficace. (Int. 15)

C’è poi tutto il tema della privacy. Le persone, avendo nell’altra stanza tutta la famiglia, non si sentivano magari di affrontare alcuni argomenti e alcune volte dicevano «non riesco ad avere la concentrazione perché ho delle interferenze». Magari c’erano bambini che intervenivano, facevano richieste, l’abbiamo sperimentato anche noi. (Int. 23)

Inoltre, la mancanza di ambienti sicuri per la comunicazione ha messo in luce la necessità di sviluppare soluzioni adeguate, che garantiscano privacy e sicurezza, fondamentali nel lavoro sociale. Come sottolinea una delle intervistate:

Durante i colloqui a distanza, ho dovuto fare attenzione a come parlavo e a cosa potevano ascoltare i membri della mia famiglia o i miei vicini di casa. È stato difficile mantenere la privacy lavorando da casa, e non avevamo nemmeno a disposizione strumenti alternativi più sicuri. (Int. 18)

Queste testimonianze evidenziano un aspetto cruciale delle sfide affrontate dagli assistenti sociali: la difficoltà di garantire un setting di comunicazione riservato. Infatti, per molti l’assenza di spazi sicuri non solo incide sulla qualità delle interazioni tra professionisti e utenti, ma limita anche l’efficacia del supporto offerto: l’assenza di condizioni adeguate di privacy, sia per gli operatori sia per le persone, costituisce un ostacolo rilevante alla costruzione di relazioni di fiducia. In un periodo in cui la comunicazione avviene sempre più spesso in ambienti digitali, gli assistenti sociali si sono interrogati su come sviluppare strategie per facilitare dialoghi autentici, in modo da garantire un sostegno veramente efficace.

La cura del setting sembra essere dunque un elemento di fondamentale importanza nell’adozione di tecnologie digitali nella relazione con l’altro: gli assistenti sociali intervistati riconoscono la necessità di sviluppare una maggiore consapevolezza rispetto all’importanza di predisporre uno spazio adeguato, che garantisca per tutte le parti coinvolte nell’incontro a distanza il rispetto della privacy e della riservatezza nelle interazioni online.

Credo che se il luogo per svolgere il lavoro che non è il servizio diventa casa tua, sarebbe utile davvero un proprio studio e una possibilità di ricalcare un po’ un modello come questo, dove, una volta chiusa la porta, ci siamo solo io e te. (FG1 Int. 4)

Inoltre, il colloquio a distanza genera negli operatori un sentimento di «intrusione»: non potendo controllare l’ambiente di incontro, alcuni assistenti sociali mettono in discussione il rapporto professionale con le persone. Alcuni operatori hanno infatti espresso la preoccupazione che le videochiamate possano risultare invasive, compromettendo la qualità della relazione professionale e il rispetto della sfera privata della persona che accede ai servizi. Come affermato da uno degli intervistati, «fare videochiamate era quasi un’intrusione […] ci sembrava che venisse meno quella relazione fondamentale, che è quella della presenza» (Int. 29). Un altro operatore aggiunge che, sebbene la tecnologia accorci le distanze, essa può talvolta andare «un po’ oltre», generando disagio nell’assistente sociale che si trova «a entrare in casa loro con una professionalità e un ruolo che non è un ruolo sempre così gradito» (Int. 23).

Digital divide e pandemia: Sfide per l’inclusione sociale

Il secondo tema che risulta particolarmente evidente dalle interviste è quello dell’esclusione digitale. Non tutte le persone che accedono ai servizi sociali dispongono delle risorse o delle competenze necessarie per accedere alle tecnologie digitali: questo digital divide rischia di escludere fasce di popolazione particolarmente vulnerabili, come anziani, famiglie a basso reddito e persone con disabilità. Molti assistenti sociali hanno segnalato che, durante la pandemia, si sono trovati a gestire situazioni in cui alcune persone non erano in grado di partecipare a incontri online o di accedere ai servizi tramite piattaforme digitali. Un’intervistata spiega:

Sai la nostra è una tipologia di utenza che si arrabatta come può, ci sono difficoltà molteplici. La tecnologia avvicinata a persone così complicate è sempre un po’ un azzardo, secondo me. Perché sono ancora legate al foglio cartaceo che ti portano al servizio […] Quindi la tecnologia forse è un passaggio, un’evoluzione graduale. Probabilmente alcuni si sono trovati dall’oggi al domani a vivere una realtà per loro completamente nuova e sconosciuta. Quindi credo che quello sia un punto d’arrivo, non possa essere per loro scontato. (Int. 11)

Inoltre, l’utilizzo delle tecnologie per la comunicazione a distanza non risulta sempre adeguato, soprattutto quando si tratta di interagire con alcune fasce specifiche della popolazione. Un intervistato (Int. 19) ha evidenziato come, nel caso del lavoro con persone con disabilità, le difficoltà possano essere di diversa natura e in questi contesti, l’uso di strumenti tecnologici come Zoom o altre piattaforme online risulta spesso problematico.

Ad esempio, alcune persone potrebbero non disporre della tecnologia necessaria, non saperla utilizzare o trovarsi in una condizione psichica che rende difficoltoso l’approccio digitale. Sebbene possa offrire vantaggi in termini di accessibilità e rapidità, l’interazione online non rappresenta una soluzione universale applicabile a tutti i gruppi della popolazione.

L’intervistato spiega:

Optiamo per un tipo di colloquio in presenza, piuttosto che Zoom, per tanti motivi, perché è più semplice, perché arrivo più facilmente, perché la persona magari non è neanche dotata dello strumento, non lo sa usare. […] Si intrecciano difficoltà personologica e difficoltà materiali. Per cui capisci che nella mia area non utilizziamo il colloquio da remoto. (Int. 19)

Questa testimonianza evidenzia come la scelta degli strumenti tecnologici debba essere valutata attentamente, tenendo conto delle caratteristiche e dei bisogni specifici dell’utenza. In alcuni casi, l’insistenza nell’adozione di soluzioni digitali potrebbe compromettere la qualità della relazione di aiuto, rendendo necessaria l’adozione di modalità di comunicazione più tradizionali, come il telefono o l’incontro di persona.

Il rischio di esclusione digitale diventa particolarmente rilevante quando si considerano le difficoltà di accesso ai servizi per le persone anziane. Alcuni degli assistenti sociali intervistati hanno riferito che molti anziani, non avendo familiarità con la tecnologia, si sono trovati in difficoltà nell’utilizzo delle piattaforme di videoconferenza o dei servizi online. In alcuni casi, i professionisti hanno dovuto improvvisare soluzioni alternative, come l’assistenza telefonica o visite a domicilio in condizioni di emergenza. Tuttavia, questi approcci non sono sempre stati sufficienti a garantire l’equità di accesso alle prestazioni sociali. Un intervistato descrive la frustrazione di dover escludere alcune persone:

Sai, la videochiamata, soprattutto quando mediata da un familiare, limita l’interazione con l’anziano: diventa uno scambio formale di informazioni essenziali. L’anziano risponde in modo poco reattivo e si limita a fornire le risposte richieste. Al contrario, durante una visita domiciliare, trovandosi nel proprio ambiente, si sente più a suo agio e si apre molto di più, si crea una comunicazione più naturale e approfondita. (Int. 16)

L’accesso alla tecnologia è diventato un criterio per ricevere il servizio, e questo va contro i nostri principi di giustizia e inclusività. Non possiamo ignorare il fatto che il digital divide aumenta le disuguaglianze. (Int. 22)

Anche tra le persone con accesso alla tecnologia, le competenze digitali variano enormemente. Molti assistenti sociali hanno evidenziato che una parte significativa del loro lavoro durante la pandemia è stata dedicata a spiegare ai cittadini come utilizzare i vari strumenti digitali: compito per cui non erano preparati né formati. Questo aspetto ha comportato un carico di lavoro aggiuntivo e, in alcuni casi, ha generato stress e frustrazione negli operatori.

Si intravede però l’ipotesi di promuovere dei percorsi di formazione digitale per le persone seguite dal servizio sociale:

Dunque potrebbe diventare un motivo per istruire queste persone all’utilizzo? E lì intessere un’educazione all’utilizzo di questi strumenti. (FG2 Int. 4)

La professionalità nell’era digitale: rischi e opportunità

La ridefinizione della professionalità nell’ambiente online rappresenta una sfida etica, in quanto obbliga gli assistenti sociali a riconsiderare i valori fondamentali della loro professione — come riservatezza, autodeterminazione, equità e rispetto reciproco — all’interno di un contesto caratterizzato da rischi e ambiguità inediti. Il nucleo di questa sfida risiede nella capacità di adattarsi alle nuove tecnologie, mantenendo al contempo elevati standard professionali e rispettando i principi etici che guidano la pratica.

Gli intervistati hanno sottolineato come, dal loro punto di vista, la professionalità non dipenda solo dallo strumento tecnologico utilizzato, ma dal contesto, dal modo in cui viene gestito e dalla consapevolezza etica del professionista.

La comunicazione online può presentare delle limitazioni in termini di espressività e di empatia, che sono fondamentali nel lavoro sociale. Molti assistenti sociali hanno sottolineato che, nel passaggio alla comunicazione digitale, hanno avvertito una perdita di profondità nella relazione con gli utenti. Alcuni hanno notato che è difficile interpretare il linguaggio del corpo, le espressioni facciali o il tono di voce attraverso uno schermo, e questo può limitare la comprensione delle reali necessità dell’utente. Come osserva una delle intervistate:

Durante un colloquio in presenza, riesco a cogliere i segnali non verbali, che mi aiutano a capire il vero stato d’animo dell’utente. Online, tutto questo va perso, e si rischia di non interpretare correttamente i bisogni della persona. (Int. 26)

Questa mancanza di connessione interpersonale può portare a interventi meno efficaci, sollevando interrogativi sulla qualità del supporto fornito e sulla professionalità dell’operatore.

Rispetto alle riflessioni su una professionalità consona all’etica professionale, la maggior parte degli operatori ha espresso perplessità sull’utilizzo di piattaforme di messaggistica istantanea, come WhatsApp, o dei social media per comunicare con gli utenti dei servizi, ritenendo che questi strumenti, caratterizzati da una natura informale tipica degli scambi personali o amichevoli, possano compromettere la percezione della professionalità e della serietà del ruolo dell’assistente sociale. Un intervistato spiega:

Ricevere un messaggio su WhatsApp a qualsiasi ora del giorno o della notte dà un senso di informalità che può mettere in discussione il nostro ruolo professionale. C’è il rischio che l’utente ci veda più come un amico che come un professionista. (Int. 28)

Inoltre, un aspetto cruciale legato alla professionalità online riguarda la difficoltà di gestire i confini tra vita privata e vita professionale. Questo problema è stato amplificato dal lavoro da remoto durante la pandemia e dall’utilizzo dei social network per scopi lavorativi, che hanno reso più sfumata la distinzione tra la sfera personale e quella professionale. Molti assistenti sociali hanno segnalato situazioni in cui utenti dei servizi inviavano richieste di amicizia sui social media, un comportamento che può generare dilemmi etici e compromettere il rapporto professionale. Da un lato, l’accettazione di tali richieste potrebbe portare a una confusione di ruoli; un intervistato (Int. 24) ha condiviso un esempio significativo:

Mi ricordo che avevo affrontato col mio responsabile questo discorso appena assunta, perché davvero di lì a poco subito un utente mi aveva fatto la richiesta d’amicizia. E lui mi ha detto «fai come vuoi, io li accetto». Ma io non accetto nessuna richiesta di amicizia su Facebook perché non vorrei che scambiassero il rapporto professionale con l’amicizia. Se me lo chiedono, cerco di spiegare che finché siamo legati da un rapporto professionale è meglio se non accetto la richiesta. (Int. 24)

Oppure, osservando la questione dall’altro punto di vista:

Avere l’amicizia di un proprio paziente […] significa conoscere anche delle cose della sua vita che magari non conosceremmo. […] ritengo che non abbiamo il diritto di dover sapere tutto. (Int. 22)

Questa riflessione mette in luce un principio chiave della pratica professionale, secondo cui gli assistenti sociali dovrebbero mantenere una «giusta» distanza professionale.

Questa ambiguità nei confini professionali pone in evidenza la necessità di una riflessione più profonda su come mantenere l’integrità professionale nell’era digitale. Uno degli approcci suggeriti dagli intervistati è quello di mantenere profili separati sui social network, uno per scopi professionali e uno per uso personale. Tuttavia, questa soluzione comporta ulteriori complessità, come la gestione di una doppia identità online e il rischio di confusione tra i diversi ruoli.

Cioè io ritengo che sarebbe la cosa più corretta avere i due profili che sono il profilo personale e il profilo professionale, dove il profilo personale non è identificabile […] Nel profilo professionale ci metterei quello che ritengo opportuno come professionista applicare, promuovere […] ad esempio, credo che l’aspetto più sensibile su quel fronte sia la dimensione politica che come professionisti abbiamo, ma che dobbiamo agire con sapienza. (FG2 Int. 2)

Alcuni operatori propongono invece la creazione di linee guida specifiche per la gestione dei social network, che aiutino a evitare situazioni ambigue e a preservare la professionalità nelle interazioni digitali. Sembra in tal senso fondamentale che tali linee guida siano sviluppate in modo collaborativo e nel rispetto della discrezionalità del singolo professionista, coinvolgendo gli assistenti sociali stessi, affinché riflettano le reali sfide e le opportunità del loro lavoro in un contesto digitale in continua evoluzione.

Mi rendo conto che è tutto affidato a me professionista in quel momento, con magari un confronto di una collega o di un’équipe. Ma si ferma lì. Cioè c’è poco a livello di comunità di professionisti e di direzione che si sta prendendo in termini tecnologici, Ecco… che sta diventando però un tema enorme, vuoi la pandemia, vuoi i tempi che cambiano, vuoi la maggiore digitalizzazione. Tutto quello che vuoi, però, è un tema enorme […] Forse servirebbe qualcosa di più concreto, pur avendo in mente che abbiamo una discrezionalità. (FG1 Int. 6)

Si potrebbero individuare magari delle linee guida affinché non si debba basare tutto sul buon senso dell’operatore. Perché poi, diventa molto labile la questione. L’Ordine ha iniziato appunto nel codice deontologico a parlare un po’ di questi temi, ma ha appena iniziato. (FG1 Int. 4)

In un contesto connotato da incertezza su come sia meglio muoversi, una strategia di fronteggiamento individuata da un intervistato è quella di porsi domande «giuste», nell’ottica di una costruzione condivisa di risposte ai dilemmi etici.

Una strategia per fronteggiare questi dubbi può essere porsi domande giuste, poste nel modo giusto e in una costruzione insieme condivisa di risposte, che non sarà mai all’unanimità. (FG2 Int. 2)

Discussione e conclusioni

Le riflessioni portate dagli assistenti sociali, combinate con un’analisi della letteratura, mostrano chiaramente come l’introduzione delle tecnologie digitali nel lavoro sociale rappresenti un’opportunità senza precedenti, ma anche una fonte di numerose sfide etiche. La pandemia da Covid-19 ha catalizzato l’adozione di strumenti digitali, spingendo i professionisti del settore a ridefinire le proprie pratiche e a esplorare modalità innovative nella relazione d’aiuto. Senza l’emergenza sanitaria, è plausibile che l’uso delle tecnologie sarebbe rimasto limitato (López Peláez e Kirwan, 2023; Pink et al., 2022). Tuttavia, questa transizione, seppur necessaria, è avvenuta in modo repentino e privo di un quadro normativo e formativo consolidato, esponendo gli operatori a numerose difficoltà e incertezze.

Tra i risultati emerge come gli assistenti sociali si siano trovati ad affrontare situazioni «spiazzanti» (Sanfelici et al., 2020) che li hanno costretti a riflettere sull’opportunità dell’uso di strumenti digitali. Una delle questioni più rilevanti emerse dalla ricerca in merito alle implicazioni etiche riguarda il tema della privacy e della riservatezza. Gli strumenti utilizzati durante la pandemia, come WhatsApp e Zoom, pur essendo pratici e accessibili, non garantiscono un adeguato controllo sui dati sensibili. Questo problema, già evidenziato da Reamer (2017), risulta particolarmente critico in situazioni di fragilità, come nei casi di violenza domestica, dove la possibilità di garantire un setting sicuro per gli utenti si scontra con i limiti tecnologici e ambientali. Le testimonianze raccolte hanno messo in luce come l’assenza di strumenti progettati specificamente per i servizi sociali abbia compromesso la qualità delle relazioni professionali, limitando la possibilità di instaurare un rapporto di fiducia e di affrontare temi delicati in modo adeguato.

È pertanto necessario che gli assistenti sociali si interroghino rispetto alla possibilità di garantire il rispetto della privacy e del principio di riservatezza, curando il setting dei colloqui a distanza.

Un altro tema di fondamentale importanza è rappresentato dall’esclusione digitale (Molala e Makhubele, 2021), una questione etica profondamente intrecciata ai principi di equità e giustizia sociale. La pandemia ha amplificato il divario digitale, escludendo molte fasce vulnerabili della popolazione, come anziani (Seifert, 2020), persone con disabilità e famiglie a basso reddito. La tecnologia digitale per alcuni gruppi di persone rappresenta spesso un ostacolo piuttosto che un’opportunità, rendendo necessario il ricorso a modalità più tradizionali, come il telefono o le visite domiciliari. Queste criticità evidenziano non solo la difficoltà di accesso agli strumenti tecnologici, ma anche la carenza di competenze indispensabili per utilizzarli in modo efficace (Taylor-Beswick, 2023).

La difficoltà di garantire, di conseguenza, pari opportunità di accesso ai servizi sociali evidenzia la necessità di sviluppare strategie mirate per ridurre il digital divide, come programmi di alfabetizzazione digitale rivolti sia agli utenti sia agli operatori. Sarebbe opportuno prevedere corsi di alfabetizzazione digitale per le persone che accedono ai servizi sociali, in modo da ridurre le barriere all’accesso e garantire una maggiore inclusività. L’implementazione di tali corsi non solo faciliterebbe l’accesso ai servizi digitali, ma rappresenterebbe anche un passo importante verso una maggiore equità e giustizia sociale.

È indispensabile che le tecnologie digitali siano utilizzate come uno strumento per favorire l’inclusione e ridurre le disuguaglianze anziché amplificarle, e all’assistente sociale spetta quindi il compito di porre attenzione a non perpetrare dinamiche di esclusione digitale. L’emergere di linee guida etiche e operative rappresenta un primo passo in questa direzione, ma è necessario che tali strumenti siano continuamente aggiornati e adattati alle esigenze dei contesti specifici. Gli assistenti sociali dovrebbero promuovere lo sviluppo e l’implementazione di policy tecnologiche che riflettano i valori fondamentali della professione (Reamer, 2017) e garantiscano un equilibrio tra innovazione e integrità etica.

La rapidità con cui è avvenuta la transizione digitale ha messo in evidenza un’altra criticità: la ridefinizione del concetto di professionalità nell’ambiente online. È fondamentale che gli assistenti sociali stabiliscano e mantengano confini chiari in tutte le forme di comunicazione, inclusi i contatti online (McAuliffe e Nipperess, 2017). Tuttavia, molti operatori hanno riportato una perdita di espressività e di empatia nelle interazioni digitali, legata alla difficoltà di cogliere segnali non verbali ed emotivi attraverso uno schermo. Questo aspetto non solo limita la comprensione dei bisogni reali delle persone, ma rischia anche di compromettere la qualità della relazione d’aiuto. Inoltre, strumenti come WhatsApp, caratterizzati da una natura intrinsecamente informale, possono compromettere la percezione del ruolo professionale dell’assistente sociale, creando ambiguità tra la sfera personale e quella lavorativa.

In questo quadro, un ulteriore aspetto critico riguarda la percezione di intrusività legata al lavoro a distanza. Le videochiamate, pur accorciando le distanze fisiche, hanno esposto gli utenti e i professionisti a una sensazione di perdita di intimità, entrando direttamente nella vita personale delle persone. Questa intrusività percepita rappresenta un dilemma etico: se da un lato la tecnologia ha permesso di mantenere i contatti in situazioni emergenziali, dall’altro ha messo in discussione i confini tradizionali della relazione professionale, evidenziando una tensione tra l’efficienza della tecnologia e l’etica della presenza.

Le sfide etiche emerse dalle interviste e dai focus group evidenziano l’urgente necessità di sviluppare linee guida operative e un sistema di formazione mirato. È essenziale che gli assistenti sociali ricevano una preparazione tecnica adeguata (Barsky, 2017; Reamer 2013, 2015) sia da un punto di vista tecnico che metodologico, accompagnata da momenti di supervisione che favoriscano una riflessione critica sulle implicazioni etiche delle nuove modalità operative. La mancanza di un quadro condiviso, evidente nelle riflessioni talvolta frammentarie degli intervistati, sottolinea la necessità di costruire una «cultura della professione» sull’uso delle tecnologie digitali, che promuova l’adozione di pratiche consapevoli e rispettose dei principi deontologici.

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  1. 1 Coordinatrice servizi psicosociali, Marta scs onlus; Dottore di ricerca in Social Work and Personal Social Services.

  2. 2 Coordinatrice servizi psicosociali, Marta scs onlus; Dottore di ricerca in Social Work and Personal Social Services.

  3. 3 In Inghilterra, i servizi pubblici sono sempre più forniti nell’ambito della strategia del governo «digital by default» (e-Government). Questa politica ha reso la tecnologia digitale un’interfaccia indispensabile tra le persone ei servizi pubblici.

  4. 4 Linee guida social media, approvato dal Consiglio Nazionale nella seduta del 8 e 9 settembre 2023 con delibera n. 166.

Vol. 1, Issue 2, October 2024

 

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