Vol. 1, n. 2, ottobre 2024
Voci dal Campo
«Il Protocollo dei Tre Passi»: Scuola e Servizi Sociali verso una migliore tutela dei minori
Un progetto della zona Ovest della città di Brescia
Francesca Megni1 e Alessandra Spreafico2
Sommario
Abstract. L’articolo vuole presentare un progetto sperimentale di collaborazione tra gli operatori del Servizio Sociale della zona Ovest della città di Brescia e quelli scolastici della medesima zona di riferimento: «Il Protocollo dei Tre Passi». A partire da un lavoro comune, attraverso la metodologia della progettazione partecipata, gli operatori delle diverse realtà hanno collaborato a stretto contatto, ciascuna mantenendo la propria competenza e specificità, con l’obiettivo di creare le condizioni per promuovere percorsi dialogici e collaborativi al fine di supportare i minori e le famiglie in difficoltà. Dalle riflessioni condivise coi partecipanti sono emerse forti necessità di una collaborazione e di un supporto e, dai primi risultati scaturiti dall’attivazione del Protocollo, con un buon livello di soddisfazione da parte degli insegnanti coinvolti. L’articolo vuole raccontare il percorso svolto, ad oggi, sottolineando l’importanza e l’impatto sugli insegnanti coinvolti nella progettazione.
Parole chiave
Lavoro sociale, tutela dei minori, scuola, progettazione partecipata, pedagogia sociale.
Voices from practice
The «Three-step Protocol»: School and Social Services towards a better Child protection
A project in the western area of Brescia
Francesca Megni3 and Alessandra Spreafico4
Abstract
The article aims to present an experimental project of collaboration between the operators of the Social Service of the western area of the city of Brescia and those of the schools of the same reference area: «The Protocol of the Three Steps». Starting from a common work, through the methodology of participatory planning, the operators of the different realities collaborated closely, each maintaining its own competence and specificity, with the aim of creating the conditions to promote dialogic and collaborative paths in order to support minors and families in difficulty. From the reflections shared with the participants, a strong need for collaboration and support emerged and the first results resulting from the activation of the Protocol, with a good level of satisfaction on the part of the teachers involved. The article aims to tell the story of the path taken to date, emphasizing the importance and impact on the teachers involved in the design of the project.
Keywords
Social work, Child Protection, School, Participatory planning, Social Pedagogy.
Introduzione
In un contesto sociale sempre più complesso, il lavoro in rete rete tra Scuola, Servizio Sociale e territorio (intendendo con il termine: famiglie, servizi, Enti locali, Enti del Terzo Settore, Enti Privati) si rende sempre più necessario, non solo perché il confronto e la collaborazione sono sempre motivo di crescita, ma anche per potenziare l’offerta educativa e offrire nuove opportunità. Da questa rete, alla quale appartiene la comunità educante, possono nascere interventi, anche sperimentali, finalizzati a rimuovere gli ostacoli, siano essi economici, o socio-culturali, che ostacolano i processi educativi ed uno sviluppo armonioso da parte dei minori (Donati, 1991). Attraverso il lavoro in rete, i diversi attori, ciascuno con le proprie specifiche competenze, possono collaborare per sviluppare progetti efficaci, utili a permettere di migliorare le diverse situazioni di fragilità, supportando e accompagnando i giovani in un percorso, scolastico e di vita, più sereno. La scuola, essendo il luogo in cui i minori trascorrono molto del loro tempo, all’interno di questa rete, ricopre un ruolo fondamentale. Oltre alla trasmissione di conoscenze, essa diventa il luogo dove il minore sviluppa il proprio carattere, coltiva le abilità sociali e riceve supporto emotivo (Vecchiato e Malucelli, 2010). Di fronte a segnali di disagio o situazioni problematiche che coinvolgono gli studenti, per la Scuola è importante poter contare sul supporto dei Servizi Sociali, anche se spesso da parte degli insegnanti tale rapporto viene vissuto con dubbi, paure e preoccupazioni. Nasce quindi l’esigenza di creare ed elaborare percorsi o, come nel nostro caso, dei Protocolli, tra insegnanti e operatori di Servizio Sociale necessari a definire insieme una modalità operativa utile ad affrontare i difficili casi di fragilità, con la finalità anche, non meno importante, di prevenire eventuali segnalazioni, intervenendo tempestivamente. In questo contesto di rete educativa tra scuola-famiglia-territorio e servizi, con l’idea di un mutuo supporto, nasce questo percorso di stretta collaborazione tra servizi e scuola, assieme a tutta la rete territoriale; il «Protocollo dei Tre passi», come strumento di accompagnamento per gli insegnanti che il Sevizio Sociale ha proposto e costruito «per» la scuola, ma anche «con» la scuola, con l’idea che, da una collaborazione e un supporto reciproco si possa lavorare in prevenzione, al fine di evitare che alcune situazioni peggiorino a tal punto da rendere necessario un invio ai servizi su segnalazione o in tribunale. Una proposta di accompagnamento, in quell’ottica di costruzione di una rete educativa che supporti, vicendevolmente, scuola-famiglia-servizi-territorio.
Questo articolo descrive le basi teoriche, la metodologia e i primi risultati del progetto, offrendo una prospettiva critica sui punti di forza e le sfide emerse.
Cosa dice la letteratura scientifica in merito?
Il tema dei rapporti tra il sistema scolastico e i Servizi sociali in Italia si colloca prevalentemente nell’ambito delle politiche sociali, dove si riscontrano protocolli operativi, linee guida e accordi inter-istituzionali. Il comune di Ferrara ha steso delle «Linee guida per i rapporti tra i servizi sociali e le istituzioni scolastiche in presenza di minori che si trovano in situazione di pregiudizio».5 Questi documenti definiscono le modalità di collaborazione tra i vari servizi e specificano le competenze degli attori coinvolti nella gestione di situazioni problematiche riguardanti la tutela dei minori (De Stefani et al., 2011; Montecchi, 2002). L’obiettivo è quello di superare le difficoltà comunicative e operative, promuovendo azioni concrete di supporto. Tuttavia, queste indicazioni operative spesso non sono accompagnate da un’adeguata riflessione teorica che ne definisca il significato e il valore nella cornice più ampia della collaborazione inter-istituzionale.
In pratica, le linee guida attuali suggeriscono come migliorare la cooperazione, ma danno per scontato che vi sia una comprensione condivisa delle motivazioni e degli obiettivi che sottendono questa necessità di collaborazione. Si tratta di un approccio che potrebbe beneficiare di ulteriori approfondimenti teorici e di una maggiore attenzione agli aspetti culturali e relazionali del lavoro inter-istituzionale. La mancanza di un quadro teorico robusto lascia infatti spazio a potenziali fraintendimenti e difficoltà nell’applicazione pratica delle indicazioni operative.
Dal punto di vista della letteratura internazionale, la questione dei rapporti tra scuola e Servizi sociali è stata oggetto di studi in diversi contesti, suggerendo che si tratta di un tema di crescente interesse. Ricerche condotte in vari Paesi, sia europei che extraeuropei, dimostrano che la collaborazione tra questi due settori è cruciale per affrontare efficacemente le problematiche legate alla tutela dei minori (Eriksson et al., 2013; Haj-Yahia e Attar-Schwartz, 2008; Walsh et al., 2008; Taliaffero et al., 2009; Choo et al., 2013; Glad et al., 2013; Hesjedal et al., 2013). Questi studi evidenziano non solo la necessità di protocolli operativi chiari, ma anche di una visione condivisa sugli obiettivi e sui metodi di intervento, che superi le differenze normative e organizzative dei diversi Paesi.
Un aspetto cruciale evidenziato dalla letteratura è la necessità di sviluppare competenze relazionali tra i professionisti della scuola e dei Servizi sociali. La fiducia reciproca, la comunicazione efficace e la comprensione delle rispettive competenze e limitazioni sono elementi essenziali per costruire una cooperazione efficace (Bronstein, 2003). Inoltre, studi come quello di Frost (2005) e Carpenter et al. (2010) suggeriscono che la formazione congiunta tra professionisti di diversi settori può migliorare significativamente la qualità della collaborazione, offrendo spazi di confronto e apprendimento reciproco che aiutano a superare le barriere organizzative e culturali.
Per esempio, il modello di collaborazione tra scuola e Servizi sociali adottato nei Paesi nordici si basa su un approccio olistico, in cui la scuola è vista non solo come un luogo di istruzione, ma anche come un contesto di supporto sociale integrato, capace di identificare tempestivamente situazioni di disagio e intervenire in collaborazione con altri servizi (Hesjedal et al., 2015). Questo modello offre spunti interessanti per ripensare la collaborazione inter-istituzionale anche nel contesto italiano, suggerendo la necessità di un’integrazione più profonda e strutturata tra i diversi attori coinvolti.
Nel contesto italiano, la collaborazione tra scuola e Servizi Sociali è disciplinata da protocolli e accordi inter-istituzionali, ma spesso questi strumenti sono applicati in modo frammentato e non uniforme.
A differenza di modelli olistici, come quelli nordici, l’Italia soffre di una mancanza di coordinamento tra le diverse realtà regionali e locali, nonostante gli sforzi di alcune amministrazioni, come quella bresciana. In questa prospettiva, nell’ambito della formazione congiunta tra professionisti del settore educativo e sociale, il Protocollo dei Tre Passi ha lo scopo di colmare il divario esistente, favorendo non solo l’applicazione pratica delle procedure, ma anche la comprensione reciproca degli scopi e delle funzioni delle diverse figure coinvolte.
L’idea progettuale
Il progetto «Tre passi» è stato realizzato dal Servizio Sociale Ovest del Comune di Brescia insieme alle varie realtà scolastiche della zona Ovest della città, per condividere come migliorare la «comunicazione» e «l’operatività» tra scuola e servizi rispetto ai possibili disagi e difficoltà degli alunni di scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado.
Si è partiti dall’assunto che tra assistenti sociali dei Servizi Sociali e educatori debba essere favorita la formazione di un linguaggio condiviso e di una prospettiva, non solo di «piena e leale collaborazione», ma di vera «co-costruzione» dei singoli percorsi che hanno al centro il benessere e i diritti dei bambini e degli adolescenti. Ciò ha portato ad interrogarsi su quali possano essere le «chiavi di accesso» dai servizi alla scuola (e viceversa) per favorire una presa in carico condivisa delle numerose situazioni di malessere e di pregiudizio.
L’idea nasce nel 2018 dal Servizio Sociale (da ora in poi indicato con SST): si è partiti dall’esigenza di creare un sistema operativo che regolasse il rapporto tra SST e Scuole dei diversi ordini (infanzia, primo grado e secondo grado) presenti sul territorio.
L’esigenza che ha generato il progetto è stata quella di sviluppare un accordo e una modalità di collaborazione tra SST e scuole maggiormente strutturato e uniforme per giungere ad una stretta condivisione della responsabilità sociale a favore delle bimbe/i e/o ragazze/i.
Il SST Ovest ha, così, iniziato a lavorare con le Coordinatrici delle Scuole di infanzia gestite dal Comune di Brescia, poiché emergeva il bisogno di creare spazi di dialogo e confronto tra i due settori uniti da finalità comuni, ma distanti per pratiche operative. Insieme alle coordinatrici delle Scuole comunali si è quindi valutata l’opportunità di iniziare un percorso nella zona Ovest per condividere pensieri, esperienze e necessità reciproche, approfondendo specificità, funzioni e ruoli. I temi maggiormente evidenziati sono stati, da parte delle scuole, l’esigenza di una maggiore conoscenza del ruolo e delle funzioni del Servizio Sociale, una diffusa diffidenza verso il ruolo dell’assistente sociale e la richiesta di approfondire il tema del «pregiudizio» dei minori, acquisendo maggiori strumenti di lettura e di riconoscimento delle diverse situazioni. Sono inoltre emerse la necessità di supportare gli insegnanti nell’individuazione di studenti con problematiche particolari e nel loro eventuale invio alle istituzioni preposte (Servizio di Neuropsichiatria Infantile, Servizio Sociale) e l’esigenza di comprendere il significato della segnalazione e di approfondire la conoscenza delle procedure.
Da parte del Servizio Sociale, invece, sono state evidenziate la necessità di creare un linguaggio comune di dialogo con il comparto docente, l’importanza di condividere gli elementi da rilevare come pregiudizio, di far comprendere i confini operativi legati alla funzione del Servizio Sociale, di superare un atteggiamento di delega da parte della scuola, soprattutto sul tema della segnalazione, e di creare maggiore condivisione progettuale tra i diversi attori coinvolti.
Il lavoro ha richiesto numerosi incontri: la parte più impegnativa è stata creare una condivisione tra professionisti nel dialogo, nel linguaggio, nel significato del processo e nel condividere le esigenze delle parti e definire come conciliarle convinti che il fine era comune: il benessere del minore e l’attenzione alle fragilità della sua famiglia.
Tale lavoro ha poi coinvolto tutte le Scuole dei diversi ordini (infanzia, primo grado e secondo grado) degli Istituti comprensivi zona Ovest e delle Scuole d’infanzia convenzionate.
Presupposto del Protocollo è l’idea che i rapporti tra scuola e servizio debbano essere caratterizzati da reciprocità, celerità, chiarezza e trasparenza, per costituire la base di un rapporto fiduciario; è pertanto importante stabilire delle buone prassi tra i diversi soggetti, facilitando l’esercizio dei rispettivi ruoli rispetto al comune impegno di prevenzione del disagio in età evolutiva.
Il punto di vista degli insegnanti è prezioso per i professionisti del sociale, per i quali è fondamentale avere una visione il più possibile ampia delle problematiche sottese alle manifestazioni di disagio individuali e sociali sempre più complessi di cui si devono occupare. Questo evidenzia l’importanza di qualificare la collaborazione tra scuola e servizi. Il progetto educativo che coinvolge i minori in età evolutiva, infatti, si sviluppa tra una pluralità di attori — la famiglia, la scuola, le varie agenzie sociali» e, in presenza di difficoltà, è di estrema importanza che questi soggetti lavorino insieme e in rete soprattutto quando facciamo riferimento a certe situazioni in cui si intravede un certo «malessere», un «sommerso» che non ha ancora un nome o non si manifesta ancora in modo preciso. Allo stesso modo, i segnali di difficoltà che un operatore sociale coglie in un bambino, devono poter essere discussi con insegnanti e dirigenti scolastici potendo contare su una base comune di informazioni che faciliti un progetto di lavoro condiviso. Infatti, l’attivazione della rete dei servizi favorisce la comunicazione tra la scuola e servizi sociali e sociosanitari dedicati all’infanzia e all’adolescenza e orienta in modo costruttivo il percorso da realizzare superando un atteggiamento di delega.
Le linee operative che proponiamo nel progetto «Tre Passi» sviluppano un metodo di lavoro condiviso: co-costruzione come modalità operativa in cui tutti i soggetti coinvolti nel problema — e quindi insegnanti della classe, operatori dei servizi sociali e sociosanitari, altri eventuali servizi — si ritrovano in una équipe di lavoro per comprendere e condividere la preoccupazione intorno a quella precisa situazione e fare delle ipotesi per affrontarlo; predisporre un piano di interventi connesso al problema individuato; monitorarne la realizzazione e, infine, effettuare le necessarie verifiche degli esiti conseguiti. Si tratta quindi di una modalità di lavoro che va oltre la semplice collaborazione fra scuola e servizi, infatti attraverso la co-costruzione si cerca di darsi un tempo e uno spazio per affrontare e costruire insieme un percorso per giungere alla realizzazione di un progetto comune.
La struttura del Protocollo
Il Protocollo è introdotto da due pagine iniziali, nelle quali vengono spiegati i livelli di collaborazione e vengono date alcune indicazioni prevedendo la compilazione di un modulo per l’avvio della segnalazione.

Il Livello base, che potrebbe essere considerato un livello «0», è il primo dei «passi»; la scuola informa le famiglie circa l’opportunità di recarsi al segretariato sociale. Ovviamente si presuppone che vi sia una situazione chiara e non possibili pregiudizi nei confronti del minore. In questa fase, l’invio ai Servizi è più per una consulenza, un aiuto economico, ecc. Al Segretariato Sociale spetterà accogliere la situazione, comprendere la richiesta e informare o orientare la famiglia al servizio di competenza.

Il primo livello si attiva, invece, di fronte ad una situazione «non chiara». Gli insegnanti chiedono, quindi, seguendo il Protocollo, un incontro per una consulenza con il Servizio Sociale. Qui, insegnante/i e Servizio ragionano insieme in merito al/ai disagio/i rilevato/i. È un incontro di «consulenza anonima», dove l’insegnante esprime i dubbi all’assistente sociale, senza rivelare il nome del bambino. Il Servizio Sociale, in base alle informazioni raccolte, condividerà con gli insegnanti possibili ipotesi di intervento. L’aiuto maggiore che, in questo step l’Assistente Sociale potrà dare all’insegnante, sarà certamente quello di supportarla nella lettura del pregiudizio e di un eventuale disagio. La situazione di disagio incide negativamente nella vita di ognuno di noi, ancora di più in quella di un minore che non sempre è in grado di esprimere verbalmente il suo malessere. Spetta agli adulti di riferimento leggere i possibili segnali di difficoltà che possono variare da: disagi personali a disagi scolastici a disagi socio-familiari. La situazione di grave pregiudizio invece si evince in presenza di una condizione di maltrattamento e/o abuso nei confronti di un minore.6
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce così l’abuso e il maltrattamento nei confronti di minori: «L’abuso o il maltrattamento sull’infanzia è rappresentato da tutte le forme di cattivo trattamento fisico e/o affettivo, abuso sessuale, incuria o trattamento negligente, nonché sfruttamento sessuale o di altro genere, che provocano un danno reale o potenziale alla salute, alla sopravvivenza, allo sviluppo o alla dignità del bambino, nell’ambito di una relazione di responsabilità, fiducia o potere».7
Cirillo (2005) indica due criteri operativi per aiutare l’operatore o, come in questo caso, l’insegnante a decidere se avviare, o meno, un iter di segnalazione: la gravità della condizione del bambino e la negazione del/i genitore/i rispetto al danno inflitto al bambino. Questa modalità dà una risposta chiara e concreta ad una delle maggiori perplessità in merito alla segnalazione, da parte degli insegnanti. L’affiancamento da parte di una persona competente, come può essere l’Assistente Sociale, supporterà e farà comprendere all’insegnante se ci si trova di fronte ad un disagio o ad un pregiudizio e, anche in caso di ulteriore dubbio, come procedere per i passi successivi, al fine di acquisire ulteriori informazioni oppure su come procedere per una segnalazione.
Il Secondo Livello prevede:

In questo caso la scuola può informare le famiglie circa l’opportunità di potersi rivolgere al servizio di prevenzione minori. È importante che gli insegnanti incontrino la famiglia e spieghino loro l’importanza di richiedere un supporto attraverso l’intervento del Servizio Sociale.
È importante sottolineare che la Scuola e il Servizio Sociale, per poter collaborare e predisporre un lavoro in rete, hanno necessità di ottenere dalle famiglie un consenso all’utilizzo dei propri dati e alla condivisione di alcune informazioni. Senza il consenso al contatto con altri professionisti, né la scuola né il servizio sociale, può attivare alcun intervento a supporto della famiglia. Il Codice deontologico degli assistenti sociali (2020) indica chiaramente che: «Il professionista informa coloro con i quali collabora o instaura rapporti di supervisione, o che possono accedere a informazioni riservate, dell’obbligo di riservatezza e del segreto professionale. Richiede il consenso dell’interessato a trasmettere le informazioni che lo riguardano in tutti i casi previsti dalla legge. Nel rapporto con Enti, colleghi e altri professionisti, l’assistente sociale fornisce unicamente dati e informazioni strettamente indispensabili alla definizione dell’intervento. L’assistente sociale, inoltre, acquisisce il consenso della persona alla presenza di tirocinanti e terzi durante l’intervento».8
Ovviamente, anche il corpo docente è tenuto alla riservatezza,9 infatti, l’obbligo del segreto professionale si riferisce a «qualsiasi notizia non aperta alla conoscibilità di chiunque di cui una persona venga a conoscenza per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione od arte». È necessario, perciò, che in questa fase, la scuola ottenga il nulla osta, da parte della famiglia, a un contatto con il Servizio Sociale.
Qualora la famiglia dia il consenso alla condivisione delle informazioni, durante il colloquio scuola-famiglia sarà presente un assistente sociale, al fine di incontrare la famiglia nel contesto scuola, agevolando così un clima di accoglienza e di minore frustrazione, per far capire alle famiglie che scuola e servizi collaboreranno al fine di creare una rete a supporto del minore e della famiglia stessa. La presenza del servizio sociale sarà anche di «supporto» agli insegnanti che sapranno di poter contare sulla collaborazione e sul supporto di un esperto del settore.
Terzo e ultimo livello: la segnalazione con possibili o certe notizie di reato.

Sono situazioni in cui l’insegnante rileva situazioni di violenza, che può essere raccolta sotto forma di testimonianza da parte della vittima (il bambino/ragazzo potrebbe raccontare quanto gli succede sia a livello verbale che attraverso un testo scritto/un tema, ad esempio, o un disegno nel caso di bambini più piccoli), o da una persona vicina alla vittima, che può avere raccolto la confessione dal diretto interessato, oppure, più semplicemente, l’insegnante può rilevare segni evidenti di abuso, che possono variare da quelli fisici, a quelli psichici o comportamentali. Ovviamente, un solo indicatore non è sufficiente, ma si devono ricercare più indicatori e, allo stesso tempo, rilevare l’occasionalità del presunto abuso o la continuità nel tempo. È importante, vista la chiara componente emotiva che può coinvolgere l’insegnante in questo processo di valutazione, che questo cerchi di mantenere una posizione equilibrata che gli permetta di non eccedere nella valutazione, prendendo iniziative affrettate, ma nemmeno di sottovalutare o negare l’accaduto. Inoltre, dovrà evitare di porre domande inquisitorie o fare commenti negativi su chi si sospetta possa aver compiuto il maltrattamento (Montecchi, 2002, p. 50).
Non è necessario che l’insegnante raccolga prove a conferma della sua segnalazione, infatti agli insegnanti e al Dirigente non verrà richiesto di accertare i fatti, questo spetterà alla Magistratura Minorile, ma gli verrà semplicemente richiesto di segnalare l’esistenza di un sospetto sufficientemente fondato. In questo ultimo caso, l’insegnante e/o il Dirigente sono tenuti alla segnalazione, in quanto rivestono la carica di Pubblici Ufficiali.10
La mancata denuncia costituisce reato ai sensi degli artt. 361 o 362 codice penale. Quando è la scuola ad effettuare una denuncia, a differenza dell’invio su base consensuale al Servizio Sociale, l’insegnante e/o il Dirigente Scolastico non avviseranno le persone coinvolte nel reato, né le vittime né gli artefici, soprattutto nel caso in cui si tema un peggioramento della situazione del minore. La Scuola invierà all’Autorità Giudiziaria, con una relazione scritta, le segnalazioni di pregiudizio, maltrattamento e abuso che si manifestano con forti evidenze. Nella segnalazione l’insegnante dovrà fare attenzione a evitare di essere giudicante, di farsi condizionare, ma dovrà cercare di descrivere in modo oggettivo e particolareggiato quanto visto, come e per quante volte. Insomma, una relazione che si focalizzi, come se si potesse «fotografare», sulla situazione del minore. Il terzo e ultimo livello del Protocollo, è paradossalmente il più facile da individuare, ma il più difficile da portare avanti, sebbene sia necessario, oltre che obbligatorio.
Le segnalazioni secondo il protocollo
Ad oggi, il protocollo è nella sua fase di avvio, così per come è stato pensato e, ad oggi, al servizio sociale sono arrivate alcune richieste e/o segnalazioni, così come previste dal Protocollo. In questo paragrafo, a titolo esemplificativo, si effettuerà una sintetica descrizione rispetto a quanto è giunto, ad oggi, al servizio, cercando di valutarne i livelli di appartenenza, indicando la tipologia di problema emerso e, quando possibile, indicare quale sia stata l’azione risolutiva o l’ipotesi che potrebbe essere applicata. Gli esempi e le soluzioni attuate o ipotizzate, sono il risultato di molteplici incontri e colloqui con le Assistenti Sociali della zona Ovest, che hanno permesso la sintesi di seguito riportata.
Livello base
Il livello base, vista la sua natura, prevede da parte della scuola di suggerire alle famiglie di recarsi presso il Segretariato Sociale per avere possibili supporti e aiuti. Quello che è interessante segnalare è che il servizio sociale ha realizzato un cartello informativo, da affiggere nei plessi scolastici, con indicate le modalità d’accesso al servizio: giorni, orari, numero di telefono e indirizzo. L’informativa è stata tradotta in diverse lingue. Spesso, in questo livello, gli insegnanti svolgono il ruolo del «facilitatore», poiché per agevolare la famiglia chiamano direttamente l’assistente sociale dedicata al segretariato sociale per aiutare a prendere l’appuntamento o, in alcuni casi può risultare utile accompagnare direttamente le famiglie ai servizi, soprattutto in quei casi in cui uno o entrambi i genitori, hanno difficoltà con la lingua italiana o non conoscono ancora il territorio.
Primo livello: consulenza anonima
Nelle situazioni in cui è stata effettuata una consulenza anonima, al momento, le modalità utilizzate dalle scuole per contattare il Servizio Sociale sono state due: lo scambio telefonico, oppure l’invio di una email con allegata una scheda di osservazione. Ad oggi sono state numerose le richieste sia di tipo telefonico che attraverso l’email. Nella consulenza telefonica, gli insegnanti (spesso, anche in questo caso, un punto di riferimento sono gli insegnanti referenti di plesso o i coordinatori) hanno chiamato direttamente il servizio per potere avere informazioni precise su alcuni temi di interesse, così da poter dare loro direttamente le informazioni alle famiglie. Molto spesso le domande poste al Servizio Sociale richiedevano informazioni rispetto alle procedure per l’attivazione del Codice Fiscale, o per potere avere un pediatra di base, oppure informazioni rispetto a come e a chi rivolgersi per interventi sanitari (ad esempio in merito ai vaccini, o ad altre a prestazioni specifiche per il bambino/la bambina), o ancora informazioni in merito alle attività extra-scolastiche presenti sul territorio e alle modalità di accesso (spazio compiti, per attività ludico-ricreative, ma anche sportive).
Spesso le insegnanti chiedevano al SST di conoscere quali sono le risorse presenti sul territorio per proporre/orientare le famiglie.
Nella consulenza per email la situazione è stata differente.
Spesso il contenuto delle richieste di consulenza anonima ha riguardato situazioni per le quali si ravvedeva un pregiudizio. Gli insegnanti, nelle mail, hanno raccontato quali erano fattori di preoccupazione osservati per i quali stavano chiedendo un confronto al servizio sociale. Per questa fase è prevista anche la compilazione di una scheda pensata per creare uno spazio di riflessione («spazio di pensiero») rispetto agli elementi che si ritengono importanti da approfondire rispetto alla situazione e facilitare gli insegnanti alla stesura della richiesta. Questo ha permesso, inoltre, di potere iniziare a lavorare su uno strumento comune, con l’obiettivo ulteriore di trovare un approccio, un lessico e un’osservazione collegiale e condivisa. Gli assistenti sociali, in base a quanto scritto dagli insegnanti, hanno ipotizzato possibili percorsi di supporto alla famiglia che sono stati realizzati direttamente dagli insegnanti o attraverso il coinvolgimento degli operatori del Servizio Sociale, o anche dell’équipe multi professionale, per esempio con il contributo della psicologa, della mediatrice linguistico culturale o della psicologa etnoclinica, per consentire un approfondimento e un’analisi della situazione, integrando le diverse letture per giungere a una possibile proposta, la più completa possibile.
Riportiamo alcuni dei casi più significativi giunti al Servizio con il conseguente sostegno agli insegnanti.
- Una madre non si presenta mai a scuola anche quando convocata per i colloqui. Le insegnanti, nonostante il coinvolgimento del mediatore linguistico — culturale, non riescono comunque a incontrare la mamma; le assistenti sociali hanno cercato di comprendere se sul territorio ci fosse una rete famigliare o la comunità di appartenenza della famiglia, al fine di creare un primo aggancio, attraverso il quale convincere la mamma a partecipare agli incontri con gli insegnanti.
- Le educatrici sono preoccupate per lo stato di salute di una bambina che frequenta l’asilo nido. La bambina soffre di importanti allergie, ma non viene curata e nemmeno fatta visitare perché la mamma è in gravi difficoltà economiche. Le educatrici hanno contattato il servizio per sapere cosa fare, in quanto la bambina mostrava segni di aggravamento; i servizi hanno contattato gli ospedali cittadini e concordato direttamente con loro l’accoglienza della mamma e la presa in carico della bambina. La mamma ha così potuto accedere alle cure gratuitamente.
- Le insegnanti hanno rilevato in un bambino, di origine straniera, difficoltà di apprendimento e sospettavano un ritardo nello sviluppo, hanno suggerito ai genitori di rivolgersi al Servizio di Neuropsichiatria Infantile, ma i genitori hanno rifiutato. Il Servizio Sociale ha inviato a scuola un mediatore culturale, al fine di fare comprendere appieno alla famiglia le reali difficoltà del bambino e, allo stesso tempo, informandola degli aiuti e della possibilità di un percorso scolastico più sereno, se il bambino fosse stato tutelato attraverso una certificazione sanitaria o una programmazione personalizzata.
Secondo livello: consulenza su base consensuale
La consulenza su base consensuale richiede la compilazione di una dichiarazione che attesti il parere favorevole, da parte della famiglia, a incontrare il Servizio Sociale, o presso il servizio o presso la scuola.
Le segnalazioni arrivate con richiesta di consulenza su base consensuale, spesso arrivano dopo molteplici tentativi da parte della scuola di creare un dialogo con la famiglia, trovare lo spazio e la disponibilità perché racconti la propria difficoltà. Tale rapporto risulta fondamentale per ottenere il consenso delle famiglie e accettare di ricevere aiuto dal Servizio Sociale.
Capita che, in alcuni casi, sia necessario prendersi del «tempo» prima di richiedere un intervento da parte dei servizi sociali. Si pensi, ad esempio, a quei bambini/ragazzi, in carico alla Neuropsichiatria Infantile, per i quali è stato avviato un approfondimento diagnostico, o una consulenza psicologica, per evidenti peggioramenti nella gestione dell’umore, della rabbia, del comportamento; alcune delle volte pericolosi per sé, ma anche per gli altri. In questi casi, la famiglia giunge alla consapevolezza della necessità di richiedere un intervento del Servizio Sociale, al fine di supportare il figlio/la figlia e intraprendere un percorso psicologico, da rivolgere all’alunna/o e al contesto familiare.
Terzo Livello: notizia di reato
In questo terzo e ultimo livello, in presenza di un reato o di un sospetto, la scuola invia la segnalazione direttamente alle Forze dell’Ordine.
Può accadere che il Servizio Sociale debba intervenire con urgenza a eseguire un allontanamento del/i minori per provvedimento dell’Autorità giudiziaria ed eseguirlo presso gli Istituti scolastici.
In un caso specifico, poiché l’allontanamento è avvenuto in orario scolastico in una classe di scuola secondaria di primo grado, le assistenti sociali hanno condiviso con gli insegnanti e il proprio Dirigente l’importanza incontrare gli alunni all’interno della classe coinvolta, per spiegare il ruolo del Servizio Sociale, la figura dell’assistente sociali e quando e perché vengono realizzati alcuni provvedimenti. Questo ha permesso agli alunni di vivere con maggiore serenità quanto avvenuto alla compagna.
Tra i livelli
A volte, capitano casi non ben incasellabili in un livello o nell’altro.
Ad esempio, le assistenti sociali hanno descritto la situazione di una mamma che si è rivolta alla maestra, raccontando di subire abusi e violenza, anche davanti ai bambini, che frequentavano la scuola dell’infanzia. Dal momento che la scuola si trovava nei pressi della sede dei SST zona Ovest, la maestra ha proposto alla signora di recarsi al servizio sociale insieme a lei. La donna, dopo un lungo colloquio con l’assistente sociale, è stata indirizzata a sporgere denuncia. Tuttavia, siccome la signora non ha sporto denuncia, il SST ha effettuato direttamente una segnalazione per la presa in carico della situazione da parte del Tribunale dei Minori.
Non è, perciò sempre facile suddividere per «livello», come abbiamo visto, né trovare delle modalità risolutive che funzionino sempre e subito. Attraverso una progettualità condivisa tra Servizi, scuola, ma anche territorio, la sua rete sociale e educativa, attraverso una serie di interventi di prevenzione e supporto a favore del minore e della sua famiglia si cerca di intervenire, il prima possibile, per impedire che le situazioni si incancreniscano.
Possiamo quindi interrogarci per comprendere se è cambiata la percezione dei docenti rispetto al SST dopo l’attivazione del Protocollo.
L’opinione degli interessati
Per poter verificare l’andamento del primo anno in cui è attivo il protocollo «Tre passi» è stata raccolta l’opinione degli insegnanti attraverso un questionario e alcune interviste (Spreafico, 2024), avendo cura che fosse rappresentato ogni ordine e grado di scuola. Il lavoro di ricerca non è oggetto della presente pubblicazione, ma può essere utile riportare alcune riflessioni effettuate dai docenti.
Dai questionari e dalle interviste è emersa chiaramente la forte necessità di un protocollo che guidi e accompagni i docenti nella gestione dei casi di fragilità, a partire principalmente dalle situazioni «grigie», non chiare, dove non si è certi su cosa fare e come farlo.
I risultati ottenuti, come la riduzione dei pregiudizi tra insegnanti e assistenti sociali, confermano quanto evidenziato da Hesjedal et al. (2015) sull’importanza della collaborazione interprofessionale per migliorare le pratiche di intervento.
Dall’analisi dei dati raccolti dal questionario è emerso che l’81,6% dei docenti dichiara di avere avuto dei contatti con il Servizio Sociale durante la sua carriera lavorativa, ma solo il 49,3% ritiene che questo scambio sia stato utile. Nelle interviste, però tutti gli insegnanti intervistati hanno dichiarato di sentirsi più tutelati con il protocollo e di avere acquisito una maggiore sicurezza nell’interloquire con il SST.
Inoltre, la quasi totalità degli insegnanti ritiene utile che vengano creati momenti di condivisione e collaborazione tra scuola e servizio sociale, al fine di supportarsi vicendevolmente sui casi di fragilità presenti nelle proprie classi/sezioni.
È significativa una frase che ritorna, con parole diverse, in tutte le interviste, ne riportiamo qui una parte: «Uno dei problemi maggiori che rilevavo nella gestione delle difficoltà era legata ai dubbi rispetto a «quando fare e cosa fare». Il problema di non fare la cosa giusta, soprattutto con i casi più gravi, mi metteva in forte difficoltà. Ecco. Spesso, noi maestre fatichiamo a fare «il passo successivo», perché si hanno tante paure: «cosa succederà al bambino? Come reagirà la famiglia? E se mi denunciano?». Insomma, tante, troppe paure. Ci si sente un po’ abbandonati, non tutelati, confusi, impauriti».
Questo intervento non si discosta da quanto ci dice la letteratura internazionale: la ricerca di Kenny (2001) e quella di Choo e colleghi (2013) in un altro contesto territoriale, testimoniano come gli insegnanti si sentano vulnerabili, impreparati, impauriti, non tutelati, di fronte alla segnalazione di un minore per disagio o abuso.
Con il protocollo, soprattutto con la consulenza in anonimato, tutti gli insegnanti intervistati si sono sentiti più sicuri su come procedere nei confronti del minore o della famiglia in difficoltà.
Il progetto richiede ancora di essere consolidato, ma sta dando davvero dei rimandi positivi.
Riflessioni conclusive
La responsabilità educativa, che coinvolge la comunità educante tutta, deve volgere il suo sguardo verso i fragili, ci ricorda Ricoeur (1995) che «essere responsabili è esserlo per un altro davanti a un terzo», promuovendo un empowerment individuale e creando situazioni e ambienti che possano garantire uno sviluppo e una crescita armoniosi dei minori. Per farlo, occorre che le diverse realtà collaborino tra di loro, ciascuna in base alle proprie competenze, conoscenze e risorse (anche materiali). Non è una collaborazione semplice o immediata, ma occorre che venga costruita nel tempo, che si consolidi, perché ci si possa supportare vicendevolmente, con l’idea di poterlo fare con chi è in difficoltà. Con il lavoro svolto attraverso i questionari e le interviste, si è visto chiaramente come l’esigenza di una collaborazione e di un lavoro congiunto, spesso si scontri con i pregiudizi o con la poca disponibilità a fare «insieme». La collaborazione, nel lavoro svolto attraverso il protocollo dei Tre Passi, tra scuola e SST, in questo, è molto importante, poiché pone l’accento sulla costruzione di relazioni significative e sullo sviluppo di competenze sociali. Nel contesto dei minori fragili, che abbiamo qui trattato, l’approccio collaborativo e la progettazione partecipata si presentano come un’importante risorsa per comprendere e affrontare le sfide legate ai contesti di disagio, fragilità, vulnerabilità. L’attenzione messa alla dimensione partecipativa e collaborativa, favorisce una comunità coesa nella quale i bambini in difficoltà possono trovare sostegno e sviluppare, allo stesso tempo, un senso di appartenenza. Proprio per andare in questa direzione, il Servizio Sociale della Zona Ovest della città, sentendo la necessità di creare una rete sul territorio, che coinvolgesse anzitutto la scuola, vista la sua funzione fondamentale nell’educazione e nella cura dei minori, raccogliendo attraverso una serie di incontri le perplessità e le necessità dei docenti e degli operatori del SST, ha ideato e costruito, insieme a tutti gli attori coinvolti, un Protocollo che potesse supportare i docenti e gli stessi operatori dei Servizi, nel loro iter di segnalazione o nei loro dubbi in merito a situazioni di fragilità, aprendosi a collaborazioni e a delle relazioni meno formali.
Attraverso il Protocollo si sono raggiunti diversi obiettivi, tra i quali quello di diminuire i preconcetti che gli insegnanti hanno nei confronti degli Assistenti Sociali. Dalle interviste appare chiaro come, a partire dall’attivazione del Protocollo, gli insegnanti abbiano modificato la loro visione del Servizio Sociale e di come si sentano maggiormente tutelati in merito all’avvio di una segnalazione. Attraverso la costruzione di relazioni, l’«Uomo» cambia, si trasforma e fonda l’agire educativo, conferendogli caratteristiche di cura e di attenzione per l’altro (Muschitiello, 2019).
La collaborazione tra diversi servizi, con la sua attenzione alla costruzione di relazioni significative e al coinvolgimento attivo di tutte le parti in causa, ha giocato un ruolo chiave nel successo del Protocollo dei Tre Passi. Questa non è solo una teoria accademica, ma una prassi attiva che ha permesso di creare reti di sostegno non solo per i minori, ma anche per le famiglie e gli insegnanti, superando pregiudizi e paure. In questo senso, il Protocollo rappresenta un esempio concreto di come la pedagogia sociale possa tradursi in interventi che promuovono empowerment e resilienza, garantendo il benessere dei minori e contribuendo alla coesione della comunità educante
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1 Responsabile Servizio Sociale Zona Ovest del Comune di Brescia, referente del progetto «Tre Passi».
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2 Insegnante di scuola primaria e pedagogista. Ha steso il lavoro di tesi sul protocollo.
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3 Responsabile Servizio Sociale Zona Ovest del Comune di Brescia, referente del progetto «Tre Passi».
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4 Insegnante di scuola primaria e pedagogista. Ha steso il lavoro di tesi sul protocollo.
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5 https://cismai.it/assets/uploads/2015/02/FERRARA_19.01.200668e4.pdf (consultato il 20/12/2024).
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7 Quaderni di Sanità Pubblica. Violenza e salute nel Mondo. Rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, (2002), p. 86, https://iris.who.int/bitstream/handle/10665/42495/9241545615_ita.pdf?sequence=5 (consultato il 20/12/2024).
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8 https://cnoas.org/wp-content/uploads/2020/03/Il-nuovo-codice-deontologico-dellassistente-sociale.pdf (p. 15, consultato il 20/12/2024).
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9 Art. 622 del c.p., dalla Legge 675/96 sulla privacy e dalla Legge del 3 aprile 2001 n. 119.
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10 Art. 331 c.p.
Vol. 1, Issue 2, October 2024