Vol. 1, n. 1, luglio 2024

I DAMA (Disabled Advanced Medical Assistance) della Lombardia

Uno studio di caso dalla prospettiva della lente dell’impatto familiare (FamILens)

Sara Nanetti1, Matteo Moscatelli2, Fabio Ferrucci3 e Paolo Chiapponi4

Sommario

Il presente studio esamina l’impatto del progetto Disabled Advanced Medical Assistance (DAMA) attraverso la lente dell’impatto familiare (FamILens®), concentrandosi su quattro unità specifiche del territorio lombardo. Utilizzando una metodologia qualitativa basata su focus group con operatori e famiglie, lo studio esplora l’organizzazione e i servizi offerti, e le risposte delle famiglie. I risultati evidenziano le potenzialità del DAMA nel migliorare l’accesso alle cure e nell’attenuare le criticità che si evidenziano nel contesto italiano, sostenendo le relazioni familiari e fornendo un supporto continuo. Tuttavia, emergono anche criticità legate alla frammentazione dei servizi, alle risorse limitate e alla variabilità culturale. Lo studio sottolinea la necessità di una maggiore integrazione e coordinamento tra i servizi per ottimizzare l’efficacia degli interventi.

Parole chiave

Disabilità, DAMA, impatto familiare, coordinamento sanitario, servizi integrati.

DAMA (Disabled Advanced Medical Assistance) in Lombardy

A case study from the perspective of the family impact lens (FamILens)

Sara Nanetti5, Matteo Moscatelli6, Fabio Ferrucci7 and Paolo Chiapponi8

Abstract

This study examines the impact of the Disabled Advanced Medical Assistance (DAMA) project through the lens of Family Impact (FamILens®), focusing on four specific units in the Lombardy region. Using a qualitative methodology based on focus groups with operators and families, the study explores the organization and services offered, and the responses of the families. The results highlight the potential of DAMA to improve access to care and mitigate the challenges evident in the Italian context, supporting family relationships and providing continuous support. However, issues related to service fragmentation, limited resources, and cultural variability also emerge. The study underscores the need for greater integration and coordination among services to optimize the effectiveness of interventions.

Keywords

Disability, DAMA, family impact, health coordination, integrated services.

Introduzione

L’avvio del Progetto Disabled Advanced Medical Assistence (DAMA) risale a quasi 25 anni fa. L’iniziativa — da principio a carattere sperimentale — promossa dall’Azienda Ospedaliera San Paolo di Milano nasce allo scopo di accogliere e curare all’interno della struttura ospedaliera le persone con gravi disabilità intellettive e neuromotorie. All’origine del progetto vi è la consapevolezza della multiformità dei bisogni sociali e sanitari delle persone adulte con disabilità e delle problematiche di varia natura connesse a tali esigenze di cui si fanno carico i caregiver familiari. Si stima che nel prossimo futuro vi sarà un incremento di questi bisogni multidimensionali, in considerazione dei molteplici cambiamenti in atto a livello demografico ed epidemiologico che concorrono ad accrescere l’incidenza delle limitazioni funzionali di varia natura nelle sempre più ampie fasce di popolazione anziana. A partire dal quadro internazionale di riferimento riguardante il diritto alla salute delle persone con disabilità, l ’articolo si propone di indagare le condizioni di salute e l’accesso alle prestazioni sanitarie di questa categoria di soggetti in Italia, fino ad arrivare al caso di studio dei DAMA, che si concentrerà nello specifico su quattro unità presenti nell’Azienda Socio-Sanitaria Territoriale Rodhense, nell’Azienda Socio Sanitaria Territoriale SS. Paolo e Carlo, Mantova e Garda. Attraverso la lente della familiarizzazione dei servizi, verranno esplorati l’organizzazione e i servizi offerti dalle diverse unità e le risposte delle famiglie. Dall’analisi dei focus group condotti con gli operatori delle diverse unità e le famiglie dei pazienti in carico ai Dama emergono le potenzialità del servizio di assistenza medica nel dare risposta alle linee di indirizzo internazionali (UN, 1993) e alle criticità emergenti nello scenario italiano. Inoltre, lo studio di caso, adottando la prospettiva del FamILens® intende osservare il livello di familiarizzazione del servizio e l’attenzione che esso riserva alle relazioni familiari. In questo senso, verrà esaminato se e che tipo di contributo forniscono i DAMA al miglioramento dell’accesso alle cure e ai servizi sanitari per le persone con disabilità e le loro famiglie.

Diritto alla salute e accesso alle cure sanitarie delle persone con disabilità nei principali documenti internazionali

In passato, l’ONU aveva richiamato l’attenzione dei Governi sulla necessità di assicurare un’adeguata assistenza sanitaria alle persone con disabilità in diversi documenti. Nel 1982, il World programme of action concerning disabled persons rilevava l’inadeguatezza dei programmi di assistenza sanitaria e dei servizi rivolti alle persone con disabilità (UN, 1982). Le Standard rules on the equalization of opportunities for persons with disabilities, adottate dall’ONU nel 1993, hanno rimarcato l’importanza dell’assistenza medica, della riabilitazione e del supporto sociale quali precondizioni che garantiscono un’uguale partecipazione alla vita sociale. La rilevanza del progetto risulta ancora più evidente alla luce delle reiterate prese di posizione delle istituzioni internazionali sul diritto alla salute e all’accesso alle cure delle persone con disabilità.

L’art. 25 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (United Nations Convention on the Rights of Persons with Disabilities – UNCRPD) connette il diritto al migliore stato di salute possibile delle persone con disabilità alla garanzia di accesso ai servizi sanitari, rimuovendo le molteplici barriere ancora esistenti: politiche, economiche, fisiche, logistiche, comunicative, culturali, comportamentali, etc. In termini generali, tale obiettivo è presente in diversi documenti internazionali. A partire dal WHO Global Disability Action Plan 2014-2021 (WHO 2015) esso è richiamato anche nella 2030 Agenda for Sustainable Development adottata dall’ONU nel 2015 (UN 2015), nella Strategy on the Rights of Persons with Disabilities (2021-2030) della Commissione Europea (2021) e ribadito nello European Programme of Work 2020-2025. United Action for Better Health (WHO, 2021). Nonostante i progressi, i documenti internazionali contengono reiterate sollecitazioni affinché gli Stati si impegnino maggiormente nel garantire pari condizioni di accesso alle cure e ai servizi sanitari, mostrando come un traguardo pienamente soddisfacente sia ancora lontano.

I documenti richiamati in precedenza condividono la medesima concezione della disabilità, basata sul modello bio-psico-sociale. Tale modello è stato formalizzato nell’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF), pubblicato nel 2001 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e sostanzialmente recepito dalla UNCRPD nel 2006. In base a tale modello, la disabilità non è definita esclusivamente dallo stato di salute di una persona o dalle sue limitazioni, ma anche dagli effetti prodotti dall’interazione con l’ambiente in cui la persona vive.9 L’attenzione si sposta dalle condizioni di salute e/o dalle limitazioni funzionali agli effetti prodotti dalla loro interazione con i fattori ambientali di tipo strutturale, sociale, culturale e personale. Tali effetti possono ostacolare, o addirittura impedire, la partecipazione delle persone alla vita sociale su una base di parità con il resto della popolazione. A tale proposito, il Global Report on Health Equity for Persons with Disabilities (WHO, 2022), distingue le differenze esistenti tra le condizioni di salute delle persone con disabilità e quelle delle persone senza disabilità, rilevabili attraverso gli indicatori di mortalità, morbidità e funzionamento. Com’è noto, le persone con disabilità intellettiva muoiono in età più giovane rispetto al resto della popolazione. Tuttavia, mentre una componente di tali differenze dipende da disuguaglianze riconducibili alle condizioni di salute e/o alla presenza di limitazioni funzionali (inequalities), vi è una ulteriore componente che dipende invece da fattori evitabili (inequities). Fattori che non sono riconducibili alle condizioni di salute/limitazioni funzionali sottostanti. Ad esempio, la deprivazione socioeconomica e lo scarso accesso all’assistenza sanitaria accrescono il rischio di un aggravamento delle limitazioni visive o di una morte prematura (Ehrlich et al., 2021).

Sulla base di una vasta letteratura internazionale, il Global Report on Health Equity for Persons with Disabilities (WHO, 2022) analizza in dettaglio molteplici fattori che ostacolano o impediscono l’accesso ai servizi sanitari alle persone con disabilità e alle loro famiglie, tra i quali: le modalità di erogazione dei servizi, la preparazione del personale sanitario, il sistema di informazione sulla salute, il finanziamento e la leadership dei sistemi sanitari.10

Una delle barriere più diffuse nel sistema sanitario, è «la mancanza di conoscenza, di abilità e di competenze dei professionisti della sanità e dell’assistenza dei bisogni delle persone con disabilità» (WHO, 2022, p. 91). Le difficoltà sono poi acuite dalla scarsa conoscenza delle barriere che impediscono l’accesso ai servizi o la partecipazione agli interventi di promozione della salute e prevenzione delle malattie. Una maggiore presenza di persone con disabilità fra gli operatori sanitari, secondo il Global report, favorirebbe la diffusione del know how necessario ai sistemi sanitari per gestire i percorsi terapeutici e riabilitativi delle persone con disabilità.

Il personale può manifestare credenze, atteggiamenti negativi, stigmatizzanti e talvolta discriminatori nei confronti delle persone con disabilità (WHO, 2022, pp. 92-93). Tale complesso di credenze e atteggiamenti è sintetizzato dal concetto di «abilismo».11 In ambito sanitario, l’abilismo può assumere molteplici forme. Si passa dal rifiuto dei servizi al considerare le persone con disabilità incapaci di prendere decisioni sulle proprie cure o assistenza per giungere alla conclamata mancanza di rispetto e di discriminazione.

Il grado di copertura dei bisogni delle persone con disabilità e delle loro famiglie dipende dalle risorse destinate al sistema sanitario. Finanziamenti inadeguati non garantiscono, ad esempio, la copertura dei servizi di riabilitazione (WHO, 2022, pp. 96-97).

Le persone con disabilità sono penalizzate nell’accesso ai servizi di base e a quelli specialistici come, ad esempio, le tecnologie assistive. Tali disparità sono accentuate da fattori geografici e socioeconomici. La concentrazione dei servizi sanitari nelle aree urbane va a scapito delle persone che abitano nelle aree rurali o periferiche. Anche le opportunità offerte dalla telemedicina e dai servizi sanitari digitali rischiano di essere vanificate se risultano inaccessibili alle persone con disabilità per ragioni economiche oppure a causa del digital divide (WHO, 2022, pp. 98-99).

Una volta raggiunte le strutture che erogano i servizi sanitari, le persone con disabilità incontrano ulteriori ostacoli. L’elenco delle barriere fisiche e ambientali è molto articolato e include l’assenza o la carenza di parcheggi dedicati, delle rampe o ascensori, di arredamenti, strumentazioni e device adeguati a condurre le visite mediche. Spesso la comunicazione tra il personale sanitario non avviene con modalità accessibili e le strutture sanitarie sono prive di servizi di interpretariato in grado di supportare i consulti delle persone con disabilità sensoriali (ad es. l’interprete della lingua dei segni) con un livello di professionalità adeguato a gestire informazioni sensibili e dalla cui corretta comprensione dipende la salute delle persone coinvolte (WHO, 2022, pp. 100-101).

Un ulteriore fattore di criticità dei sistemi sanitari può manifestarsi nell’assenza di una chiara responsabilità nel coordinamento di tutti quegli ambiti di intervento che sono rilevanti per la salute delle persone con disabilità. L’assenza di coordinamento degli interventi contribuisce a generare degli effetti iniqui per la loro salute. Ciò si può verificare anche a livelli istituzionali più circoscritti oppure all’interno della singola struttura sanitaria. Il Global report rileva la carenza di dati riguardanti la condizione di disabilità, in assenza dei quali è assai difficile sapere «perché gli outcome sanitari delle persone con disabilità sono più scarsi di quelli della popolazione generale» (WHO, 2022, p. 96).

Condizioni di salute e accesso alle prestazioni sanitarie delle persone con limitazioni funzionali in Italia

Le principali fonti per conoscere le condizioni di salute delle persone con disabilità e l’accesso alle prestazioni sanitarie in Italia sono le indagini campionarie effettuate dall’ISTAT, in particolare l’Indagine Multiscopo «Aspetti della vita quotidiana» realizzata con cadenza annuale e l’Indagine Europea sulla Salute, condotta ogni sei anni in tutti gli Stati dell’Unione Europea.12 Ai fini del presente lavoro, utilizzeremo le elaborazioni che di queste indagini sono state effettuate dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane e sono contenute nei Rapporti Osservasalute relativi agli anni 2020, 2021 e 2022, che dedicano un capitolo alla disabilità.

Tra il 2009 e il 2021, il numero di persone con limitazioni gravi e non gravi in Italia è aumentato di 800mila unità, attestandosi a circa 12,8 milioni.13 L’incremento ha riguardato essenzialmente le persone con limitazioni non gravi che sono cresciute dagli 8milioni 990mila del 2009 ai 9 milioni 763mila del 2021 (pari ad un’incidenza del 16,4% sulla popolazione nazionale). Il numero delle persone con limitazioni gravi si è invece mantenuto sostanzialmente stabile attorno ai 3 milioni. Nel 2021, l’incidenza delle persone con limitazioni gravi sulla popolazione nazionale era pari al 5%. Com’è ovvio attendersi, le persone con limitazioni gravi aumentano con il progredire dell’età passando dai 435mila della classe di età 0-44 anni a 1 milione 389mila tra coloro con 75 anni e più (figura 1). Le persone con limitazioni non gravi si concentrano invece nella classe di età 45-64 anni (3 milioni e 244mila, pari al 25,4% del totale).

Figura 1

Le persone con limitazioni funzionali gravi e non gravi in Italia per classe di età – Anno 2021 (valori assoluti in migliaia). Fonte: Istat, Indagine sugli aspetti della vita quotidiana, 2021.

Le persone con limitazioni gravi e non gravi con 65 anni e più sono pari al 52,3% del totale mentre il 47,7% ha meno di 65 anni. Questo dato induce a riflettere sulla tendenza, abbastanza diffusa, a identificare le persone con limitazioni con soggetti anziani. Sebbene essi rappresentino la componente maggioritaria delle persone con limitazioni funzionali, la quota di persone che appartengono alle classi di età con meno di 65 anni non è affatto trascurabile e non può essere assimilata alla popolazione anziana. La salute può assumere un’importanza soggettiva differente a seconda della fase del ciclo vita. Per gli adolescenti, i giovani e gli adulti, ad esempio, godere di un buono stato di salute è il presupposto per partecipare ai diversi ambiti della vita sociale (studio, lavoro, attività sociali, culturali, ludico ricreative, ecc.), per creare, ampliare e consolidare quelle reti di relazioni extra-familiari che li accompagneranno negli anni a venire . Allo stesso tempo, godere di buona salute permette alle persone anziane con limitazioni di essere relativamente autonomi, di mantenere le proprie relazioni sociali, con ricadute positive sul processo di invecchiamento (Molton e Yorkston, 2017).

Per quanto riguarda il tipo di limitazioni, l’Indagine Europea sulla Salute stima che, nel 2019, in Italia, dei circa 11,8 milioni di persone con limitazioni con 15 anni e più che vivono in famiglia, il 7% abbia problemi alla vista, il 5,7% all’udito in ambiente silenzioso e il 24% problemi di tipo motorio. L’incidenza di tutti i tipi di limitazioni aumenta all’aumentare dell’età.14

Quali sono le condizioni di salute delle persone con limitazioni? Nel 2018, poco più di un terzo di loro ha dichiarato di star bene e molto bene a fronte del 77,8% delle persone senza limitazioni (figura 2). Disaggregando il dato a livello regionale, la quota più elevata di persone con limitazioni che stanno bene o molto bene si registra nella Provincia autonoma di Bolzano (60,6%) la quale stacca di quasi 20 punti percentuali la Provincia di Trento (41 ,4%).

Come segnalano gli estensori del Rapporto Osservasalute, le disparità territoriali nelle condizioni di salute sono abbastanza marcate. Le percentuali più basse di persone con limitazioni che stanno bene o molto bene si registrano in Campania (24,5%) e in Basilicata (23,8%) , mentre la più elevata nella Provincia autonoma di Bolzano (60,6%). Ciononostante tale percentuale è comunque inferiore al valore più basso delle persone senza limitazioni rilevato in Calabria (67,8%). Sebbene la condizione di disabilità non si identifichi con la malattia, i due terzi delle persone con limitazioni funzionali sperimentano uno stato di salute non ottimale.

Figura 2

Persone senza o con limitazioni nelle attività quotidiane che vivono in famiglia e che dichiarano di stare bene o molto bene per Regione – Anno 2018. Fonte: Osservasalute 2020 – Elaborazione su dati Istat. Aspetti della vita quotidiana.

Un ulteriore indicatore delle condizioni di salute e dei bisogni sanitari potenziali è la presenza di malattie croniche, quali artrosi, diabete, ipertensione, ecc. (figura 3). Anche in questo caso, la quota di persone con limitazioni funzionali esenti da malattie croniche è decisamente più bassa di quella rilevata per le persone senza limitazioni funzionali (29% vs 64%). La percentuale di persone con limitazioni che hanno 1, 2 oppure 3 o più malattie croniche è invece sempre più elevata rispetto alle persone senza limitazioni. La percentuale di persone con limitazioni affette da 3 e più malattie croniche è di ben tre volte superiore a quella delle persone senza limitazioni (21,8% vs 5,6%).

Figura 3

Persone senza o con limitazioni nelle attività quotidiane che vivono in famiglia per numero di malattie croniche – Anno 2018 (valori standardizzati per 100). Fonte: Osservasalute 2020 – Elaborazione su dati Istat. Aspetti della vita quotidiana.

Le persone con limitazioni funzionali ricorrono più frequentemente alle prestazioni sanitarie, e vi rinunciano anche più spesso (figura 4). In Italia, nel 2019, la percentuale di persone con limitazioni funzionali che si sono sottoposte agli accertamenti diagnostici15 è stata del 55,9% rispetto al 36,1% delle persone senza limitazioni. Più frequente è stato il ricorso alle visite specialistiche,16 per il quale si registra anche in questo caso una marcata differenza rispetto alle persone senza limitazioni (63,7% vs 42,9%). Le persone con limitazioni funzionali hanno rinunciato più frequentemente delle persone senza limitazioni sia alle visite specialistiche (15% vs 6,5%) sia agli accertamenti diagnostici (8,5% vs 3,5%).

Figura 4

Persone senza o con limitazioni nelle attività quotidiane che vivono in famiglia che hanno fatto ricorso ricorrono o che hanno rinunciato ad accertamenti diagnostici o a visite specialistiche negli ultimi 12 mesi – Anno 2019 (valori percentuali). Fonte: Osservasalute 2021 – Elaborazione su dati Istat. Indagine europea sulla salute

Chi rinuncia alle prestazioni e alle cure sanitarie spesso lo fa per ragioni economiche: il 15,7% delle persone con limitazioni a fronte del 6,9% delle persone senza limitazioni. Tuttavia, una quota più elevata di entrambi i gruppi ha ritardato il ricorso alle prestazioni e alle cure sanitarie (21,3% delle persone con limitazioni vs 10,2% delle persone senza limitazioni). In questo caso, il ritardo è dovuto a liste di attesa troppo lunghe, alla distanza del presidio sanitario oppure all’in disponibilità di mezzi di trasporto. Tali circostanze penalizzano in misura maggiore le persone con limitazioni.

Un ulteriore dato che contribuisce a delineare la situazione italiana per quanto concerne l’accesso alle prestazioni sanitarie è il ricovero ospedaliero (figura 5). Nel 2021, il dato medio nazionale mostra che le persone con limitazioni vi ricorrono 3 volte di più delle persone senza limitazioni (4,1% vs 1,3%).

Figura 5

Ricorso al ricovero ospedaliero — nei 3 mesi precedenti — di persone senza o con limitazioni gravi e non gravi nelle attività quotidiane per Regione – Anno 2021 (quozienti standardizzati per 100 persone). Osservasalute 2022 – Elaborazione su dati Istat. Aspetti della vita quotidiana

L’accentuata variabilità regionale pone un interrogativo circa i possibili ricoveri evitabili e le cause che sono all’origine del più frequente ricorso all’ospedalizzazione da parte delle persone con limitazioni. A tale riguardo, gli esperti, ipotizzano che ciò possa dipendere dalla qualità non ottimale delle cure primarie e dall’inadeguata presa in carico dei pazienti con gravi limitazioni.

I dati attualmente disponibili non consentono di avanzare ipotesi definitive circa l’impatto sulle condizioni di salute delle persone con limitazioni funzionali conseguente al loro mancato accesso ai servizi sanitari. A tale provvisoria conclusione si è giunti dopo una prima analisi esplorativa condotta sulle persone che, nei 12 mesi precedenti l’intervista, hanno rinunciato a una visita specialistica pur avendone bisogno. Nel 2021, stando ai dati raccolti dall’Istat con l’Indagine sugli aspetti, le motivazioni più frequenti della rinuncia menzionate dal campione di intervistati, sono state le liste di attesa troppo lunghe (40,2%) e i costi troppo elevati (35,2%), seguite dalla scomodità (13,8%), dall’impossibilità di assentarsi dal lavoro (13,8%) dalla necessità di accudire figli o altre persone (3,6%). Altre motivazioni sono state addotte dall’8,6% degli intervistati.

Tra quanti hanno rinunciato a una visita specialistica a causa delle lunghe liste di attesa (n. 896), al momento dell’intervista, il 14,7% ha dichiarato di stare «male» o «molto male», il 44,1% di non stare né bene né male, mentre il 41,2% ha dichiarato di stare «bene» o «molto bene». Il gruppo di intervistati che hanno dichiarato di stare «male» o «molto male» in base alla presenza di limitazioni funzionali, è composto in misura determinante da soggetti con gravi limitazioni (54,5%) e con lievi limitazioni (40,2%), mentre i soggetti senza limitazioni sono un’esigua minoranza (5,3%).

La figura 6 riporta la composizione del campione di intervistati che hanno dichiarato di stare male o molto male in base alla presenza o meno di limitazioni. Le persone con gravi limitazioni risultano sovrarappresentate nel gruppo di soggetti che stanno «male» o «molto male» rispetto all’incidenza percentuale che le stesse persone hanno sul totale di coloro che hanno rinunciato a una visita specialistica (54,5% vs 11,9%).

Figura 6

Distribuzione percentuale delle persone che hanno rinunciato a una visita specialistica, pur avendone bisogno, a causa delle liste di attesa per stato di salute e presenza di limitazioni – Anno 2021. Nostra elaborazione su dati Istat. Aspetti della vita quotidiana, 2021.

L’incidenza delle persone con limitazioni non gravi è superiore al dato medio tra coloro che hanno dichiarato di non stare né bene né male (55,2% vs 37,7%). Tuttavia, il 40,2% di esse dichiara di stare «male» o «molto male». Le persone senza limitazioni rappresentano il 50,3% del gruppo di intervistati che ha rinunciato alla visita specialistica. La grande maggioranza di essi, al momento dell’intervista ha dichiarato di stare «bene» o «molto bene», mentre soltanto il 5,3% al momento dell’intervista stava «male» o «molto male».

Sulla base di questi dati si può ipotizzare che il mancato accesso alle prestazioni sanitarie può avere un effetto negativo sulle persone con limitazioni funzionali maggiore di quanto accada per le persone senza limitazioni, le cui condizioni di salute permettono di affrontare anche lunghi tempi di attesa. Le cattive condizioni di salute potrebbero rendere più probabile un ricovero ospedaliero. In effetti, nel campione di intervistati che, la percentuale di coloro che negli ultimi tre mesi si sono ricoverati passa 2,4% di coloro che hanno dichiarato di stare «bene» o «molto bene», al 3,5% di coloro che non avevano particolari problemi di salute (né bene, né male) per salire al 10,6% tra gli intervistati che stavano «male» o «molto male». Tuttavia, se quest’ultimo dato viene disaggregato in base alla presenza di limitazioni funzionali, sono le persone senza limitazioni funzionali a far registrare una percentuale di ricoverati sensibilmente superiore sia rispetto al dato medio (14% vs 10,6%) sia rispetto alle persone con gravi limitazioni (11%) e alle persone con lievi limitazioni (9,4%). In estrema sintesi, per verificare l’impatto del mancato accesso ai servizi sulla salute delle persone con limitazioni funzionali si rendono necessari ulteriori approfondimenti mediante indagini ad hoc con campioni più consistenti.

Un ulteriore dato che merita attenzione è il supporto ricevuto dalle persone con limitazioni funzionali che vivono in famiglia (figura 7): una persona con limitazioni funzionali su due ha ricevuto un supporto di grado intermedio. Non appaiono differenze di rilievo sia per quanto concerne le fasce di età sia per la presenza o meno di limitazioni. Le differenze si manifestano all’interno delle fasce di età. Nella fascia di età 15-64 la percentuale delle persone senza limitazioni che dichiara di avere ricevuto un forte supporto è più elevata di quella delle persone con limitazioni (33,4% vs 25,9%). Una situazione analoga, seppur con differenze più contenute , si osserva per la fascia di età più anziana (30,9% vs 28%). Ciò evidenzia come nelle situazioni di maggior bisogno, il supporto sociale delle persone con limitazioni sia meno frequente.

Figura 7

Persone di 15 anni e oltre senza o con limitazioni gravi e non gravi nelle attività quotidiane che vivono in famiglia per grado di supporto e classe di età – Anno 2019 (valori per 100). Fonte: Osservasalute 2022 – Elaborazione su dati Istat. Indagine europea sulla salute.

Il ruolo delle famiglie e delle reti di supporto nell’assistenza alle persone con disabilità

Una delle funzioni che caratterizzano la famiglia è quella di mediare i rapporti dei suoi membri con molteplici istituzioni sociali, in base alle diverse fasi del ciclo di vita. Mentre nella generalità delle famiglie questa funzione tende ad attenuarsi quando i figli diventano indipendenti. per le famiglie delle persone con disabilità essa si protrae più a lungo, anche in base al tipo di limitazione. Eppure, la UNCRPD non tiene in considerazione il ruolo della famiglia (Shakespeare and Watson 2023). Le persone con disabilità sono una categoria di soggetti molto eterogenea, che esprime bisogni diversificati anche in ambito sanitario. Tuttavia, spesso la tutela della loro salute e l’accesso ai servizi, soprattutto in presenza di limitazioni gravi, è svolta dalla famiglia di appartenenza e dal network di relazioni di assistenza di cui la famiglia dispone.

In Italia, le famiglie svolgono una funzione di «ammortizzatore sociale» che le rende un attore chiave del sistema di welfare. Ad esempio, si fanno carico dei costi delle spese sanitarie dei propri congiunti con disabilità molto più frequentemente di quanto accade per la generalità delle famiglie. Nel 2017, il 79,2% delle famiglie con persone con disabilità ha sostenuto costi per visite mediche (vs il 55,9% del totale delle famiglie), il 91% ha sostenuto costi per l’acquisto di medicinali (vs il 75,7% del totale delle famiglie), mentre il 33,1% ha effettuato spese per cure dentistiche (vs il 36,9% del totale delle famiglie) (Istat, 2019).

Su quali aiuti possono contare le famiglie che si prendono cura delle persone con disabilità? Secondo le stime fornite dall’Istat (2019), il 54,2% di esse riceve una qualche forma di aiuto, sia esso informale, pubblico o privato. La componente più rilevante è rappresentata dagli aiuti informali (32,4%) seguita da quelli pubblici (25,4%) di poco superiori a quelli privati (24,4%). Circa un terzo delle famiglie con almeno un componente con gravi limitazioni ricorre a un solo tipo di aiuto (sia esso informale, pubblico o privato); mentre il 22% ricorre a due o più fonti. Si consideri che, in media, soltanto il 5,6% del totale delle famiglie si avvale di due o più fonti di aiuto. Questa marcata differenza consegue alla molteplicità delle esigenze che devono soddisfare le famiglie in cui è presente almeno una persona con gravi limitazioni. La percentuale di famiglie con un adulto con limitazioni che ricevono aiuti informali da altre persone non conviventi è più elevata rispetto al resto delle famiglie (32,4% vs 16,8%). Le percentuali poi variano in base al tipo di aiuto: aiuti per l’assistenza di adulti (52% vs il 15,9%), compagnia, accompagnamento e ospitalità (48,6% vs 25,5%), attività domestiche (45% vs 33,2%), espletamento di pratiche burocratiche (41,2% vs 23,9%). Inoltre, il 38,1% delle famiglie riceve aiuti sotto forma di prestazioni sanitarie a fronte del 17,6% del totale delle famiglie. Tra gli aiuti erogati dalla rete informale, quello che le famiglie considerano più importante è decisamente la cura delle persone con disabilità nelle attività di vita quotidiana: a considerarlo tale è 1 famiglia su 10. Seguono poi le prestazioni sanitarie (6,1% delle famiglie) e la compagnia, l’accompagnamento e l’ospitalità (4,5%).

Sono soprattutto i componenti della famiglia in cui vive la persona con disabilità a prendersene cura. Senza alcuna pretesa di rappresentatività statistica, una recente indagine, che ha coinvolto circa 2.100 rispondenti, consente di delineare alcuni aspetti del profilo del caregiving familiare in Italia (Corradi e Barin, 2022). Nella gran parte dei casi il lavoro di cura grava soltanto sul caregiver (34,1%), il 30,8% può fare affidamento sull’aiuto di altri familiari, il 17,6% su personale assunto privatamente e il 17,4% su personale dei servizi pubblici. In considerazione della fase del ciclo di vita attraversato dalla maggior parte dei caregiver familiari, i principali tipi di aiuto richiesti sono quelli per la vita indipendente (59,9%), seguiti dagli aiuti educativi (44,7%), dal sostegno psicologico (42,2%), dagli aiuti per le faccende domestiche (41,3%). Per quanto concerne gli aspetti sanitari, il 20,1% dei caregiver familiari avverte la necessità di aiuti nell’assistenza infermieristica. Pur con i limiti di cui si è detto, la ricerca restituisce un quadro del caregiving familiare da cui risulta evidente l’intensità dell’impegno che grava sostanzialmente sulla famiglia e in particolare sulle donne che, spesso, si prendono cura non solo del figlio con disabilità ma anche dei genitori (generazione sandwich).

Le condizioni di salute e i livelli di accesso alle prestazioni sanitarie, così come il coinvolgimento delle famiglie nell’assistenza alle persone con disabilità pongono importanti sfide agli obiettivi indicati dai principali documenti internazionali circa il diritto alla salute e l’accesso alle cure. Innanzitutto, appaiono particolarmente salienti le criticità esistenti nelle organizzazioni sanitarie e le limitazioni di accesso delle persone con disabilità alle prestazioni sanitarie. Inoltre, si evidenzia la necessità di organizzare i servizi sociosanitari tenendo conto delle specifiche condizioni delle persone con disabilità e delle loro famiglie. A fronte di questo scenario, verrà ora esplorato il progetto DAMA, a partire dalla dimensione dei servizi offerti e del quadro organizzativo fino alle ricadute sulla famiglia dell’assistenza alle persone con disabilità.

Il quadro organizzativo e medico del servizio DAMA

I DAMA presenti nel territorio Lombardo e nazionale hanno un’organizzazione differente a seconda delle Unità d’offerta e delle modalità di impostazione del lavoro di rete. L’attività promossa dai DAMA costituisce un ponte tra diversi centri e specialisti dell’offerta sociosanitaria, fornendo un filtro supportivo per le cure sanitarie delle persone con disabilità conclamata. Le quattro unità considerate afferenti al Dama Mantova, Garda, Rodhense, SS. Paolo e Carlo si caratterizzano per alcuni elementi di specificità, ma anche per un approccio comune ai processi di care, con caratteristiche di volontarietà nello svolgimento delle attività e prestazioni.

Le strutture sono molto differenziate. Il DAMA Rhodense, ad esempio, è composto da un medico coordinatore, due infermiere, due educatori e un operatore amministrativo che nello specifico ha il compito di supportare e guidare nel percorso burocratico le famiglie. Vi collabora anche un assistente sociale. Il servizio è molto orientato al territorio e alla dimensione sociale delle cure. L’accesso al Servizio è diretto, su richiesta del caregiver, oppure su segnalazione da parte delle Unità d’Offerta territoriali (UDO di tipo semiresidenziale o residenziale), da medici di medicina generale e specialisti o dal passaparola informale. Si procede poi con la programmazione di una prima visita DAMA, durante la quale, oltre alle procedure sanitarie e all’analisi del bisogno, viene somministrata la scheda «Indicazioni comportamentali per indagini cliniche« finalizzata a raccogliere informazioni sulla disabilità intellettiva/fisica grave e a individuare tutte quelle situazioni che possono essere di ostacolo alla procedura diagnostico/terapeutica per trovare, insieme al caregiver, la strategia utile a facilitare il percorso. In base all’analisi dei bisogni e alle caratteristiche relazionali e comportamentali individuate, l’educatore, di concerto con l’équipe, introduce un programma di accompagnamento sanitario e prepara paziente e famiglia agli incontri diagnostici e di terapia. Vengono analizzate anche le condizioni socioculturali della famiglia, titolo di studio, età, bisogni di natura economica o socioassistenziali (caregiver fragile) con la possibilità di ricorrere alla scheda «Rilevazione livello fragilità sanitaria/sociale dei pazienti DAMA» somministrata dall’assistente sociale, per individuare l’eventuale compresenza di fragilità sia sanitaria che sociale e classificare il livello di rischio per poter attivare i servizi ritenuti necessari. È a disposizione del servizio la cartella clinica informatizzata GEDI, un Software che permette la raccolta dei dati clinici e sociosanitari del paziente e della famiglia.

Il DAMA San Paolo, nel quale operano quattro medici, cinque infermieri e un responsabile amministrativo, è attivo da 20 anni. L’organizzazione del DAMA è stata mossa dall’esigenza di mettere a sistema un gruppo gli specialisti che potessero erogare congiuntamente una serie di esami diagnostici, a pazienti con particolari problematiche. Nei primi 3 anni di attività, i percorsi diagnostico-terapeutici sono stati messi a punto anche grazie a un finanziamento pilota di Regione Lombardia. La sperimentazione ha consentito poi al DAMA di costruire un reparto stabile, che vive di proprie risorse, avente l’obiettivo di rendere flessibili i percorsi solitamente rigidi presenti all’interno dell’ospedale. Il DAMA dispone di un piccolo spazio, dove vengono erogate diverse prestazioni in regime diurno, dai prelievi, ai day hospital. Questo luogo è il punto di riferimento sociosanitario per le famiglie. Il DAMA dispone di un archivio delle procedure e delle valutazioni dei percorsi. Gli accessi annui sono circa 4.000 e i pazienti in carico 6.500. L’unità dispone inoltre della Fondazione Mantovani Castorina, Onlus che si occupa di aspetti inerenti al benessere sociale dei pazienti.

Il DAMA Mantova, composto da quattro infermieri, un segretario, e un’equipe medica (formata da: una chirurga, un otorino laringoiatra, un genetista, un cardiologo, un gastroenterologo), nasce nel 2007 come call center per aiutare le famiglie di pazienti disabili, ma nel 2010 è stato strutturato l’ambulatorio con il servizio DAMA in collaborazione con la medicina d’urgenza del pronto soccorso. La famiglia qui arriva quando l’episodio di bisogno è acuto. Il DAMA organizza, in collaborazione con i diversi settori specialistici dell’ospedale e i centri diurni, attività di supporto in pronto soccorso e organizzazione ambulatoriale per pazienti dall’età pediatrica fino all’età adulta-anziana. È presente una stanza dedicata al paziente DAMA nell’ambito della medicina d’urgenza con la possibilità di accogliere il caregiver durante tutta la fase di ricovero. I pazienti in carico sono 1580, ma le prestazioni erogate a ciascun paziente sono chiaramente maggiori. Per seguire nel tempo i pazienti vengono anche fatte valutazioni telefoniche (circa 10 al giorno).

Il DAMA Garda, composto da tre soggetti un medico, una coordinatrice infermieristica e un’infermiera, nasce nel 2012; similmente a quello di Milano non lavora nell’ambito di urgenza, ma nell’ambito internistico con un day hospital. I pazienti attualmente in carico superano i 1620 con circa 1330 accessi annuali. Le famiglie vengono in contatto con il DAMA attraverso il contatto telefonico (call center), che programma gli accessi, tranne quelli urgenti, da pronto soccorso. All’interno del DAMA si effettuano diverse prestazioni (prelievi, visite specialistiche) con particolare attenzione alle specificità di ogni situazione. In seguito all’emergenza sanitaria sono state ovviamente ridotte le visite in sede, per mantenere il distanziamento a fronte dei limiti di spazio disponibili.

A fronte di un aumento costante dei pazienti in carico ai DAMA, il numero dei ricoveri ordinari e degli accessi al Pronto Soccorso sono progressivamente diminuiti. Tale correlazione rileva che i servizi hanno fornito percorsi alternativi e più efficaci di presa in carico e cura del paziente. Il percorso terapeutico proposto dai DAMA consente, laddove possibile, di evitare l’ospedalizzazione in quanto stabilisce un contatto costante e regolare con paziente e famiglia. Infine, l’azione dei DAMA ha promosso un cambiamento culturale negli ospedali, riconoscendo i pazienti (affettuosamente chiamati «Damini») che vengono accolti in modo più adeguato da tutti gli operatori e i professionisti sanitari che grazie alle azioni informative e formative dei Dama hanno appreso un linguaggio più accessibile per le persone con disabilità e le loro famiglie. Le attività dei DAMA suggeriscono di ragionare per problemi e bisogni attraverso una strategia relazionale ad hoc, che si definisce tramite l’ascolto di pazienti e famiglie. Il DAMA cambia continuamente perché ciascun paziente è diverso: ad esempio, alcuni pazienti devono essere prelevati al parcheggio o all’atrio centrale dell’ospedale per favorire la loro collaborazione, oppure si rileva una maggiore sintonia tra il paziente e un determinato specialista e pertanto vengono pianificate le visite tenendo conto di queste preferenze. Tale metodo operativo determina una continua evoluzione delle pratiche e degli strumenti, nonché la necessità di scambiare informazioni tra i diversi Centri DAMA su buone pratiche sperimentate e strategie efficaci di intervento. I DAMA lavorano in costante relazione con le comunità, gli assistenti sociali, i medici di base, gli specialisti e i volontari che si rivolgono ai centri per la gestione integrata del paziente. I DAMA forniscono così un punto di riferimento sanitario fondamentale per i servizi locali e, viceversa, i servizi locali forniscono ai DAMA preziose informazioni utili per la conoscenza dei pazienti. I DAMA hanno anche alcune difficoltà in termini di reclutamento di personale medico e formazione diffusa e continua degli operatori. I tempi e orari degli ospedali, e i cambiamenti ospedalieri rappresentano un’altra problematica organizzativa. La tracciatura dei pazienti e delle prestazioni e la presenza di pazienti difficili rappresentano inoltre delle sfide che richiedono un particolare attenzione.

Metodologia dello studio di caso attraverso la prospettiva FamILens

In linea con le esigenze sopra ricordate, lo studio di caso realizzato17 studia in particolare la «familiarizzazione» dei DAMA attraverso la lente dell’impatto familiare FamILens ® (Carrà, 2020). Ci sono infatti numerose evidenze empiriche (Spoth, 2002; Dunst et al., 2007; Bogenschneider e Corbett, 2010; Brown et al., 2010) che sottolineano una maggiore efficacia degli interventi sociosanitari che sono in grado di «vedere» e valorizzare le famiglie e le relazioni familiari. In questo senso il modello del FamILens® supporta il think family, act family di politiche e servizi (Carrà, 2020). Esso si basa su cinque principi evidence based, che sono stati originariamente elaborati dal modello Family Impact Lens18 americano (Bogenschneider et al., 2018), e che sono stati adattati al contesto italiano. I principi promuovono un’attenzione dei servizi al benessere familiare, ovvero:

  • la responsabilità della famiglia osserva quanto i servizi sostengono la famiglia nell’assumersi le proprie responsabilità nei diversi ambiti di vita anziché sostituirsi ad essa (assunzione di un punto di vista capacitante piuttosto che sostitutivo); come sottolinea Carrà (2020) il welfare familistico italiano ha tradizionalmente «responsabilizzato» la famiglia, che spesso ha dovuto agire come camera di compensazione delle carenze del sistema e come ammortizzatore sociale; occorre superare questo modello di delega, in ottica di un’effettiva sussidiarietà;
  • la stabilità familiare considera quanto i servizi sostengono la tenuta delle famiglie, accompagnano nel tempo le diverse transizioni che possono portare con sé elementi di particolare fatica, prevenendo le crisi e il cronicizzarsi di situazioni che possono minacciare il funzionamento familiare;
  • la qualità delle relazioni familiari considera quanto i servizi sostengono le relazioni orizzontali e verticali della famiglia e le competenze relazionali dei soggetti, riconoscendo nei legami familiari una risorsa lungo il ciclo di vita della famiglia; i legami fiduciari, reciproci e cooperativi propri del familiare possono infatti essere luogo di produzione di capitale sociale, ossia luogo generativo di bene comune;
  • la diversità delle famiglie osserva quanto i servizi sanno cogliere la complessità del «fare famiglia» oggi, tenendo presenti le differenze economiche e morfologiche, etniche, culturali, di fase del ciclo di vita, di livelli salute e la presenza di bisogni speciali; senza questa attenzione le azioni di aiuto rischiano, anziché produrre benessere, di riprodurre diseguaglianze sociali;
  • il coinvolgimento familiare si riferisce al sapere esperienziale delle famiglie e alla rilevanza di dare loro voce e coinvolgerle nella progettazione/valutazione degli interventi, favorendo il loro associarsi in forma di auto-mutuo aiuto; quando le famiglie (singole o associate) sono coinvolte in processi di co-progettazione, co-gestione e co-valutazione dei servizi/interventi il benessere generato è maggiore.

Lo studio di caso è stato condotto adottando una metodologia qualitativa, in particolare attraverso la conduzione di focus group. Il focus group ha consentito di raccogliere informazioni originali proprio grazie all’interazione dei partecipanti, favorendo un’esplorazione approfondita dei diversi aspetti relativi ai servizi offerti dai DAMA (Corrao, 2005).

A partire da settembre 2021 sono stati realizzati 4 mini-focus group, ovvero, con un numero limitato di partecipanti tale da consentire a tutti di prendere parola e partecipare alla discussione, su piattaforma TEAMS, con i referenti delle diverse unità DAMA Lombarde (l’Azienda Socio-Sanitaria Territoriale Rodhense, l’Azienda Socio Sanitaria Territoriale SS. Paolo e Carlo e DAMA Mantova, Varese e Bergamo) e 1 focus group con alcuni volontari e familiari, che sono stati guidati a riflettere sulla propria esperienza e a rileggerla alla luce del FamILens®.

Ai focus group con i servizi (19 novembre 2021, 9 dicembre, il 20 dicembre 2021,14 gennaio 2022) hanno partecipano le equipe dei diversi DAMA coinvolti (responsabili, infermieri e specialisti, circa 5 partecipanti a incontro), mentre nel 5° focus group (del 25 febbraio 2022) sono stati coinvolti i beneficiari, in particolare sei famiglie/caregiver19. I contatti dei familiari coinvolti sono stati forniti dalle diverse unità organizzative dei DAMA sulla base della maggiore frequenza di fruizione dei servizi. La traccia adottata per la conduzione dei Focus è stata sviluppata sulla base dei principi del FamILens®, ovvero: in che misura il servizio offerto dai Dama risponde alle esigenze delle famiglie nei termini della responsabilità, stabilità, relazione, diversità, coinvolgimento e partecipazione. Ciascun Focus è stato videoregistrato e poi trascritto per essere analizzato, per garantire l’anonimato sono stati cambiati i nomi di tutti i partecipanti. Il materiale raccolto è stato successivamente analizzato alla luce del FamILens® individuando i principali significati attribuiti ad ogni principio rispetto ai punti di forza e di debolezza in termini di benefici generati per le famiglie. L’analisi Grounded evidenzia i diversi nuclei tematici emersi [14] rispetto ai cinque principi, considerando sia gli elementi di forza che gli aspetti di difficoltà in relazione all’impatto familiare. Infine, mediante SWOT Analysis vengono identificati i principali punti di forza e di debolezza dei servizi, sia rispetto al livello organizzativo che all’offerta orientata nell’ottica dell’impatto familiare.

Il presente studio di caso valuta l’impatto dei DAMA nella prospettiva del FamILens ®. Uno sviluppo della ricerca sarebbe necessario per acquisire, mediante apposite tecniche di rilevazione, anche le considerazioni e i giudizi delle persone con disabilità che fruiscono dei servizi dei DAMA.

L’impatto familiare dei DAMA alla luce dei principi del FamILens®

Principio della responsabilità familiari

La famiglia viene identificata come componente «esperta» dell’intervento ed è infatti presente una comunicazione triangolare tra paziente, famiglia e servizi, in cui viene coinvolto il familiare, quale soggetto esperto che trova nell’assistenza fornita dai DAMA una dimensione di supporto non solo clinico ma anche relazionale. In questo senso, l’offerta DAMA migliora la relazione col proprio congiunto e consente di ridurre le difficoltà comunicative interne alla sfera familiare e l’ansia del paziente con disabilità all’interno dell’ospedale.

Rispetto al principio della responsabilità, gli intervistati segnalano che [1] la relazione medico-persona con disabilità permette ai familiari di ritrovare autonomia rispetto alla pratica di caregiving:

La cosa bella è che questo approccio sta permettendo un distacco da me. (Lucia)

In alcuni casi la gestione può risultare più complessa e occorre un periodo più lungo per mettere le famiglie in condizioni di poter essere davvero autonome. Il referente del DAMA Varese segnala che alcuni dei caregiver possono essere anziani o a loro volta fragili (ad esempio, un padre o una madre che si sono sempre preoccupati dei ragazzi, iniziano ad essere molto stanchi, anche in seguito all’isolamento causato dall’emergenza Covid19) e a volte, di fatto, l’intervento è un sostegno rivolto proprio a loro. Due familiari sottolineano inoltre [2] un effetto «responsabilizzante» del DAMA sulle famiglie, ovvero l’acquisizione di un know how in grado di rendere la famiglia protagonista e non mera destinataria del percorso di cura del proprio familiare:

Noi abbiamo imparato a gestire Francesco in cose molto particolari (ad esempio, cambiare la cannula), ci hanno insegnato e reso autonomi… Mi sembra bello rendere una famiglia autonoma nella cura. (Marco)

Sono stati fatti dei video tutorial sulla gestione pratica e l’utilizzo di alcuni dispositivi (cateteri, tosse…), utili per l’auto-formazione dei familiari o di nuovi caregiver. C’è un’osmosi tra famiglie e servizio: i DAMA imparano dalle famiglie e le famiglie imparano dai DAMA, anche se alcune volte la famiglia può avere un atteggiamento escludente. Rispetto agli aspetti di debolezza [3] sarebbe comunque necessaria una maggiore informazione/formazione, trasversale al personale sanitario sui DAMA: «è capitato che ragazzi, non venissero trattati secondo le linee guida. Per questo stiamo facendo un percorso di informazione e formazione», dice un responsabile.

Principio della stabilità delle relazioni familiari

Rispetto al principio della stabilità si rileva che il DAMA è sempre presente nella vita dei pazienti e ciò rende il servizio un punto di riferimento per la famiglia e un elemento che contribuisce ad affrontare meglio le situazioni critiche e destabilizzanti. I pazienti, quando i numeri lo consentono, vengono visitati periodicamente per un controllo, anche tramite videochiamate, in un’ottica preventiva, per evitare il ricovero o episodi acuti. Il DAMA Rhodense effettua, per esempio, una visita annuale di monitoraggio, attraverso un gestionale che monitora gli appuntamenti e comunica le scadenze. In alcuni casi vengono effettuati ECG (contestualmente alla visita annuale) ed ecografie qualora necessario. In tal senso il servizio DAMA diventa un punto di riferimento fondamentale nel tempo per persone e famiglie, per la continuità delle cure anche presso il domicilio [4].

Questo è stato il nostro primo incontro che ci ha legato in modo definitivo al DAMA. (Marcello e Claudia)

…è diventato amico dei dottori e delle dottoresse, mi fanno uscire e lui sta solo ed è tranquillo. (Marcello e Claudia)

Io sono molto legata alla dott.ssa Y, che mi ha aiutato molto, soprattutto d’estate quando le sue crisi erano più forti. Quando ero disperata l’ho sempre chiamata e lei mi ha sempre aiutata, anche telefonicamente. Per me è un angelo, con questa dottoressa c’è un interessamento che supera l’aspetto clinico […] Per me è un punto di riferimento enorme. (Simona)

[5] Il DAMA monitora continuamente i pazienti per prevenire eventuali crisi:

La cosa importante e bella è che sistematicamente mi chiamano per chiedermi come vanno le cose, mi fissano gli incontri e mi ricordano gli impegni di salute di Y, non devo più passare dal medico curante. (Simona)

I familiari segnalano il desiderio di continuità e stabilità del servizio, oltre a quello di un suo potenziamento:

…è importante che il servizio sia riconosciuto come servizio fondamentale, che venga implementato, allargato e che diventi supporto per tutti i reparti. (Marco e Claudia)

Alcune famiglie e operatori segnalano che sarebbe comunque utile una maggiore connessione e fluidità tra i DAMA, in modo che possano scambiarsi il personale, gli specialisti e i servizi per rispondere a esigenze specifiche delle famiglie, in ottica preventiva [6]: a volte i DAMA incontrano dei limiti e quindi si coordinano tra di loro quando non si trovano specialisti disponibili nelle sedi. Un’altra partecipante segnala

criticità per il turnover del personale. (Giovanna)

La necessità è quella di riagganciare le unità ai reparti, i cambi di personale causano infatti instabilità delle cure.

Principio della qualità delle relazioni familiari

Il servizio si connota per una grande competenza degli operatori sanitari, anche nell’accoglienza. L’effetto sulle relazioni intrafamiliari è evidente: [7] il servizio rende il paziente più collaborativo e aumenta la percezione di successo/autoefficacia della famiglia, con l’effetto di ridurre lo stress, la conflittualità interna e la solitudine dei nuclei nel far fronte a determinate problematiche. Complessivamente, cresce la capacità di risposta alle aspettative dei singoli componenti della famiglia. In particolare, si crea un rapporto empatico, uno a uno, tra medico e familiare che diventa davvero centrale nella vita delle famiglie:

…essendo padre solo, marito di un’infermiera che sapeva come fare, per me è stato molto duro. La cura, l’accoglienza e la capacità di chiedermi come sto, per me è stato importante. (Marco)

La completezza degli esami e la competenza medica nelle cure rimangono un fattore decisivo nel giudicare l’altissima qualità del servizio:

Porto lì tutti gli esami che vengono disposti dai DAMA e questo aiuta anche il loro lavoro. (Lucia)

Questo effetto sul benessere emerge in termini di maggiore tranquillità e riduzione dello stress:

Io, ad esempio, vivo sola con il mio ragazzo (mio marito lavora fuori) e io mi sento sicura quando lui è lì. Tutta la famiglia usufruisce di questa sicurezza e tranquillità. (Giovanna)

Una volta conosciuto questo reparto siamo riusciti a fare con semplicità il prelievo, mentre prima doveva essere tenuto fermo da più persone… anche per un elettrocardiogramma Matteo entrando con l’infermiera è stato tranquillissimo e questa cosa ti aiuto. (Loredana)

Emerge anche [8] una migliore conciliazione famiglia-lavoro, dovuta alla comodità logistica del servizio, con un risparmio nei tempi per i familiari, soprattutto i caregiver di riferimento:

La mia esperienza è ancora piccola, ma mi è sufficiente accompagnarlo e lui è felice di incontrare medici e personale amico. Questo significa non prendere giornate di permesso, cercare parcheggi… vado, lo accompagno e lo saluto. Questo ha una ripercussione enorme sulla famiglia… per me la corsia preferenziale significa che mi basta contattare loro per potere avere tutti i servizi rivolgendomi a un solo centro. (Lucia)

Principio della diversità delle famiglie

Ogni disabilità e difficoltà è seguita in modo personalizzato (ad esempio nel caso di autismo), attraverso un percorso graduale di accompagnamento che si riverbera nell’ambito familiare in senso positivo, anche in termini di passaparola tra famiglie e accesso al servizio. Il servizio è flessibile e viene modulato secondo le disponibilità della famiglia, considerando le diverse condizioni di tempo, economiche e relazionali di ognuna [10]. Tutte le famiglie, a prescindere dalla situazione reddituale, possono accedervi, grazie anche al rapporto istaurato con l’assistente sociale e/o le associazioni. I DAMA di Milano e Rhodense segnalano di riuscire a indirizzare anche le famiglie verso gli aiuti economici di cui potrebbero aver bisogno. In relazione alle diverse configurazioni famigliari, i genitori spiegano che gli operatori del DAMA cercano di proteggere i congiunti più giovani dal carico di cura [11]:

Abbiamo un’altra figlia di 30 anni che è molto attaccata al fratello, il fratello è molto attaccato a lei, ma cerchiamo di non farle pesare niente e di farle fare la sua vita. (Marcello)

Si segnala anche una particolare attenzione verso le casistiche più difficili:

Il modo in cui si sono impegnati mi ha fatto capire che c’era un desiderio da parte dei medici di recuperarlo. (Marcello e Claudia)

Il DAMA di Mantova ricorda che [12] occorre comunque crescere costantemente nelle competenze specialistiche (ad esempio nel caso di autismo), per potere dare risposte sempre più specifiche e precise, migliorando sia professionalmente che umanamente le cure.

Principio del coinvolgimento delle famiglie

Le famiglie vengono coinvolte fin dall’inizio e tutti i componenti della famiglia conoscono il DAMA, di cui si fidano e verso il quale accompagnano il paziente con disabilità. Già nelle primissime fasi di presa in carico vengono richieste informazioni relative ai familiari, alle loro disponibilità nel prendere parte al percorso di cura e alle eventuali difficoltà. [13] Questo clima di accoglienza e la relazione positiva tra i beneficiari e gli operatori sanitari, già evidenziati sono spesso presenti nei discorsi dei partecipanti:

C’è stata una grande accoglienza, come una famiglia. Da quel momento è stato bene e c’è stato un affettuoso modo di seguire e curare da parte dei medici. (Lucia)

Condivido l’aspetto di umanizzazione, familiarità e amicizia dei DAMA, che fidelizza i medici. (Giovanna)

Una coppia di genitori sottolinea l’attenzione anche all’ascolto e il coinvolgimento delle famiglie nella cura:

Per l’utente che vede persone che non hanno fretta e ti prestano attenzione è fondamentale e da non perdere. Al di là del diritto alla salute che abbiamo espletato è un modo per rendere più umano un servizio. (Giovanna)

Poi ci hanno sempre tenuti come riferimento di partenza, ci domandano: «Voi come lo vedete?». Ci attribuiscono questa qualità unica di vedere dov’è il problema (Marcello e Claudia)

In alcuni casi (come segnala DAMA SS. Paolo e Carlo), per coinvolgere le famiglie è stato svolto un lavoro complesso, che ha portato a uscire dai confini fisici dell’ospedale, secondo una logica che va oltre l’aspetto medico del benessere di carattere clinico. A questo scopo, è nata, per esempio, la Fondazione Mantovani Castorina, Onlus gestita da medici e pazienti, che effettua una valutazione estesa di tutti gli indicatori di salute e benessere. La fondazione è poi diventata nel tempo un punto di incontro per le famiglie. La salute fisica viene garantita dall’ospedale, mentre gli altri aspetti vengono gestiti dalla Fondazione. Tramite uno sportello (Sportello Famiglie Più) dove lavorano famiglie, operatori qualificati (assistenti sociali, psicologi, ecc.) e volontari i bisogni vengono identificati a partire dalle persone e non determinati a priori: da quelli legati allo studio, o al lavoro, o alle situazioni abitative, dal tempo libero, ai bisogni legali, ecc. Vengono anche proposti e patrocinati dalla Fondazione eventi informativi e formativi che coinvolgono le famiglie. Il personale volontario della Fondazione a volte proviene dalle stesse famiglie coinvolte. I partecipanti sottolineano [14] questa importanza del coinvolgimento di volontari, famiglie e associazioni di famiglie nei processi di cura:

A Mantova è nata un’associazione Amici del Delfino e una fondazione che attraverso raccolte di fondi ha fornito un ecografo di ultima generazione al Delfino e altri servizi (come la fondazione Mantovani Castorina). (Loredana)

Altrettanto importante il mutuo aiuto e il confronto tra famiglie:

Un’altra cosa importante è il confronto tra le famiglie perché ci pone la possibilità di confrontarci tra famiglie. Io ho riscontrato in tutti la stessa risposta: l’ansia calata. (Marco)

La volontaria partecipante (Giovanna) suggerisce anche che sarebbe utile se si potesse creare un gruppo di volontari per fornire assistenza notturna per i ragazzi ricoverati. La ricerca di una collaborazione tra operatori, professionisti, associazioni ed esperti è fondamentale in tal senso, anche attraverso la promozione di congressi nei quali fare rete.

Discussione e considerazioni conclusive

L’analisi dei focus group evidenzia un quadro complesso e articolato nell’approccio del servizio DAMA alle dinamiche familiari. La famiglia emerge come parte integrante dell’intervento DAMA, coinvolta in una comunicazione triangolare costante. Il supporto fornito non solo ha un impatto clinico sulle persone con disabilità ma anche di tipo relazionale, riducendo, secondo gli intervistati, l’ansia del paziente e del suo tessuto familiare. Il DAMA si configura come un sostegno responsabilizzante, contribuendo all’autonomia del paziente rispetto al caregiver e all’acquisizione di nuove competenze da parte dei familiari. La fiducia instaurata tra il DAMA e le famiglie contribuisce alla continuità delle cure anche a domicilio, alleviando stress e offrendo un monitoraggio costante oltre che un supporto emotivo essenziale. L’approccio empatico e competente degli operatori sanitari influisce positivamente sulle relazioni intrafamiliari. La percezione di successo e autoefficacia da parte delle famiglie si traduce in una riduzione dello stress, migliorando la loro capacità di risposta alle sfide quotidiane. La flessibilità del servizio si estende a tutte le famiglie, indipendentemente dalla situazione economica, favorendo l’accessibilità e la partecipazione. Il coinvolgimento attivo delle famiglie fin dalle fasi iniziali del percorso di cura emerge come un elemento chiave e viene inoltre promosso il mutuo aiuto tra famiglie e il confronto, favorito anche dalla creazione di gruppi di volontari.

Rispetto ai principali documenti internazionali si segnalano cinque punti di forza estremamente significativi dell’offerta DAMA.

In primo luogo, la centralità del paziente e della sua rete familiare che ha luogo dalla presa in carico, fino all’impatto di lungo periodo sul nucleo familiare. Le unità sono state in grado di dare una risposta innovativa attraverso la somministrazione, ai pazienti e ai caregiver, di una scheda di «indicazioni comportamentali» che tenesse conto delle condizioni psicologico-comportamentali del paziente (l’individuazione degli elementi di disturbo per il paziente, al fine di stabilire maggiore confidenza con il successivo percorso diagnostico e di cura) al fine di istruire gli specialisti coinvolti nei percorsi diagnostico/terapeutici.

In secondo luogo, a fronte di un aumento costante dei pazienti in carico ai DAMA, il numero dei ricoveri ordinari e degli accessi al Pronto Soccorso è progressivamente diminuito. Tale correlazione rileva che i servizi hanno fornito percorsi alternativi e più efficaci di presa in carico e cura del paziente. Il percorso terapeutico proposto dai DAMA ha consentito, laddove possibile, di evitare l’ospedalizzazione stabilendo un contatto costante e regolare con paziente e famiglia. L’azione dei DAMA ha così promosso un cambiamento culturale negli ospedali sui bisogni specifici delle persone con disabilità e delle loro famiglie.

In terzo luogo, le attività dei DAMA suggeriscono di ragionare per problemi e bisogni attraverso una strategia relazionale ad hoc, che si definisce tramite l’ascolto con pazienti e famiglie. Il DAMA cambia continuamente perché ciascun paziente è diverso: ad esempio, alcuni pazienti devono essere prelevati al parcheggio o all’atrio centrale dell’ospedale per favorire la loro collaborazione, oppure si rileva una maggiore sintonia tra il paziente e un determinato specialista e pertanto vengono pianificate le visite tenendo conto di queste preferenze. Tale metodo operativo stabilisce una continua evoluzione delle pratiche e degli strumenti, nonché la necessità di scambiare informazioni tra i diversi Centri DAMA su buone pratiche sperimentate e strategie efficaci di intervento.

In quarto luogo, la presenza di un call center favorisce il contatto per gli utenti e le famiglie. Il vantaggio del DAMA è che una volta ottenuta una buona conoscenza del paziente e della famiglia è più facile proseguire con cure e terapie. La continuità del percorso di cura è favorita dalla presenza di volontari, che svolgono la funzione di mediatori culturali tra sanitari e i pazienti. L’effetto di tale sinergia ha favorito una relazione più positiva tra le famiglie e i sanitari (come spiegato dal DAMA Varese).

Infine, un elemento emerso come centrale per l’operatività dei DAMA è la cura delle relazioni con il territorio. I DAMA lavorano in costante relazione con le comunità, gli assistenti sociali, i medici di base, gli specialisti e i volontari che si rivolgono ai centri per la gestione integrata del paziente. I DAMA forniscono così un punto di riferimento sanitario fondamentale per i servizi locali e, viceversa i servizi locali forniscono ai DAMA preziose informazioni utili per la conoscenza dei pazienti.

I punti di criticità sono invece legati a diversi elementi di carattere strutturale, come i tempi e gli spazi disponibili per il percorso di cura, gestionale, in particolare relativi alle dimensioni organizzative dei DAMA, e formativo, in virtù dell’alta specializzazione richiesta agli operatori e alla necessità di comprendere professionalità diverse all’interno della stessa equipe.

In primo luogo, si presentano particolari difficoltà relative agli spazi e ai tempi. Nei casi di grave disabilità il paziente può essere molto oppositivo ai trattamenti, ove l’intervento e/o il luogo è poco compatibile con specifiche disabilità. Inoltre, la conciliazione tra i tempi dei pazienti e quelli dei reparti o degli specialisti sanitari può presentare difficoltà.

In secondo luogo, la gestione delle reti tra DAMA e con i servizi presenta margini di miglioramento. Da un lato, nella relazione tra le strutture si evidenzia come la pratica di registrazione delle prese in carico, prevalentemente autogestita dai singoli DAMA, risulta difficilmente comparabile. Occorrerebbe tracciare l’attività di tutti i DAMA in maniera più sistematica, così come trovare uno standard minimo di visite e attività proposte dai DAMA attraverso protocolli e percorsi condivisi tra i centri e le istituzioni. Inoltre, i cambiamenti all’interno dell’ospedale sono elementi molto critici per l’operatività del DAMA. Con l’emergenza Covid sono cambiati gli spazi e questo ha generato alcuni problemi di carattere operativo. La semplificazione e la standardizzazione sono cambiamenti che pesano molto sui pazienti DAMA, i quali al contrario richiedono un approccio personalizzato e «sartoriale» dei percorsi di cura. Dall’altro, il rapporto con le strutture sociosanitarie e l’assistenza sociale del territorio è talvolta carente, in virtù della scarsa conoscenza dei DAMA. Questo comporta: da un lato, la necessità di esportare il modello ad altri ospedali; dall’altro, la necessità di metter in rete i DAMA. Su quest’ultimo obiettivo è stato operato un primo tentativo, attraverso la fondazione di ASMED (Associazione studio per l’assistenza medica di persone con disabilità) da parte dei sanitari che operano all’interno dei DAMA.

Infine, in virtù della complessità degli interventi richiesti da ciascun singolo DAMA, si presentano difficoltà nell’individuazione degli operatori e degli specialisti sanitari, poiché la preparazione al lavoro al DAMA richiede una formazione ad hoc (tabella 1).

Tabella 1

Sintesi dei punti di forza e di debolezza dei DAMA

Punti di forza

Punti di debolezza

a. L’importanza della raccolta di informazioni su pazienti e famiglie in fase di accesso ai servizi e il monitoraggio continuo dei pazienti

b. L’impatto dei servizi forniti dai DAMA sul benessere dei pazienti e delle famiglie, sull’efficienza dei servizi sanitari e sulla cultura ospedaliera

c. L’accessibilità: dal contatto con call center, alla domiciliarità e continuità del percorso di cura

d. L’ascolto continuo dei pazienti e la flessibilità operativa

e. La cura delle relazioni con il territorio

f. Disponibilità di spazi adeguati

g. I tempi e orari degli ospedali

h. La tracciatura dei pazienti e delle prestazioni

i. La difficoltà nel lavoro di rete e con i contatti territoriali

j. I cambiamenti ospedalieri

k. La formazione diffusa e continua degli operatori

l. Difficoltà a reclutamento/ricambio di personale medico

La rilevanza delle azioni promosse dai DAMA rispetto alle linee di indirizzo governativo hanno trovato espressione nella presentazione del progetto alla 16esima Conferenza annuale degli Stati parte della UNCRPD . In quella sede è emerso come il progetto DAMA , rispondendo alle esigenze delle famiglie con persone con disabilità, ha affrontato la sfida di garantire un’assistenza sanitaria di qualità equivalente a quella offerta alle persone senza disabilità. Come illustrato anche da Corona e colleghi (2023), l’intervento dei DAMA offre un modello di erogazione dei servizi inclusivo che, con un approccio multidisciplinare, può seguire la persona in ogni fase del percorso diagnostico e clinico e supportare la sua famiglia nel gestire la permanenza in ospedale. La diffusione del modello DAMA ha dimostrato la flessibilità del modello stesso e la sua capacità di adattarsi a ospedali con caratteristiche e dimensioni diverse. Il futuro prevede l’istituzione di una rete organizzata di tutti i centri DAMA che condividono protocolli clinici comuni e archivi omogenei. Ciò consentirà di raccogliere dati epidemiologici e clinici consistenti, preziosi per la ricerca scientifica e la formazione del personale sanitario. Un altro studio di caso (Peron et al., 2018) sull’attivazione del progetto DAMA presso l’ospedale di Terni ha messo in luce la capacità del servizio di garantire il diritto delle persone con disabilità di ricevere cure, su base di uguaglianza e non discriminazione rispetto al resto della popolazione.

Non mancano tuttavia elementi di criticità, in particolare, sono stati evidenziati la contenuta diffusione delle unità di offerta sul territorio e il conseguente limitato accesso al servizio delle famiglie. Un altro aspetto di miglioramento concerne la formazione del personale. Occorre infatti trovare nuovi volontari e formare i medici riguardo il futuro della disabilità, dell’integrazione tra ospedale, territorio e famiglie; occorre inoltre sensibilizzare in modo diffuso il territorio sui bisogni dei pazienti. A livello organizzativo vanno infatti adottati criteri condivisi con stakeholder, servizi e famiglie del territorio per l’accesso dei pazienti ai servizi DAMA . Sarebbe inoltre necessario un diffuso riconoscimento del servizio a carattere istituzionale che faciliti le azioni di rete tra DAMA e servizi territoriali, in quanto solo così il DAMA può diventare un effettivo punto di riferimento per le diverse attività sul territorio. Attualmente invece, l’Istituto Superiore di Sanità è l’unico ente pubblico che riconosce formalmente il DAMA. Per coinvolgere famiglie «invisibili», sarebbero necessarie analisi approfondite dei bisogni e strategie di outreach, supportate da programmi di assistenza finanziaria. La creazione di una rete territoriale, eventi pubblici e campagne di sensibilizzazione contribuiranno al riconoscimento del DAMA e alla diffusione di una cultura della disabilità sempre più aderente alle linee di indirizzo proposte dagli enti governativi. Soluzioni tecnologiche sicure favoriranno la condivisione delle informazioni, mentre un curriculum di formazione continuo e la collaborazione con enti pubblici e fondi europei garantiranno la sostenibilità e l’efficacia del servizio nel lungo termine.

In linea con il modello FamILens, quello del Family System Illness (FSI), elaborato nel corso degli anni da Rolland (1984, 1994, 2015) potrebbe costituire una fonte di ispirazione per i futuri sviluppi dei DAMA. L’idea di base del FSI è che «le sfide individuali, come una grave condizione di salute, devono essere valutate e trattate nel contesto del sistema familiare e della sua collocazione sociale e di sviluppo. Nel complesso, la famiglia è considerata una risorsa e un partner essenziale nel trattamento, con il potenziale di favorire un adattamento ottimale» (Rolland, 2018, p. 9).

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Sitografia

United Nations web TV: https://webtv.un.org/en/asset/k1a/k1ae1kffo9 (consultato il 30/6/2024).


1 Università Cattolica del Sacro Cuore.

2 Università Cattolica del Sacro Cuore.

3 Università degli Studi del Molise.

4 Direttore S.C. Distretto Garbagnatese Delega alla S.S. Coordinamento Disabilità e Fragilità ASST Rhodense.

5 Università Cattolica del Sacro Cuore.

6 Università Cattolica del Sacro Cuore.

7 Università degli Studi del Molise.

8 Direttore S.C. Distretto Garbagnatese Delega alla S.S. Coordinamento Disabilità e Fragilità ASST Rhodense.

9 Per «persone con disabilità» la UNCPRD intende «coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri». Il concetto di persona con disabilità, che sarà utilizzato ampiamente nel lavoro, non coincide con il concetto di «persona con limitazioni» utilizzato dall’ISTAT. Infatti, mentre la disabilità è un concetto interazionale, la limitazione è un attributo individuale. Ai fini del presente lavoro, saranno tuttavia impiegati come termini equivalenti.

10 Le argomentazioni contenute nel paragrafo 1 sono ricavate dal Global Report Global Report on Health Equity for Persons with Disabilities (WHO 2022). A tale documento, e all’ampia letteratura scientifica da esso citata, si rinvia per approfondire i molteplici fattori presi in esame che, in questa sede, per ragioni di spazio, presentiamo in maniera sintetica.

11 Fiona Kumari Campbell definisce l’abilismo (ableism) come «a network of beliefs, processes and practices that produces a particular kind of self and body (the corporeal standard) that is projected as the perfect, species-typical and therefore essential and fully human. Disability then is cast as a diminished state of being human» (Campbell 2001, 44).

12 In entrambe le indagini per rilevare il numero di persone con disabilità è impiegato il Global Activities Limitation Indicator (GALI). Si tratta di un indicatore soggettivo, poiché rileva le persone che, a causa di un problema di salute, dichiarano di avere delle limitazioni — da loro stesse definite «gravi» o «non gravi» — nelle attività che normalmente svolgono e che tali limitazioni durano da almeno 6 mesi. Il GALI rileva la componente medico-funzionale del fenomeno della disabilità, senza tener conto dell’interazione con la componente ambientale che, secondo il modello biopsicosociale su cui si basa l’International Classification of Functioning and Health adottato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, è altrettanto essenziale per definire la disabilità. Pertanto il GALI può essere considerato una proxy della condizione di disabilità.

13 Salvo diversa indicazione, con l’espressione «persone con limitazioni» si farà riferimento alle limitazioni gravi e non gravi nel loro complesso. Il riferimento a uno dei due sotto insiemi sarà indicato in maniera specifica.

14 La metodologia adottata per la raccolta dei dati non consente di ottenere il dato riguardante le limitazioni di tipo intellettivo che pure costituiscono una componente significativa del fenomeno. Il dato sulle disabilità intellettive è rilevato dall’Indagine ISTAT sull’inserimento degli alunni con disabilità nelle scuole statali e non statali. Inoltre, mediante la Scheda di Dimissione Ospedaliera è possibile raccogliere informazioni relative ad ogni paziente dimesso, tra cui la presenza di un disturbo psichico. Tuttavia, com’è evidente, si tratta di dati parziali.

15 Tra gli accertamenti diagnostici rientrano: radiografie, ecografie, risonanza magnetica, tomografia assiale computerizzata, eco doppler.

16 Le visite specialistiche comprendono le visite oculistiche, ortopediche, di lavoro, sportive ma non le visite dentistiche, le visite della Guardia Medica, del Pronto Soccorso e quelle effettuate in regime di Day Hospital o durante un ricovero ospedaliero.

17 Il progetto di ricerca è stato finanziato dalla Direzione Generale Famiglia, Solidarietà sociale, Disabilità e Pari opportunità della Regione attraverso la DGR nr. XI/ 2891 del 26 febbraio 2020, nell’ambito degli studi di caso realizzati nel secondo anno per la riprogettazione della l.r. 23/1999 e implementazione di politiche e interventi per le famiglie alla luce del FamILens®, con particolare riferimento a natalità e fragilità familiare.

18 Si tratta di un modello adattato in Italia (Carrà, 2020) su quello promosso dalla Purdue University, Indiana.

19 I genitori di Luca (36 anni), Marcello e Claudia. Lucia la mamma di Luigi (25 anni), affetto da una malattia genetica rara con diverse comorbilità. Loredana, sorella di Carlo (che soffre di tetraplegia spastica, 70 anni). Marco, anziano genitore di una figlia con sindrome di down di 46 anni è vedovo da 8 anni; Simona che ha un figlio di 31 anni Michele, nato sano, a cui dopo il vaccino di antipolio gli è stata diagnosticata un’epilessia che gli ha provocato un danno cerebrale e Giovanna, volontaria di Anffas. Per garantire l’anonimato dei partecipanti, si segnala che i nomi sono inventati.

Vol. 1, Issue 1, July 2024

Corrispondence: Sara Nanetti — e-mail: sara.nanetti@unicatt.it

 

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