Il TNPEE

© 2023 Erickson

Vol. 5, nn. 1/2, maggio/novembre 2023

(pp. 33-46)

Scrittura e apprendimento: corsivo «a mano» o strumenti tecnologici? Ma davvero è solo questo il problema?

Claudio Ambrosini

TNPEE – Centro RTP Milano

Martedì 18 luglio 2023, a Roma, presso la Sala Zuccari del Senato della Repubblica si è tenuto il convegno «Il valore imprescindibile di carta e penna nei processi di apprendimento» organizzato da Fondazione Luigi Einaudi con il patrocinio del Ministero della Cultura (Ministro: Gennaro Sangiuliano) e la partecipazione del Ministro dell’istruzione e del merito, Giuseppe Valditara1. L’iniziativa è risultata rilevante per diversi motivi: per il prestigio dei soggetti promotori e di sostegno,2 per i contenuti del documento presentato supportato da studi internazionali, per aver portato all’attenzione sia pubblica sia di settore una preoccupazione attorno ai processi di apprendimento della scrittura e della lettura.

Da dove sorge questa preoccupazione? Dal riconoscere che qualcosa non va nella scuola e dall’allarme che proviene dai dati che settori differenti della nostra società hanno portato all’attenzione del pubblico, evidenziando lacune nel percorso formativo didattico (della durata di 13 anni) del nostro sistema scolastico (Dettori e Carboni, 2021; Gavosto, 2022; Mastracola e Ricolfi, 2021).3 Anche i dati Invalsi 2023,4 analisi da me svolta sui risultati della seconda classe della scuola primaria, non sono confortanti pur non attestandosi a quel «oltre il 50%» di bambini che non raggiungono il livello base riportato dai mezzi di informazione. E i risultati non erano positivi nemmeno nel 2019, prima della pandemia i cui strascichi non hanno investito solo la sfera degli apprendimenti, ma si sono ampliati alla sfera famigliare e al vissuto scolastico.

Sul «New York Times – The Morning» del 5 settembre 2023, il giornalista David Leonhardt riporta i dati sull’aumento dell’assenteismo nelle scuole USA (per un approfondimento si veda l’articolo citato) dopo il Covid-19, conseguente a due fattori: all’idea che si possa fare a meno della presenza in classe, così come avvenuto in quel periodo pandemico di didattica online, e a evitare l’ansia per la scuola di molti studenti i quali, trovando l’appoggio dei genitori, rimangono a casa. Ciò sta determinando una crisi del sistema scolastico americano e, come sempre accade nelle situazioni difficili, ulteriori squilibri sociali pagati dalle classi meno abbienti.

Curioso che nello stesso giorno sul quotidiano britannico «The Guardian», la giornalista Sally Weale, corrispondente per l’educazione, affronti lo stesso argomento assenteismo con un’attenzione al grave disagio che ciò procura alla crescita personale degli studenti. Si sottolinea che una certa dose di ansia, dichiara Chris Witty (epidemiologo e consigliere medico più anziano per la salute nel Regno Unito), fa parte della crescita e seguire le lezioni aiuta e fa bene. Nel Regno Unito l’assenteismo scolastico è di tale preoccupazione che ha determinato l’assunzione di addetti alle assenze ingiustificate (vedi articolo di Richard Adams del 28 giugno 2023 sempre su «The Guardian»).

Perché riporto queste informazioni che apparentemente non riguardano il tema di questo articolo su scrittura tra carta e matita e digitale?

La dispersione scolastica è un tema ampio che coinvolge importanti Paesi del cosiddetto mondo occidentale ed è attuale anche in Europa, come si evince dall’intervento del Ministro Valditara5 nel maggio di quest’anno, intervento di cui riporto il seguente stralcio: «Per comprendere meglio la dimensione europea del fenomeno, basti pensare che nel 2021 l’Italia aveva un tasso di abbandono precoce dell’istruzione e della formazione al 12,7 per cento, migliore solo di quello della Spagna (13,3) e della Romania (15,3), ovviamente rimanendo sempre tra i Paesi dell’UE, mentre 16 Stati membri hanno già raggiunto l’obiettivo di scendere sotto la soglia del 9 per cento, in largo anticipo dunque rispetto al 2030».

Ciò coinvolge, ovviamente, in misura maggiore le fasce deboli della società e le regioni del Mezzogiorno, così riporta l’audizione, e desta preoccupazione: «La lettura congiunta dei dati sulla dispersione scolastica classicamente intesa (12,7%) e su quella implicita (9,5%) mostra che, a livello nazionale, la popolazione studentesca che si trova in condizione fragilità degli apprendimenti si attesta a oltre il 20 per cento, cioè un giovane su 5».

Fragilità degli apprendimenti che si dilata anche alla popolazione scolastica «non dispersa» e non in condizioni di disagio: ciò significa che in questa popolazione non dispersa e non disagiata si inseriscono altri fattori che incidono sui percorsi di apprendimento, tra i quali alcuni che riguardano la nostra società come la perdita del valore delle azioni umane, la prassi della quotidianità, la caduta dell’etica che dovrebbe accompagnare i nostri atti.

Negli articoli che ho riportato vi sono passaggi che descrivono bene il senso di ciò che sto affermando quando si pongono domande sul valore che ha l’apprendere, appunto quell’etica che dovrebbe coinvolgere maestro e allievo (Steiner, 2004), in un mondo che messaggia la risoluzione dei problemi con un touch.

Innumerevoli, ormai, sono gli studi, gli articoli, i testi che approfondiscono questi temi non più isolabili dal contesto globale studiato secondo prospettive diverse: ambientali (Blom, 2023), economiche (Fraser, 2023), politiche (Mordacci, 2023; Mamdani, 2023), solo per citarne alcuni recenti.

Lavori che impongono una riflessione sul nostro presente ben sintetizzata nell’intervento di Umberto Galimberti al Festivaletteratura di Mantova: «Produzione, efficienza e velocizzazione del tempo sono le tre direttrici alle quali l’uomo ha lasciato mano libera. La tecnica era un mezzo, oggi è un fine. È così tanta, è così tutto, che è diventata un mondo, al quale si inchina anche la politica che dovrebbe rimanere nell’ambito delle decisioni» (Guiducci, 2023).

Allora soffermiamoci su velocità, tempo e politica.

La velocità è stata una necessità adattiva (Berthoz, 2003) e lo è ancora oggi, ma le sue manifestazioni assumono spesso una modalità «disadattiva» (Loach, 2019); il tempo, poi, ci sta sfuggendo tra le mani, essendo così inversamente proporzionale alla velocità, mentre dovremmo soppesarlo: non a caso la bilancia nelle raffigurazioni di Kairos, una delle quattro divinità del mondo ellenico che si «occupavano» del tempo, è tra le sue mani. È il dio del tempo opportuno, il dio che ci conduce in questo tempo: «Dove Kronos rappresenta il tempo quantitativo, che pone la nostra vita in una connessione lineare tra la nascita e la morte, e la clessidra e la falce sono i suoi strumenti [corsivo mio], Kairos si riferisce all’istante qualitativo, che produce cambiamenti» (Hermsen, 2022, p. 71).

Il tempo non è solo una grandezza fisica, ha una dimensione psicologica nel tempo vissuto e soggettivo dell’azione (Piaget, 1979);6 tempo che favorisce considerazioni e pensieri, agevolando il corso dei primi apprendimenti scolastici che segneranno la vita futura di quel bimbo: «Chi scrive, dipinge o compone non fa che modellare la coscienza umana del tempo giocando [corsivo mio] con il ritmo e la cadenza di frasi, immagini o suoni» (Hermsen, 2022, p. 59). Giocando... il gioco, libero, soggettivo, improduttivo (attività in pura perdita), non soggetto a indicazioni di altri se non quelle del giocatore, regolato dalle leggi della «maschera» (Caillois, 1981; Dal Lago e Rovatti, 1993; Ambrosini e Pellegatta, 2012), sembra non essere più attraente per gli studiosi dell’infanzia nell’era dei Disturbi Specifici di Apprendimento e della tecnologia, eppure il tempo del gioco, contiguo ma separato da quello degli apprendimenti, vive dello stesso tempo kairotico, quello del «momento opportuno», del tempo sospeso in cui qualcosa di nuovo sta accadendo: il nuovo si presenta ai nostri sensi che attivamente lo ricercano e sentiamo che è nelle nostre mani... Che differenza c’è fra l’estasi che il bambino vive nell’essere nel gioco altro da sé pur rimanendo sé stesso, e l’estasi vissuta nel tracciare quel segno grafico che prima non esisteva e poi si trasformerà in potente strumento di pensiero svincolato dal tempo presente del linguaggio verbale, inviandolo a un tempo eterno che si fissa nel passato e nel futuro?

È in questo modo che l’epopea di Gilgamesh è arrivata a noi, migliaia di anni dopo il suo presente, proiettata nel futuro.

Questo è il valore della scrittura, valore eterno, ma la scrittura non è una funzione isolata, è in stretto rapporto, in un dialogo continuo con gli strumenti attraverso i quali il pensiero si esprime, e che in questo dialogo si modifica (Ong, 2012; Cafagna, 2015).

È comprensibile che una funzione come quella della scrittura, che fissa l’atto presente tra passato e futuro, dovrebbe sollecitare un pensiero cosciente sulle modalità attraverso le quali si apprende, soprattutto in un periodo di transizione come quello che stiamo vivendo.

E in tutto questo la politica cosa fa? Se pensiamo ancora che l’apprendimento dello scrivere sia una pura questione tecnica, ebbene siamo fuori strada. La questione è politica, una politica che dovrebbe essere in grado di decidere secondo i suoi fini, comprendere i cambiamenti e la complessità in cui sono avvolti, compito altamente difficile, ma indispensabile per preventivare il futuro in cui i bambini di oggi saranno i protagonisti in quanto persone e non sudditi dello strumento tecnologico. Si faccia bene attenzione: un conto è essere sudditi dello strumento, altro è essere capaci di utilizzare lo strumento; quindi, conoscerlo e porre il suo uso in rapporto alla realtà e allo scopo per cui è necessario. Ben venga il correttore ortografico e grammaticale, di cui nulla so del suo agire all’interno del mio pc, ma la supervisione definitiva è mia poiché so, avendo conosciuto le regole della lingua attraverso apprendimenti pregressi, che potrebbe errare.

La politica, oggi, verso quale direzione sta spingendo la scuola? Verso la formazione dell’allievo o in modo tutt’altro che mascherato al servizio del lavoro (Bonsanto, 2023)? È facile obiettare che, una volta finita la scuola, si va a lavorare, ma la domanda è un’altra: «Dato che la stragrande maggioranza dei bambini inizia il suo percorso formativo-didattico con la scuola dell’infanzia e prosegue con primaria e secondaria, per cui in questo sistema trascorre un terzo della sua giornata per tutto il periodo dello sviluppo, cosa accade in tutto questo tempo sul piano formativo? Quale via indica la politica, quando nemmeno per l’apprendimento della scrittura vi sono indicazioni uniformi?».

Ed eccoci finalmente alla scrittura che, date le considerazioni fatte, assume un valore ben più ampio della questione puramente tecnica.

Transizione: quotidianamente questa parola frulla nelle nostre orecchie, ma ci sfugge il suo senso, in quanto il transito necessita di tempo che in realtà nella vertigine dell’odierno è annullato. La transizione è annullata quando la tecnica si fa corpo, protesi nel facilitare l’espressione del pensiero.

«Nonostante l’era digitale, nella scuola si continua a spendere una ragguardevole quantità di tempo in attività di scrittura a mano, motivo per il quale scrivere in modo poco leggibile, o eccessivamente lento, porta con sé numerose ripercussioni, quali ad esempio avere uno strumento poco efficace per sintetizzare pensieri e prendere appunti» (LG DSA, 2018, p. 190).

Faccio alcune osservazioni. La prima condivide l’idea che le limitazioni funzionali non debbano divenire limitazioni del pensiero e della sua espressione; la seconda è che nella realtà dello sviluppo infantile «l’era digitale» non è presente (a meno che non si confondano utilità e benefici del digitale, e consapevolezza del suo uso, con l’uso indiscriminato dello smartphone nell’infanzia); da qui deriva la terza considerazione, che si riferisce all’introduzione del digitale nella scuola primaria per l’apprendimento: quindi il digitale è necessario conoscerlo per poi comprenderne l’uso attraverso i suoi strumenti. Ma quale può essere l’età favorevole per introdurre il digitale come argomento di studio e di apprendimento? Sicuramente l’età del pensiero operatorio, dopo gli 8 anni, quindi nel corso della classe terza della scuola primaria. Prima vi è quella parte della transizione che la scuola dovrebbe essere in grado di svolgere se vi fosse una politica attenta alla salute dell’infanzia, e dedita a promuovere la scoperta di lettura, scrittura e numero. Da qui proseguo la mia riflessione solo sulla scrittura poiché è il terreno che conosco e pratico con il mio lavoro.

È curioso che la scrittura e la sua costruzione grafo-motoria/calligrafica, da sempre appartenute al territorio della psicomotricità e della grafologia tanto da avere antenati comuni (de Ajuriaguerra et al., 1964), assurgano così tanta importanza per il campo psicologico proprio nel momento in cui subiscono il più grande attacco da cinquemila anni fa a oggi, e proprio nel momento in cui stanno scomparendo.

Paradossalmente non dovrebbe interessare, eppure da un paio di decenni il disturbo disgrafico è divenuto di grande interesse. Si afferma che la tecnologia bypasserà l’apprendimento grafico e oggi gli strumenti già vi sono e potrebbero essere utilizzati (maestra: «Parla bambino e vedrai che le tue parole le troverai già scritte sullo schermo»), eppure si quantificano i disgrafici. Una evidente contraddizione.

Avendo la fortuna di aver potuto osservare le modificazioni dello sviluppo infantile degli ultimi cinquant’anni nel nostro Paese, non ho difficoltà nell’affermare che grafo-motricità e prassie manuali tempo fa non erano un problema presente e diffuso nell’età prescolare e scolare. Oggi sono invece problemi e vengono classificati come disturbi, in una concezione di salute rigida che pare annullare quella fascia di variabilità individuale, anche di varianze dalla norma, che invece dovrebbe essere il terreno di modulazione degli apprendimenti e degli interventi terapeutici.

Ecco allora l’aumento delle disgrafie. Che fare? Beh, riportiamo al centro il valore del movimento nello sviluppo, movimento che le neuroscienze ci hanno indicato come motore e bussola nella formazione delle reti neurali.

Pur sapendo che la disgrafia potrebbe essere un disturbo isolato e specie-specifico è altrettanto vero che, almeno nell’ambito neuro-psicomotorio, trovarlo isolato è una rarità e si accompagna invece ad altri disturbi della sfera motoria e non solo.

Dalla nostra casistica (Centro RTP) emerge anche un rapporto tra disturbo disgrafico e prassie costruttive grafiche: il test Mano alla Forma (Ambrosini et. al., 2022), che analizza 8 parametri grafo- motori raggruppati in tre sezioni — spazio / organizzazione grafo-motoria / qualità motoria —, porta in evidenza che una fragilità in uno degli 8 parametri, il parametro della «forma», è significativamente presente nella disgrafia (ritorneremo su questo a fine articolo).

Quali considerazioni è possibile fare a riguardo? È un dato, un valore cui prestare attenzione (vedremo nelle righe successive in che modo), senza alcuna ambizione di assegnargli un plus-valore scientifico, anche perché nelle dottrine umanistiche il dato scientifico presupporrebbe una valutazione di infinite variabili legate all’individuo, quindi difficilmente soppesabili quantitativamente.

Costruire una forma presuppone l’integrazione di funzioni diverse, è un processo prassico che coinvolge questioni sia organizzative sia qualitative: le prime si accordano con i sistemi cognitivi, in particolare quelli dello spazio, le seconde con i sistemi neuro-muscolari soggetti a leggi fisiologiche. Qualsiasi processo prassico, indipendentemente dalla costruzione di una forma, ha in sé componenti spaziali che vengono agite fin dai primi istanti di vita, ad esempio nei rapporti tra i diversi segmenti corporei del neonato (Ambrosini e Formenti, 1990), così, sempre come esempio, nei primi atti manuali di prensione degli oggetti. Elementi topologici sono presenti nella coordinazione mano-bocca, contato e non contatto/disgiunzione/separazione, questi ultimi introducono già componenti euclidee che osserveremo meglio nella presa dell’oggetto che impone la considerazione di una distanza.

Si, è ovvio che i «canonici» predispongono una prensione già pronta, ma la non prensione immediata della farfallina sospesa di fronte a lui impone al bimbo di pochi mesi un’apertura prassica quindi, tra le altre, l’attenzione allo spazio.

Movimento e spazio fin dall’inizio… dunque quando si arriverà a prendere in mano una matita per tracciare un segno, avverrà l’integrazione delle diverse funzioni finalizzate a lasciare sul foglio un segno corrispondente allo scopo dell’azione. Di conseguenza, mi ripeto, se è vero che la scrittura è una funzione specie-specifica e quindi il disturbo potrebbe presentarsi isolato, è altrettanto vero che le funzioni coinvolte nel processo sono generate in precedenza nei processi adattivi all’ambiente.

L’osservazione attenta del movimento nello sviluppo infantile in questo periodo dell’esistenza svolgerebbe una proficua azione preventiva, per la quale il TNPEE risulta un attore privilegiato date le sue competenze nell’ambito neuro-psicomotorio.

Ritengo che attorno al DSA-Disgrafia, così come definito e discusso nel documento che lo fotografa nel nostro Paese, ossia la Linea Guida sui DSA 2018 pubblicata nel gennaio 2022, siano da porre all’attenzione alcune questioni.

In primo luogo: «Che cosa è la disgrafia?». Potrei rispondere «è una difficoltà/disturbo7 esecutivo-motoria/o nella costruzione dell’allografo che rende la scrittura illeggibile».

Ciò presuppone che per scrivere sia necessaria una tecnica che si appoggia su uno strumento finalizzato a essere preso con una mano, al fine di lasciare una traccia di dimensioni ridotte su una superficie le cui misure siano funzionali allo spazio visuo-gestuale. Allora la prensione deve essere di tipo fine affinché il rapporto tra oggetto, prensione, atto e scopo dell’azione si possa concretizzare in uno spazio anch’esso funzionale allo scopo di accogliere una moltitudine di allografi. Tale spazio necessariamente dovrà essere di dimensioni ridotte poiché deve mantenersi in una frontiera, in un perimetro, funzionale allo scorrimento oculare nelle diverse direzioni. È così da 5000 anni, quando uno stilo appuntito lasciava traccia su tavolette poco più estese di un foglio A4.8

Ma oggi la tecnica che ho appena descritto potrebbe tranquillamente essere aggirata con strumenti tecnici più evoluti, addirittura, come già affermato, l’atto stesso di scrittura come l’abbiamo conosciuto fino a oggi può essere annullato con il linguaggio verbale che scrive, per cui il risultato è uno scritto che proviene da un atto non più manuale, bensì verbale.

In tal caso la disgrafia non esisterebbe più come DSA e gli errori di scrittura riguarderebbero altre sfere dell’apprendimento.

La Linea Guida citata, però, ci dice «che la disgrafia è un sintomo che investe, indipendentemente dall’allografo utilizzato, la scrittura a mano», per cui la diagnosi si ricava da ciò che su un foglio è stato scritto. Ma essendo la scrittura in fase di apprendimento una prassia, sarà necessario essere esposti a quell’evento, il che significa avere a disposizione strumenti adeguati e un riferimento, maestro/a, per il suo apprendimento.

Senza il rispetto di queste condizioni viene a cadere lo stesso costrutto di disgrafia: in sostanza si dichiara la presenza di un disturbo senza verificare che i processi di apprendimento alla base di quella funzione che viene indagata siano stati coerenti allo scopo.

La frequenza di valutazioni di bambini con un’ipotesi di disgrafia al fine di una certificazione di DSA è molto frequente presso il nostro Centro RTP di Milano. Preciso che in Lombardia l’équipe DSA non include il TNPEE, per cui è la figura logopedica che utilizza test valutativi grafo-motori e calligrafici per l’indagine, pur non avendo competenze formative metodologiche e pratico-corporee relative al movimento, per cui il suo agire si limita alla corretta proposizione e valutazione degli strumenti testali, come potrei fare io, TNPEE, nell’utilizzo di un test di una collega logopedista senza poi però ancorare quei risultati a processi linguistici di cui non so assolutamente nulla.

Fortunatamente nella mia città vi sono équipe DSA che affidano questa parte valutativa al nostro Centro, che utilizza i test finalizzati allo scopo, BHK e DGM-P, i cui dati vengono poi posti a confronto con altri dati provenienti dall’esame psicomotorio e dall’osservazione del comportamento, al fine di descrivere un profilo neuro-psicomotorio del bambino e soprattutto formulare un’ipotesi sul perché quel bambino scrive male. Nella relazione che segue la valutazione, nel caso di scritture che risultino disgrafiche (-1,5 deviazioni standard per il BHK e scrittura Inadeguata -I- per il DGM-P, oltre alla considerazione della velocità, dato quest’ultimo estremamente interessante da sottoporre a riflessione), inseriamo la seguente postilla: *la scrittura può definirsi disgrafica solo se l’apprendimento del corsivo è avvenuto secondo le procedure corrette di costruzione degli allografi.

La questione apprendimento della scrittura, centrale per poter emettere correttamente una diagnosi, ricorre anche nella Giustificazione della Raccomandazione 5.1 (LG DSA, 2018, p. 211) che recita: «Si raccomanda di assumere un atteggiamento diagnostico cauto di fronte alla presenza di difficoltà di scrittura a mano, soprattutto in corsivo, nei primi due anni di scolarizzazione, segnalandone la presenza a genitori e insegnanti a partire dalla fine della seconda classe di scuola primaria ma attendendo il termine della terza classe di scuola primaria per porre diagnosi di disgrafia».

La forza della raccomandazione è forte e la qualità degli studi buona.

Ciò viene giustificato con gli studi che analizzano lo sviluppo della grafia e «riscontrano un suo fisiologico miglioramento nei primi tre anni di scolarizzazione: all’inizio della seconda elementare ancora il 67% degli alunni mostra difficoltà nelle componenti grafo-motorie della scrittura corsiva, mentre alla fine della terza elementare solo il 20% continua a manifestare problemi grafo-motori nella scrittura corsiva, con una prevalenza maschile che si aggira intorno al 66-68%. La forza della raccomandazione si riferisce, quindi, alla necessità di garantire l’attendibilità del processo diagnostico, limitando la possibilità di falsi positivi». Raccomandazione da tenere ben presente e ancora una volta da soppesare con grande attenzione in rapporto all’apprendimento.

Tale miglioramento viene definito dalla raccomandazione «fisiologico», aggettivo che si riferisce alla fisiologia, «scienza delle funzioni del corpo umano in stato di sanità e delle leggi della vita», ma la scrittura non è un fatto fisiologico, è un apprendimento che poggia sulla fisiologia del movimento, quindi fino al momento in cui non si apre una riflessione su come si apprende nel nostro Paese, è difficile una diagnosi «pulita» sul DSA-Disgrafia che, inoltre, non è un corpo unico in quanto non tutte le scritture disgrafiche possono stare sotto lo stesso ombrello.

Attendere poi fino alla classe terza per formulare la diagnosi è ulteriormente deleterio e oltre 10 anni di Legge 170 dovrebbero averci insegnato qualcosa. Che cosa? È accaduto e accade che al primo accenno di segno grafico non ritenuto corretto, la scuola (immagino già le critiche: non è così, almeno non tutte le scuole, dipende dalle situazioni ecc.!) rinunci a un impegno di apprendimento della grafia, apprendimento che sempre più spesso non va nella direzione del corsivo, ma dello stampato (addirittura il minuscolo!), con l’idea che sia più semplice, senza porlo in relazione alla fisiologia del movimento umano e allo stesso processo dello sviluppo grafico infantile, dove lo sforzo accomodativo del bambino è proprio quello di abbandonare tratti e forme curvilinee che devono essere inibite per tracciare segmenti rettilinei.

Accadrà che prima della diagnosi (in terza! Quindi per tre anni, quelli più efficaci per poter apprendere), la scuola si rifugerà in presunte dotazioni tecniche facilitanti (esempio? Far scrivere su un rigo di 1 cm ampliando così l’altezza della scrittura e determinare un’ulteriore dilatazione del carattere, anziché contenerlo) il cui effetto sarà uno stallo della scrittura e prensioni dello strumento altamente disfunzionali.

Con ricadute su qualsiasi compito che dalla matita dipende, ad esempio l’ortografia che non sempre, in caso di disgrafia, è effettivamente il disturbo, piuttosto conseguenza di difficoltà grafiche.

Inoltre, la difficoltà di scrittura è dipendente dai contesti come cita la raccomandazione 5.5 (LG DSA, 2018, p. 215) per cui sarebbe opportuno definire il contesto diagnostico: non mi riferisco qui all’ambiente fisico e relazionale, poiché avrei necessità di altre pagine, piuttosto a test, prove e strumenti che consentano di analizzare il gesto grafico senza scordare il punto saliente, e cioè che parlando di disgrafia si definisce un disturbo esecutivo-motorio, quindi un disturbo a carico di Organizzazione Motoria (OM) e Qualità Motoria (QM). Dunque la scrittura del bambino deve essere il più possibile libera da attenzioni su altre funzioni che potrebbero essere coinvolte nel corso dell’indagine. Ovvio che ciò non è completamente possibile, ma alcune attenzioni sarebbe opportuno averle.

I test carta e matita utilizzati nel nostro Paese sono il BHK e il DGM-P; entrambi sollecitano una funzione di copia che in realtà non è una pura copia, in quanto il testo cui il bambino si riferisce è scritto in stampato minuscolo e ciò impone una decodifica del carattere, e la velocità di esecuzione potrebbe risentirne. Problema facilmente superabile: il testo va scritto in corsivo o, seconda opzione, bisogna essere certi che difficoltà di lettura non siano causa di rallentamento o, ancora, che il bambino sia in grado in autonomia di trasformare in programma motorio il carattere stampato minuscolo in carattere corsivo.

La scrittura in fase di apprendimento è una prassia costruttiva, una copia di un modello, ed è questa funzione che dovrebbe essere indagata poiché è la funzione alla base dei successivi apprendimenti.

Questa valutazione dovrebbe basarsi sugli strumenti carta e matita, quindi utilizzando i test sopra citati con la variabile del modello in corsivo e secondo la raccomandazione per la ricerca (LG DSA, 2018, p. 218) che consiglia l’uso di tavolette grafiche e penne digitali con lo scopo di analizzare il processo di scrittura e non solo il risultato finale. L’uso di strumenti digitali che attualmente non hanno ancora una diffusione nei centri deputati alla diagnosi, è opportuno sia affiancato da una attenta osservazione dell’atto grafico nel corso della sua esecuzione in quanto prensione dello strumento e sue variazioni, posizione dell’arto scrivente, scioltezza e dissociazione dei movimenti, pressione, paratonie e sincinesie, preferenza di lato permangono dati essenziali da acquisire per una corretta valutazione. Il TNPEE che da sempre procede in questo modo, viene a possedere informazioni indispensabili per la progettazione e programmazione di un intervento rieducativo dell’atto grafico ben strutturato e in sintonia con le possibilità motorie di quel bambino.

L’apprendimento della scrittura è il fatto centrale che dovrebbe muovere i primi passi già nella scuola dell’infanzia, dedicando parte del tempo degli ultimi sei mesi dell’ultimo anno al lavoro grafo-motorio che dovrebbe poi essere proseguito nel primo quadrimestre della prima classe della primaria.

Un tempo lungo, ma efficace, poiché come ben sappiamo l’atto motorio non è mai solo funzione motoria, ma processo che integra le differenti funzioni e facilita l’accesso al pensiero operatorio quando la realtà sarà interiorizzata attraverso processi logici già presenti nella precedente costruzione del reale che poggia sul movimento.

Ora, se è vero che, come suggerisce la raccomandazione 5.6 (LG DSA, 2018, p. 216) «di non utilizzare i soli compiti di copia di figure geometriche e di compiti di integrazione visuomotoria per la diagnosi della disgrafia, poiché i test di cui disponiamo per la valutazione di queste abilità non sempre mostrano una correlazione sufficientemente forte con le competenze grafo-motorie della scrittura», è pur vero che un’opera di prevenzione da effettuarsi nelle età indicate (scuola dell’infanzia) e in armonia con le competenze grafo-motorie del bambino, poggi solo su copie di figure geometriche e linee diversamente combinate senza alcuna significazione letterale.

Una buona esecuzione di compiti in questo senso non dà garanzie di esenzione futura da problemi grafici, così come una cattiva esecuzione non dichiara una futura disgrafia, ma l’uso nel tempo di Mano alla Forma — una prova grafica di prassia costruttiva (Ambrosini et. al., 2022), cui ho già accennato sopra — ci informa che bambini disgrafici hanno nell’esecuzione di questa prova un punteggio basso in uno degli 8 parametri che la compongono, quello della «forma», un parametro che appartiene all’area dello «spazio» (le altre due aree indagate sono «organizzazione grafo-motoria» e «qualità motoria»), ma per creare una forma è necessario affidarsi a una organizzazione motoria, a un compito prassico.

«La casistica che si andrà a presentare con lo scopo di confrontare i risultati della Prova grafica di prassia costruttiva con le disgrafie, proviene da un arco temporale che va dal 2015 al 2021 e si riferisce a bambini/e inviati al Centro RTP di Milano per difficoltà di movimento, di apprendimento sul versante grafo-motorio e visuo-spaziale, per disgrafie già dichiarate o ipotizzate, per disprassie, impaccio, incoordinazioni motorie. Per tutti, però, alla base dell’invio vi erano disturbi prevalenti nelle coordinazioni motorie. I soggetti di cui sopra erano normodotati intellettivamente, con profili differenti e non armonici alla WISC. Nel periodo citato, il Centro RTP ha valutato oltre 300 di questi soggetti, 30 dei quali sono stati inseriti nella nostra indagine sul rapporto Prova grafica di prassia costruttiva-Disgrafie» (Ambrosini, Zaghen, Pirozzolo, Panciroli, Mazetta, 2022, p. 64).

I 30 bambini sono stati selezionati secondo queste caratteristiche:

  • bambini/e la cui scrittura abituale fosse il corsivo;
  • presenza di Disgrafia evidenziata con test standardizzati per la scrittura corsiva (DGM-P, BHK), quindi bambini/e valutati a conclusione del primo ciclo della scuola primaria (da fine seconda in poi9);
  • assenza di pregressi disturbi nella sfera del linguaggio;
  • assenza di comorbidità con altri disturbi (no ADHD, no disturbi dello spettro autistico, no disturbi del comportamento) (Ambrosini, Zaghen, Pirozzolo, Panciroli, Mazetta, 2022, pp. 64-65).

Seguono informazioni su genere (27 maschi e 3 femmine), preferenza di lato manuale, classe di appartenenza (dalla II alla V), velocità di scrittura, tipo di prensione e rapporto con la Batteria Prove Prassie Manuali (Ambrosini, Arcelloni e Magnifico, 2013).

I dati che più ci interessano in merito al rapporto Mano alla Forma e DSA-Disgrafia sono i seguenti: «Nessun soggetto ha ottenuto il segnale verde10 in tutti gli 8 parametri… Solo 4 hanno un solo parametro fuori norma, 4 ne hanno due, i rimanenti 22 ne hanno da tre in su di cui 18 dai 3 ai 5 parametri fuori norma». Infine, per 25 su 30, il parametro «forma» si attesta al di sotto del 15° percentile.

Ed è un dato che «già una ricerca svolta nella scuola primaria su un campione di soggetti esenti da disturbi certificati aveva posto in primo piano proprio in relazione alla difficoltà di scrittura» (Panciroli, 2013).

Infine, Mano alla Forma indaga ben 8 parametri suddivisi tra le 3 aree e «permette di sapere quanto ogni parametro incide sul risultato; lo sguardo del terapista ha necessità di spostarsi dai totali ai parziali e ipotizzare il senso che ogni parametro gioca nel complesso della prova. In tal modo è possibile una programmazione del lavoro di aiuto a sostegno di quei settori deboli dello sviluppo che sono alla base di una Prova grafica di prassia costruttiva deficitaria». In altri termini, consente di osservare il processo e non solo il risultato finale offrendo informazioni preziose sugli apprendimenti che precorrono la grafia.

Al centro sono quindi gli apprendimenti della grafo-motricità e della scrittura: se non conosciamo quali percorsi didattici hanno portato a quella scrittura, sarà difficile una diagnosi capace di aiutare il bambino.

Conclusioni

Non credo che la politica, così come si presenta al mio soggettivo sguardo, sarà in grado di governare processi formativi che pongano rilevanza alle relazioni che sono in gioco tra maestra/o e bambini/e e a programmi didattici utili che fungano da base per gli apprendimenti futuri.

Così come i primi anni di vita, gli ormai famosi primi 1.000 giorni che dilaterei aggiungendone altri 365 in modo da coprire lo 0-3, pongono le basi per gli apprendimenti futuri, anche le prime tre classi della scuola primaria dovrebbero offrire quei mattoncini che poi ogni bambino cementerà con la propria calce e cazzuolina, diverse e uniche, con la guida attenta di un geometra formato e capace di determinare le fondamenta di quella classe il cui obiettivo futuro sarà un edificio solido che ogni piccolo muratore sarà poi in grado di portare a termine.

Fuor di metafora sarebbero necessari percorsi formativi per gli insegnanti delle scuole dell’infanzia (escludo solo per l’argomento dell’articolo e per ragioni di spazio la formazione delle educatrici di Nido, già il nome è tutto un programma…) e delle scuole primarie e chiari programmi di apprendimento validi su tutto il territorio nazionale. Tra cui buone prassi per l’apprendimento della scrittura corsiva che a sua volta si fonda su prerequisiti grafo-motori.

Le agende dalla politica non riflettono queste posizioni il che non significa non perseguirle laddove sia possibile, in quei luoghi educativi e sanitari più sensibili alle riflessioni che questo articolo mi auguro solleciti.

Il titolo di questo lavoro poneva una domanda a proposito della scrittura, domanda a cui si può rispondere con un no: il problema non è solo la scrittura corsiva, è molto più ampio come ho cercato di dimostrare, e molto complesso. La questione che deve trovare, però, celermente una risposta è in riferimento alla direzione, alla cura che gli apprendimenti nelle età pre-scolare e scolare devono avere. Aver cura significa essere in grado e capaci di fornire una risposta possibile, attuabile, a basso costo e in tempi rapidi al problema scrittura, un segmento di apprendimento cui dedicare particolare attenzione.

Di seguito un sintetico programma di buone prassi che rispecchia il contenuto di queste pagine.

  1. Pregrafismo indispensabile durante l’ultimo anno della scuola dell’infanzia, in particolare gli ultimi 6 mesi quando tutti i bambini sono oltre la soglia dei 5 anni compiuti, quindi in un momento evolutivo favorevole per nuovi apprendimenti.
  2. Durante questo anno prescolare il segno grafico non dovrà avere significazioni se non quelle espressivo-motorie: scioltezza e dissociazione dei gesti con progressivo adattamento agli spazi che non sono quelli delle righe e dei quadretti, ma dei fogli, grandi (carta da pacco) per il movimento dell’arto superiore dominante, ridotti (A4) per i movimenti combinati arto superiore e motricità fine. Strumenti tecnici: pennelli, tempere, matite nere e colorate.
  3. Questi lavori prescolari sono primariamente lavori di copia, prassie costruttive che poi lasceranno spazio a ideazioni.
  4. Pregrafismo indispensabile nel primo quadrimestre della scuola primaria: si differenzierà dal precedente per l’impostazione delle forme pre-calligrafiche e per lo spazio investito (fogli A4, quaderni). Seguirà l’impostazione delle lettere da svolgersi sempre su fogli A4 e quaderni: NO quadernoni, bensì quadernini a quadretti di 1 cm di lato e quaderni con righe di 5 mm. Si dovrà tener conto del senso di rotazione che nei destrimani è prevalentemente antiorario, così come la scrittura corsiva.
  5. Suddivisione e successione negli apprendimenti di lettere: prima le 5 vocali che hanno senso antiorario e poi tutte quelle consonanti la cui altezza non ha estensioni verso l’alto e il basso. Di seguito le 5 lettere che hanno una estensione verso l’alto e le tre con estensione verso il basso + la f che si estende nelle due direzioni. In tal modo si combina apprendimento motorio del segno grafico e relativo spazio di appartenenza.
  6. Infine, combinazione di lettere, anche senza alcun senso in aiuto alla continuità del gesto per favorire ulteriormente scioltezza e dissociazione (l’esecuzione senza staccare la matita dal foglio risulta quella ottimale).

Ciò che tiene insieme questi differenti lavori da svolgersi in progressione è un duplice e integrato scopo: scioltezza e dissociazione del gesto grafico che determina informazioni propriocettive, le quali andranno a stabilizzarsi e automatizzarsi insieme alla componente spaziale entro la quale il segno si muove.

La funzione prioritaria sollecitata sarà quella prassico-costruttiva il cui scopo è una copia il più possibile simile al modello, la cui presenza durante l’esecuzione libererà il bambino dall’attenzione su altre funzioni che la scrittura dovrà poi asservire: riproduzione (dettato) e produzione (temi) e, con il trascorrere del tempo e dell’impegno maggiore che ogni classe richiederà, formulare pensieri sempre più evoluti sostenuti da strumenti tecnologici sempre più potenti e indispensabili per il futuro dei bambini di oggi.

La funzione prassico-costruttiva nel copiare una qualsiasi forma, così come una qualsiasi lettera, svolge, sempre, un compito di integrazione di funzioni diverse, quelle che poi diverranno prioritarie nel pensiero complesso che a quel punto potrà liberarsi di carta e matita (meglio, comunque, averle sempre a portata di mano...).

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1 Il documento lo si trova in rete ed è scaricabile www.fondazioneluigieinaudi.it

2 La «Federazione carta e grafica» è uno degli enti che hanno sostenuto il convegno.

3 Uno dei dati riportati da Dettori (pedagogista) e Carboni (neuropsichiatra infantile) si riferisce alla dispersione scolastica che nella scuola secondaria di II grado è del 3,81% (quasi centomila studenti); Gavosto (economista e presidente Fondazione Agnelli) segnala che dai dati Invalsi 2021 risulta che il livello 3, quello riconosciuto dalla UE come livello base, a fine ciclo scolastico, non è raggiunto dal 51% degli studenti per la matematica e dal 44% per la lettura e i dati pre Covid-19 (2019), anche se inferiori, erano ugualmente preoccupanti; Mastracola (insegnante e scrittrice) e Ricolfi (sociologo) segnalano che aver abbassato il livello di difficoltà di insegnamento (percorrono il cammino legislativo delle riforme scolastiche nel nostro Paese dal dopoguerra ad oggi) non ha incluso, semmai escluso, le fasce deboli della società.

4 Il documento lo si trova in rete ed è scaricabile www.invalsi.it

5 Ministero dell’Istruzione e del Merito, Ufficio legislativo; Audizione, nell’ambito dell’indagine conoscitiva su povertà educativa, abbandono e dispersione scolastica, del Ministro dell’Istruzione e del Merito Prof. Giuseppe Valditara; 7° Commissione – Senato della Repubblica; 9 maggio 2023.

6 Si veda anche studi di Henri Bergson (1859-1941) filosofo francese e premio Nobel per la letteratura nel 1927.

7 Difficoltà e disturbo non sono sinonimi: la difficoltà implica ostacoli da superare (ogni apprendimento si basa su difficoltà più o meno elevate), il disturbo, invece, scompiglia, interferisce con le azioni, limita o impedisce di osservare proprio gli ostacoli che si devono superare. Le difficoltà risultano funzionali all’adattamento, i disturbi disfunzionali.

8 Le tavolette mesopotamiche erano anche di dimensioni diverse, più piccole, in funzione dello scopo, e le incisioni inizialmente erano su cilindri, sfere che avevano la funzione di indicare a quale oggetto della realtà quegli scritti si riferivano.

9 Le valutazioni cui ci si riferisce erano state effettuate prima della pubblicazione della nuova Linea Guida; allora la certificazione di DSA-Disgrafia avveniva al termine del secondo anno della scuola primaria.

10 La valutazione è a semaforo e riprende quella dell’ABC-2 per cui al di sotto del 15° percentile troviamo le fasce rischio e disturbo.

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