Il TNPEE
© 2022 Erickson
Vol. 4, n. 1, maggio 2022
(pp. 51-72)
Progettare PDTA per le Malattie Rare, croniche e complesse dell’età pediatrica e adolescenziale. Il contributo del Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva come promotore nei percorsi di cura dedicati
Jenny De Carolis
TNPEE, Dipartimento Materno-Infantile – SC NPIA ASL BARI – Area Metropolitana, Commissione d’albo nazionale dei TNPEE.
Sommario
In occasione del Convegno Webinar «Coinvolgimento delle categorie sanitarie per le persone colpite da malattie rare» tenutosi il 26 febbraio u.s., la Commissione d’albo nazionale dei TNPEE ha affrontato il tema dei modelli organizzativi per l’età evolutiva, presentando il contributo che il TNPEE può apportare in virtù delle competenze specialistiche sui processi di sviluppo, divenendo promotore di modelli organizzativi più rispondenti ai bisogni di salute espressi dalla delicata utenza di riferimento. A partire dal management della cronicità nelle Malattie Rare, l’articolo affronta il tema della complessità in età evolutiva; individuando i bisogni principali che il soggetto e la famiglia affrontano nella costruzione del progetto di vita e le buone pratiche necessarie per supportarlo. Dallo stato dell’arte attuale, vengono prese in esame le più recenti raccomandazioni, in cui precocità e sinergia tra gli interventi sanitari, educativi e sociali risultano elementi in grado di fare la differenza per l’outcome evolutivo a breve, medio e lungo termine.
Parole chiave
Malattie Rare, Chronic Care Model, Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali, Interventi Precoci, Governance Sanitaria.
Premessa
Il 26 febbraio ultimo scorso, in ricorrenza della Giornata Mondiale dedicata alle Malattie Rare, celebrata il 28 febbraio di ogni anno, si è tenuto il Convegno Webinar «Coinvolgimento delle categorie sanitarie per le persone colpite da malattie rare» risultato della collaborazione tra l’Associazione AsMaRa Onlus. Sclerodermia e altre Malattie Rare «Elisabetta Giuffrè» e la Federazione nazionale Ordini dei Tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione (FNO TSRM e PSTRP).
L’evento ha accolto importanti partecipazioni in rappresentanza del mondo politico e istituzionale, aprendo numerose opportunità di riflessione non solo sulla complessità dei bisogni correlati alle malattie rare (MR) e delle relative risposte, ma anche sulle buone pratiche perseguibili nel management della cronicità.
Questo appuntamento si è distinto per l’importante partecipazione dei terapisti della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva (TNPEE) e per l’attenzione congiunta alle fragilità della popolazione pediatrica e adolescenziale, affrontate e discusse da tutti i rappresentanti politici e istituzionali.
Tra le tematiche di maggior rilievo per i professionisti dell’età evolutiva si annoverano le criticità connesse all’approccio ultra-specialistico della medicina dei nostri tempi, che espone i piccoli utenti ad alti rischi di frammentazione, esperienza ribadita ricorrentemente dalle associazioni dei pazienti. A tal proposito la senatrice Paola Binetti ha richiamato la necessità di recuperare una visione d’insieme nell’approccio alla persona e le difficoltà incontrate da preadolescenti e adolescenti nel percorso di transizione dai Servizi per l’età pediatrica e adolescenziale a quelli per l’età adulta, ricordate anche dall’onorevole Fabiola Bologna, membro della Commissione Affari sociali della Camera, nonché prima firmataria e relatrice del Testo unico Malattie Rare, approvato alla Camera lo scorso novembre.
All’interno dell’importante cornice, la Commissione d’albo nazionale dei TNPEE ha affrontato il delicato tema dei modelli organizzativi per l’età evolutiva con l’intervento «PDTA e Malattie Rare in età evolutiva — Il TNPEE nella promozione dei percorsi di cura dedicati», ispirato a una moderna sanità di iniziativa, orientata alla promozione e alla prevenzione della salute, in cui il professionista può farsi promotore di interventi migliorativi dei processi sanitari proprio in ragione del suo impegno quotidiano sul territorio. Il convegno dunque ha rappresentato l’occasione per dirigere lo sguardo verso una nuova gestione delle malattie croniche e complesse, orientata ad assumere il bisogno di salute prima che la malattia cronica insorga, si manifesti o si aggravi, con l’obiettivo di prevenire, ridurre o contrastare l’impatto della disabilità (Wagner, 1998).
È noto quanto negli ultimi decenni le scienze riabilitative delle professioni sanitarie abbiano raggiunto un importante progresso culturale, in parte favorito dall’avanzamento delle conoscenze nel campo della salute umana, delle neuroscienze e delle tecnologie biomediche. In Italia in particolar modo gli interventi socio-sanitari e educativi vantano modelli innovativi e numerosi campi di eccellenza, tuttavia la diffusa carenza di risorse umane e strutturali in molti contesti continua a ostacolare un concreto passaggio da una logica «riparativa» della presa in carico — tipica della cosiddetta «sanità d’attesa» — a una logica proattiva, in cui lo stesso professionista partecipa attivamente e responsabilmente alla governance dell’offerta sanitaria per la propria utenza di riferimento (Gruppo CRC, 2020).
All’interno dell’équipe medico-riabilitativa, il terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, proprio in virtù delle sue competenze specialistiche, può contribuire in modo determinante alla progettazione dei percorsi di accoglienza, valutazione, diagnosi e intervento in età evolutiva, assumendo un ruolo di coordinamento tra i vari attori e tra le varie istituzioni coinvolte nel progetto di vita dei pazienti.
Il modello delle case di prossimità introdotto con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e gli scenari a esso collegati annunciano la necessità di prevedere nuove skill e nuovi ruoli per i professionisti sanitari della riabilitazione, i quali sono chiamati a svolgere e sviluppare con titolarità e autonomia (Art. 2. L. 251/00) la propria attività sul territorio e a preservare la continuità delle connessioni tra le attività compiute con le famiglie, con i pediatri, con le scuole, con i servizi sociali, educativi e con le associazioni di volontariato presenti sul territorio, contribuendo al tempo stesso a liberare risorse mediche sempre più difficili da reperire, che possano essere destinate agli interventi di maggiore complessità, in cui l’impegno clinico del pediatra e del NPI è elevato (Gruppo CRC, 2020).
MR: epidemiologia, complessità clinico-assistenziale e carenze di percorsi in età pediatrica e adolescenziale
Le malattie rare sono definite condizioni a bassa prevalenza (p < a 5/10.000), tuttavia i dati relativi alla loro effettiva numerosità risultano condizionati dall’affinamento degli strumenti diagnostici e dall’evoluzione delle classificazioni in uso e pertanto necessitano di un costante aggiornamento (Piano Nazionale Malattie Rare — PNMR — 2013-2016).
Sebbene i disturbi inclusi in questa categoria possano considerarsi rari in riferimento ai meccanismi molecolari sottesi all’espressività clinico-funzionale della malattia, l’analisi dei dati a oggi disponibili mette in luce quanto il peso dell’incidenza di queste condizioni sulla popolazione generale, nel complesso, risulti considerevole. Secondo quanto riportato da EURORDIS — Rare Diseases Europe — organizzazione no profit che raggruppa 995 associazioni di pazienti affetti da malattie rare di 74 paesi — le malattie rare attualmente rappresentano un importante problema di salute pubblica (Eurordis, 2005), emergenza confermata anche dall’analisi dei dati raggruppati dalla rete Orphanet Italia. Nel nostro Paese i malati rari sono circa 2 milioni e nel 70% dei casi si tratta di pazienti in età pediatrica. La maggior parte di queste patologie ha esordio nei primissimi anni di vita, periodo in cui si registra un’elevata frequenza di disturbi congeniti e/o malformazioni.
Le malattie rare in questo momento conosciute e diagnosticate oscillano tra le 7.000 e le 8.000, e 1 volta su 5 interessano un bambino (Rapporto MonitoRare — Uniamo 2020); questa cifra però è destinata a crescere con l’avanzare della scienza e in particolare con i progressi della ricerca genetica.
Le malattie rare generalmente sono gravi, spesso croniche, talvolta progressive e non sempre facilmente diagnosticabili. Circa il 30% dei malati rari non ha, infatti, una diagnosi.
In Italia, il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) ha potenziato l’intervento preventivo con l’ampliamento dello screening neonatale, attualmente definito «screening neonatale esteso», che ricerca la possibile presenza di 49 diverse malattie, permettendo di identificare precocemente numerose disfunzioni, anche gravissime, entro i primi giorni di vita dei neonati (L. 167/16). Tra queste la fibrosi cistica, l’ipotiroidismo congenito, la fenilchetonuria (il cui screening risulta obbligatorio già dal 1992) e altri difetti congeniti del metabolismo.
Se da una parte la diagnosi medica precoce è da ritenersi fondamentale per individuare la disponibilità di terapie farmacologiche validate, dall’altra parte la diagnosi clinico-funzionale nel processo di valutazione terapeutico-riabilitativo può e deve essere immediata, proprio allo scopo di garantire la messa in campo tempestiva delle azioni protettive e preventive più efficaci, tra le quali gli interventi abilitativi precoci e precocissimi: questi conferiscono alla diagnosi clinico-funzionale un ruolo centrale per programmare interventi appropriati sin dalla nascita, nonostante i ritardi correlati alla complessità, ai tempi di indagine e di conferma diagnostica, anticipando, contenendo e contrastando in molti casi gli effetti negativi della malattia.
I genitori di questi bambini nella maggior parte delle realtà sono investiti da importanti carichi assistenziali. Uno studio del 2011 di S. Spagnolo et al. — Libro bianco — mette in relazione l’esperienza dei pazienti e dei loro familiari con i problemi e le risorse che questi incontrano nella gestione della patologia (OsservaSalute & ISS, 2011). I risultati dello studio hanno evidenziato una carenza diffusa di modelli nella presa in carico dei soggetti, che di fatto obbliga le famiglie a improvvisare un percorso di cura per nulla orientato; ma soprattutto una parte rilevante degli intervistati, pari al 12,8%, dichiarava di non essere riuscito a individuare a livello territoriale figure di riferimento per la gestione clinica di base, evidenziando quanto presa in carico sul territorio e visione globale siano ancora obiettivi da perseguire in molte realtà territoriali. Un appello ricorrente e a supporto di queste evidenze giunge dalla Società Italiana di Neonatologia (SIN) e da UNIAMO Federazione Malattie Rare, che in diverse occasioni hanno ribadito la necessità di destinare più risorse per potenziare l’assistenza domiciliare, la ricerca e la prevenzione nel settore.
Le MR possono colpire le abilità fisiche e/o mentali, le capacità sensoriali e comportamentali. Nell’ambito dei percorsi di accoglienza, valutazione diagnosi e cura, osserviamo quadri clinici molto eterogenei, caratterizzati da malattie acute e/o croniche, congenite o acquisite, che differiscono in termini di complessità, tipologia, gravità, prognosi e comorbilità, richiedendo interventi mirati e specifici per età e disturbo, condotti in un’ottica multidimensionale, multidisciplinare e interprofessionale. In molti di questi soggetti il processo maturativo può subire un arresto o presentare delle disarmonie, in genere espressi con un ritardo globale dello sviluppo psicomotorio e/o delle capacità comunicative e importanti limitazioni nella sfera delle attività e della partecipazione sociale. Molte di queste vulnerabilità risultano sensibili agli interventi abilitativi e educativi, i quali possono cambiare notevolmente il decorso clinico, il grado di autonomia, la speranza e la qualità della vita di questi soggetti e dei loro familiari. Gli interventi preventivi e abilitativi precoci promuovono, facilitano e sostengono lo sviluppo, favorendo la conquista dell’autodeterminazione sia sul versante del comportamento sia su quello della comunicazione intenzionale, implementando le possibilità di partecipazione attiva del soggetto nei contesti di vita (De Carolis & Balascio, 2019).
In considerazione della complessità dei quadri clinici multiformi tipici delle patologie croniche dell’età evolutiva, in cui spesso si associano situazioni di comorbilità o di multimorbilità, l’efficacia dei percorsi di diagnosi e cura non può prescindere da azioni orientate a garantire unitarietà degli interventi medico-terapeutici e terapeutico-riabilitativi, continuità terapeutica e collegamenti funzionali tra tutti i servizi coinvolti nella tutela della salute pediatrica e adolescenziale; raccomandazioni già introdotte dalle Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali in area pediatrico-adolescenziale del 2017 e ancora più attuali nel contesto di riforma della sanità, a favore di una più efficiente medicina di prossimità.
Precocità ed empowerment in età evolutiva: stato dell’arte e possibili prospettive
Come tutte le malattie croniche, le MR con la crescita vanno incontro a una trasformazione dell’assetto clinico e funzionale, presentando l’alternanza di periodi a bassa complessità di cura con periodi di maggiore complessità assistenziale. Questa ciclicità non è determinata solo dalla componente medica della malattia, come nel caso di possibili riacutizzazioni della sintomatologia clinica, ma può emergere anche in considerazione della componente funzionale, in occasione di alcune «sfide» che il piccolo paziente si trova ad affrontare in specifici momenti del suo sviluppo, che prevedono appuntamenti importanti rispetto all’acquisizione di specifiche funzioni. Considerando l’età evolutiva come il periodo di massima sensibilità agli interventi protettivi, l’alternanza di questi bisogni richiede modelli organizzativi che siano in grado di modulare l’intensità e la specificità del percorso di cura.
Il Piano d’azione per la salute mentale – PANSM 2013-2020 e le ultime Linee di indirizzo sui disturbi neuropsichiatrici e neuropsichici dell’infanzia e della adolescenza, del 2019, sottolineano come l’intervento multidisciplinare debba essere la regola in presenza di bisogni complessi. È richiesta dunque la presenza di équipe multidisciplinari composte da tutte le figure professionali che concorrono alle risposte assistenziali dell’utenza in età evolutiva; tuttavia, nei servizi territoriali non sempre sono previste e adeguatamente presenti tutte le figure multidisciplinari necessarie per i percorsi diagnostici, terapeutici e riabilitativi, e spesso tra ospedale e territorio si può assistere a una difformità dei professionisti di riferimento e delle indicazioni medico-terapeutiche e terapeutico-riabilitative, elementi che possono disorientare le famiglie e ridurre il sentimento di fiducia verso le istituzioni e i loro professionisti.
Nei documenti su citati sono indicate tutte le figure professionali indispensabili nella composizione dell’équipe multidisciplinare dei Servizi per l’età evolutiva, includendo neuropsichiatri infantili, psicologi dell’età evolutiva — sebbene questi professionisti siano frequentemente sostituiti da colleghi di altra specializzazione — terapisti della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, fisioterapisti, logopedisti e educatori professionali qualificati da una formazione specifica sull’età evolutiva, infermieri e assistenti sociali.
Importanti raccomandazioni inerenti gli interventi specifici, i servizi e i programmi di abilitazione e riabilitazione sono discusse anche nel documento licenziato dal Ministero della Salute La centralità della Persona in riabilitazione: nuovi modelli organizzativi e gestionali, nell’ambito del quale, richiamando la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con disabilità — entrata nel nostro ordinamento con la Legge n. 18 del 3 marzo 2009 —, si decreta che i servizi e i programmi di abilitazione e riabilitazione: (a) abbiano inizio nelle fasi più precoci possibili e siano basati su una valutazione multidisciplinare dei bisogni e delle abilità di ciascuno, (b) facilitino la partecipazione e l’integrazione nella comunità e in tutti gli aspetti della società, (c) siano volontariamente posti a disposizione delle persone con disabilità nei luoghi più vicini possibili alle proprie comunità, comprese le aree rurali.
La possibile compromissione in molteplici aree dello sviluppo e le importanti limitazioni nella sfera delle attività e della partecipazione sociale a cui può andare incontro questa delicata utenza rendono necessaria un’elevata integrazione tra i servizi e tra i professionisti coinvolti. Una maggiore partnership tra Aziende Ospedaliere, Aziende Sanitarie Locali, Strutture Private Accreditate con il SSN, liberi professionisti attivi sui territori e i Servizi Socio-Sanitari presenti, risulta un’azione indispensabile per la promozione di migliori sinergie e per l’efficientamento delle risorse nei diversi processi di valutazione, trattamento, prevenzione, abilitazione e sostegno ai soggetti in età evolutiva.
L’équipe ospedaliera di pediatria e neuropsichiatria infantile, assieme alla Terapia Intensiva Neonatale (TIN), rappresentano i luoghi dell’individuazione e degli interventi precoci, che dovrebbero essere attivati già al momento del ricovero. In questo senso l’ospedale, tradizionalmente concepito come luogo di transizione deputato alla diagnosi e alle acuzie, nei percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali rivolti all’età evolutiva, risulta invece un luogo in cui i processi diagnostici necessitano di essere integrati con i percorsi di prevenzione e protezione, attraverso l’affiancamento e la stretta collaborazione tra l’équipe medico-infermieristica e i professionisti esperti dello sviluppo, che possano garantire un corretto assessment funzionale e l’accesso immediato ai percorsi di promozione del benessere e della salute del bambino e della sua famiglia o agli interventi abilitativi precoci in caso di alto rischio evolutivo, indipendentemente dal completamento dell’indagine diagnostica, che in molti casi può richiedere notevoli tempi di indagine.
I più recenti studi epidemiologici segnalano un’elevata incidenza dei disturbi del neurosviluppo tra i neonati ricoverati in TIN. Al contrario di quanto si possa pensare, la TIN non è solo un reparto legato alle emergenze e alla sopravvivenza del neonato, ma svolge un ruolo fondamentale di prevenzione delle malattie a breve e lungo termine. La prematurità è la principale causa di ricovero nei reparti di Terapia Intensiva Neonatale, seguita da problematiche infettive, complicanze perinatali durante il parto, patologie congenite e MR, e già dai primi giorni di vita alcune di queste condizioni possono coesistere.
In questi ambiti la professionalità del terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva e di altre figure riabilitative risulta centrale nel saper cogliere tempestivamente i segni premonitori di un disturbo dello sviluppo, e le sue possibili conseguenze nel tempo longitudinale.
In considerazione degli obiettivi di riforma introdotti con il PNRR e degli investimenti previsti, sarà importante prevedere e attuare una maggiore collaborazione tra il TNPEE, le UUOO ospedaliere e i Pediatri di Libera Scelta (PLS), promuovendo la partecipazione dei professionisti esperti dello sviluppo anche all’interno degli ambulatori della Pediatria di base, al fine di garantire una precoce valutazione del bambino nelle diverse fasce d’età.
Con il Progetto Salute-Infanzia — che vede il coinvolgimento del Ministero della Salute (MdS), dell’ISS e delle diverse Associazioni Scientifiche dei medici pediatri, tra cui la Società Italiana di Pediatria (SIP) e la Società Italiana di Neonatologia (SIN) — gli ambulatori della Pediatria sono divenuti il primo luogo della sorveglianza neuroevolutiva; ragion per cui il coordinamento dei Pediatri di Famiglia con le unità specialistiche di Neuropsichiatria Infantile risulta una condizione essenziale per attuare tutte le fasi necessarie al riconoscimento precoce dei disturbi del neurosviluppo congeniti o acquisiti.
La rete dei servizi rappresenta la rosa degli strumenti a disposizione per la promozione della salute e della cura. La realizzazione del progetto di vita per ciascun piccolo utente è un obiettivo e una responsabilità condivisa tra i servizi all’interno di un sistema multi-professionale, in cui è necessario prevedere équipe di transizione che si occupino non solo del passaggio dall’età pediatrica e adolescenziale all’età adulta, ma anche dell’alternanza tra le varie istituzioni che con diverse funzioni concorrono ad arricchire e alimentare il percorso di crescita nelle diverse età della vita.
Il recente Piano Nazionale della Prevenzione (PNP), 2020-2025, inserisce tra i macro obiettivi lo sviluppo di strategie di empowerment e capacity building, raccomandate dalla letteratura internazionale e dall’OMS, coerentemente con lo sviluppo dei principi enunciati dalla Carta di Ottawa (1986).
L’educazione inclusiva aumenta le opportunità di vita indipendente. Essere educati in un ambiente inclusivo aumenta le opportunità di partecipazione alle attività del tempo libero. Essere educati in un ambiente segregato alimenta le barriere alla partecipazione (European Agency for Special Needs and Inclusive Education, 2018).
Il TNPEE, collaborando con gli altri professionisti coinvolti nel progetto di vita, può contribuire in maniera determinante alla programmazione dell’integrazione e/o dell’alternanza tra i contesti, in relazione a quella ciclicità precedentemente discussa che tiene conto dei bisogni via via emergenti.
In questo senso il modello delle case di comunità rappresenterebbe una base di appartenenza territoriale da cui i vari operatori sono chiamati a comporre una sinfonia di attività sinergiche e complementari.
Sviluppo neuropsicomotorio e complessità: le competenze core del tnpee
L’ambito d’indagine del TNPEE è quello del benessere e della salute dei soggetti in età evolutiva sia in condizioni di sviluppo tipico sia in caso di sviluppo atipico. Lo sviluppo neuropsicomotorio ne è l’oggetto di studio, analisi, valutazione e intervento. Il processo di sviluppo accomuna qualsiasi bambino, ed è da considerarsi come il prodotto dell’intreccio tra la maturazione neurobiologica e le opportunità di apprendimento correlate ai fattori ambientali (ZERO TO THREE CD: 0-5, 2016). Nel percorso longitudinale che caratterizza la presa in carico in età evolutiva, il processo maturativo si declina sia su un piano quantitativo, in funzione della quantità di competenze apprese e interiorizzate, sia su un piano qualitativo, espresso dall’evoluzione del grado di padronanza raggiunto nei comportamenti e dalla capacità di generalizzazione delle competenze acquisite nei differenti ambiti di partecipazione alla vita quotidiana. Ad esempio, nel corso dei primi mesi di vita, l’esercizio di singoli pattern riflessi, come la suzione o la prensione, rappresenterà la base per le combinazioni dei primi schemi-senso-motori, che acquisiranno nel tempo un’organizzazione sempre più intenzionale nella costruzione delle risposte adattive.
Allo stesso modo il processo evolutivo nell’acquisizione della scrittura sarà costituito dalla maturazione di singole competenze nell’ambito della percezione visiva, della coordinazione visuo-motoria, delle abilità visuo-costruttive, visuo-spaziali, attentive e della percezione del Sé; abilità affinate nel corso dell’epoca prescolare e via via integrate in nuove abilità funzionali al momento dell’alfabetizzazione.
Nel contesto dei comportamenti e delle interazioni tra il bambino e i suoi caregiver, le possibili combinazioni tra caratteristiche individuali del bambino, modelli di interazione bambino-caregiver e sollecitazioni provenienti dall’ambiente, determineranno il futuro stile di interazione e apprendimento del soggetto in via di sviluppo (Greenspan, 1989, 1991; Brazelton, 1991). Nella costellazione del bambino a queste interazioni precoci si aggiungeranno via via nuovi contesti e nuovi partner di scena, quali ad esempio la scuola, il gruppo dei pari, il servizio di cura e riabilitazione, la comunità, ciascuno portatore di opportunità e in grado di incidere positivamente o negativamente sul processo evolutivo.
Nelle disabilità dello sviluppo, la riabilitazione è un sistema complesso teso a promuovere nel bambino e nella sua famiglia la migliore qualità di vita possibile, come indicato anche nel Manifesto per la Riabilitazione del bambino (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza – SINPIA & Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa – SIMFER, 2000). La riabilitazione neuro-psicomotoria si prefigge l’obiettivo di modificare i processi alla base dello sviluppo, perseguendo il miglior livello di funzionamento e/o recupero delle funzioni di base coinvolte, anche in considerazione delle caratteristiche proprie delle patologie che si modificano in rapporto allo sviluppo (Core Competence del Corso di Laurea in TNPEE, 2012). La chiave dello sviluppo è dunque la trasformazione (Figura 1), fattore chiave che attribuisce al periodo della prima e seconda infanzia un’elevata modificabilità, tanto che le evidenze individuano proprio in questa particolare fase della vita, l’epoca di maggiore sensibilità agli interventi specifici e mirati, soprattutto in prossimità di compiti evolutivi specifici (Linee di indirizzo sui disturbi neuropsichiatrici e neuropsichici dell’infanzia e della adolescenza, 2019).
Fig. 1 Lo sviluppo nel modello life-span.
Nella metodologia neuropsicomotoria, l’abilitazione e l’integrazione delle competenze vengono interpretate secondo un modello ecologico che permette di riconoscere e valorizzare il ruolo di tutti gli attori coinvolti nel percorso di crescita del bambino e dei contesti in cui si realizza il processo di sviluppo. Le esperienze elicitate dalle diverse opportunità presenti nell’ambiente fisico e oggettuale saranno in parte responsabili dell’evoluzione in termini di possibili traiettorie di sviluppo (Brofenbrenner & Ceci, 1994).
La metodologia di intervento del TNPEE è improntata su una conoscenza approfondita dei differenti domini di funzionamento e delle interazioni tra le caratteristiche neurobiologiche del soggetto, le caratteristiche della malattia e le caratteristiche evolutive tipiche dei processi di sviluppo, conoscenze che si traducono nella selezione della metodologia di intervento più appropriata in relazione al timing, alle caratteristiche individuali, alle risorse familiari, educative e sociali. L’integrazione tra formazione biomedica e quella sul campo nelle aree della salute pediatrica e adolescenziale permette al TNPEE di ipotizzare in che modo le conseguenze di un disturbo possano incidere sul funzionamento adattivo del bambino nel corso del suo progetto di vita.
L’intervento neuropsicomotorio prevede azioni terapeutico-riabilitative orientate sia alla maturazione di singole abilità sia all’integrazione delle funzioni apprese. Per questa ragione è spesso definito intervento globale, in cui la globalità è riferita alle azioni integrate secondo un modello multiassiale e multidimensionale.
Fig. 2 Profilo del paziente nel modello multiassiale e multidimensionale.
La valutazione clinico-funzionale del TNPEE è orientata all’indagine dei possibili effetti di un disturbo nel tempo ed è un processo dinamico e a più fasi.
L’analisi del profilo di sviluppo costituisce il primo momento dell’intervento neuropsicomotorio e rappresenta una competenza core del TNPEE, in grado di apportare elementi importanti al processo diagnostico e di individuare le priorità degli interventi riabilitativi. La combinazione tra modello multiassiale e modello dimensionale (Figura 2) permette di indagare le correlazioni tra espressività clinica della malattia, storia naturale, risorse del soggetto e modificabilità emersa in risposta alle attività di promozione e facilitazione, che comprendono gli interventi abilitativi e riabilitativi.
L’analisi del profilo del disturbo e delle sue modificazioni nel tempo longitudinale — in sintonia con la moderna prospettiva life-span — guida il modello dello «stepped care approach», prevedendo un’organizzazione sequenziale e trasversale degli obiettivi di intervento, orientati a modificare e/o migliorare la storia naturale della malattia, le conseguenze funzionali e a contrastare le ipotesi di prognosi funzionale in assenza di interventi abilitativi specifici, mirati e precoci che preservino dagli effetti secondari della malattia e dall’avanzamento dei processi di comorbilità (Figura 3).
Fig. 3 Bilancio Neuropsicomotorio e processo decisionale.
Nell’ambito del processo valutativo il TNPEE mette in campo le sue competenze tipiche di osservazione del comportamento spontaneo e dell’espressività motoria del bambino che, in ragione della valenza attribuita alla motricità nel processo di sviluppo, è considerata un’area particolarmente informativa ed espressiva dello stato di salute e di maturazione raggiunta dal bambino al momento dell’osservazione. Le tecniche di osservazione possono avvalersi di un setting non strutturato, semistrutturato e/o strutturato — a seconda della fase e degli obiettivi dell’osservazione — e vengono poi integrate con l’uso di strumenti standardizzati, che completano la valutazione del livello di integrazione tra funzioni affettive, cognitive, comunicative e motorie nei quadri clinici osservati.
Il comportamento adattivo del soggetto e il quoziente di sviluppo globale rappresentano i costrutti tipici degli strumenti di osservazione e valutazione in età evolutiva e sono quelli maggiormente esplorati nelle situazioni di complessità. Per comportamento adattivo si intende il prodotto dell’integrazione tra abilità concettuali, sociali e pratiche, le quali vengono apprese ed esercitate dal soggetto nella vita quotidiana; promuovere il funzionamento adattivo rappresenta l’obiettivo comune degli interventi integrati nei diversi contesti di vita (American Association on Intellectual and Developmental Disabilities – AAIDD). Il quoziente di sviluppo globale invece fornisce una stima del livello complessivo di sviluppo e dei livelli evolutivi raggiunti nelle singole aree chiave (Association for Research in Infant & Child Development - ARICD). Questi costrutti hanno in comune la possibilità di fornire il profilo evolutivo dei punti di forza e dei punti di debolezza, oggetto di interventi preventivi o protettivi.
A conclusione del processo valutativo il bilancio neuropsicomotorio, risultato dell’integrazione delle informazioni raccolte attraverso le tecniche e gli strumenti opportunamente selezionati, permette di identificare il bisogno di salute prioritario, contribuendo al bilancio diagnostico e alle decisioni terapeutiche (DM 56/97). Il riconoscimento tempestivo delle vulnerabilità neurobiologiche, che possono inficiare i processi di risposta implicati nell’adattamento tra bambino e ambiente e l’organizzazione di risposte mirate per disturbo e specifici per età, possono realmente fare la differenza e favorire outcome di salute positivi e/o migliorativi.
Care Pathways e modelli di integrazione tra ospedale e territorio. Il progetto obiettivo della S.C. della npia - asl bari
L’approccio alle malattie croniche dell’età evolutiva genera una complessa rete di interazioni nei percorsi di cura, la quale necessita di modelli organizzativi efficienti ed efficaci.
Il progetto obiettivo della Struttura Complessa della NPIA ASL Bari nasce proprio dal tentativo di costruire l’anello mancante dei Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA), costituito dai percorsi dedicati agli interventi di promozione del benessere e della salute, e agli interventi riabilitativi e abilitativi precoci e di follow-up clinico-funzionale, per mezzo della promozione di una rete tra i servizi sanitari e l’offerta socio-educativa sin dai primi 1000 giorni di vita. Infatti, l’esame della documentazione esistente sull’offerta sanitaria prevista nei PDTA regionali dedicati all’utenza in età evolutiva denota una focalizzazione dominante dei PDTA sui processi valutativi e diagnostici, a dispetto di gravi e diffuse carenze di programmazione per gli interventi terapeutico-abilitativi, in genere abbandonati alle interpretazioni cliniche o gestionali di chi li eroga.
La maggior parte dei PDTA non definiscono i percorsi di intervento abilitativo, di valutazione clinico-funzionale e di follow-up; e in nessun caso sono descritti gli interventi di promozione del benessere e della salute. Ne conseguono rilevanti difformità nelle indicazioni e negli invii ai trattamenti, oltre che una considerevole eterogeneità dei percorsi terapeutico-riabilitativi attivati, spesso caratterizzati da minime valutazioni della qualità e dell’appropriatezza del processo di cura. In alcuni contesti, la disomogeneità delle risposte deriva anche dalla frammentazione delle relazioni tra le istituzioni. La qualità e la tenuta delle relazioni fra i professionisti coinvolti nella presa in carico risulta una componente di impatto considerevole sulla qualità e sull’efficienza delle cure (Van Houdt et al., 2013). Nei contesti politico-istituzionali, l’ospedale è pensato come un luogo di transizione e non di prevenzione, inducendo una grave carenza di équipe riabilitative e abilitative, che continua a perpetuare un’assistenza orientata al disturbo e non al bisogno.
Con l’obiettivo di rispondere alle esigenze dell’intera popolazione in età prescolare, il progetto definisce l’organizzazione di percorsi dedicati alla fascia d’età 0-3 e 3-6 anni e prevede l’istituzione di un’équipe integrata tra ospedale e territorio in combinazione al potenziamento dei TNPEE, per cui è già stata attivata una procedura concorsuale.
La complessità delle cure e la latenza degli indici espressivi nella prima infanzia, in particolare per le disabilità minori, suscettibili di elevata modificabilità, richiedono un’attenta analisi del profilo di sviluppo all’interno di un modello multidisciplinare. Questi neonati e le loro famiglie necessitano di un percorso di continuità che possa contenere il sentimento di angoscia e preoccupazione alla dimissione e promuovere un processo di empowerment dell’intero nucleo familiare. Per queste ragioni è raccomandabile che il primo contatto tra la famiglia e l’équipe ambulatoriale che proseguirà la presa in carico sul territorio avvenga prima della dimissione, con lo scopo di condividere le «consegne» sullo stato di salute del piccolo al momento dell’uscita dai servizi ospedalieri e spiegare le modalità organizzative e i referenti dei controlli successivi.
Nell’ambito dello 0-3, il progetto individua dei percorsi differenziali volti a rispondere con specificità alle esigenze correlate a prematurità, disturbi della regolazione e MR, includendo anche le gravi disabilità dell’età evolutiva (Figura 4).
Fig. 4 Progetto Obiettivo PDTA fascia d’età 0-3.
L’attività del TNPEE si articola in più ambiti di intervento: quello della TIN e quello del Follow Up nel settore ospedaliero e quello della valutazione clinico-funzionale e dell’intervento abilitativo nel settore territoriale di Neuropsichiatria Infantile (NPIA), attività integrate poi dai processi valutativi, osservativi e riabilitativi dedicati alla documentazione e alle attività a favore dell’integrazione scolastica, che includono la collaborazione alla stesura della Diagnosi Funzionale (DM 56/97).
L’intervento all’interno dell’UTIN ha lo scopo di implementare la «developmental care» e di favorire lo sviluppo neuroevolutivo del bambino. Considerando gli effetti positivi di una migliore individualizzazione degli interventi dal periodo di ricovero, nella nostra proposta appare utile prevedere la possibilità di effettuare in fase di ricovero delle sedute di osservazione congiunta tra riabilitatore e genitore, al fine di guidare il genitore nell’esplorazione delle competenze evolutive presenti e quelle da promuovere al rientro a casa, favorendo l’attaccamento e l’interazione reciproca tra genitori e bambino in epoca precocissima (Matricardi et al., 2013).
A partire dall’osservazione neurocomportamentale dei neonati sulla base del giudizio clinico, in accordo con l’intera équipe multidisciplinare, per i neonati a rischio neuroevolutivo o francamente patologici si propongono l’attuazione di interventi abilitativi e riabilitativi di tipo neurosensoriale e sensoriale, posturale, neuropsicomotorio, e momenti di educazione terapeutica rivolti alla famiglia, con l’obiettivo di promuovere una sufficiente regolazione autonomica del bambino e minori livelli di stress dell’intero nucleo familiare.
L’intervento di follow-up ha lo scopo di intercettare precocemente le vulnerabilità nel corso dello sviluppo longitudinale fornendo interventi precoci e appropriati, che possano contenere gli effetti secondari di eventuali deficit, favorendo la realizzazione del potenziale di sviluppo del neonato, in un’ottica preventiva e curativa. L’attività interaziendale è coordinata da un’équipe inter-istituzionale e multidisciplinare, a cui è affidata la gestione del passaggio dalla UTIN alla NPIA ambulatoriale.
Tra i principali obiettivi oggetto dell’attività:
- la progettazione di un protocollo condiviso ospedale-territorio per l’osservazione e la valutazione neuroevolutiva;
- la collaborazione tra l’équipe ospedaliera e l’équipe territoriale per l’implementazione dei livelli di developmental care sia all’interno dell’UTIN sia al rientro a casa;
- le attività a sostegno della regolazione del neonato e del processo di co-regolazione tra genitore e bambino;
- la contrazione dei tempi di diagnosi e di attivazione degli interventi nei neonati a rischio evolutivo;
- l’empowerment del ruolo genitoriale in situazioni di complessità;
- il sostegno alla maturazione neuroevolutiva nel tempo longitudinale;
- il monitoraggio degli indicatori predittivi maggiori e minori.
Il progetto prevede: consulenze settimanali del TNPEE, discussione d’équipe tra il TNPEE, il Neonatologo e il Neuropsichiatra infantile, dei quadri che richiedono di proseguire la presa in carico presso il servizio territoriale di NPIA.
L’équipe si interessa anche di programmare le visite ambulatoriali e il monitoraggio con cadenza personalizzata per i quadri caratterizzati da numerosi indici di vulnerabilità.
Nell’ambito dell’età 3-6 anni, il progetto ha l’obiettivo di monitorare l’espressività clinica degli indicatori di rischio per intervenire precocemente in caso di esordio di un disturbo e/o di fragilità nell’organizzazione funzionale.
La vera sfida per la progettazione e l’efficacia degli interventi sta proprio nella possibilità di rintracciare precocemente la criticità prevalente quale oggetto principale dell’intervento precoce. Nella nostra esperienza, la prossimità non solo con l’utente dei servizi, ma anche tra i professionisti coinvolti, genera effetti positivi anche nel miglioramento della qualità degli interventi, favorendo l’opportunità di scambio in ambito formativo e specialistico, implementando la levatura della formazione delle risorse umane e concorrendo alla realizzazione di approcci metodologici e linguaggi condivisi a tutti i livelli della filiera prestazionale.
L’integrazione socio-sanitaria nel progetto di vita della persona
Nella vita, la persona attraversa differenti periodi caratterizzati da un’ampia variabilità di bisogni che richiedono un’opportuna differenziazione dei setting di cura e dei contesti esperienziali.
L’unitarietà degli interventi, ovvero la capacità di rispondere contemporaneamente alla molteplicità dei bisogni, è sostenuta dal concetto di sistema integrato, introdotto a livello nazionale dalla Legge 328/2000, con la quale lo Stato assicura un sistema integrato di interventi e servizi sociali.
Questa legge stabilisce le funzioni di ogni singola istituzione implicata nella governance dell’offerta sanitaria, definendo il livello essenziale delle prestazioni sociali, erogabili sotto forma di beni e servizi, per gli interventi di tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, includendo tutte le azioni per la piena integrazione delle persone disabili, in parte già espresse dalla precedente Legge 104 del 1992.
La complessità gestionale e la necessità di azioni di raccordo nel management della governance socio-santaria richiedono una sufficiente integrazione anche tra i differenti livelli organizzativi (uffici comunali, Aziende Sanitarie Locali, Regione e altri Enti Territoriali). I progetti di integrazione socio-sanitaria, le collaborazioni inter-istituzionali e i protocolli d’intesa rappresentano concrete facilitazioni per la realizzazione di azioni efficaci nell’ambito della prevenzione e della riabilitazione dell’età evolutiva, poiché sollecitano interazioni più frequenti tra le istituzioni coinvolte nei diversi livelli assistenziali (Aziende Ospedaliere, Aziende Sanitarie Locali, Enti Convenzionati, Enti Locali regionali, provinciali e comunali).
La programmazione degli interventi sanitari, educativi e sociali nel concreto è espletata attraverso il Piano di zona, strumento deputato a definire le strategie di risposta ai bisogni sociali e socio-sanitari. Il Piano di zona, sulla base degli indirizzi regionali, definisce il piano delle attività territoriali (PAT) che pianifica gli interventi previsti dai livelli essenziali delle politiche sociali e sanitarie destinate alla cittadinanza, perseguendo l’omogeneità delle prestazioni per l’intera utenza di riferimento.
Ognuno di noi possiede un progetto di vita, un percorso mirato alla crescita personale e all’acquisizione dell’autonomia, che fa leva sui punti di forza e cerca di ridurre quelli di debolezza.
Nella recente pubblicazione Diagnosi e prognosi in riabilitazione infantile, Canevaro e Ferrari analizzano barriere e opportunità correlate al tema della disabilità (Canevaro & Ferrari, 2019). Le persone disabili solitamente non hanno modelli reali ed efficaci a cui ispirarsi e il loro progetto di vita rischia di essere irrealizzabile se ideato in una dimensione di fantasia troppo distante dal piano di realtà. Nel caso di un soggetto con disabilità, questo rischio deve essere considerato e affrontato dagli adulti di riferimento che ne costituiscono la rete sociale e dalle figure professionali specifiche che, lavorando in sinergia, favoriscono le condizioni sufficienti per realizzarlo, a partire dai bisogni speciali della persona, dalle risorse, dai desideri e dalle aspettative, supportando il soggetto nella costruzione del suo progetto, sviluppato in un percorso dinamico e sequenziale. Creare una rete amicale, fare in modo che il soggetto fragile viva dei rapporti sereni, stabili e duraturi all’interno della comunità e con i propri coetanei, esercitando tutti gli spazi di autonomia possibili, vuol dire essere in grado di accettare e non negare eventuali limiti. Il contributo, positivo o negativo, dei vari attori coinvolti nei contesti di vita dei soggetti in via di sviluppo dipenderà anche dalla capacità dell’adulto di distanziarsi dal proprio ruolo di supporto per favorire al momento opportuno l’autonomia e l’autodeterminazione, prevenendo un comportamento invadente da parte dell’intera comunità, ambiente in cui da un lato le persone fisiche possono tendere a sostituirsi al soggetto disabile nella messa in campo di competenze e abilità, dall’altro le istituzioni possono tendere a perpetuare interventi non più appropriati, per via delle difficoltà connesse al passaggio da modelli organizzativi basati su una logica a priori a modelli progettuali che impongono opportune previsioni e un’organizzazione degli interventi in base alle necessità dell’hic et hunc. Queste pratiche corrono il rischio di esporre i soggetti a condizioni di eccessiva sanitarizzazione, privandoli al contempo di importanti esperienze di inclusione e partecipazione in contesti educativi e sociali.
Discussione
Nell’ambito dell’assistenza sanitaria di base il Servizio Sanitario Nazionale garantisce, attraverso i propri servizi, i medici e i pediatri convenzionati, la gestione ambulatoriale e domiciliare delle patologie acute e croniche secondo le migliori pratiche e in accordo con il malato, inclusi gli interventi e le azioni di promozione e di tutela globale della salute (DPCM LEA art. 4).
Tra le prestazioni rientranti nell’assistenza sanitaria di base sono compresi: l’attivazione di percorsi assistenziali a favore del bambino, con presa in carico entro il primo mese di vita; le visite ambulatoriali e domiciliari a scopo preventivo, diagnostico e riabilitativo; il controllo dello sviluppo fisico, psichico e sensoriale del bambino; la ricerca dei fattori di rischio. Tuttavia molte prestazioni terapeutico-riabilitative non dispongono di una chiara codificazione all’interno del Nomenclatore nazionale dell’assistenza specialistica ambulatoriale, condizione che determina diverse problematiche, non solo in termini di tutela dell’equità e dell’universalità di accesso ai Livelli Essenziali di Assistenza, ma anche in termini di indicazione e specificità delle terapie erogate, che finiscono per confluire in macro-categorie poco sensibili a età e bisogni, alimentando tra i servizi la logica della disponibilità tout court.
Un ulteriore elemento che concorre a offuscare l’analisi dell’offerta sanitaria nell’ambito terapeutico-riabilitativo per l’età pediatrico-adolescenziale risulta essere l’assenza di un programma informativo nazionale dedicato all’età evolutiva, che permetta di avvalersi di dati disaggregati su base nazionale e regionale al fine di fare analisi più puntuali per età, disturbo, tempi di accesso e durata dei percorsi diagnostici e terapeutico-riabilitativi così come di ottenere stime del rapporto tra la prevalenza dei disturbi trattati e la prevalenza dei disturbi nella popolazione generale; dati indispensabili per una realistica programmazione delle politiche pubbliche. L’inadeguata affidabilità dei dati è riportata in diversi documenti sanitari e ministeriali e rappresenta un’urgenza nell’ambito della progettazione delle risposte e per la definizione dei relativi PDTA.
Seppure tutta da costruire nelle modalità pratiche, la nuova alleanza tra NPIA e pediatria — sancita con l’adozione delle schede di prevenzione dei disturbi del neurosviluppo in occasione dei bilanci di salute — può rappresentare l’opportunità di predisporre setting di cura specifici per gli interventi precoci e precocissimi, rispondendo alle esigenze di estrema diversificazione dei contesti, per una popolazione così estesa e così varia come quella dell’età evolutiva, che va dai 0 mesi ai 18 anni. Nelle malattie croniche e complesse dell’età evolutiva risulta importante affiancare ai costanti percorsi di valutazione e monitoraggio delle funzioni anche percorsi di promozione della salute e/o di protezione nelle specifiche aree di vulnerabilità. Le caratteristiche di questi bambini necessitano di adeguati modelli di indagine concretizzabili solo attraverso un’adeguata capacità di bilancio e integrazione tra diagnosi medica e diagnosi funzionale, garantita da una costante interprofessionalità, soprattutto nelle fasi prodromiche, che richiedono conoscenze specifiche degli indicatori di rischio e competenze di osservazione specifiche per età e per patologia. I danni relativi ai ritardi nella diagnosi possono essere contenuti dagli interventi funzionali, che concorrono a contrastare l’irreversibilità dell’outcome longitudinale.
In questo senso la costruzione di un nuovo welfare di comunità, come previsto dal PNRR, potrebbe attivare una maggiore sinergia tra i Pediatri di Libera Scelta (PLS) e i TNPEE dei servizi territoriali, facilitando l’istituzione di percorsi altamente personalizzati in base all’età, alla condizione clinica e alle esigenze dell’intero nucleo parentale, che possano includere nuove formule assistenziali quali ad esempio interventi di «homevisiting», gruppi di promozione per le famiglie e abilitazione precoce e precocissima. Sostenere il coordinamento di équipe destinate alla promozione e alla prevenzione garantirebbe interventi sempre più precoci, in grado di migliorare sensibilmente gli esiti dei trattamenti e di superare condizioni di fragilità transitorie, che nei soggetti in età evolutiva possono risolversi e rientrare con ottime risposte di modificabilità, se affrontate precocemente, quanto cronicizzare se non intercettate nel momento di criticità.
In situazioni caratterizzate da importante complessità diagnostica, per un reale miglioramento della prognosi le azioni orientate all’individuazione precoce devono integrarsi con una «presa in carico funzionale» tempestiva e mirata, erogata nell’epoca di massima plasticità cerebrale. Sempre più evidenze testimoniano l’efficacia di interventi diretti a bambini e adolescenti ad alto rischio, ancorché asintomatici, che possono prevenire o modificare le traiettorie di sviluppo delle potenziali disabilità neuromotorie, cognitive e psichiche, assieme agli interventi finalizzati al supporto della genitorialità.
Per molti disturbi neuropsichici è quindi necessario prevedere interventi di sensibilizzazione, formazione, consulenza e training all’interno dei contesti, che nel complesso delle attività hanno il compito di favorire il raggiungimento del maggior grado di autonomia e di indipendenza possibile in un’ottica di piena inclusione educativa e sociale. Intervenire sui contesti di vita allargati è di fondamentale importanza per la qualità e l’efficacia del percorso terapeutico-riabilitativo e per una positiva inclusione scolastica e sociale, poiché la persona e il suo contesto di vita si modellano a vicenda. Contesti di vita particolarmente significativi sono la scuola, rispetto alla quale vi sono precise indicazioni normative a supporto dell’inclusione, e i luoghi aggregativi relativi al tempo libero. Il rafforzamento e la costruzione di reti locali tra scuola, territorio, servizi sanitari e terzo settore, anche attraverso l’implementazione di programmi centrati sulle life skill, permettono di rafforzare la partecipazione all’interno della famiglia, delle comunità, della scuola e dei diversi ambiti della vita sociale.
C’è ancora tanto da fare per conferire pari dignità e valore ai vari contesti della rete socio-sanitaria e socio-educativa, tuttavia un buon funzionamento di ciascuno di questi contesti è fondamentale nel garantire la sostenibilità dell’intero sistema assistenziale, spesso soggetto a importanti sbilanciamenti di carico a favore di questo o di quell’altro contesto, molte volte di natura compensativa, in particolare nei territori poveri di reali opportunità inclusive. Questi sbilanciamenti obbligano le famiglie ad accontentarsi delle offerte più facilmente reperibili sul territorio, le quali non sempre risultano armonizzate con la presa in carico dei Servizi e rispondenti alle reali necessità. In numerosi territori, gli interventi educativi per questi bambini presentano confini molto deboli con le prestazioni sanitarie di tipo riabilitativo, lasciando insoddisfatta la richiesta dell’offerta educativa in setting inclusivi, che non ripropongano tanto la logica dell’aiuto quanto la dinamica del fare con gli altri nella libertà di esprimere le proprie soluzioni di autonomia. In questo senso, le istituzioni attraverso gli strumenti della governance possono impedire che interventi assistenziali non appropriati interferiscano essi stessi con il raggiungimento del più alto livello di funzionamento adattivo del soggetto, disperdendo importanti risorse economiche e sociali. Il progetto di ammodernamento della sanità, attraverso l’attuazione delle Linee Guida e dei documenti programmatici, rende necessario ripensare la funzione delle istituzioni pubbliche, che devono essere prima di tutto garanti e supervisori dei progetti, ponendo le condizioni favorevoli per il superamento dei vincoli prettamente burocratici attraverso processi attuativi e amministrativi facilitanti (Canevaro e Ferrari, 2019). Il welfare di prossimità è un processo culturale ed economico che crea opportunità inclusive di partecipazione per la cittadinanza attiva. L’innovazione dei modelli sanitari dipenderà dalla capacità di ampliare il fulcro delle attività, integrando alla dimensione di diagnosi e cura quella dell’educazione e della prevenzione della salute, attraverso il coinvolgimento attivo dei professionisti, dei soggetti portatori di bisogni e delle loro famiglie.
Abstract
«Health care participation for persons having a rare disease», a webinair convention held on February 26, 2022, included the participation of TNPEE National Register Commission and offered organizational models for childhood. TNPEE has specific competency in the child development and became the promoter of organizational models that correspond to the age group’s especially delicate health needs. Beginning with chronic care management in rare diseases, this article addresses the complexity that is a part of child development. It attempts to identify the child’s and the family’s priority needs when constructing a life project and all that is necessary to support the project. Starting from the present «state of the art», more recent recommendations are examined that regard early intervention and synergy in health, educational and social intervention, and that result in making a difference in short, medium and long-term developmental outcome.
Keywords
Rare disease, Chronic care model, Diagnostic, Therapeutic and support options, Early intervention, Health governance.
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