Il TNPEE
© 2021 Erickson
Vol. 3, n. 2, novembre 2021
(pp. 61-67)
DONNENMD: un percorso di formazione e informazione dedicato alle donne e alle patologie neuromuscolari
Marika Pane
Neuropsichiatra infantile, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – Centro NeMO Roma
Daniela Chieffo
Direttore Unità Operativa Semplice di Psicologia, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS
Federica Moriconi
Psicologa clinica e Psicoterapeuta, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS
Giorgia Coratti
TNPEE, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – Centro NeMO Roma
Lavinia Fanelli
TNPEE, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – Centro NeMO Roma
Giulia Norcia
TNPEE, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – - Centro NeMO Roma
Nicoletta Madia
Responsabile comunicazione e coordinatrice di progetto, Centro NeMO Roma
Sommario
L’educazione familiare e personale nel contesto abilitativo, riabilitativo e di gestione degli aspetti di vita quotidiana ricopre un ruolo fondamentale nel percorso terapeutico in ambito neuropsichiatrico infantile. Nell’area della medicina di genere, il progetto DONNENMD, promosso dal Centro Clinico NeMO Pediatrico di Roma, in collaborazione con la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, ha voluto dedicare ampio spazio alle pazienti donne con atrofia muscolare spinale (adolescenti) e alle madri di persone affette da patologia neuromuscolare a esordio infantile (SMA, DMD, BMD).
Il progetto ha come obiettivo quello di rendere queste donne protagoniste consapevoli e con maggiori risorse nell’affrontare il percorso di presa in carico clinica, nell’ottica dell’empowerment delle pazienti e delle caregiver. Per la realizzazione del progetto DONNENMD è stato coinvolto il team multidisciplinare afferente al Centro Clinico NeMO Pediatrico di Roma, composto da neuropsichiatri infantili, psicologi, terapisti della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva e membri del team di comunicazione, in quanto aspetti quali la formazione, soprattutto in ambito riabilitativo, e gli aspetti psicosociali hanno ricoperto un ruolo centrale. Difatti, la valorizzazione di vissuti ed esperienze, oltre i confini tracciati dalla presenza della patologia, stimola un cambiamento culturale e favorisce l’inclusione.
Parole chiave
Donna, Riabilitazione, Empowerment, Patologie Neuromuscolari, Formazione.
Introduzione
In Italia, il 60% delle persone disabili è di genere femminile e una donna affetta da una patologia neuromuscolare degenerativa sarà costretta ad affrontare e gestire nelle diverse fasi della propria vita cambiamenti dal punto di vista funzionale, corporeo e di crescita psicologica personale. Nel caso di una ragazza adolescente, ad esempio, la gestione della malattia rende necessario un riadattamento della propria vita a una nuova condizione fisica, che impone di includere, per necessità, nel proprio spazio e tempo di vita anche l’utilizzo di ausili e presidi medici. L’adolescenza, difatti, porta con sé il concetto di «cambiamento». Un cambiamento che si esprime a livello fisico, cognitivo e psicologico. Si assiste, in essa, a una trasformazione del corpo, che cresce e si modifica, con l’abbandono progressivo dei tratti somatici infantili per raggiungere sembianze più adulte e sessualizzate. Durante questa fase del ciclo vitale individuale si sperimenta una maggiore vulnerabilità al pensiero e al giudizio dell’altro, in quanto fase di costruzione della propria identità personale. Le adolescenti disabili possono essere maggiormente sensibili in tale passaggio, interfacciandosi con un corpo nuovo, reputato malato e sbagliato e, dunque, spesso rifiutato e rinnegato, in quanto non riconosciuto nel confronto con l’altro.
Fin dalla fase gestazionale avviene la genesi del corpo in termini di rappresentazione. Le figure di accudimento contribuiscono alla percezione e all’accettazione del corpo in adolescenza, dal modo in cui promuovono il contatto e la rappresentazione dello stesso fin dall’infanzia. L’accudimento del proprio corpo e il suo riconoscimento come mezzo per presentarsi al mondo influiscono e determinano quella che sarà l’immagine futura di sé nel mondo sociale.
Il passaggio dall’infanzia all’adolescenza rappresenta, oltre che un processo evolutivo all’interno del ciclo vitale dell’individuo, anche un momento di crescita e di sviluppo per l’intero sistema familiare. La convivenza con la propria patologia richiede quindi una formazione accurata della paziente sia dal punto di vista clinico sia da quello del supporto psicologico, per valorizzare le potenzialità del singolo, investite sin dalla nascita in questo dialogo corporeo fondamentale per la costruzione dell’identità corporea. Questo percorso formativo deve includere anche il caregiver, in particolare le madri. La disabilità, difatti, investe il sistema familiare dal momento della diagnosi, incidendo sull’organizzazione di ruoli e funzioni di ogni membro dello stesso. Come è noto, nella maggioranza dei casi è proprio la figura materna che si sente maggiormente responsabilizzata del carico fisico ed emotivo che comporta il fornire assistenza e cura a un figlio disabile, gestendo impegni e attività dello stesso, come la formazione, le visite mediche di controllo e la riabilitazione. Per tale ragione, una ragazza e una madre entrambe formate sulla gestione quotidiana della patologia sono più sicure da un punto di vista clinico grazie alla consapevolezza specifica degli aspetti di malattia e della sua gestione a breve e lungo termine. Inoltre, un percorso psicosociale dedicato aiuta la bambina, la ragazza, la donna, la caregiver a prendersi cura di sé valorizzando la propria persona e andando oltre i confini tracciati dalla condizione clinica.
Il progetto DONNENMD
Il progetto DONNENMD (in cui NMD sta per neuromuscular diseases) è stato promosso dal Centro Clinico NeMO Pediatrico di Roma in collaborazione con la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, con il contributo incondizionato di Biogen, Novartis, Roche, Sarepta e Italfarmaco. Il gruppo ha condotto un programma di formazione e informazione online dedicato alle donne e alle patologie neuromuscolari, principalmente quelle a esordio infantile (atrofia muscolare spinale, distrofia muscolare di Duchenne e distrofia muscolare di Becker).
La formazione si è sviluppata su due percorsi paralleli: un percorso di tipo clinico che ha portato alla creazione di materiali e occasioni di confronto sugli aspetti legati alle patologie seguendo gli standard di cura internazionali, con un focus particolarmente significativo sulla riabilitazione; un percorso parallelo di tipo psicosociale, in cui si è posto l’accento sul benessere psicofisico attraverso appositi gruppi di discussione, sulla valorizzazione di talenti e potenzialità con iniziative specifiche quali, ad esempio, i laboratori di fotografia, e sul racconto di storie di vita utilizzando la medicina narrativa.
La formazione: la riabilitazione per le patologie neuromuscolari a esordio infantile
In questo particolare ambito del progetto, il TNPEE ha ricoperto un ruolo centrale di collegamento tra follow-up medico e famiglia/paziente, tramite la creazione di contributi video educazionali condivisi personalmente tra operatori e famiglia, durante le visite in telemedicina e in presenza, ma anche pubblicati sul sito di riferimento del progetto (link in sitografia).
Il percorso formativo sugli aspetti clinici è stato impostato sulla base delle patologie più frequenti al centro clinico NeMO (atrofia muscolare spinale di tipo I, II, III; distrofia muscolare di Duchenne; distrofia muscolare di Becker) e sulle diverse fasce di età, tenendo in considerazione tutti gli aspetti centrali degli standard di cura e, tra questi, quelli riabilitativi. L’approccio riabilitativo in ambito neuromuscolare è individualizzato e di cruciale importanza per la vita dei bambini, dei ragazzi e dell’intero nucleo familiare e copre una vasta gamma di attività. Si tratta di un approccio che di base si pone dei macro obiettivi: abilitare i bambini e i ragazzi in tutto affinché possano esperire il movimento in maniera qualitativa e quantitativa; ridurre l’immobilità non solo per acquisire nuove competenze ma anche per prevenire l’insorgenza di retrazioni, contratture e atrofia da non uso; gestire la patologia da un punto di vista cognitivo, sociale, comunicativo partendo dai bisogni di bambini e ragazzi, e con il supporto di altre figure professionali, in momenti quali l’inserimento scolastico, l’apprendimento, l’individuazione di ausili adatti che possano agevolare le famiglie nella quotidianità per migliorare la qualità di vita. In questo contesto sono stati imprescindibili il supporto e il contributo del TNPEE come figura esperta e competente negli aspetti non solo riabilitativi in senso stretto, relativi alla gestione quotidiana della patologia e all’adesione agli standard di cura, ma anche come mediatore e facilitatore del passaggio tra l’accettazione del corpo che cambia fisiologicamente e l’accettazione del corpo che cambia a causa della malattia, soprattutto nella delicata fase adolescenziale.
Questo approccio non può non tenere in considerazione il ruolo fondamentale dei genitori, centrali nelle azioni riabilitative quotidiane e che per questo, in una virtuosa alleanza terapeutica, necessitano di un’accurata formazione. La riabilitazione, inoltre, deve comprendere tutte le attività che piacciono ai bambini e ai ragazzi come il gioco. Il gioco è il mezzo attraverso cui il bambino fin dalle prime settimane di vita comincia a fare esperienza del proprio corpo e dell’ambiente che lo circonda. Il gioco è per il bambino strumento di apprendimento per eccellenza. È importante che sia quindi utilizzato nel contesto valutativo e riabilitativo, sia per il training alle famiglie affinché apprendano a stimolare al meglio i loro bambini sul piano neuropsicomotorio. A seconda della fascia di età e della gravità della patologia il TNPEE deve adattare al bambino che ha davanti il proprio approccio corporeo e l’ambiente circostante, oltre agli oggetti e alle attività che vengono proposte. Ad esempio, per i bambini SMA1 che non hanno raggiunto la posizione seduta, il gioco dovrà essere adattato secondo modalità particolari: il mondo deve essere portato al bambino con strategie per le quali egli sia protagonista della propria interazione con l’ambiente. La terapia, come sempre, deve essere al servizio del bambino, non il contrario.
Oltre al gioco inteso come momento ludico quotidiano, un ruolo fondamentale nella vita dei minori viene ricoperto dalle attività sportive adattate, che rendono protagonisti i ragazzi facendo riacquisire loro autostima e senso di sé attraverso l’azione-movimento: la danza-abilità, l’hockey in carrozzina, il nuoto. Nell’attività sportiva e nell’educazione psicomotoria, i bambini e i ragazzi con patologie neuromuscolari vivono una nuova unità di mente e corpo che contribuisce a migliorare tutti gli aspetti dello sviluppo: dal punto di vista motorio sperimentano movimenti finalizzati a ottimizzare le capacità funzionali residue e lavorano sulla sensazione di fatica e faticabilità che rappresenta spesso il primo ostacolo in campo riabilitativo. Dal punto di vista psicologico si genera inoltre un senso di soddisfazione che permette di avere un maggiore contenimento degli stati emotivi negativi e incrementa la capacità di autocontrollo; dal punto di vista socio-educativo invece vi è un aumento delle autonomie, della socialità, dell’aggregazione, del gioco di squadra che permette di superare paure e pregiudizi. L’attività, infatti, si propone sempre a partire dalle possibilità di movimento presenti, tramite un’espressione emozionale unita alla ricerca di potenzialità motorie che il soggetto in altri ambiti non utilizza e non sperimenterebbe.
La vita oltre la malattia: dalla comunicazione di diagnosi al progetto di vita, il vissuto delle madri e delle ragazze
Quando una mamma riceve per il proprio figlio/a una diagnosi di patologia neuromuscolare è come se il tempo si arrestasse: nulla è più come prima. Ricerche condotte a livello internazionale, come il «Rare Barometer» di Eurordis, rilevano come spesso sia proprio la figura materna la «primary caregiver», costretta a rinunciare a occasioni e possibilità della propria vita (ad esempio, aspetti di vita quotidiana, self-care, educazione, ecc..) per prendersi cura del figlio. La madre segue l’evoluzione della patologia unitamente alla crescita del proprio bambino/a e si trova nella condizione di imparare a convivere ogni giorno con elementi nuovi: l’accettazione della diagnosi, la progettualità che viene stravolta, la vita quotidiana che cambia nella gestione sia del tempo sia degli spazi.
Un tema comune è rappresentato dal disorientamento e dallo smarrimento che si affrontano quando quello che si era immaginato come un rapporto diadico madre-figlio, assume la connotazione di triangolo in cui coesistono tre poli, madre-figlio-SMA, che talvolta necessariamente non possono essere isolati. Si diviene, pertanto, genitori h24, dove spazio e tempo divengono un lusso per i pochi che godono di un’organizzazione che consta di sacrificio e/o dell’aiuto di terzi.
Il carico emotivo delle madri ha bisogno dell’ascolto e soprattutto del sostegno nell’elaborazione del lutto del figlio «sano» che diventa figlio «malato»: i percorsi psicosociali a loro dedicati in DONNENMD fanno sì che possano trovare una chiave possibile per vivere la loro vita, costruendo un presente e un futuro di qualità per sé e per i propri figli. L’approccio si basa sulla valorizzazione della resilienza, cioè sulla capacità di far fronte, resistere, costruire, integrare e recuperare la propria vita dopo una diagnosi così impattante. Essere in grado di ricostruire il proprio progetto di vita e condividerlo con la presenza dell’atrofia muscolare spinale, conduce ad accettare la patologia, conoscerla e saperla gestire rendendosi partecipi della presa in carico dei propri figli. Questa consapevolezza porta a dare il «giusto spazio» senza far sì che la patologia totalizzi l’esistenza dei figli e del nucleo familiare limitandone opportunità e progettualità.
Qui il TNPEE si inserisce non solo come mediatore e riabilitatore, ma anche come professionista che, in sinergia con l’equipe medica e riabilitativa, e soprattutto insieme alla famiglia e al paziente, sceglie accuratamente gli ausili che faciliteranno il paziente nella sua vita quotidiana, diventando parte integrante di un percorso volto alla delineazione di un progetto di vita e di un futuro «accessibile».
In parallelo ai percorsi delle madri, vi sono quelli delle ragazze, nello specifico con SMA, che crescono e costruiscono la propria indipendenza superando pregiudizi e forme di discriminazione, nei confronti sia della patologia con cui convivono sia del loro essere donne. Ragazze, giovani donne tenaci, attive, interessate: viaggiatrici, ballerine, giornaliste, scrittrici, fotografe. Ognuna di loro cerca o trova la propria collocazione nel mondo sulla base delle passioni da cui è mossa, dello spirito di conoscenza che spesso si scontra con una società poco accogliente, ma verso la quale si propongono come fautrici di cambiamento. Un cambiamento che non può prescindere da due elementi che le adolescenti individuano come centrali: la formazione e l’educazione. Diventare esperte della propria patologia per poterla gestire nel migliore dei modi e seguire percorsi di studio che permettano di tracciare il loro spazio nel mondo. Gli interventi a loro dedicati all’interno di DONNENMD, con il contributo del TNPEE in sinergia con le altre figure professionali coinvolte nel progetto, hanno fatto sì che le ragazze potessero dare più valore alle loro capacità ed espressione ai loro vissuti. Hanno inoltre consentito di individuare percorsi di formazione futuri affinché le ragazze possano intraprendere ulteriori cammini da percorrere per andare oltre la malattia.
Prime considerazioni sull’esperienza
In questo quadro il ruolo del TNPEE, insieme a quello dello psicologo e del neuropsichiatra infantile, è cruciale per promuovere la relazione madre-figlia/figlio e la maturazione personale del soggetto nel percorso di accettazione dei cambiamenti del proprio corpo in relazione alla condizione di cui si fa portatore. In particolare, la modalità operativa strutturata sulla raccolta di bisogni e interessi delle bambine, delle ragazze e delle caregiver ha permesso di creare contenuti video di tipo formativo, tra cui molteplici incentrati sull’ambito riabilitativo, a cura e con il contributo dell’équipe di TNPEE, nonché di esplorare le rappresentazioni e il processo di mentalizzazione del corpo e della patologia nella popolazione che è stata fin qui seguita.
Tali progetti assumono una connotazione di rilievo in quanto possono contribuire ad abilitare o riabilitare nuove forme di comunicazione con se stessi e all’interno della diade madre-figlio. In questa prospettiva è possibile accedere alla propria emotività e condividerla, in un’ottica di comunicazione circolare, la quale consente di sentirsi e di riconoscersi come entità separate ma in grado di connettersi. Inoltre iniziative come questa, che percorrono sia un canale di formazione per target sia uno di informazione per la società civile, raggiungono numeri elevati: milioni di visualizzazioni per i contenuti scientifici diffusi con i principali media italiani e centinaia di familiari coinvolti. Questo dimostra quanto la formazione e l’informazione siano essenziali nel processo di empowerment del paziente.
SITOGRAFIA
http://download2.eurordis.org.s3.amazonaws.com/rbv/2017_05_09_Social%20survey%20leaflet%20final.pdf
https://altreconomia.it/come-e-lontana-la-parita-di-genere-per-le-donne-con-disabilita/
https://www.istat.it/it/files//2019/12/Disabilit%C3%A0-1.pdf