Il TNPEE

© 2021 Erickson

Vol. 3, n. 1, maggio 2021

(pp. 56-68)

La ricerca scientifica nelle professioni sanitarie: focus sulla ricerca in riabilitazione neuropsicomotoria e sul ruolo del TNPEE

Stefania Petri

TNPEE, Dipartimento di Neuroscienze dello sviluppo, Fondazione IRCCS Stella Maris – Pisa.

Giulia Purpura

TNPEE, Ricercatore MED/48, Scuola di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Milano Bicocca – Milano.

Sommario

La ricerca in riabilitazione neuropsicomotoria rappresenta un processo complesso teso a promuovere nel bambino e nella sua famiglia la migliore qualità di vita possibile. Il terapista è uno degli attori che, in collaborazione con altre figure sanitarie, è in grado di gestire i bisogni clinici del paziente con disabilità dello sviluppo in età evolutiva, progettando interventi individualizzati sulla base del profilo funzionale di ogni soggetto in cura. Per tale motivo è assolutamente necessario che il professionista abbia una buona conoscenza delle migliori evidenze emerse dalla ricerca scientifica più recente e possegga adeguate conoscenze di metodologia della ricerca ed Evidence Based Medicine (EBM), con l’obiettivo di diventare sempre più parte attiva nel processo di miglioramento della qualità e dell’efficacia degli interventi riabilitativi, trovando il giusto equilibrio tra scienza e «arte della riabilitazione», cercando di incoraggiare una crescita emotiva, creativa e intellettuale che stimoli l’intera classe professionale verso la ricerca della qualità e di sempre nuove opportunità di conoscenza.

Parole chiave

Ricerca scientifica, Evidence Based Medicine, Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva, Riabilitazione, Neurosviluppo.

Introduzione

Il professionista sanitario rappresenta uno degli attori che, in sinergia con altre figure sanitarie mediche e non mediche, agisce all’interno della presa in carico dei pazienti in età evolutiva in funzione dei loro bisogni clinici e ambientali. Il professionista sanitario, quindi, non esegue esclusivamente delle operazioni tecniche, ma rileva il bisogno di salute dei singoli pazienti, progetta e sceglie gli interventi funzionali, assume decisioni tempestive nei campi di propria competenza e riveste in questi piena responsabilità.

Per poter portare avanti un processo così complesso, diviene quindi necessario possedere una preparazione costantemente aggiornata e consapevole, in grado di favorire l’integrazione delle conoscenze scientifiche nella pratica quotidiana.

Il professionista sanitario, di fronte al caso clinico, deve innanzitutto porsi delle domande, ovvero dei quesiti clinici, e in base a questi deve ricercare e ottenere, tramite la ricerca delle migliori evidenze, risposte corrette alla loro analisi critica e al loro utilizzo.

In questo modo, scelte e decisioni vengono assunte non soltanto sulla base delle proprie conoscenze ed esperienze, ma utilizzando i risultati della ricerca clinica sperimentale, senza con ciò rinunciare all’intuizione, alla sensibilità e all’esperienza che gli sono proprie.

Le azioni che i professionisti della sanità compiono sul paziente devono essere, infatti, di provata efficacia: è pertanto fondamentale basare la maggior parte degli atti e delle scelte su solide basi scientifiche.

Tali assunti provengono dall’Evidence Based Medicine (EBM), un movimento culturale di approccio alla medicina e al paziente che si è progressivamente diffuso a livello internazionale e che si concretizza nella pratica clinica attraverso l’integrazione della ricerca sistematica in letteratura con l’expertise del medico e/o del professionista sanitario. La pratica dell’EBM è definita come EBP (Evidence Based Practice) e si è progressivamente diffusa in tutto il mondo, trovando fertile terreno soprattutto nelle nazioni di lingua inglese (Canada, USA, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda): è un approccio all’assistenza sanitaria che tiene conto di come il ragionamento fisiopatologico e l’esperienza personale siano necessari ma non sufficienti per decidere. Questa tecnica enfatizza il processo decisionale basato sulle migliori evidenze disponibili e sull’uso degli studi relativi agli esiti per guidare le decisioni. Definisce un approccio basato sul problem solving, che tiene in considerazione il contesto e l’esperienza clinica del professionista sanitario, ovvero le capacità del singolo professionista di utilizzare le proprie abilità cliniche e l’esperienza professionale al fine di valutare per ogni singolo paziente le situazioni specifiche, i rischi e i benefici derivanti dagli interventi.

Il metodo EMB

Il metodo proposto dall’EBM si inserisce nel solco tracciato dal ragionamento di tipo ipotetico-deduttivo tipico del problem solving ed è possibile schematizzarlo in quattro fasi fondamentali (Pomponio e Calosso, 2005).

1. Formulazione del quesito: la pratica inizia con il porsi un quesito per risolvere il problema del nostro paziente, sia che si tratti di terapia sia che si tratti di diagnosi e prognosi. La caratteristica fondamentale di un buon quesito è infatti che sia formulato in maniera tale da ammettere una risposta. Buona pratica è quella di esplicitare il quesito seguendo quattro componenti essenziali, riassunte dall’acronimo PICO (P = Paziente – I = Intervento – C = Confronto – O = Outcome):

  • Paziente: come descriveresti un gruppo di pazienti simili al tuo?
  • Intervento: qual è l’intervento che ti interessa principalmente?
  • Confronto: qual è la principale alternativa da confrontare con l’intervento?
  • Outcome: cosa può realmente produrre l’intervento?

La necessità di rispondere a questi quesiti non dipende solo dall’esperienza e dalle conoscenze di base del professionista, ma anche dalla variabilità che tipicamente i pazienti e le situazioni cliniche presentano.

2. Ricerca delle prove di efficacia in letteratura: ovvero l’indagine capillare di tutti i risultati degli studi capaci di dimostrare, con una certezza scientifica misurabile e condivisibile, il vantaggio oggettivo di eseguire un determinato strumento, assumere una specifica decisione clinica, effettuare un definito intervento. Tale passaggio consente infatti al professionista di operare delle decisioni limitando i margini di errore. Lo stretto legame che la medicina delle evidenze auspica tra pratica e ricerca clinica non sarebbe neppure pensabile senza il grande sviluppo che l’editoria in rete ha avuto negli ultimi dieci anni. Il progresso telematico ha permesso una più facile distribuzione dell’informazione scientifica soprattutto grazie all’avvento della rete internet che, diffusa in maniera capillare, consente di collegarsi alle più grandi banche bibliografiche, specifiche per ogni settore disciplinare (ad esempio, PubMed Central, Scopus, Web of Science, Cochraine Library, Embase, ecc.).

3. Apprendimento critico delle evidenze risultanti dalla ricerca: in questa fase il professionista sanitario è chiamato a stabilire la validità metodologica degli articoli selezionati, estrarre i risultati e verificarne l’applicabilità alla propria realtà assistenziale. Imparare ad analizzare criticamente la letteratura medica è il punto cruciale del processo di trasformazione da spettatore passivo del progresso scientifico (che basa le proprie decisioni su opinioni) a professionista moderno (che decide in base alle migliori evidenze scientifiche da lui stesso valutate e selezionate). Essere in grado di valutare con sicurezza uno studio clinico è tuttavia un’impresa piuttosto ardua, che richiede molto studio teorico e lungo allenamento. Per supportare il professionista nella valutazione critica delle evidenze giocano un ruolo fondamentale le istituzioni e le comunità di ricercatori che producono Linee Guida e altri documenti integrati, atti a raccogliere le migliori evidenze scientifiche e le migliori raccomandazioni sul tema in questione, nonché a redimere eventuali questioni incerte.

4. Messa in atto dei risultati ottenuti in ricerca: una volta selezionate le evidenze più valide è il momento di mettere in atto i risultati di tale ricerca nella gestione del paziente e nella formulazione di protocolli e progetti di miglioramento della qualità assistenziale. Tuttavia, si sono palesate numerose difficoltà che si oppongono a un efficace processo di trasformazione delle informazioni raccolte in nuovi comportamenti clinici e organizzativi. I documenti propri dell’EBM, che spesso richiedono anni di lavoro da parte di team di specialisti e l’investimento di grandi risorse economiche, tendono troppo spesso a rimanere un fenomeno editoriale e culturale senza incidere troppo sul mondo reale della pratica clinica. Proprio questa presa di coscienza ha fatto comprendere l’importante necessità di una stretta concatenazione tra la selezione delle evidenze, una buona gestione del paziente e del contesto clinico e la formulazione di protocolli e progetti, al fine di migliorare la qualità assistenziale.

La ricerca clinica e i disegni sperimentali

La ricerca clinica è il modo e il luogo in cui le ipotesi prodotte dal progresso delle scienze di base e le nuove macchine create dalla tecnologia diventano strumenti per curare, diagnosticare, predire la prognosi e organizzare la sanità attraverso una verifica di efficacia e tollerabilità condotta sulle persone. Tale verifica può essere condotta in tre modi (Pomponio e Calosso, 2005):

1. Studi osservazionali: studi nei quali i ricercatori osservano quanto accade a un paziente, a un gruppo di pazienti o a una o più popolazioni di persone affetti da una malattia o esposti a un fattore di rischio o a un intervento terapeutico, descrivendo ciò che accade e compiendo misurazioni. Si distinguono in studi prospettici (quando lo studio osserva e misura quanto accade dall’inizio della ricerca in poi), retrospettivi (quando lo studio esamina la documentazione clinica dei pazienti per rilevare quanto è accaduto nel passato) e misti (quando l’osservazione si dirige sia verso il passato sia verso il futuro).

2. Studi cross-sectional: disegno di studio a campionamento trasversale, ovvero condotto osservando una sezione incrociata di popolazione, i cui soggetti sono selezionati sulla base di criteri definiti a priori, per un tempo determinato. Sono utili quando si vogliono descrivere i bisogni assistenziali di soggetti con caratteristiche specifiche o quando si vuole compiere uno studio diagnostico, descrivendo e misurando i risultati dell’applicazione di un certo nuovo test, confrontato con un altro di cui si conoscono già le caratteristiche di performance. In questo caso tale studio assume caratteristiche che lo pongono a cavallo tra uno studio osservazionale e uno sperimentale, perché i ricercatori tentano in genere di controllare nei dettagli le modalità di effettuazione dei test.

3. Studi sperimentali: condotti per stabilire l’efficacia di un intervento terapeutico, organizzativo o di un test diagnostico su una porzione selezionata di popolazione, controllando tutte le condizioni di interesse sperimentale quali: quantità, modalità di applicazione del protocollo, compliance e trattamenti concomitanti. Tali studi sono in genere controllati e prospettici e possono essere suddivisi in due tipologie:

  1. Trial Clinico Controllato Randomizzato (RCT): rappresenta il disegno di studio più appropriato ed efficace per valutare la reale efficacia di qualsiasi tipo di intervento in sanità, anche di tipo riabilitativo;
  2. Cross over trial: in questo disegno di studio lo stesso soggetto viene esposto in tempi diversi a uno o più trattamenti secondo una sequenza casuale. Viene utilizzato per valutare l’efficacia di interventi sanitari possibilmente senza effetti prolungati su outcome a breve termine in malattie croniche relativamente stabili.

La qualità delle informazioni che ciascun tipo di disegno produce, a parità di appropriatezza in relazione alla tipologia di quesito, può essere diversa.

A partire dalla formulazione delle ipotesi, fino ad arrivare alla sua verifica o al suo rigetto, i diversi disegni sperimentali possono e devono poter collaborare, purché secondo modi, sequenze e tempi corretti in grado di non alterare l’andamento degli studi e quindi dei risultati.

Linee guida e raccomandazioni

«Le linee guida sono raccomandazioni di comportamento sviluppate attraverso un procedimento di revisione sistematica della letteratura disponibile per assistere medici e pazienti nel decidere le modalità assistenziali appropriate in specifiche circostanze cliniche» (Field e Lohr, 1990). Esse sono state progettate per migliorare la qualità della cura della salute e diminuire l’uso di interventi non necessari, inefficaci o dannosi. Le Linee Guida possono essere considerate sempre più uno dei collegamenti critici tra le migliori evidenze disponibili e la buona pratica clinica. Per semplificare il compito di chi ne accede alla lettura, chi stila le Linee Guida utilizza sistemi di classificazione delle evidenze che impiegano numeri e/o lettere e/o simboli. Purtroppo, però le istituzioni, le associazioni e le comunità di ricercatori che producono Linee Guida e altri documenti integrativi non sono ancora riuscite a trovare l’accordo su quale sia il sistema migliore per classificare il livello delle evidenze e così il lettore si può trovare di fronte a sistemi anche molto diversi tra loro. Uno degli strumenti che sta prendendo piede negli ultimi anni in Europa è lo strumento AGREE (Appraisal of Guidelines Research & Evaluation in Europe), che cerca di fornire un quadro di riferimento per la valutazione della qualità di linee-guida cliniche. È definito come strumento «generico», nel senso che può essere applicato a linee-guida di qualsiasi area clinica, relativamente a diagnosi, promozione della salute, terapia e trattamento.

Un esempio di realtà che ha promosso una più facile comprensione, e un conseguente utilizzo della migliore evidenza scientifica nella pratica clinica in ambito neuropsichiatrico, è quello dell’European Academy of Childhood Disability (EACD) che, nel 2010, ha stilato le Linee Guida e le raccomandazioni riguardo la definizione, la diagnosi, la valutazione e l’intervento dei disturbi della coordinazione motoria (DCD). Obiettivo principale di queste Linee Guida è stato senz’altro fornire adeguate conoscenze sulla migliore pratica basata sull’evidenza al fine di individuare le strategie più efficaci di diagnosi e di intervento per questo disturbo del neurosviluppo; in questo modo è stato possibile riconoscere un approccio interdisciplinare al disturbo (DCD) definendo i ruoli specifici di ciascun professionista all’interno della pratica clinica (Blank et al., 2012).

RCT, applicazione del disegno di studio in terapia e riabilitazione

La complessità degli interventi riabilitativi, soprattutto in età evolutiva, rappresenta una delle ragioni per cui lo sviluppo di una ricerca clinica condotta con una metodologia rigida e puntuale è ancora limitato. Nonostante questa considerazione è però doveroso ammettere che le prove sperimentali rappresentano la base più solida per scegliere in modo obiettivo i trattamenti riabilitativi più efficaci (Taricco, 2004). Pertanto, per rispondere a un quesito inerente a una terapia che sia essa medica o riabilitativa, il disegno dello studio ideale è rappresentato dal Trial clinico Randomizzato Controllato (RCT). La distribuzione casuale dei pazienti reclutati in due gruppi di confronto permette di distribuire in maniera omogenea i vari fattori prognostici, conosciuti e sconosciuti, che potrebbero influenzare i risultati, rendendoli il più oggettivi possibili (Pomponio et al., 2005). Infatti, tale approccio consente di considerare i risultati ottenuti come una reale espressione dell’efficacia dell’intervento analizzato, perché vengono limitati al minimo i possibili squilibri nelle caratteristiche generali dei pazienti reclutati nei due gruppi. Gli studi RCT ben condotti rappresentano il disegno sperimentale ideale per rispondere in modo sicuro a domande relative all’efficacia di interventi sanitari, anche di natura riabilitativa, permettendo di attribuire con ragionevole certezza l’effetto osservato al trattamento e non ad altri fattori che possono influire sulle misure di risultato scelte (Taricco, 2004).

Considerazioni generali sulla ricerca in riabilitazione neuropsicomotoria

La ricerca in riabilitazione è stata a lungo criticata in quanto non è risultata in grado di riflettere in maniera esatta i rigori del metodo scientifico per poter essere chiamata scienza. Il campo della riabilitazione è stato spesso descritto come lento nel promuovere i suoi risultati scientifici e quindi di notevole difficoltà risultava l’inclusione di questi risultati nella pratica clinica (Tate, 2006). Negli anni, però, gli approcci qualitativi, che possono essere utilizzati come strumenti per aiutare i ricercatori nella scoperta di nuove conoscenze, sostenuti dai metodi quantitativi, hanno reso la riabilitazione una interessante combinazione tra arte e scienza. In questo senso, il ruolo dei ricercatori è quello di combinare l’arte riabilitativa con la scienza in modo da favorire lo sviluppo della qualità e della credibilità in questo campo (Tate, 2006). La crescita della scienza nel campo della ricerca riabilitativa deriva dall’associazione della riabilitazione come arte con discipline basate su scoperte empiriche e scientifiche come la biologia, la genetica molecolare o le neuroscienze, che forniscono nuove opportunità per il trattamento e la cura di molte condizioni. In particolare, la ricerca in riabilitazione neuropsicomotoria rappresenta un processo complesso, teso a promuovere nel bambino e nella sua famiglia la migliore qualità di vita possibile.

Il Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva (TNPEE) con azioni dirette e indirette si interessa dell’individuo nella sua globalità fisica, mentale, affettiva, comunicativa e relazionale (carattere olistico), coinvolgendo il suo contesto familiare, sociale e ambientale (carattere ecologico). La riabilitazione neuropsicomotoria si compone di interventi integrati di rieducazione, educazione e assistenza (Manifesto per la Riabilitazione del bambino a cura del Gruppo Italiano per la Paralisi Cerebrale Infantile, 2000). È chiaro quindi quanto sia necessario che la figura del TNPEE possegga adeguate conoscenze riguardo alla metodologia della ricerca e dell’EBM, in modo da poter prendere parte attiva allo studio per un miglioramento della qualità e dell’efficacia degli interventi riabilitativi. Secondo la Commissione Nazionale del Corso di Laurea in Terapia della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva che ha stilato i punti chiave del Core Competence del TNPEE, il Terapista deve essere in grado di:

  1. identificare l’ambito di ricerca in considerazione dei problemi prioritari di salute, dei problemi di qualità nei servizi e in ambito didattico;
  2. consultare la letteratura, valutando in modo critico le informazioni relative agli ambiti di competenza del TNPEE;
  3. organizzare la procedura scegliendo la metodologia più adatta all’ambito di ricerca individuato;
  4. analizzare i risultati, valutandoli in modo critico;
  5. discutere per sviluppare le conoscenze, condividendo i risultati ottenuti dalla ricerca e documentandoli correttamente.

Nell’ambito della riabilitazione dell’età evolutiva, la ricerca risulta fondamentale per promuovere lo sviluppo di nuove modalità di intervento e tecnologie allo scopo di migliorare la qualità di vita delle persone con disabilità nonché per verificare l’efficacia dei trattamenti riabilitativi oggetti di studio (Cioni e Sgandurra, 2007).

Nello specifico di questa professione, una delle sfide più complesse, ma nello stesso tempo più importanti, che il TNPEE e l’équipe di Neuropsichiatra Infantile si trovano ad affrontare nell’ambito della ricerca in campo riabilitativo riguarda la caratterizzazione dell’intervento e gli strumenti per misurare la specifica influenza del trattamento riabilitativo sulla storia naturale del paziente. Questo perché gran parte dell’intervento si fonda sulla relazione tra terapista e paziente e per questo motivo la «standardizzazione» delle terapie riabilitative, che si basano sull’azione, sul comportamento e sui pensieri del paziente e del suo terapista, è inevitabilmente un compito arduo (Cioni e Sgandurra, 2007). Il setting nella riabilitazione neuropsicomotoria non riguarda, infatti, solo gli spazi, gli oggetti e le metodologie più appropriate per un determinato paziente, ma va inteso come una cornice fisica, temporale e motivazionale, che è alla base di tutta l’attività terapeutica. Inoltre, nel caso particolare dei soggetti in età evolutiva, alcune informazioni vanno considerate in relazione all’attendibilità e alla capacità di giudizio e compliance dei genitori, soprattutto quando vengono somministrati questionari. Proprio per questi motivi, che rendono difficoltosa l’osservazione rigorosa del metodo scientifico, la Ricerca in Riabilitazione, soprattutto in ambito neuropsicomotorio, ha da sempre sollevato numerose discussioni all’interno del panorama scientifico anche in virtù dell’elevato rilievo medico-sociale che essa assume.

Molto importante è il ruolo che la ricerca in riabilitazione neuropsicomotoria potrebbe avere nel promuovere la salute del bambino e in particolare nel bambino con disabilità dello sviluppo o nei cosiddetti soggetti «a rischio». Studi volti a favorire l’indipendenza, la produttività e il miglioramento delle condizioni di vita in questi soggetti sarebbero molto rilevanti anche per la ricaduta che potrebbero avere sulle politiche sanitarie e sull’organizzazione dei servizi rivolti all’età evolutiva. Un altro importante contributo della ricerca in questo campo proviene dagli studi tesi alla validazione di nuovi strumenti di valutazione funzionale che possono indagare, con maggiore evidenza scientifica, le potenzialità e i punti di debolezza specifici dei soggetti in esame.

È nell’ottica di un maggiore rigore metodologico e di una migliore documentazione degli eventi del processo riabilitativo che vi è stato negli ultimi anni un rapido accrescersi di proposte di strumenti di misura, talora anche molto complessi e sofisticati, la cui conoscenza e il cui uso devono necessariamente entrare a far parte del bagaglio culturale e della pratica clinica quotidiana di ogni operatore della riabilitazione (Paolicelli, Coluccini e Cioni, 2005).

La validazione (e il conseguente utilizzo nella pratica clinica) di nuovi strumenti, specifici per la quantificazione, condivisione e comunicazione dei dati relativi all’efficacia dell’intervento riabilitativo, e adatti al paziente in età pediatrica, permette al TNPEE di prendere in considerazione tutte le variabili presenti in gioco in questo processo, e di individuare obiettivi di intervento comuni con altre professionalità all’interno dei Servizi di Riabilitazione. Gli strumenti di valutazione funzionale dovrebbero infatti possedere alcune caratteristiche psicometriche fondamentali tra cui l’affidabilità, la validità, la responsività, la specificità e la sensibilità, ma vi sono anche degli aspetti applicativi che vanno presi in considerazione. È importante, infatti, che gli strumenti scelti per la valutazione siano semplici da utilizzare, non richiedendo quindi né particolari abilità né una lunga formazione ed esperienza per i terapisti, così da rendere maggiore l’affidabilità, ma devono anche avere caratteristiche di appropriatezza, precisione e interpretabilità rispetto allo scopo stesso dello studio. Inoltre, devono essere duttili così da essere più facilmente inseriti nella quotidiana pratica clinica. Usare gli stessi strumenti validati permette inoltre, tra operatori di luoghi diversi, un dialogo più fluido che consente una reale comunicazione scientifica, una conoscenza complessiva dei bisogni dell’utente e rappresenta uno strumento insostituibile di trasparenza e di verifica di efficacia per tutti gli operatori che desiderino monitorare il proprio operato.

Accanto alle difficoltà legate all’applicazione del metodo scientifico, la Ricerca in Riabilitazione da sempre rimane un ambito complesso e preso poco in considerazione anche a causa delle ingenti risorse necessarie per quanto riguarda le infrastrutture e i supporti finanziari elevati e non facilmente reperibili. A questo proposito il prof. Paolo Boldrini, della Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa (SIMFER), sottolinea, in un articolo apparso nel «Giornale Italiano di Medicina Riabilitativa» (Boldrini, 2003), come le attività di ricerca clinica nel campo della medicina riabilitativa siano in Italia ancora poco sviluppate al confronto soprattutto di altri Paesi europei e nordamericani. Sottolinea, inoltre, come sul piano pratico i fattori che in genere vengono identificati come ostacoli allo sviluppo delle attività di ricerca siano essenzialmente relativi alla scarsità di risorse (fondi per la ricerca, organizzazione del lavoro che non prevede tempi e spazi per la ricerca clinica all’interno delle unità operative, ecc.) oltre che alle insufficienti conoscenze di cui i clinici dispongono circa le metodologie e gli strumenti della ricerca (conoscenze di statistica, metodi di progettazione di uno studio clinico, metodologie della pubblicazione dei risultati). In particolare, in Italia, si evidenzia la difficoltà a finanziare e gestire fondi tali da consentire progetti longitudinali o a lunga scadenza, quindi con una prospettiva necessariamente evolutiva (Boldrini, 2003).

Difficoltà e nuove prospettive nell’applicazione di studi rct in riabilitazione, un focus sull’ambito neuropsichiatrico

Come sottolineato da Cioni e Sgandurra (2007), la riabilitazione, dal punto di vista medico-sociale, ha un rilievo elevato. Tuttavia, esistono pochi studi scientificamente validi, soprattutto in campo pediatrico, e in particolare neuropsichiatrico, sebbene le opportunità in quest’ambito siano numerose per le caratteristiche specifiche di ciascun quadro clinico-patologico, la variabilità del grado di disabilità e l’assenza di cure univoche e definitive a fronte della necessità di interventi riabilitativi. In particolare, tra le principali sfide della ricerca in riabilitazione possiamo annoverare fattori etici, deontologici, strumentali e variabili ambientali il cui impatto spesso risulta difficilmente isolabile e valutabile. Ne riportiamo di seguito alcuni di specifico interesse per il TNPEE.

Cioni e Sgandurra (2007) focalizzano l’attenzione sul fatto che, soprattutto da un punto di vista etico, è molto complesso proporre ai genitori di bambini con disabilità dello sviluppo la partecipazione a studi randomizzati controllati, perché tale richiesta presuppone l’eventualità che l’intervento sia in cieco per gli sperimentatori, ma anche il fatto che, in maniera casuale, si possa essere assegnati al gruppo sperimentale o piuttosto al gruppo di controllo. Non solo: anche la richiesta alla famiglia di dare la disponibilità a effettuare controlli più sistematici e frequenti (al fine di monitorare i risultati dell’intervento) con bambini che spesso hanno già avuto numerose ospedalizzazioni spesso risulta un fattore importante nella fase di reclutamento. Accanto a questi fattori etici, permangono anche alcuni aspetti che rendono difficile l’esecuzione di studi RCT in questo campo, quali ad esempio la difficoltà nel reperire un numero di partecipanti sufficientemente grande se si restringono i criteri di ammissione (per eliminare i possibili fattori di confusione). Inoltre, proprio di fronte all’estrema variabilità dell’espressione dei quadri clinici in età evolutiva, si manifesta una marcata difficoltà nel definire con precisione i termini del campionamento. Ciò comporta la necessità di aumentare esponenzialmente la numerosità campionaria.

Ma la fase più difficile da portare avanti durante la creazione del disegno di ricerca è sicuramente la caratterizzazione dell’intervento riabilitativo, probabile causa della molteplicità di variabili che intervengono a influenzare, in positivo e in negativo, l’efficacia dei trattamenti. Come già detto sopra, in riabilitazione, specialmente nel campo della neuropsichiatria infantile, una delle variabili da tenere fortemente in considerazione è la relazione tra terapista e bambino. Il setting è di solito quello ludico e la proposta non può essere completamente standardizzabile in quanto deve necessariamente prendere in considerazione il preciso momento emozionale in cui si trova il bambino. All’interno del setting terapeutico il bambino deve poter esprimere liberamente le sue modalità comportamentali, essere accettato e compreso con le sue manifestazioni patologiche nel rispetto della sua individualità, costruire un valido rapporto di fiducia con il terapista così da poter scoprire con lui un nuovo percorso evolutivo (Russo, 2000). Per questo motivo la caratterizzazione dell’intervento rischia di diventare una forzatura. Tuttavia, tale problema non è insormontabile, ma può essere superato attraverso una metodologia applicativa che prenda in considerazione più fattori, tra cui i bisogni (e quindi il benessere) formativi e lavorativi dei terapisti dei centri territoriali e ospedalieri.

Il primo passo è sicuramente la definizione delle basi teorico-scientifiche su cui si fondano le funzioni che vogliono essere indagate, il trattamento in oggetto di studio e l’utilizzo di specifici protocolli di valutazione. Per fare ciò è importante fornire ai terapisti dei distretti territoriali tutte le informazioni necessarie sul tipo di trattamento da seguire e/o sulle valutazioni da effettuare, formarli in modo specifico al loro utilizzo e favorire frequenti momenti di monitoraggio e condivisione, al fine di conseguire il più alto grado possibile di agreement, ovvero di accordo fra più operatori che effettuano o interpretano una specifica procedura (Cioni e Sgandurra, 2007).

Negli ultimi 10 anni, anche in Italia, la quantità di gruppi di ricerca che scelgono di utilizzare metodologie scientifiche di alto livello nel campo della riabilitazione in neuropsichiatria infantile è sicuramente aumentata e risulta tutt’ora in crescita. Per poter aggirare le difficoltà descritte è quindi necessario avere una maggiore consapevolezza dell’apporto, così come dei limiti, della ricerca in questo campo, e considerare alcuni fondamentali punti chiave (tabella 1) che possono costituire un valido supporto metodologico per il personale medico e riabilitativo.

Tabella 1

Punti chiave per una buona ricerca in riabilitazione (Cioni e Sgandurra, 2007)

Linguaggio comune

Protocolli chiaramente scritti, uso routinario delle procedure standard, monitoraggio e verifica degli studi.

Buone domande

Calibrare gli obiettivi ponendosi buone domande che siano né vaste né limitate.

Popolazione da studiare in base all’obiettivo dello studio

Stabilire sempre i criteri di inclusione ed esclusione dei soggetti in modo tale che la popolazione sotto studio sia omogenea e i soggetti partecipanti siano comparabili.

Caratterizzazione del trattamento

Definire le basi teoriche del trattamento e dichiarare gli ingredienti attivi ossia terapista e paziente.

Scelta della

metodologia

Avvalersi della migliore letteratura di studi precedenti per impostare studi clinici possibilmente randomizzati.

Scelta misure di outcome

Scegliere misure in grado di definire il cambiamento previsto.

Analisi dei dati

Pianificare analisi statistiche appropriate agli scopi prefissati.

Diffusione dei risultati

Far conoscere i risultati ottenuti e far sì che vengano applicati nella pratica clinica.

Conclusioni

La riabilitazione dell’età evolutiva è scienza recente e ancora non ben definita rispetto ad altri campi di intervento sulle disabilità, a causa di alcune sue particolari caratteristiche. Di conseguenza dovrebbe essere proprio uno dei compiti del terapista trovare, attraverso la ricerca, il giusto equilibrio tra scienza e «arte della riabilitazione» (Tate, 2006) cercando di incoraggiare una crescita emotiva, creativa e intellettuale che stimoli l’intera classe professionale alla continua ricerca della qualità e di sempre nuove opportunità di conoscenza, proprie di questa disciplina.

Unire quindi le conoscenze metodologiche e la creatività tipica dell’arte riabilitativa non è cosa scontata e risulta difficile sia da insegnare per i docenti sia da imparare per gli allievi, motivo per cui viene spesso presa poco in considerazione durante la formazione di base dei terapisti. Questo crea inevitabilmente una profonda scissione e quindi una difficoltà di comunicazione tra gli operatori che esercitano la loro professione in ambito universitario, formati specificatamente al metodo scientifico, e gli operatori dei Servizi Territoriali, spesso più inclini degli altri nel fare propria la seconda caratteristica. Tali difficoltà sono comunque superabili e il ruolo attivo del terapista è sicuramente un elemento chiave da cui la ricerca in questo campo non può prescindere.

Possiamo quindi affermare come il ruolo del terapista all’interno del panorama medico-scientifico sia cambiato radicalmente nel corso degli ultimi decenni. Da operatore ausiliario, a cui non veniva richiesta nessuna opinione e interpretazione riguardante la patologia del paziente e il trattamento da attuare, a partecipante attivo della riabilitazione e protagonista indiscusso insieme al paziente di un processo complesso, che ha come scopo non solo quello di migliorare la funzionalità dell’utente, ma anche quello insito di «Ricercare», con l’aiuto delle neuroscienze, sempre nuovi strumenti, riqualificare quelli già in uso, e trovare modalità di intervento che possano rendere migliore la qualità di vita delle persone con disabilità.

Abstract

Research in neuro psychomotor rehabilitation is a complex process. It aims at promoting the best possible quality of life for the child and its family. The psychomotor therapist, together with other health professionals, is one of the participants able to manage the patient’s clinical needs when there is a developmental disability by planning personalized intervention based on the functional profile of each child in care. It is therefore necessary for a professional to be updated in recent results in scientific research and possess an understanding of research methods such as Evidence Based Medicine. The objective is to help the neuropsychomotor therapist become more active in determining quality and efficiency in rehabilitation by finding the proper balance between science and «the art of rehabilitation». It also means encouraging emotional, creative and intellectual growth that stimulates the entire professional community in their search for quality and new knowledge opportunities.

Keywords

Scientific Research, Evidence Based Medicine, Developmental Neuropsychomotor Therapist, Rehabilitation, Neurological development.

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Sitografia

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https://www.agreecollaboration.org

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