Il TNPEE

© 2020 Erickson

Vol. 2, n. 1, maggio 2020

(pp. 21-38)

Il Metodo SaM nella Terapia Neuropsicomotoria

Annalisa Risoli Medico specialista in terapia fisica e riabilitazione e riabilitazione neuropsicologica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano

Marta Sironi Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, Fondazione «Don C. Gnocchi Onlus» Centro Ronzoni Villa, Seregno

Sommario

L’articolo presenta il modello riabilitativo del Metodo SaM (Sense and Mind) e il suo utilizzo in ambito neuropsicomotorio. Il Metodo SaM basa il modello teorico sulle evidenze neurofisiologiche delle neuroscienze. Trova il suo primo fondamento nell’embodied cognition e interviene con esperienze sensorimotorie favorendo l’organizzazione dinamica e multimodale spazio-temporale. Attraverso una metodologia mirata facilita la costruzione e l’utilizzo delle immagini mentali, agendo sulle diverse funzioni del «processo esecutivo». Con l’uso del Metodo SaM all’interno della presa in carico neuropsicomotoria, il terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva può usufruire di uno strumento supportato da evidenze neuroscientifiche, che si è mostrato clinicamente utile a livelli diversi di complessità in molteplici aree di competenza specifica.

Parole chiave

Riabilitazione, Neuropsicomotricità, Embodied cognition, Immagini mentali, Funzioni esecutive.

INTRODUZIONE

Le competenze del terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva permettono di guardare alla globalità del bambino. Il corpo, canale privilegiato per la conoscenza del mondo, rappresenta la porta di accesso per l’intervento riabilitativo; partendo da attività piacevoli e motivanti, è possibile attivare tutto il potenziale che il soggetto ha a disposizione.

Nella terapia neuropsicomotoria, infatti, attraverso il gioco e la relazione, si attivano quei canali che supportano le varie aree dello sviluppo, sostenendo le diverse funzioni e trovando le strategie più funzionali che consentano al bambino di rapportarsi con il mondo esterno e di svolgere le azioni che la quotidianità richiede.

In questo articolo si propone l’utilizzo in ambito psicomotorio del Metodo SaM (Sense and Mind), approccio riabilitativo che basa il suo modello teorico su evidenze neuroscientifiche. Con l’integrazione del Metodo SaM all’interno della presa in carico neuropsicomotoria, il terapista può contare su uno strumento in più, utile sotto molteplici punti di vista, per lavorare con i piccoli pazienti: a partire dalle basi teoriche sottostanti, per arrivare ad attività più strutturate, è possibile declinare la sua applicazione in molteplici aree di competenza del terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva.

IL METODO SAM

Il modello teorico

Il Metodo SaM trova primo fondamento nella teoria dell’embodied cognition, nata negli anni Ottanta (Lakoff e Johnson, 1980), approfondita e resa solida da dati neurofisiologici (Gallese e Lakoff, 2005; Borghi e Caruana, 2013; Borghi e Caruana, 2016). Il corpo si muove negli spazi, con azioni funzionali, costruendo ed esprimendo aspetti cognitivi all’interno del movimento stesso: la cognizione è embodied («incarnata») proprio perché nasce con le esperienze corporee ed è situated («situata»), poiché le azioni che la generano prendono vita all’interno di contesti definiti. Corpo e mente diventano in tal modo inscindibili e la concretezza dell’azione che si sviluppa negli spazi consente la creazione di forme di pensiero a livelli crescenti di astrazione. I dati di ricerca sul movimento volontario confermano sempre più l’indissolubile unione fra movimento, percezione, cognizione ed emozioni (Rizzolatti e Sinigaglia, 2006; Kandel et al., 2015; Rizzolatti e Sinigaglia, 2019). Molte sono le evidenze dello stretto collegamento fra lo sviluppo motorio e quello psicologico. Le nuove abilità motorie che il bambino acquisisce creano opportunità per esplorare e imparare, stimolando lo sviluppo di diversi domini psicologici (Adolph e Hoch, 2019).

Nella programmazione ed esecuzione dell’azione è fondamentale la rappresentazione dello spazio (Rizzolatti e Sinigaglia, 2006; Fogassi et al., 1996). Ogni singolo atto attiva rappresentazioni spaziali funzionali, create grazie al movimento e alle proprietà specifiche dei diversi effettori motori. «La costituzione del mondo abitabile non dipende soltanto dal nostro prendere questo o quell’oggetto (oppure dalla nostra prontezza a farlo), bensì dalla nostra stessa capacità di muoverci e di orientarci nello spazio che ci circonda, nonché quella di afferrare le azioni e le intenzioni altrui» (Rizzolatti e Sinigaglia, 2006, p. 51). La capacità di costruire mappe spaziali dinamiche e funzionali alle esigenze personali e contestuali si raffina con l’esperienza. Lo spazio, o meglio gli spazi, sono lo strumento che entra quindi in gioco in tutte le attività (Mix, Smith e Gasser, 2010; Postma e Van Der Ham, 2017). Gli spazi sono fisici e anche mentali: per passare dalla concretezza dell’azione agli aspetti più complessi del nostro comportamento, che vedono in prima linea l’attivazione dei diversi processi esecutivi e lo sviluppo delle capacità relazionali, è necessario che il bambino crei e utilizzi le immagini mentali, motorie e visuo-spaziali (Antonietti e Giorgetti, 1993; Jeannerod, 1994; Decety e Jeannerod, 1995; Jeannerod, 2001; Jeannerod, 2006) e che sviluppi la cognizione spaziale (Postma e Van Der Ham, 2017).

L’intervento si esprime in primo luogo in attività nello spazio personale egocentrico con percorsi riabilitativi che coinvolgono lo spazio peripersonale, extrapersonale lontano e noicentrico. Grande attenzione viene data allo spazio noicentrico, o spazio delle relazioni interpersonali, e alla mediazione terapeutica, che si avvale soprattutto della comunicazione non verbale e paraverbale.

Cosa dire del tempo? Tutti noi ci muoviamo grazie a una perfetta organizzazione temporale, a livello muscolare, a livello della successione degli atti motori necessari per compiere un’azione ecc.: il ritmo motorio è solo uno dei tanti ritmi, interni ed esterni, che ci supportano. Sappiamo che apprendiamo grazie a complesse sincronie dei ritmi cerebrali (Buzsáki, Logothetis e Singer, 2013). Con il metodo si interviene sempre e in vario modo sugli aspetti di successione, durata, sincronia, e sulle strutture ritmiche, per favorire l’apprendimento e costruire, in età evolutiva, la capacità di organizzare in autonomia il proprio tempo (Vicario, 2005; Magnani e Musetti, 2017).

Il SaM prende in sintesi come riferimento acquisizioni neurofisiologiche attualmente condivise e interviene sull’organizzazione dinamica e multimodale spazio-temporale e sulle immagini mentali, agendo sulle diverse funzioni del «processo esecutivo», fra le quali sono fondamentali l’attenzione, la memoria di lavoro, l’inibizione e la flessibilità (Zelazo, Blair e Willoughby, 2017; Diamond e Ling, 2016). Interviene sul comportamento motorio partendo dai «mattoni», cioè dalle esperienze sensorimotorie (figura 1). Il mattone offre la struttura solida di base per lo sviluppo armonico, ma se esso è costruito con difficoltà, come ad esempio nella disprassia, gli effetti si possono riflettere su tutti gli aspetti della vita (Ammanniti e Gallese, 2014)

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Fig. 1 Il modello del Metodo SaM.

Le acquisizioni delle neuroscienze che stanno alla base del Metodo SaM si innestano su una tradizione educativa e riabilitativa in gran parte italiana: fra i fondamentali apporti «storici» ricordiamo in particolare l’approccio bio-psico-sociale e psicomotorio di Cecilia Morosini (Morosini, 1978) e quello process oriented di Levi Rahmani (Rahmani, 1987), il Metodo Terzi di Ida Terzi (Terzi, 1995), gli studi di Maria Montessori (Montessori, 2010; Regni e Fogassi, 2019) e di Augusto Romagnoli (Romagnoli, 2002). La metodologia utilizzata trova attualmente evidenza scientifica negli studi che supportano approcci riabilitativi che intervengono sulle immagini mentali motorie (Adams, Lust e Steenbergen, 2018), sull’embodiement e sulle funzioni esecutive (Diamond e Ling, 2016).

I principi di trattamento

Elemento fondante del metodo è l’intervento sulla cognizione spaziale usando il corpo come primo motore della conoscenza. Lo spazio del corpo costruisce con il movimento lo spazio esterno peripersonale, extrapersonale lontano e noicentrico grazie all’interazione dinamica con l’ambiente e all’integrazione multimodale delle informazioni sensorimotorie. Le esperienze motorie sono proposte con una chiara struttura, che favorisce la creazione e la memorizzazione delle immagini mentali. In ogni attività il movimento contiene in sé cognizione ed esperienze psicologiche, che sono alla base dello sviluppo armonico del bambino. La mediazione terapeutica ed esperienze motorie mirate favoriscono quindi lo sviluppo globale. Nella pratica il metodo interviene con modalità che vengono qui descritte nelle loro linee generali.

Integrazione multisensoriale

Il SaM favorisce l’integrazione multisensoriale. Le attività vengono proposte sia utilizzando l’esplorazione visiva, tenendo conto delle affordance (Borghi e Caruana, 2016) degli oggetti e delle possibilità di apprendimento che ci offrono i neuroni specchio, ma anche con gli occhi bendati tramite una mascherina, per favorire la propriocezione, l’esplorazione tattile o la focalizzazione sul sistema vestibolare. Il sistema vestibolare ha caratteristiche particolari e ha grande importanza per gli aspetti spaziali, l’equilibrio, l’integrazione visuo-motoria: già Ayres lo aveva studiato in modo approfondito (Ayres, 2012). Sappiamo che difficoltà propriocettive, vestibolari o tattili inducono a un uso compensatorio della vista, ma questo può comportare delle difficoltà e, se l’arto non è visibile, aumentano gli errori di controllo in feed-forward dei movimenti. L’integrazione multisensoriale dei dati provenienti da portali sensoriali diversi favorisce l’attivazione di ampie reti neurali e gli apprendimenti, oltre a correggere le tante ambiguità percettive (Kandel et al., 2015).

Le attività

La metodologia prevede la proposta di attività strutturate, viste con la lente delle loro caratteristiche spaziali e temporali. Per ogni attività è necessario che la programmazione, sia dell’azione semplice sia del comportamento complesso, si svolga attraverso processi esecutivi adeguati. Questo approccio riabilitativo, che interviene sul processo esecutivo, richiede che l’attenzione e l’intenzione dell’operatore siano mirate a individuare il percorso che sottende il compito. Questa intenzione permette di determinare continuamente e dinamicamente l’area potenziale di sviluppo (Vygotskij, 2010).

Le attività del metodo (tabella 1) sono suddivisibili in Attività Base e Attività di Integrazione Multimodale.

Tabella 1

Le attività del Metodo SaM

Le Attività Base hanno una struttura motoria ritmica molto chiara, in cui i movimenti si ripetono con una sequenza che segue le regole dell’induzione successiva (Fraisse, 1996). Utilizzano la modalità di apprendimento senza errori. Questa tecnica, usata anche in ambito didattico, consiste nell’inserire uno stimolo di aiuto che impedisca di sbagliare. Si fa sentire al soggetto il movimento corretto, con le opportune facilitazioni, poi pian piano si tolgono le facilitazioni, con un processo di progressiva attenuazione, fino a portare il soggetto a effettuare autonomamente l’attività, introiettando la struttura. In questo modo il bambino percepisce a livello somatosensitivo il movimento. L’operatore, utilizzando questa modalità di apprendimento, si assume la responsabilità di attivarsi al meglio per ridurre gli «errori», o meglio le difficoltà sensorimotorie del bambino, il cui comportamento motorio è condizionato dalla capacità dell’operatore di far «sentire» i movimenti appropriati. Le Attività Base intervengono prevalentemente sullo spazio personale egocentrico, in quello che Gallagher e Zahavi definiscono schema corporeo (Gallagher e Zahavi, 2009). Descriviamo in sintesi i Movimenti Ritmici, che sono Attività Base fondamentali e vengono utilizzati molto frequentemente all’inizio della seduta riabilitativa. Permettono infatti di attivare lo spazio del corpo nei distretti corporei che l’operatore intende coinvolgere nelle successive Attività di Integrazione Multimodale, in relazione all’obiettivo della seduta. Possono interessare distretti corporei molto differenti e vengono indotti facendo «parlare le mani» attraverso una presa sicura che fa sperimentare al bambino questa struttura: attivazione del movimento volontario del o dei distretti corporei prossimali coinvolti, pausa, movimento indotto dalla disattivazione muscolare prossimale, pausa. I Movimenti Ritmici interessano solitamente in modo alternato e simmetrico distretti muscolari dei due emispazi personali: la struttura ritmica viene applicata agli arti superiori, oppure alle mani (polso o dita), agli arti inferiori, ai piedi, agli occhi e/o a altre parti del corpo, spesso attivando sincronie anche complesse. L’apprendimento è fondamentalmente implicito: l’operatore guida il soggetto, lo sostiene, si allontana e si riavvicina a lui in modo sempre graduale, usando l’attenuazione; all’inizio il movimento è molto guidato attraverso prese con una chiara intenzionalità, poi la guida si toglie gradualmente, pronti a intervenire nel momento in cui il bambino dovesse sbagliare l’esecuzione motoria, riportandolo al movimento più corretto possibile. I Movimenti Ritmici vengono eseguiti con o senza la mascherina, favorendo l’integrazione multisensoriale fra il portale propriocettivo, tattile, il vestibolo, il portale visivo e/o il portale acustico. Capendo bene le loro caratteristiche fondanti e l’obiettivo per cui si propongono, se ne possono creare quindi moltissimi, variando la posizione del corpo, i distretti corporei coinvolti, enfatizzando alcuni portali sensoriali rispetto ad altri. In ogni caso la struttura viene sempre mantenuta. Nei bambini con disgrafia, ad esempio, molto spesso si lavora con gli arti superiori in posizione seduta, con movimenti che inizialmente coinvolgono gli arti prossimalmente e che arrivano a coinvolgere le singole dita. L’obiettivo dell’operatore deve essere chiaro e stabile, mentre è elastico il modo in cui si cerca di raggiungerlo.

Le Attività di Integrazione Multimodale prevedono una consegna, l’esperienza sensorimotoria, che viene chiamata Fase 1, che segue immediatamente la consegna stessa, e una fase successiva (Fase 2 o, in casi particolari, Fase 3 o Fase 4), nella quale viene chiesto al bambino di riproporre in vari modi l’esperienza vissuta poco prima.

La consegna è un’esperienza sensorimotoria guidata dall’operatore (consegna motoria) o la richiesta di eseguire autonomamente un’esperienza sensorimotoria (consegna visiva imitativa, tattile, verbale ecc.). Essa induce l’esperienza corporea successiva, eseguita in autonomia, o Fase 1, ed è selezionata in base all’obiettivo da raggiungere, alla situazione del soggetto e alla caratteristica intrinseca all’attività.

La Fase 1 è l’esperienza sensorimotoria immediatamente successiva alla consegna che permette al soggetto di organizzare in autonomia l’azione sulla base di quanto richiesto dalla consegna stessa. Il soggetto richiama quanto ha mantenuto in memoria di lavoro e organizza il comportamento motorio per eseguire la richiesta. Nella Fase 1 l’esperienza sensorimotoria è eseguita spesso con esclusione della vista, per permettere di focalizzare l’attenzione sulle informazioni somatosensitive e vestibolari, talvolta con l’uso della vista.

La Fase 2 è la riproduzione dell’esperienza ed è immediatamente successiva alla Fase 1. Il soggetto, che ha vissuto l’esperienza sensori-motoria (Fase 1) indotta dalla consegna, riproduce l’esperienza in vari modi. Richiama dalla memoria di lavoro l’esperienza motoria appena conclusa e la ripropone con strumenti (ad esempio pennello e colore) o facendo fare la stessa esperienza all’operatore. Il succedersi delle fasi non avviene in modo lineare e statico bensì circolare e dinamico.

Nelle Attività di Integrazione Multimodale il passaggio dalla consegna alle diverse fasi dell’attività permette di integrare forme di apprendimento differenti, sia implicite sia esplicite. L’apprendimento implicito per imitazione con i neuroni specchio viene usato in parecchie consegne e in terapia, come facilitazione nell’ambito della mediazione non verbale. Si utilizzano inoltre l’apprendimento per ripetizione, e l’apprendimento per prova ed errore, sia implicito sia esplicito. Si utilizzano approcci metacognitivi per intervenire sulla consapevolezza del percorso esecutivo e sulla cognizione spaziale.

La metodologia descritta permette di intervenire in modo mirato sulle immagini mentali motorie, sulla cognizione spaziale e sulle funzioni esecutive. Attività Integrazione Multimodale possono essere utilizzate, quando sono presenti i prerequisiti, per fare operazioni sulle immagini mentali, sia motorie sia visuo-spaziali. Lo sviluppo di queste capacità è molto importante per apprendere o riapprendere a utilizzare le immagini mentali per risolvere problemi inusuali, esercitare la propria creatività per scoprire collegamenti fra gli eventi ecc. Le Attività di Integrazione Multimodale si svolgono, usando lo spazio personale, nello spazio peripersonale o nello spazio extrapersonale lontano. A titolo di esempio descriviamo in sintesi l’intervento sullo spazio extrapersonale lontano. La caratteristica peculiare del lavoro in cui lo spazio personale va a costruire lo spazio extrapersonale lontano usando il suo naturale strumento di misura, il passo, è la possibilità di creare situazioni inusuali, grazie all’utilizzo della mascherina per gli occhi. Mentre è abitudinario il cammino a occhi aperti, soprattutto in terreni non accidentati, il cammino a occhi chiusi è un’attività insolita, che richiede l’utilizzo da parte del bambino di tutte le componenti delle funzioni esecutive e delle immagini mentali. Si può intervenire in modo mirato e progressivo su tutte le tre le tipologie di immagini mentali: visuospaziali (la palestra, i punti di riferimento stabili e non stabili, il percorso lasciato sul pavimento), motorie in prima persona (nella Fase 1), e motorie in prima e terza persona (nella Fase 1 e 2). L’esclusione della vista facilita inoltre l’individuazione di difficoltà somatosensitive e vestibolari, che sono in molti casi compensate con il canale visivo.

L’intervento sullo spazio extrapersonale lontano si caratterizza in modo chiaro per la necessità di seguire una progressione predefinita nella proposta delle attività. Questo lavoro può essere paragonato alla costruzione di una casa: si inizia dalle fondamenta e si prosegue per passi successivi, fino alle rifiniture interne. In questa progressione inizialmente si interviene sull’asse longitudinale unitario in dinamica, per integrare la rappresentazione dell’asse con lo spazio esterno. Le fondamenta della «navigazione» sono le attività sensorimotorie di misurazione — con il cammino e rotazioni del corpo — delle Distanze e delle Direzioni, in integrazione multisensoriale. Una volta che questi elementi base sono stati sperimentati e interiorizzati al massimo grado possibile, attraverso la loro combinazione si possono costruire infinite variazioni di percorsi deambulatori, sempre utilizzando la struttura specifica di queste Attività: Consegna, Fase 1 di esperienza sensorimotoria, Fase 2 di riproduzione dell’esperienza. Si sperimentano percorsi aperti, aumentando gradualmente le diverse difficoltà in base all’obiettivo. Un lavoro fondamentale nei percorsi aperti, che si può iniziare già dalla costruzione di percorsi con tre elementi (due percorsi lineari e una rotazione), è la costruzione sensorimotoria di una mappa, tornando indietro sul percorso già fatto. La mappa costruita camminando sul pavimento con la mascherina (Fase 1), potrà essere poi riprodotta in modi diversi (Fase 2), ad esempio su materiale modellabile, con la finalità di giungere a una sua visione allocentrica e di favorire la capacità di astrazione. La costruzione di percorsi chiusi, creando figure geometriche regolari e, successivamente, irregolari, permette di intervenire in modo molto mirato sulle capacità di pianificazione. Fin qui si è rimasti sulla Fase 2. Il lavoro sullo spazio extrapersonale si espande nella Fase 3, con le operazioni sulle immagini mentali. Si possono poi utilizzare le esperienze fatte come prerequisiti per costruire mappe mentali (Buzan, 2005), linee del tempo, per lavorare sull’orientamento spaziale in luoghi non conosciuti ecc. (Fase 4).

Dal corpo all’astrazione: le immagini mentali

La possibilità di creare immagini, di attivare con esse processi di trasformazione e di utilizzarle è alla base del metodo. Le immagini motorie sono fondamentali nella programmazione del movimento volontario e difficoltà ad esse correlate sarebbero presenti, secondo molti studiosi, nella disprassia/DCD (Blank et al., 2019). La capacità immaginativa è già presente nelle aree motorie, a indicazione della loro funzione cognitiva. La creazione delle immagini mentali è necessaria per il passaggio dalla concretezza dell’azione alla creazione dei concetti e all’astrazione (Gallese e Lakoff, 2005). Il metodo esercita la capacità di tenere in memoria di lavoro informazioni sul proprio corpo che si muove nello spazio vicino e lontano e di usarle, attivando processi che fanno riferimento all’esperienza appena trascorsa per riprodurla. Attraverso il richiamo spontaneo di esperienze che sono depositate sia in memoria di lavoro sia in memoria a lungo termine si richiama la memoria motoria, con l’attivazione di immagini mentali motorie in prima e terza persona e di immagini visuo-spaziali.

Le funzioni esecutive

Esercitare l’integrazione spaziale, in modo strutturato, come propone il metodo, permette di intervenire su aspetti basilari della cognizione, come l’attenzione e la memoria di lavoro. L’utilizzo di una metodica che si sviluppa attraverso fasi diverse, usando anche l’esperienza dell’eliminazione della vista, permette di intervenire anche su funzioni come la capacità d’inibizione e di shifting, di pianificazione e di verifica.

Il percorso terapeutico inizia con una valutazione approfondita e personalizzata, che mira a comprendere perché nel bambino con difficoltà diverse sono presenti segni di fragilità di organizzazione del «fare». La valutazione a fini riabilitativi si conclude con l’impostazione del programma terapeutico e con gli opportuni indicatori di outcome.

La mediazione e lo spazio noicentrico

Questa modalità di intervento considera, in primo luogo, l’interazione fra due corpi, quello dell’operatore e quello del bambino, che condividono lo spazio intersoggettivo, o spazio noicentrico. Questa interazione crea una comunicazione che è prevalentemente sensorimotoria, dove l’intenzione dell’operatore è mediatrice per lo sviluppo delle capacità del soggetto. Particolarmente interessante a questo proposito è la recente applicazione, all’interno del metodo, del concetto di forme vitali (Stern, 2011; Rizzolatti e Sinigaglia, 2019). Per Daniel Stern: «Il movimento (e la sua propriocezione) costituisce la principale manifestazione dell’essere animato e ha un ruolo primario nel mantenere un fondamentale senso di vitalità» (Stern, 2011, p. 10). Il movimento si verifica in un certo intervallo di tempo, è accompagnato dalla percezione di forze sottostanti o interne ad esso, si svolge in uno spazio e possiede una serie di attributi spaziali, ha una direzionalità e possiede un’intenzionalità. Movimento, tempo, forza, spazio, intenzione/direzionalità concorrono insieme all’esperienza vitale. Ci sono sempre più evidenze dell’esistenza di neuroni specchio per le forme vitali nell’insula (Rizzolatti e Sinigaglia, 2019). I neuroni specchio per le azioni e le emozioni possono spiegare a «cosa» miri un atto, ma l’impronta dinamica dell’altro, la forma vitale intrinseca al suo movimento, richiede anche il «come» l’atto viene eseguito. Il «come» di cui tratta Daniel Stern fa parte di quella comunicazione insita in ogni rapporto terapeutico, che diventa ancora più importante nel metodo, dove la mediazione è prevalentemente non verbale e considera gli aspetti spaziali e temporali del movimento, che entrano nella pentade dinamica delle forme vitali. Occorre inoltre sottolineare che lo stesso Daniel Stern nomina la terapia neuropsicomotoria come una delle terapie non verbali che, direttamente o indirettamente, affrontano le forme vitali (Stern, 2011, p. 45). Qualora il TNPEE che applica il metodo SaM lo ritenga opportuno integra il linguaggio dei corpi con il linguaggio verbale, per favorire l’integrazione fra cognizione spaziale e verbale e lo sviluppo di competenze complesse, anche con modalità metacognitive.

APPLICAZIONE NELLA TERAPIA NEUROPSICOMOTORIA DEL METODO SAM

L’intervento riabilitativo proposto, come sempre accade nel vasto mondo della riabilitazione, ha come scopo quello di aiutare i nostri piccoli pazienti a programmare al meglio i diversi compiti che la vita quotidiana presenta loro. Ruolo principale del terapista è quello di accogliere il bambino nella propria stanza di terapia, e con lui la famiglia e tutto il bagaglio esperienziale ed emotivo che lo circonda, di individuare difficoltà e punti di forza, per definire l’area di sviluppo potenziale, entro la quale stendere un progetto specifico e individuale per quel paziente, in collaborazione con l’intera équipe multidisciplinare.

L’approccio che proponiamo considera compito l’organizzazione spazio-temporale che entra in gioco in ogni attività, e intende intervenire sul processo esecutivo che il bambino mette in atto per agire nel mondo. Il compito è quindi proprio lo spazio-tempo, dinamicamente rappresentato e funzione cognitiva fondamentale in tutti i comportamenti volontari. È il movimento volontario quindi il punto di partenza attraverso cui lavoriamo sulle componenti prassiche, le funzioni esecutive di base e il percorso esecutivo. Nell’intervento sul processo infatti si intende attivare, integrare e migliorare le differenti funzioni e sotto processi esecutivi che il soggetto mette in atto per eseguire qualsiasi attività, grazie all’utilizzo della mediazione, non esplicita, da parte dell’operatore.

Di seguito vengono riportati gli elementi essenziali per impostare un lavoro neuropsicomotorio con il Metodo SaM.

Setting

È importante che la stanza di terapia non sia solo un luogo fisico, ma anche un contenitore emotivo per tutto quel bagaglio che bambino e famiglia hanno con sé. È lo spazio privilegiato della relazione, dove il bambino sa di poter portare le sue difficoltà senza incorrere nel giudizio, dove sente che il terapista è con lui sempre, nel qui e ora, per camminare insieme verso piccole e grandi conquiste (Valente, 2009).

Da un punto di vista pratico, è rilevante che la stanza di terapia sia un luogo «pulito», ordinato, con spazi più o meno ampi ben definiti e facili da mappare, senza specchi a vista, con armadi e cassetti a vista ma strutturati, in modo da aiutare il bambino a selezionare gli stimoli adatti e utili per quel determinato compito. Occorrono un materassino, un tavolo con due panchette, un armadio ricco di materiali e uno spazio da esplorare.

Materiali

È fondamentale che il materiale proposto attivi l’attenzione e la curiosità del bambino e che sostenga la motivazione. Perché ciò avvenga, siamo noi terapisti i primi a doverci meravigliare di fronte a materiali e proposte: solo così, all’interno di questo spazio noicentrico ben costruito, sarà possibile creare attività stimolanti e focalizzate al raggiungimento dell’obiettivo preposto.

Si predilige materiale semplice, non eccessivamente distraente, e destrutturato, che apra a molteplici modalità di utilizzo e che attivi processi e funzioni diverse e consenta l’accesso a più portali sensoriali e alla loro integrazione (figura 2). È indispensabile per il terapista avere chiara la funzione di quell’oggetto in quella specifica attività, e utilizzare facilitazioni e mediazioni adeguate, sempre variabili e diversificate, in relazione al soggetto e all’obiettivo, e per lo più non esplicite, favorendo l’attivazione in prima persona del bambino. Colori, pennelli, spugne, fogli, creta, palline, stoffe, tappi, cerchi, corde, tappeti: tutto può essere un valido alleato del riabilitatore, che sa stupirsi con il piccolo paziente, condividendone fatiche e gioie nella sperimentazione.

Fig. 2 Esempi di materiali.

La seduta neuropsicomotoria

L’utilizzo del Metodo SaM durante la seduta riabilitativa di neuropsicomotricità può essere caratterizzato da diverse connotazioni, in relazione al paziente, alla patologia, all’obiettivo, alla predisposizione del bambino che ci troviamo davanti. Talvolta sarà possibile impostare l’intera durata della seduta con attività del metodo, altre volte queste ricopriranno solo i primi dieci minuti, o forse gli ultimi. Un’impostazione flessibile e personalizzata non penalizzerà un buon raggiungimento dei nostri obiettivi, ma al contrario ci consentirà di poter lavorare in modo graduale sulle potenzialità del soggetto, sfruttando al meglio le sue aree di forza in un contesto piacevole, positivo e motivante. In base alle esigenze terapeutiche e alle caratteristiche del bambino con cui il terapista si trova a lavorare è possibile applicare il metodo utilizzando in modo strutturato le diverse attività, ma anche in modo più flessibile e personalizzato. Ciò che risulta davvero importante è tenere sempre come linea guida del trattamento quelli che sono i principi di base del metodo, adattabili a ogni tipo di attività, anche alle più destrutturate. È ad esempio possibile includere un lavoro sull’asse corporeo (elemento fondamentale per una strutturazione del sé corporeo e di conseguenza per la relazione e la conoscenza del mondo) anche durante la costruzione di una casetta con i cubotti di gommapiuma o una pista per le macchinine. Il terapista può inserirsi gradualmente nell’attività spontanea del bambino, dandogli un significato emotivo e spaziale, guidando la strutturazione della stessa, fornendo quei landmark (emotivi e spaziali) che consentano anche una strutturazione del sé corporeo in relazione con il mondo. Tutto ciò può avvenire in modo più o meno esplicito, lasciando parlare prevalentemente il nostro corpo e i nostri gesti, sintonizzandoci con il bambino in modo coerente e armonico. Forse è proprio in questa occasione, sviluppando ad esempio un’attività tenendo conto dello spazio in proiezione dell’asse centrale di riferimento e degli emispazi vicini e lontani, che proponiamo al bambino un esercizio di generalizzazione del compito spazio-temporale su cui vogliamo lavorare, senza dimenticare che il primo lavoro sullo spazio è proprio quello che si colloca all’interno della relazione bambino-terapista, nello spazio intersoggettivo fondamentale nella terapia neuropsicomotoria. È proprio da questo spazio che si costruisce l’intero percorso riabilitativo, dove l’intenzione e la comunicazione motoria ed emozionale del terapista sono mediatori per lo sviluppo delle capacità prassiche ed esecutive del paziente (figura 3). Solo successivamente il lavoro può diventare più esplicito e condiviso, per cui il pensiero verbale si integra con il linguaggio dei corpi, per permettere l’utilizzo di competenze anche molto complesse.

Fig. 3 Esempi di attività.

ESEMPIO DI UNA SEDUTA RIABILITATIVA

Verrà di seguito esposta una possibile sequenza di attività del Metodo proposte durante una seduta terapeutica in cui l’obiettivo principale è lavorare sulla flessibilità, sull’integrazione fra gli spazi e sulla successione temporale. Come prima attività risulta importante iniziare dai movimenti ritmici per focalizzare l’attenzione del soggetto, introdurlo in uno stato tranquillo e regolato, stabilizzare l’asse e attivare i distretti che verranno coinvolti anche nelle attività successive. Proporremo ad esempio un movimento ritmico al tavolo, coinvolgendo le dita (ad esempio il dito indice), con integrazione del canale uditivo. Successivamente proporremo un’Attività di Integrazione Multimodale, con Consegna tattile (collegandoci quindi al movimento ritmico precedente): potremo presentare una figura geometrica smerigliata (ad esempio un rettangolo) e favorire l’esplorazione tattile, che potrà essere guidata o autonoma da parte del soggetto. Quindi verranno effettuate F1 nello spazio extrapersonale e F2 con riproduzione della figura sulla tavoletta di plastilina. Durante questi passaggi sarà importante verificare una corretta e funzionale pianificazione da parte del paziente, ed eventualmente intervenire in modo implicito, fornendo dei landmark per il passaggio tra i diversi spazi, oppure guidare il soggetto nella ricostruzione della figura in F1, fornendo anche una Consegna motoria. A questo punto potremo impostare un ulteriore lavoro sulla flessibilità, proponendo con Consegna verbale una rotazione mentale della figura (ad esempio di 90 gradi), e chiedendo di fare vedere il risultato della rotazione sul geopiano. Chiederemo poi l’esecuzione della Fase 1, quindi dell’esperienza sensorimotoria nello spazio extrapersonale, inserendo l’utilizzo di landmark visivi per facilitare la verifica da parte del paziente. Risulta fondamentale tener conto di innumerevoli variabili che potrebbero verificarsi durante la seduta, per cui è necessario che il terapista sia flessibile e attento e sappia muoversi bene all’interno delle diverse attività, in modo da modificare una consegna, fornire delle facilitazioni implicite, tornare al passaggio precedente piuttosto che diversificare quello successivo. Risulterà così un affascinante gioco di scambi in un continuo divenire di obiettivi.

QUANDO E CON CHI UTILIZZARE IL METODO SAM

Per quanto riguarda il campo di utilizzo in ambito neuropsicomotorio, il metodo è sicuramente un buon alleato nella riabilitazione di deficit motori, della Disprassia, della Disgrafia e di tutti i Disturbi di Apprendimento Non-Verbali, che includono difficoltà nell’organizzazione spazio-temporale, nelle prassie e più in generale nel movimento, e nelle funzioni esecutive. Tuttavia, pensando a tutti i piccoli pazienti che ci vengono affidati, ci rendiamo conto che queste problematiche emergono in modo considerevole in diverse patologie: nei disturbi dello spettro autistico, nei ritardi dello sviluppo o ritardi mentali, in molte sindromi ecc. Compito del terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva è proprio di non fermarsi di fronte a una etichetta diagnostica, ma di guardare alla globalità del bambino, alle sue difficoltà, soprattutto in relazione a ciò che la realtà quotidiana in quel momento gli richiede, e alla sua area di sviluppo potenziale. In quest’ottica, sono sicuramente molti i campi di utilizzo del Metodo SaM, e in particolare per quanto riguarda i suoi principi di base precedentemente descritti, che possono facilitare noi operatori nell’impostazione di numerosi progetti riabilitativi, arrivando ad attività e richieste più o meno specifiche e alte dove risulta possibile.

Per quanto riguarda i campi di utilizzo dell’intervento più strutturato e specifico con il metodo, possiamo fare riferimento alle diagnosi elencate all’inizio di questo paragrafo. In particolare, risulta rilevante l’efficacia di questo intervento in soggetti con Disprassia. Attraverso una presa in carico neuropsicomotoria con Metodo SaM, strutturando l’intervento in base al problema principale e all’obiettivo di progetto, è possibile lavorare in modo progressivo ad esempio sugli aspetti della motricità globale e fine, sulle funzioni esecutive e sulla costruzione delle immagini mentali motorie (in prima e terza persona) che risultano fragili nei bambini disprassici (e non solo) e che sono fondamentali per l’apprendimento e il controllo del movimento, ma svolgono un ruolo importante anche per la costruzione del Sé: per Jeannerod (2006) infatti, con l’immaginazione motoria il nostro cervello anticipa gli effetti delle nostre azioni e simula le azioni degli altri. Per l’autore, in questo modo, si diventa in grado di comprendere le nostre azioni, riconoscendo e dando senso a noi stessi come persone che agiscono, e di imparare in che modo le azioni degli altri influenzano le nostre. Questo concetto appare fondamentale nella Terapia Neuropsicomotoria, dove al centro c’è proprio il corpo che agisce in relazione all’ambiente e alle persone.

Protocollo di valutazione

A livello valutativo, è possibile inserire la valutazione con Metodo SaM all’interno della valutazione neuropsicomotoria, associandola alla somministrazione di test standardizzati, in base alle esigenze e alle informazioni derivanti dalla raccolta anamnestica. Talvolta non è possibile o non è necessario somministrare interamente la Valutazione SaM, ma può essere utile integrare alcune attività all’interno delle sedute di valutazione neuropsicomotoria, utilizzando poi il Protocollo di Sintesi della Valutazione a fini riabilitativi, proposto all’interno della formazione sul Metodo SaM, per sintetizzare la valutazione integrando dati riguardanti aspetti motori, spaziali, temporali ed esecutivi emersi durante l’osservazione.

La Valutazione SaM, non standardizzata, comprende Attività Base (i movimenti ritmici) e Attività di Integrazione Multimodale: spostamento rettilineo sul piano sagittale, rotazioni dell’asse longitudinale del corpo, posizioni del corpo, manipolazione di materiali, circonferenze e percorsi nello spazio extrapersonale. È fondamentale utilizzare il Protocollo di Sintesi della Valutazione a fini riabilitativi, che permette di integrare le informazioni che ci offre la valutazione qualitativa con il Metodo SaM con quelle che possiamo raccogliere con altre prove e test, e porta alla stesura del programma riabilitativo, sulla base dell’obiettivo di progetto. Nella stesura del programma riabilitativo personalizzato si tiene conto delle potenzialità e del problema principale attuale del bambino (tabella 2), individuando gli obiettivi a breve e medio termine.

Tabella 2

Dall’obiettivo di progetto al programma riabilitativo

Di conseguenza viene stilato il programma riabilitativo con il Metodo SaM, dove l’individuazione delle appropriate attività di base e di integrazione multimodale permette di costruire poi sedute riabilitative coerenti e armoniche, che vedano al centro il paziente nella sua unicità e che possano vertere davvero sul problema principale. In corso di trattamento è bene effettuare delle verifiche di questo programma, in modo da aggiornare periodicamente gli obiettivi in base a ciò che viene osservato e ai progressi del paziente.

Abstract

The SaM (Sense and Mind) rehabilitation model and its application in the neuro psychomotor field is described in this article. The SaM method’s theoretical model is based on neurophysiological findings developed in neuroscience research. It is based on the theory of embodied cognition and uses sensory motor experiences as an intervention tool for facilitating dynamic and multimodal spatial and temporal organization. The method focuses on facilitating the formulation and use of mental images that influence different aspects of «executive functioning». When the SaM method is implemented, the TNPEE possesses a tool based on evidence from neuroscientific research that has been found to be clinically useful at different levels of complexity in multiple specific competency areas.

Keywords

Rehabilitation, Neuro psychomotor intervention, Embodied cognition, Mental images, Executive functioning.

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