Il TNPEE

© 2022 Erickson

Vol. 4, n. 2, novembre 2022

(pp. 81-99)

Interventi di supporto alla genitorialità: una Revisione Scientifica narrativa della letteratura

Elena Zamboni

Dottoressa in Psicologia, Dipartimento di Scienze Umane, Università Europea di Roma.

Chiara Terribili

Psicologa, Psicoterapeuta, Dipartimento di Scienze Umane, Università Europea di Roma.

Sommario

Definire il concetto di genitorialità è complesso. Ciò che rende la genitorialità tale è, senza dubbio, il legame di dipendenza che lega il bambino alla sua figura di riferimento. Essere genitori è un compito difficile e di grande responsabilità al quale raramente si giunge preparati. Il legame tra genitore e figlio ha un’importanza notevole nel processo di crescita di quest’ultimo poiché ne influenza lo sviluppo. È importante, dunque, aiutare i genitori a svolgere in modo efficace e funzionale il loro compito. Nel corso degli anni la ricerca scientifica ha riconosciuto, sempre di più, l’importanza della relazione genitore-figlio e ha condotto alla sperimentazione di numerosi interventi di supporto alla genitorialità.

Il presente lavoro si propone di identificare gli interventi a supporto della genitorialità, aventi maggior riscontro nel panorama scientifico degli ultimi due decenni, attraverso un’attenta rassegna della letteratura scientifica, grazie alla quale è stato possibile individuare nove interventi.

Parole chiave

Genitorialità, Supporto, Intervento, Training, Età evolutiva.

Introduzione

Il concetto di genitorialità è identificabile con un costrutto ampio per il quale la definizione risulta complessa. Nonostante tale complessità, ciò che risulta essere centrale e imprescindibile nella genitorialità, rendendola tale, è il legame che unisce il bambino alla figura adulta che di lui si prende cura, identificabile come la «figura di attaccamento» (Bowlby, 1969). Si tratta di un legame di dipendenza poiché implica una disparità di responsabilità, doveri e ruoli all’interno della diade (Barone e Del Corno, 2007; Reddy, 2010). Tale legame ha un ruolo centrale nel processo di crescita del bambino poiché ne influenza l’intero sviluppo cognitivo, emotivo e sociale. Sul piano procedurale, la genitorialità si esprime in modelli comportamentali volti all’accudimento del figlio riguardo particolari bisogni. Tali bisogni possono essere di tipo fisico o psicologico. Nella prima categoria rientrano i bisogni inerenti all’alimentazione e all’igiene; nei bisogni di tipo psicologico sono contemplati, invece, i bisogni relativi all’apprendimento di conoscenze e autonomia personali, l’apprendimento di regole educative e il bisogno di sicurezza emotiva e affettiva (Bornstein, 1995). Il modo in cui l’adulto risponde a questi bisogni del bambino si manifesta attraverso una gamma di atteggiamenti e comportamenti interpersonali osservabili che vanno a definire ciò che tendenzialmente si intende per stile genitoriale o parenting. Le modalità di parenting sono conseguenza della storia evolutiva del genitore che genera diversi livelli di integrazione e influenza la sua capacità di mentalizzare (Meins et al., 2003; Oppenheim e Koren-Karie, 2002). Gli elementi esplicitati si riflettono nel sentimento di sicurezza che il bambino sviluppa nei confronti dei genitori, identificandoli come figure di attaccamento, influenzando il suo sviluppo affettivo, sociale e morale ed è da questa relazione che si organizza il Sé del bambino. Per tali motivi è importante effettuare un adeguato assessment genitoriale e fornire ai genitori il giusto supporto. Cogliere in maniera precoce elementi di vulnerabilità e fattori di rischio rappresenta il primo passo per sostenere in modo efficace la genitorialità e promuovere, così, lo sviluppo armonico del bambino. Risulta importante, anche, fornire sostegno ai genitori, guidandoli e supportandoli al fine di sviluppare uno stile genitoriale sicuro. Nel corso degli anni la ricerca ha prestato sempre maggiore attenzione alla strutturazione di programmi genitoriali di gruppo o individuali con il supporto di un professionista. Si tratta di interventi di supporto alla genitorialità il cui obiettivo è quello di fornire ai genitori i giusti strumenti per entrare in contatto con i propri figli, la giusta chiave di lettura dei comportamenti di questi ultimi, permettendo così ai genitori stessi di rispondere in maniera adeguata alle diverse situazioni.

Revisione scientifica della letteratura

Il presente lavoro di revisione scientifica ha avuto come obiettivo l’identificazione degli interventi di supporto alla genitorialità con una posizione di rilievo nella letteratura scientifica. La ricerca si è concentrata sull’analisi della letteratura delle ultime due decadi, selezionando gli interventi attuabili con un campione di popolazione classificabile come standard (ad esempio, mamma, papà e figlio).

Sono stati esclusi gli articoli che presentavano interventi rivolti a un particolare campione di popolazione, come ad esempio genitori divorziati o in carcere.

La selezione ha condotto all’identificazione di 9 interventi di supporto alla genitorialità. Tali interventi sono il Parent Training, il Coping Power Program, l’Incredible Years, la Child Parent Relationship Therapy, il Parent Management Training, la Parent Child Interaction Therapy, il Circle of Security, il Triple P e la Mindfulness.

Parent Training

Il Parent Training riveste un ruolo centrale all’interno della letteratura; può essere identificato, infatti, come uno degli interventi più attuati al giorno d’oggi. Si tratta di un modello di trattamento nato negli Stati Uniti alla fine degli anni ’60e destinato al trattamento dei disturbi del comportamento infantile. È una forma di intervento altamente strutturato e manualizzato che si svolge all’interno di un setting di gruppo ed è rivolto a genitori che hanno un figlio con disturbi del comportamento. Il percorso pone come obiettivo l’incremento delle abilità del genitore nella gestione quotidiana del figlio, la riduzione del livello di stress genitoriale familiare e l’implementazione delle capacità genitoriali nelle soluzioni dei problemi. I genitori e i figli vengono sottoposti a un’osservazione sistematica al fine di modificare lo stile genitoriale e gli atteggiamenti che influiscono negativamente sui comportamenti dei bambini, offrendo ai genitori la possibilità di affrontare efficacemente situazioni problematiche che potrebbero avere un grande impatto sullo sviluppo psicologico dei loro figli e, di conseguenza, sul benessere familiare. Durante l’attuazione dell’intervento i genitori imparano a utilizzare tecniche di gestione dei comportamenti problematici del figlio e a presentarsi a quest’ultimo come modelli adeguati nelle varie situazioni quotidiane. All’interno del gruppo è prevista la presenza di un istruttore, identificabile nella figura di un clinico che conduce il lavoro all’interno del gruppo. Inizialmente la conduzione era direttiva e istruttiva; gradualmente essa si è modificata portando all’identificazione del conduttore come coach facente parte del gruppo (Webstern-Stratton e Herbert, 1994).

Esistono diverse versioni del Parent Training; una delle più diffuse e valide è quella proposta da Vio, Marzocchi e Offredi nel 1999. Si tratta di un programma finalizzato al lavoro con i genitori di bambini con Disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD). Esso si struttura in 9 incontri di circa due ore ciascuno, con cadenza quindicinale, e gli incontri si svolgono con un massimo di cinque o sei coppie di genitori.

Il programma è strutturato in quattro fasi di lavoro:

  • comprensione del problema (diagnosi di ADHD) e preparazione del trattamento (rendendo espliciti comportamenti, pensieri e attribuzioni dei genitori rispetto al proprio figlio);
  • introduzione di alcune tecniche educative di gestione del comportamento del bambino (tecniche volte all’autoregolazione del bambino, apprendimento di strategie educative e identificazione dei comportamenti problema);
  • fase della gestione cognitiva del bambino e utilizzo di tecniche che permettono al genitore di prevedere il comportamento del figlio (ad es. agire d’anticipo, mostrarsi come modello);
  • revisione delle tecniche utilizzate e dei risultati.

Un’altra versione del Parent Training che risulta avere grande rilevanza scientifica è la versione di Vio e Spagnoletti, sviluppata nel 2013 e rivolta alla fascia di età prescolare per genitori di bambini dai 3 ai 5 anni con caratteristiche di ADHD. Tale programma si avvale dell’ausilio di videoregistrazioni dell’interazione genitore-figlio in modo da offrire ai genitori la possibilità di rivedere la propria interazione a freddo e, quindi, con un tono dell’umore neutro, permettendo loro di individuare nuove possibili risposte e di identificare comportamenti funzionali e disfunzionali del bambino. Il programma si struttura in 8 incontri di gruppo della durata di 90 minuti aventi cadenza, solitamente, quindicinale. Durante gli incontri vengono fornite ai genitori schede operative che consentono di effettuare il monitoraggio dei comportamenti problema da voler modificare e dei comportamenti positivi da costruire. Vengono approfondite le dinamiche che si verificano nella famiglia e viene data voce ai pensieri dei genitori sul significato di quanto accade durante la giornata.

I percorsi di Parent Training sono accomunati dal fatto di utilizzare strategie e tecniche finalizzate a condividere e trasmettere ai genitori abilità educative e modalità di interazione basate sull’affetto. La tendenza di questi interventi è quella di favorire il coinvolgimento diretto e attivo dei genitori nel processo di apprendimento di nuove abilità. Questa forma di interazione promossa dal Parent Training è diversa dalla semplice trasmissione verbale dei contenuti.

Coping Power Program

Il Coping Power Program è un intervento evidence-based sviluppato da Lochman nel corso degli anni ’90. Tale programma si è sviluppato a partire dalla ricerca su un programma più ristretto di Anger Coping centrato sui bambini aggressivi (Lochman, 1992; Lochman, Burch, Curry e Lampron, 1994), poiché quest’ultimo aveva dimostrato effetti significativi sull’aggressività dei bambini e sull’uso di sostanze. Le ricerche sul programma di intervento sono state mosse, infatti, dalla necessità di fornire supporto a bambini e adolescenti con l’obiettivo di prevenire e arginare la possibilità che un comportamento disfunzionale caratterizzato da aggressività e oppositività potesse portare il bambino a fare uso di sostanze in età adolescenziale. Il protocollo iniziale è stato ampliato nel tempo, arrivando a generare il Coping Power Program così come è conosciuto oggi, contenente una componente figlio e una componente genitore. La componente destinata al bambino è costituita da 34 sessioni, mentre la componente genitore prevede l’attuazione di 16 sessioni di gruppo con cadenza quindicinale e di durata di 90 minuti ciascuna. Il programma per i genitori deve essere messo in atto in parallelo al programma terapeutico per i bambini. Si tratta di un intervento di gruppo ed è stato testato che il numero ottimale di persone nel gruppo è di quattro o cinque coppie e due conduttori.

Il programma di ogni incontro segue il medesimo filo conduttore: ripasso della sessione precedente, revisione dei compiti a casa, presentazione dei nuovi argomenti, assegnazione del compito per casa e discussione libera. Elemento centrale del programma genitoriale è la condivisione degli obiettivi ed è importante che i conduttori dedichino del tempo a rendere il gruppo coeso al fine di stabilire un clima di condivisione sereno tra i genitori, così da incoraggiarli alla partecipazione attiva. Il programma si concentra su alcuni elementi chiave della genitorialità: modulazione dello stress genitoriale, strutturazione di un tempo relazionale speciale fra genitore e figlio, osservazione dei comportamenti positivi e negativi del figlio, revisione delle regole e delle aspettative che il genitore applica al figlio, introduzione e monitoraggio di nuove modalità educative e uso strategico delle punizioni (Lambruschi e Lionetti, 2021). È di fondamentale importanza che, nonostante il contenuto degli incontri sia già stabilito, il conduttore rispetti i tempi del gruppo.

Incredible Years

Incredible Years è uno degli interventi Parent Training, ideato e sviluppato da Carolyn Webstern-Stratton, per il trattamento dei disturbi della condotta. Prevede tre percorsi di trattamento complementari conosciuti come «Series» rivolti ai genitori, agli insegnanti e ai bambini di età compresa dagli zero ai 12 anni. Il programma è stato progettato per essere utilizzato in contesti clinici con bambini aventi diagnosi accertata e con i loro genitori e insegnanti. Valutazioni più recenti hanno mostrato che il programma può essere efficace anche in contesti preventivi quali, ad esempio, le scuole, in particolare in presenza di bambini che presentano elevato rischio di sviluppare disturbi del neurosviluppo (Webster-Stratton e Reid, 2010).

L’intervento per i genitori si struttura in diversi programmi di Incredible Years che si differenziano in base all’età dei bambini (da 6 settimane a 36 mesi, da 3 anni fino a 6, e da 6 anni fino a 12). Tali interventi includono la promozione di competenze attraverso la stimolazione della genitorialità positiva, della relazione di attaccamento fra bambino e genitore e dell’efficacia percepita dal genitore nello svolgere il proprio ruolo. I genitori vengono stimolati a utilizzare interazioni di gioco con il bambino con lo scopo di allenare le competenze sociali di quest’ultimo e ridurre le modalità disciplinari inadeguate e fisicamente violente, al fine di incrementare le strategie educative efficaci. Si aiutano i genitori a migliorare il loro autocontrollo e la loro gestione della frustrazione. Un obiettivo di Incredible Years è quello di aumentare le reti di supporto sociale e familiare e rafforzare il legame con la scuola e il coinvolgimento genitoriale nelle attività scolastiche.

I programmi Incredible Years si svolgono in setting di gruppo con una durata di 12 sessioni e si basano su tecniche terapeutiche pratiche e interattive. Le tecniche che vengono utilizzate includono tecniche di video, modeling, role-playing, attività pratiche di gioco guidato, home work riguardanti esperienze da fare a casa o a scuola che vengono poi verificati dal terapeuta insieme agli altri membri del gruppo. Durante le sessioni si prende visione di alcuni filmati di vignette, le quali mostrano genitori e bambini di diversa età, cultura, condizioni economiche, competenze di sviluppo e tratti temperamentali. La varietà delle vignette fa sì che i partecipanti possano percepire i protagonisti come modelli simili a se stessi e di conseguenza identificare le vignette come soggettivamente rilevanti. L’obiettivo è quello di demistificare l’idea che esista il genitore perfetto con la conseguenza di illustrare, invece, come si possa apprendere dai propri errori. Infatti, esse mostrano modelli estemporanei in situazioni naturali che rispondono alcune volte efficacemente e altre volte in maniera non efficace alle richieste del bambino. Dopo aver visto i filmati delle vignette i partecipanti discutono e conducono un gioco di ruolo riguardante il modo in cui il protagonista avrebbe dovuto affrontare la situazione problematica. Questo approccio stimola nei partecipanti la fiducia in sé stessi sviluppando un senso di autonomia e di capacità nel saper individuare una risposta appropriata. Il ruolo del terapeuta è quello di sostenere e rafforzare i membri del gruppo guidandoli nel processo di apprendimento e aiutandoli a focalizzarsi sugli aspetti problematici che la sessione sulla quale si stanno concentrando ha l’obiettivo di analizzare. Questo approccio si pone come obiettivo quello di promuovere una migliore generalizzazione della abilità apprese con un conseguente mantenimento dei risultati a lungo termine. Grazie al setting di gruppo è possibile costruire reti di supporto attraverso le quali sia i genitori sia gli insegnanti possano offrire e ricevere aiuto.

Il programma originale di 12 sessioni è stato aggiornato con un nuovo programma di 14 (Webster- Statton and Reid, 2010) e secondo la Webstern-Stratton questo è il protocollo raccomandato.

Child Parent Relationship Therapy

Tra i programmi di Parent Training particolare attenzione deve essere posta sul programma Child Parent Relationship Therapy (CPRT). Questo intervento terapeutico ha origine dalla terapia filiale, sviluppata da Bernard e Louise Guerney negli anni ’60 con l’obiettivo di formare i genitori al fine di renderli terapeuti agenti con i loro figli, massimizzando così ciò che Guerney definiva il terapeutico intrinseco potere della relazione genitore-figlio (Cornett e Bratton, 2015).

Garry Landreth ha fatto progredire la terapia filiale sviluppando la Child Parent Relationship Therapy (CPRT), ossia un intervento empiricamente supportato (Bratton, Landreth e Lin, 2010), della durata di 10 sessioni, che si concentra sul miglioramento della relazione genitore-figlio e sull’aiutare i bambini insegnando ai genitori a essere agenti terapeutici nella vita dei loro figli.

Tale intervento si basa sulla teoria della Child-Centered Play Therapy (CCPT – Terapia del gioco centrata sul bambino) secondo la quale il gioco è il mezzo attraverso il quale i bambini comunicano in maniera naturale; i giocattoli sono come parole per i bambini e il gioco è il loro linguaggio. A differenza degli adulti che riescono a verbalizzare le loro esperienze, i loro pensieri e i loro sentimenti, i bambini utilizzano i giocattoli per esplorare le loro esperienze ed esprimere ciò che pensano e sentono. Questo intervento, dunque, è volto a insegnare ai genitori a costruire spazi di tempo speciale di gioco con i loro bambini utilizzando un kit di giocattoli accuratamente selezionato.

I tempi di gioco durano 30 minuti e si attuano una volta alla settimana (Beijan, 2019). La CPRT si svolge in un format di gruppo e ogni gruppo è costituito da sei-otto genitori e da un leader, il quale ha il compito di fornire sicurezza, accettazione e incoraggiamento. Nel contesto di gruppo le preoccupazioni dei genitori sono normalizzate e sostenute attraverso le interazioni con gli altri membri (Landreth e Bratton, 2006); i genitori sperimentano empatia e ascolto riflessivo l’uno dell’altro e imparano a utilizzare queste abilità con il proprio bambino durante le sessioni di gioco. Landreth e Bratton (2006) hanno suggerito quattro atteggiamenti centrali da attuare durante le interazioni centrate sul bambino: «Io sono qui. Ti sento. Capisco. Mi interessa». I genitori imparano inoltre a costruire l’autostima del bambino, ad aiutarlo a sviluppare l’autocontrollo e l’auto responsabilità, stabilendo dei limiti durante i momenti di gioco speciale.

Un concetto centrale della CPRT è considerare il bambino come il centro dell’universo dei genitori: nel tempo di gioco il genitore crea una relazione di accettazione in cui il bambino si sente completamente sicuro di potersi esprimere attraverso il gioco, esprimendo le sue paure, i suoi gusti, i suoi desideri. Si tratta, infatti, di un momento di gioco speciale e non tipico, in cui il bambino conduce e il genitore segue, sedendo allo stesso livello del bambino ma a debita distanza, così da lasciare al bambino la possibilità di muoversi liberamente. L’idea centrale di questo intervento terapeutico è che il bambino è l’esperto dell’attività che si sta svolgendo e il genitore deve semplicemente osservare, assecondare il gioco e intervenire solo nel momento in cui il bambino lo chiama in causa, mostrando empatia e comprensione verso il gioco. Durante la relazione di gioco sono vietati rimproveri, valutazioni, comandi, giudizi (Landreth e Bratton, 2020). Attraverso questo nuovo tipo di relazione il bambino scoprirà e riconoscerà di essere capace, importante, compreso e accettato così com’è. Infatti, quando i bambini sperimentano una relazione di gioco in cui si sentono accettati, compresi e accuditi riescono a esternare molti dei loro problemi liberando tensioni, sentimenti e pesi. Attraverso questa relazione di gioco il bambino riuscirà a scoprire i propri punti di forza e assumere una maggiore responsabilità riguardo alle proprie azioni. Questo tipo di approccio permette ai genitori di imparare a focalizzarsi sul proprio bambino e non sul comportamento problema da lui attuato.

Il genitore dovrà cercare di osservare il gioco attraverso gli occhi del bambino per poi restituire al bambino stesso la comprensione che ne ha tratto, descrivendo verbalmente ciò che il figlio sta facendo durante il gioco e riportando i sentimenti e ciò che il bambino sta provando.

Sebbene questo programma si fondi sulla libertà, esso prende comunque in considerazione delle regole condivise (di tempo, di non rompere i giochi o ferire fisicamente se stessi o gli altri) che il genitore deve fare presente all’inizio della sessione, al fine di trasmettere al bambino l’idea della responsabilità delle sue azioni e dei suoi comportamenti, con l’obiettivo di stimolare la capacità di autocontrollo.

La CPRT si basa sulla convinzione che una relazione sicura tra un genitore e un bambino sia necessaria per il sano sviluppo dei bambini e il loro benessere generale (Landreth and Bratton, 2006).

Parent Management Training

Gli interventi Parent Managment Training (PMT) hanno acquisito negli ultimi vent’anni maggiore importanza nel panorama scientifico. Si tratta di interventi attuabili in gruppo durante più sessioni e rivolti, in particolar modo, a bambini aventi diagnosi di Disturbo Oppositivo Provocatorio e Disturbo della Condotta con tratti definiti Collous Unemotional, ovvero privi di empatia, rimorso ed emozioni di breve durata.

Durante gli incontri vengono insegnate ai genitori le seguenti cinque pratiche, al fine di migliorare la gestione genitoriale dei comportamenti problema del bambino e migliorare la relazione della diade:

  • disciplina appropriata e non coercitiva come, ad esempio, fissare dei limiti e rinforzare il comportamento prosociale;
  • incoraggiamento delle abilità, suddividendo, ad esempio, i compiti in passaggi realizzabili;
  • monitoraggio;
  • risoluzione dei problemi;
  • coinvolgimento positivo.

Il trattamento si occupa di insegnare ai genitori a mettere in atto un comportamento coerente, stabilendo regole familiari esplicite e condivise. Ciò che ci si aspetta è che un cambiamento nel comportamento genitoriale generi conseguentemente cambiamenti positivi nel comportamento del bambino (Beauchaine, Webstern-Stratton e Reid, 2005; Gardner, Hutchings, Bywater e Whitaker, 2010; Patterson, Degarmo e Forgatch, 2004).

Gli interventi di Parent Management Training si svolgono in un gruppo, composto da due formatori e dai genitori di massimo 8 bambini, che si riunisce in dieci sessioni di 90 minuti ciascuna, per 6 mesi. Durante gli incontri vengono mostrate presentazioni PowerPoint, alternate alle discussioni di gruppo, cui seguono fasi di lavoro con i partner, lavoro di gruppo senza formatori e lavoro di gruppo e individuale con un formatore. L’attuazione dell’intervento in un format di gruppo genera sostegno reciproco tra i membri e spesso comporta la diminuzione dei sentimenti di isolamento dei genitori, riducendo lo stigma di avere un figlio problematico (Webter-Stratton and Herbert, 1993), aumentando la percezione del sostegno sociale da parte delle famiglie.

Parent Child Interaction Therapy

La Parent Child Interaction Therapy (PCIT) è un intervento evidenced-based destinato alle famiglie aventi bambini di età compresa tra i 2 e i 6 anni e 11 mesi con problemi della condotta (Eyberg e Funderburk, 2011) ed è realizzato attraverso sessioni di coaching attuate da un terapeuta.

Nella fase iniziale dell’intervento avviene l’osservazione dell’interazione del genitore con il figlio, durante la quale il terapeuta, senza essere visto, osserva la relazione e tramite un dispositivo «insetto», indossato dal genitore, manda istruzioni per aiutarlo nella gestione del comportamento del bambino e generare un’interazione positiva.

Il programma è composto da due fasi di trattamento. Durante la prima fase, dal nome Child-Directed Interaction (CDI), si insegna ai genitori a utilizzare le abilità centrate sul bambino (lodi, verbalizzazioni appropriate e imitazione di giochi) e a evitare verbalizzazioni guida (domande, comandi e critiche). L’obiettivo di questa fase è migliorare la relazione tra genitore e figlio; per tale motivo i terapeuti insegnano ai genitori l’uso dell’attenzione differenziale, allo scopo di registrare una riduzione dei comportamenti dirompenti dei bambini (finalizzati alla ricerca dell’attenzione) e diminuire così la frustrazione genitoriale.

Nella seconda fase del trattamento, denominata Parent-Directed Interaction (PDI), ai genitori viene insegnato come usare comandi efficaci, al fine di poter fornire al bambino una conseguenza coerente al comportamento, incluse lodi contingenti per la compliance mostrata. Il programma, inoltre, insegna ai genitori l’abilità di fornire avvertimenti ai figli quando questi mettono in atto comportamenti non adatti.

Con una frequenza costante e il completamento dei compiti, il PCIT può essere completato entro 12-20 sessioni, sebbene il trattamento non sia limitato nel tempo ma si consideri concluso quando il genitore riesce a padroneggiare le abilità di entrambe le sessioni.

Il PCIT presta uguale attenzione alla promozione della relazione genitore-figlio e allo sviluppo delle capacità di gestione del comportamento dei bambini (Eyberg e Funderburk, 2011). Un obiettivo fondamentale del trattamento è aumentare le interazioni positive e stimolanti tra caregiver e bambino; infatti molto spesso nelle famiglie con bambini che esibiscono problemi di condotta le interazioni sono sovente di natura negativa e coercitiva (Patterson e Oregon, 1982).

Un elemento di forza della PCIT riguarda la possibilità che i genitori hanno settimanalmente di provare nuove abilità attraverso interazioni dal vivo con i loro figli. Questa modalità offre l’opportunità di un coaching diretto da parte del terapeuta, durante il quale egli fornisce un feedback immediato sullo sviluppo delle abilità del genitore. I terapeuti usano tecniche della terapia cognitivo-comportamentale, come ad esempio modeling, rinforzo, attenzione differenziale, le quali permettono di modellare i comportamenti dei genitori a mano a mano che si verificano (Barnett, Niec e Acevedo-Polakovich, 2014).

Circle of Security

Il Circle of Security è un intervento genitoriale di 20 settimane sviluppato da Powell, Hoffman, Cooper e Marvin e basato su due sistemi motivazionali reciproci e interconnessi: attaccamento e accudimento. Il sistema motivazionale dell’accudimento è definito come l’insieme dei comportamenti, delle emozioni e dei pensieri collegati all’attivazione della disposizione a prendersi cura di un conspecifico (il proprio figlio) percepito in pericolo o in difficoltà, offrendo vicinanza e rassicurazione (Liotti, 2005, 2005b; Cassidy, 2008). Il sistema motivazionale dell’attaccamento si attiva quando il bambino si trova in una condizione di pericolo, stress, malessere e attiva strategie per raggiungere una vigilanza protettiva e rassicurante con la figura di attaccamento.

Si tratta di un approccio terapeutico volto ad aiutare i genitori a comprendere meglio i bisogni di attaccamento del proprio figlio (Andrews e Coyne, 2018) ed è stato progettato per avere diverse finalità (educative, preventive o terapeutiche). L’intervento è rivolto ai genitori di bambini piccoli di età compresa tra 1 e 5 anni ed è costituito da una fase di assessment, nella quale i clinici analizzano le problematiche del bambino e della diade, individuando le risorse e promuovendo una conoscenza divulgativa dei principi di base della teoria dell’attaccamento, e da una fase d’intervento. Il Circle of Security permette di lavorare utilizzando video e procedure di video-feedback e materiale illustrativo, così da promuovere un dialogo riflessivo che permetta al genitore di essere maggiormente consapevole del contributo comportamentale che egli stesso può apportare all’interazione con il bambino, permettendogli di cogliere il significato emotivo comunicato dal bambino e spesso nascosto dietro i suoi comportamenti.

La teoria sulla quale si basa il Circle of Security è stata rappresentata graficamente nel disegno riportato in figura 1 e ideato da Cooper, Hoffman, Marvin e Powell con l’obiettivo di rendere tali concetti maggiormente comprensibili, aumentandone l’impatto.

Il disegno è utilizzato come mappa visiva per aiutare i genitori a comprendere il modello di base dal quale ha origine l’intervento: si tratta del concetto di Ainsworth di base sicura e rifugio di sicurezza (Ainsworth et al., 1978). In tale rappresentazione le mani hanno un ruolo fondamentale, esse rappresentano la figura genitoriale nella sua duplice funzione di «base sicura» e «porto sicuro». Nella parte superiore del cerchio viene rappresentato il bambino che si muove all’esplorazione del mondo, e il genitore come base sicura dalla quale partire. In questa fase il bambino, conseguentemente l’attivazione del sistema di esplorazione, esprime al genitore i seguenti bisogni: sorvegliami, aiutami, divertiti con me, apprezzami. La parte inferiore del cerchio rappresenta invece il bambino nel momento in cui decide di rientrare a casa, rappresentando il genitore come porto sicuro al quale il bambino può approdare nei suoi momenti di vulnerabilità, stanchezza e pericolo. In questo caso i bisogni del bambino, dovuti all’attivazione del sistema di attaccamento, sono: proteggimi, confortami, organizza le mie emozioni, apprezzami. La scelta delle mani è legata alle caratteristiche del genitore: egli deve essere grande, forte, saggio e affettuoso in modo bilanciato ed equilibrato a seconda delle situazioni e necessità del bambino. Il genitore deve essere in grado di riconoscere e assecondare i bisogni del bambino facendosene carico quando necessario, ponendosi in un atteggiamento paritetico e mai dominante, riconoscendo e rispondendo ai suoi bisogni. In quest’ottica, viene condivisa con i genitori la necessità di «stare emotivamente con»,1 ovvero sintonizzarsi a livello relazionale con il bambino (Siegel, 2013).

Fig. 1 Cooper et al., 2000.

Il Circle of Security pone attenzione sulle esperienze di attaccamento vissute dai genitori nelle loro relazioni primarie mostrando l’influenza che queste possono avere sulla relazione attuale con il bambino. I conflitti e le relazioni problematiche sperimentati con il bambino possono, infatti, rievocare nel genitore aspetti irrisolti della sua storia relazionale generando un’intensa attivazione emotiva che interferisce con la relazione con il bambino stesso. Per lavorare su questo aspetto, il Circle of Security utilizza la «musica dello squalo». Ai genitori viene mostrato un video in cui viene rappresentato un sentiero che conduce a una spiaggia; il video viene mostrato due volte, con una colonna sonora piacevole e con una colonna sonora ansiogena. In questo caso la musica rappresenta una metafora: ognuno di noi possiede uno stato mentale che non è direttamente accessibile alla consapevolezza e che può influenzare la nostra visione della realtà esterna. Una volta che i genitori hanno preso consapevolezza di ciò, si accompagnano a diventare consapevoli di quali sono i bisogni del bambino che evocano i loro scenari minacciosi e dolorosi, legati al proprio passato. Riconoscendo ciò, il genitore riuscirà a interrompere questo automatismo difensivo, sintonizzandosi con il bambino e imparando a rispondere in maniera adeguata ai suoi bisogni.

Triple P-Positive Parenting Program

Sviluppato da Sanders alla fine degli anni ’90, il Triple P-Positive Parenting Program consiste in un sistema multilivello che fornisce trattamento e prevenzione per i bambini a rischio di problemi sociali, emotivi e comportamentali. È un intervento evidence-based che opera attraverso approcci genitoriali per migliorare le conoscenze, le abilità e la fiducia genitoriali dei genitori stessi (Na Li, Peng and Li, 2021; Sanders, 2014). L’intervento si pone l’obiettivo di risolvere e prevenire comportamenti problematici dei bambini, aumentando la soddisfazione e le capacità genitoriali e rafforzando il legame tra bambini e genitori (Altafim, Mccoy e Linhares, 2021). È una misura di intervento preventivo che consiste in una serie di interventi differenziati e a basso costo. Il programma può essere erogato attraverso diversi formati di consegna, quali faccia a faccia, online, faccia a faccia con supporto telefonico, online con supporto telefonico. La scelta del metodo di erogazione dipende dal livello di intervento corrispondente. Il Triple P si articola, infatti, in 5 livelli e all’aumentare del livello di intervento aumenta gradualmente l’intensità dell’intervento stesso.

Il Livello 1 prende il nome di Universal Triple P e si tratta di un intervento di prevenzione universale destinato a tutta la popolazione. È a intensità molto bassa e comprende una strategia di comunicazione per promuovere l’impegno tra genitori e membri della comunità al fine di promuovere lo sviluppo del bambino e prevenire e gestire problemi sociali, emotivi o comportamentali comuni (Sanders, Kirby, Tellegen e Day, 2014).

Il Livello 2 prende il nome di Selected Triple P. Si tratta di un intervento genitoriale a bassa intensità che si occupa di promuovere uno sviluppo sano per sottogruppi specifici che hanno probabilità di affrontare problemi di sviluppo. Il programma fornisce informazioni genitoriali ponendo una particolare attenzione a preoccupazioni specifiche sullo sviluppo e al comportamento del bambino.

Il Livello 3 prende il nome di Primary Care Triple P. È una strategia di prevenzione più intensiva, da bassa a moderata, rivolta ai genitori aventi preoccupazioni riguardo al comportamento dei propri figli e che richiedono brevi consultazioni.

Il Livello 4 prende il nome di Standard Triple P/Group Triple P/Self-Directed Triple P. Questo livello è di intensità da moderata ad alta e si rivolge alle popolazioni a rischio che presentano comportamenti problematici e che soddisfano i criteri diagnostici, con lo scopo di fornire ai genitori un intervento precoce.

Il Livello 5 prende il nome di Enhanced Triple P. Si tratta dell’intervento familiare ad alta intensità e si rivolge a famiglie con fattori di rischio aggiuntivi che non sono stati superati nei livelli di intervento inferiore.

Mindfulness

Per Mindfulness si intende la capacità della mente umana di essere direttamente e contemporaneamente consapevole del contenuto dell’esperienza e della forma di essa (Lambruschi e Lionetti, 2015). Non si tratta di una funzione del pensiero bensì di una forma di consapevolezza che si basa sulla proprietà dell’auto-riflessività, ovvero la consapevolezza di ciò che sta accadendo e, contemporaneamente, la consapevolezza di essere consapevoli.

La Mindfulness fa parte della terapia cognitivo-comportamentale di terza generazione e trae origine dalla psicologia buddista. Kabat-Zinn (1994) definisce la Mindfulness come processo di consapevolezza che emerge prestando attenzione intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante al dispiegarsi dell’esperienza, momento dopo momento. La Mindfulness insegna un nuovo modo di rapportarsi con la realtà esterna ma soprattutto con la realtà interna mettendo in atto un nuovo tipo di atteggiamento basato sull’accettazione. L’atteggiamento proposto dalla Mindfulness consiste nell’abilità di dirigere l’attenzione al momento presente con un atteggiamento di curiosità, apertura, accettazione, aumentando il benessere.

La Mindfulness si basa su 7 pilastri: assenza di giudizio, fiducia, non considerazione dei risultati, capacità di portare pazienza, capacità di lasciare andare, guardare il mondo con la mente del principiante e accettazione. Essa opera aiutando il paziente a cambiare il proprio modo di rapportarsi all’esperienza interna soggettiva con l’obiettivo di imparare ad accettare gli inevitabili disagi insiti nella natura umana. L’assunto di base consiste, infatti, nell’imperfezione della vita che non permette sempre di afferrare e trattenere i momenti di felicità che sono fugaci e transitori. Da ciò deriva l’idea che il dolore esiste e che contrastarlo e non accettarlo ne aumenta la sua portata. La Mindfulness insegna, infatti, ad accettare il dolore, a viverlo e a lasciarlo andare.

Numerose ricerche hanno cercato di dimostrare i benefici della Mindfulness applicata sia con i bambini sia con i genitori, al fine di promuovere una migliore relazione genitoriale. Essa può essere utilizzata con i genitori, infatti, per insegnare loro un nuovo modo di entrare in contatto con il proprio figlio, focalizzandosi sul momento presente, senza prestare attenzione al passato o al futuro. La genitorialità comporta il vivere situazioni stressanti; risulta allora importante aiutare il genitore a vivere tali situazioni in modo funzionale. La Mindfulness cerca di aiutare i genitori a sviluppare la propria genitorialità consapevole, autoregolando l’attenzione e la capacità di accettare in modo non valutativo le esperienze immediate (Bishop et al., 2004; Kabat-Zinn, 1994). Questo atteggiamento comporta miglioramenti e benefici legati alla salute mentale e fisica (Carlson, 2015). Kabat-Zinn sosteneva che gli elementi fondamentali per poter definire una genitorialità consapevole sono sovranità (riconoscimento dell’integrità del bambino, separato dal suo comportamento), accettazione (riconoscere la flessibilità delle cose) ed empatia (compassione e comprensione incarnate). La genitorialità consapevole si basa, oggi, su 5 atteggiamenti fondamentali che il genitore deve mettere in atto al fine di sviluppare la propria genitorialità consapevole e migliorare la relazione con il proprio figlio: ascolto pienamente consapevole, accettazione non giudicante di sé e del proprio figlio, consapevolezza emotiva di sé e del proprio figlio, autoregolazione nella relazione genitoriale e compassione per sé e per il proprio figlio (Duncan, Coatsworth e Greenberg, 2009). Secondo questa prospettiva, la genitorialità consapevole comporta il praticare la consapevolezza, momento per momento, dei propri pensieri ed emozioni e di quelli del bambino, e sospendere l’attribuzione di giudizio attraverso lo sviluppo di una posizione aperta e ricettiva nel contesto genitoriale (Duncan et al., 2015). La genitorialità consapevole è, dunque, l’atto di rimanere consapevoli delle proprie decisioni e dei propri comportamenti genitoriali (Kabat-Zinn e Kabat-Zinn, 1997). Nel suo libro Il genitore consapevole (1997), Kabat-Zinn descrive il diventare genitori come un’occasione eccellente per fare esperienza della mutevolezza, dell’esistenza umana e dell’impossibilità di controllare gli eventi. Ai genitori è richiesta una grande flessibilità e capacità di stare agganciati al momento presente, osservando ciò che accade nel proprio mondo interno e nella relazione con i propri figli senza giudicare ciò che emerge e senza travisarlo con i filtri dell’aspettativa verso sé stessi. Il genitore deve imparare a guardare il proprio figlio con occhi nuovi, riuscendo a cogliere le sfumature sconosciute e riconoscendo la sovranità che lo caratterizza.

Conclusioni

La genitorialità ha un ruolo centrale nel processo di sviluppo di ogni individuo. La letteratura scientifica, negli ultimi anni, ha rivolto maggiore attenzione al ruolo del genitore nel processo di trattamento dei disturbi del neurosviluppo. Maggiore centralità hanno acquisito, infatti, la relazione genitore-figlio e l’attuazione di strategie genitoriali in grado di fungere da supporto nella gestione quotidiana del figlio.

All’interno del panorama scientifico il maggior numero di contributi è riconducibile a studi svolti all’estero, in particolar modo negli Stati Uniti d’America. La letteratura italiana in merito risulta essere più povera e risalente all’ultima decade dello scorso secolo.

Gli interventi di supporto alla genitorialità analizzati nel presente lavoro si concentrano non solo sul comportamento manifesto, ma anche su ciò che si cela dietro esso e che molto spesso ne è la causa. Tali interventi forniscono ai genitori la giusta chiave di lettura al fine di comprendere la sensazione o l’emozione che si cela dietro il comportamento agito dal proprio figlio. In tal modo il genitore può agire in modo funzionale al bisogno del proprio bambino, entrando in sintonia con lui e migliorando la relazione.

La presente revisione narrativa della letteratura ha evidenziato gli interventi di supporto alla genitorialità che, al giorno d’oggi, rivestono un posto di rilevanza nel panorama scientifico mondiale e che aiutano il genitore a fungere da fattore di protezione e non di rischio nel processo di sviluppo del proprio figlio.

Gli interventi analizzati sono stati elaborati per essere attuati in presenza ma, con l’avanzamento del processo scientifico, la ricerca sta vertendo verso una loro realizzazione online, finalizzata al superamento delle distanze.

Abstract

Defining the concept of parenthood is complex. The dependency that binds a child to a referral figure is without a doubt the substance of parenthood. To be a parent is a difficult task and laden with responsibility. Rarely do we arrive prepared. The bond between parent and child has considerable importance in the child’s growth since it influences development. It is therefore important to help parents do their job in an effective and functional way. Scientific research has recognized the importance of the parent-child relationship ever more frequently over the years and has conducted experiments regarding intervention methods to support parenthood.

This article aims at identifying the more scientifically acknowledged parent support intervention in the last two decades by carefully reviewing the scientific literature. We were able to identify nine different intervention schemes.

Keywords

Parenthood, Support, Intervention, Training, Childhood.

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1 «Stare emotivamente con» è un concetto che fa riferimento alla teoria della «Sintonizzazione relazionale», teorizzata da Siegel nel 2013. L’autore sottolinea che quando un bambino è sopraffatto da emozioni intense ha bisogno di una risposta ai suoi bisogni emozionali; tramite la sintonizzazione relazionale, il genitore riesce a stabilire un contatto con il livello emotivo del figlio facendo in modo che questo «si senta sentito». Una volta entrato in sintonia, il genitore deve «reincanalare» in modo funzionale l’esperienza emotiva vissuta dal bambino.

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