Il TNPEE
© 2022 Erickson
Vol. 4, n. 2, novembre 2022
(pp. 3-23)
Il ruolo della categoria «oggetto» nell’intervento neuropsicomotorio rivolto al bambino con disabilità visiva
Virginia Cuberli
TNPEE, iscritta Laurea Magistrale Professioni Sanitarie della Riabilitazione Università di Padova, Unità di Neuroriabilitazione cognitiva del bambino, Centro Medico di Foniatria, Padova.
Alessia Zanatta1
TNPEE, iscritta Laurea Magistrale Professioni Sanitarie Università di Padova, Fondazione Robert Hollman, Padova.
Silvia Trentin
Laurea Magistrale in Professioni Sanitarie della Riabilitazione Università di Padova e Fisioterapista, Fondazione Robert Hollman, Padova.
Elena Mercuriali
Psicologa e Psicoterapeuta, Direttrice Clinica Fondazione Robert Hollman, Padova e Cannero Riviera (VB).
Tiziana Battistin
Psicologa, Professore Straordinario, Dipartimento di Neuroscienze e Riabilitazione, Università di Ferrara.
Sommario
Lo sviluppo di ogni bambino avviene grazie alle sue esperienze quotidiane di interazione con l’ambiente che lo circonda, che vengono convogliate al sistema nervoso centrale tramite i sensi e successivamente elaborate. La vista ha un ruolo primario nel neurosviluppo, in quanto facilita, nei primi anni di vita, l’integrazione delle informazioni derivanti dai diversi canali sensoriali. Essa viene infatti definita il «sintetizzatore dell’esperienza» poiché permette di percepire l’oggetto nella sua globalità, fornendo simultaneamente numerose informazioni sulle sue caratteristiche (Fraiberg, 1977).
Numerosi studi in letteratura hanno evidenziato quindi che il canale visivo riveste un ruolo cruciale per il bambino nella conoscenza dell’ambiente e nell’interazione con esso, aiutandolo a organizzare la propria motricità e a sviluppare le proprie abilità cognitive e relazionali. Il bambino con disabilità visiva, non ricevendo adeguate informazioni dal sistema visivo, fatica a dare un significato ai diversi stimoli ricevuti, a costruirsi una rappresentazione mentale della realtà esterna e delle sue caratteristiche e, conseguentemente, ad acquisire una consapevolezza di sé all’interno di essa.
Nell’insieme degli elementi che il TNPEE osserva e considera nella predisposizione dell’intervento terapeutico, la scelta dell’«oggetto», inteso come categoria psicomotoria (Berti, Comunello e Savini, 2001), rappresenta un elemento centrale. L’articolo vuole sottolinearne l’importanza attraverso il contributo di tre casi clinici.
Parole chiave
Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva (TNPEE), Riabilitazione neurovisiva, categoria psicomotoria «oggetto», Sviluppo neuropsicomotorio.
Introduzione
La funzione visiva svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo del bambino nei suoi primi anni di vita, in quanto facilita l’integrazione di tutte le informazioni sensoriali che il sistema nervoso centrale riceve simultaneamente dall’ambiente esterno (Fraiberg, 1977). Essa, infatti, permette al bambino di esplorare e comprendere il contesto che lo circonda e di vivere al suo interno esperienze che lo possano condurre a sviluppare le proprie abilità motorie, cognitive, comunicative, relazionali (Cruciani e Reibaldi, 2014). Già nelle prime settimane di vita il neonato è motivato a relazionarsi con i suoi caregiver (Trevarthen, 1979); queste prime interazioni e queste esperienze precoci, di natura inconscia e non verbale, tipiche del primo anno di vita, sono scambi dinamici di azioni, percezioni, affetti, propriocezioni che regolano i comportamenti e il mondo interno affettivo di entrambi. Tramite il sistema dei neuroni specchio, il bambino è in grado non solo di imitare le espressioni facciali dell’adulto, ma anche di entrare in risonanza con il suo caregiver, sintonizzandosi a livello affettivo-emozionale e cogliendo le sue intenzioni (Ammaniti e Ferrari, 2013).
Sebbene l’imitazione visiva sia una protagonista delle prime forme di interazione tra bambino e adulto, questa sintonizzazione affettiva, già espressa da Stern (2002), avviene tramite una modalità percettiva amodale, innata nel neonato, che lo porta a rappresentarsi mentalmente le «qualità amodali» di un comportamento e a riproporle con una propria modalità espressiva.
Questa capacità di percezione amodale consente al bambino di riconoscere gli elementi essenziali per la formazione di un Sé coeso, differente dall’altro, spinto all’interazione con l’ambiente e alla conoscenza di esso (Stern, 2002).
Il bambino con disabilità visiva fatica a organizzare gli input visivi in quanto questi risultano frammentati e talvolta distorti, andando a impattare non solo sulla formazione di rappresentazioni adeguate della realtà esterna e degli oggetti che la compongono, ma anche sullo schema corporeo, sulle relazioni spaziali e sulle competenze relazionali e sociali.
Dagli studi condotti da Stern emerge quanto la funzionalità visiva consenta di percepire in breve tempo e in totalità le qualità essenziali di un comportamento e come la presenza di un deficit visivo si ripercuota su tale processo. Tuttavia, grazie alla capacità di «percezione amodale» degli stimoli, anche gli altri sensi svolgono un ruolo fondamentale nella comprensione e rappresentazione mentale della realtà esterna, divenendo una risorsa per il bambino.
Per tale motivo il bambino con deficit visivo utilizzerà gli altri canali sensoriali, in particolare uditivo e tattile, per dare un senso al proprio corpo e alla realtà esterna (Fazzi e Bianchi, 2016). Nonostante siano numerose le evidenze che dimostrano che nei bambini con disabilità visiva vi sia una preferenza nell’utilizzo di altri canali sensoriali, recenti studi sulla percezione multisensoriale dello spazio nei bambini con tale disabilità (Gori et al., 2021) hanno messo in risalto una difficoltà in questi soggetti nell’integrazione spaziale audio-tattile e un’attribuzione di maggior peso a segnali tattili rispetto a quelli uditivi. Tale evidenza potrebbe imputarsi alla riduzione o assenza della vista che, grazie alle sue caratteristiche di continuità percettiva e sintesi immediata (Fazzi, 2010), permette un feedback rispetto a stimoli sia vicini sia lontani, agendo anche sullo sviluppo della percezione integrata tattile-uditiva.
Dagli studi sulla processazione sensoriale (Dunn, 2007) è emerso anche come vi sia una relazione fra le soglie neurologiche e le strategie comportamentali di autoregolazione del bambino. L’interazione fra queste due funzioni crea quattro profili sensoriali da cui si possono individuare i punti di forza e di debolezza. In ciascun bambino possono coesistere pattern sensoriali differenti che permettono la conoscenza dell’ambiente circostante, mediante un processo di co-costruzione e integrazione delle diverse modalità sensoriali. In presenza di un deficit visivo, è fondamentale la guida di un caregiver per supportare questo processo, in quanto i profili sensoriali associati alle caratteristiche cliniche condizionano la quotidianità del bambino e la sua interazione con la realtà esterna.
Emerge dunque la necessità di un intervento riabilitativo precoce, multisensoriale, neuropsicomotorio, multidisciplinare, in cui i professionisti coinvolti possano sostenere il bambino nella formazione di rappresentazioni mentali adeguate della realtà circostante, tramite un’accurata selezione e presentazione degli stimoli in entrata e tramite una guida nella ricerca di strategie efficaci di interazione con l’ambiente (Cannao, 1999; Mercuri, Cioni e Fazzi, 2005).
Il Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva (TNPEE) è il professionista sanitario che, attraverso l’uso accurato delle categorie psicomotorie, è in grado di creare un ambiente adeguato alle caratteristiche e ai bisogni del bambino sostenendolo nel suo sviluppo globale. Le situazioni di gioco pensate e costruite insieme al bambino divengono vere e proprie esperienze di crescita e apprendimento di cui egli stesso è il protagonista attivo (Berti, Comunello e Savini, 2001). Tra le categorie psicomotorie è da considerare di particolare rilievo, nell’interazione con il bambino con disabilità visiva, la categoria «oggetto» che può diventare mediatore tra il bambino e una realtà esterna spesso difficile da comprendere.
Il TNPEE, tra i vari oggetti, strutturati, non strutturati o nati con specifici scopi riabilitativi (ausili), individua e sceglie quelli che, per le loro caratteristiche, si adeguano ai punti di forza e ai bisogni del bambino, permettendogli di sfruttare appieno le proprie competenze e di formare un’immagine di sé come soggetto «capace» di agire nell’ambiente in modo autonomo.
Nella riabilitazione delle patologie visive, ogni «oggetto» non diventa un semplice supporto o sostituto di una funzione compromessa, ma rappresenta il mezzo tramite cui il bambino ha la possibilità di accrescere la consapevolezza di sé all’interno di una realtà che, inizialmente confusa, diviene per lui possibile da scoprire, più interessante da esplorare e rassicurante perché prevedibile (Signorini e Luparia, 2016).
Materiali e metodi
Il presente articolo nasce da un progetto di tesi che si è svolto presso la sede di Padova della Fondazione Robert Hollman (FRH), ente senza scopo di lucro, che si occupa di consulenza e sostegno allo sviluppo di bambini con deficit visivo e alle loro famiglie (Mercuriali et al., 2016).
Per l’osservazione/valutazione dello sviluppo neuropsicomotorio e della funzionalità visiva dei casi clinici presi in esame e per l’individuazione del loro profilo funzionale, si sono utilizzate due schede: la Scheda di Osservazione/valutazione Neuropsicomotoria SON (Gison, Minghelli e Di Matteo, 2007 e 2009) e la scheda di valutazione della funzionalità visiva della Fondazione Robert Hollman (Assessment neurovisivo FRH).
Partecipanti
I soggetti coinvolti nel progetto frequentano un percorso di riabilitazione neuropsicomotoria presso la FRH. Tutti i bambini presentano una diagnosi confermata di ipovisione/cecità di grado ed eziologia variabili, di origine periferica ovvero legata a un danno all’occhio, e/o alla retina e/o al nervo ottico, strutture e vie visive poste anteriormente al chiasma ottico (Tabella 1).
Tabella1
Caratteristiche visive dei tre casi clinici, con acuità visiva definita secondo la «Classificazione e quantificazione delle minorazioni visive e norme in materia di accertamenti oculistici» (Legge 138/2001)
NOME |
SESSO |
ETÀ |
EZIOLOGIA |
GRADO |
ACUITÀ VISIVA |
A. |
F |
2 anni 5 mesi |
Periferica |
Cecità totale |
Percezione luce |
R. |
M |
4 anni 9 mesi |
Periferica |
Ipovisione lieve |
3/10 |
S. |
F |
7 anni |
Periferica |
Ipovisione medio-grave |
2/10 |
Scheda di Osservazione/valutazione Neuropsicomotoria (SON)
La scheda SON è uno strumento che consente al terapista di individuare un profilo di sintesi del bambino, in grado di risaltarne le capacità e di riconoscerne le difficoltà nelle diverse aree di sviluppo; tale strumento sostiene il terapista anche nella stesura del programma riabilitativo.
La scheda guarda al soggetto in un’ottica globale e positiva, evidenzia i punti di forza e pone attenzione alle caratteristiche espressive del bambino, che sono il punto di partenza per la ricerca delle strategie efficaci. La scheda indaga 5 aree: affettivo-relazionale, comunicativo-linguistica, motorio-prassica, neuropsicologica, cognitiva con approfondimento sulle modalità di gioco del bambino. Nell’area neuropsicologica le funzioni percettive, tra cui quella visiva, sono indagate macroscopicamente. Per tale motivo le competenze visive sono state approfondite attraverso l’Assessment Neurovisivo FRH.
Assessment neurovisivo FRH
L’Assessment neurovisivo nasce dalla collaborazione tra i terapisti delle due sedi della Fondazione Robert Hollman, quella di Cannero Riviera e quella di Padova, che a partire dagli anni 2000 hanno iniziato a costruire una scheda di valutazione per approfondire il profilo funzionale neurovisivo del bambino con disabilità visiva, in un’ottica di integrazione con le diverse aree di sviluppo (Battistin et al., 2005).
Ciò che si ottiene è quindi l’immagine globale del bambino e delle sue modalità di interazione con il mondo esterno.
L’applicazione di questa scheda di valutazione permette di riconoscere come il deficit visivo, alla luce anche di quanto emerso dalla scheda SON, influenzi l’interazione tra il bambino e l’ambiente e, inoltre, divenga la chiave per comprendere quali possano essere le strategie di intervento più efficaci.
Le informazioni ricavate dall’Assessment neurovisivo si rivelano importanti per il terapista nell’adottare categorie psicomotorie adeguate al bambino, in particolare nella scelta di un oggetto che possa permettergli di vivere attivamente delle esperienze di esplorazione e interazione con l’ambiente.
L’Assessment neurovisivo è una scheda compilativa di carattere qualitativo, in quanto offre al valutatore la possibilità di esprimere le proprie percezioni soggettive in modo libero all’interno di un campo note dedicato. Si compone di tre sezioni principali:
- osservazioni di carattere generale
- osservazioni del comportamento spontaneo del bambino in ambiente ecologico
- valutazione funzionale neurovisiva.
Quest’ultima sezione è, a sua volta, sviluppata in cinque macroaree: competenze oculomotorie di base, esplorazione visiva, coordinazione oculo-manuale e competenze prassiche, competenze percettivo-gnosiche, abilità visuo-spaziali. Per ogni macroarea vengono individuate le facilitazioni migliori (ambiente, postura, oggetto ecc.) per quel bambino, in quella fase del suo sviluppo neuropsicomotorio.
Mappe mentali
Da entrambe le schede di osservazione e valutazione emergono numerose informazioni circa il profilo funzionale globale del bambino: queste devono essere integrate tra loro per la buona stesura e riuscita dell’intervento riabilitativo.
Ai fini di facilitare questo processo di integrazione tra le due schede si è pensato di utilizzare la mappa mentale. La mappa mentale è uno strumento che, tramite l’uso di parole-chiave, immagini, colori e collegamenti, offre un’ampia panoramica di un argomento, consentendo di individuare numerose informazioni e di porle tra loro in relazione (Buzan e Buzan, 1993). Le relazioni, di natura semantica, causale, associativa ecc., hanno lo scopo di organizzare i concetti e di rendere visibili le connessioni tra questi.
In questo caso, il terapista imposta la mappa mentale in modo tale da far emergere i punti principali dell’intervento, ragionando su quale possa essere l’«oggetto» adatto al bambino, e per comprendere come possa utilizzare le categorie psicomotorie in relazione agli obiettivi identificati in seguito alla valutazione.
La mappa mentale è composta dal nodo centrale, rappresentato dall’approccio neuropsicomotorio al bambino, da cui si dipartono le macrocategorie: osservazione e valutazione (Scheda SON e Assessment neurovisivo), l’«oggetto» e le categorie psicomotorie e le strategie. A ogni categoria psicomotoria sono stati attribuiti i seguenti colori:
Postura – Tempo – Spazio – Movimento – Voce – Tono – Oggetto
Dalla lettura della mappa si rilevano i collegamenti tra il profilo di sviluppo globale rilevato attraverso la scheda SON, l’Assessment neurovisivo e la tipologia di adattamenti percettivi, di caratteristiche degli oggetti e del setting.
I due protocolli osservativi, inoltre, consentono di mettere in luce i principali punti di forza e di debolezza del bambino che guidano il TNPEE nell’intervento neuropsicomotorio rispetto alle categorie psicomotorie e alle strategie di intervento.
Anche l’uso del colore favorisce il collegamento tra le diverse parti della mappa (ad esempio, tra le informazioni raccolte dall’osservazione/valutazione, gli adattamenti percettivi individuati e le rispettive strategie di intervento).
Fig. 1 Struttura della mappa mentale.
Casi clinici: valutazione, obiettivi, strumenti e strategie dell’intervento riabilitativo
Lo studio ha visto protagonisti tre bambini: A. dell’età di 2 anni e 5 mesi, R. dell’età di 4 anni e 9 mesi e S. dell’età di 7 anni.
Per la fase di osservazione/valutazione sono stati utilizzati la Scheda di Osservazione/Valutazione Neuropsicomotoria SON e l’Assessment neurovisivo FRH.
Il caso di A.
Al momento dell’osservazione A. ha 2 anni e 5 mesi.
La diagnosi clinica è amaurosi congenita di Leber con nistagmo, ipermetropia bilaterale e cecità totale (Legge n. 138 del 3 aprile 2001).
Valutazione
La percezione degli stimoli per A. è limitata alle condizioni in cui questi siano luminosi e proposti in un ambiente semi-oscurato. Infatti, dall’Assessment neurovisivo, emergono le seguenti caratteristiche:
- acuità visiva inquadrabile in percezione luce
- percezione, localizzazione e fissazione dello stimolo luminoso presenti
- presenza di scosse di nistagmo
- buona esplorazione tattile dell’oggetto.
Sebbene sia presente una curiosità verso l’ambiente esterno e verso l’altro, le modalità di interazione della bambina sono contraddistinte da grande cautela, il che comporta che i tempi necessari ad accogliere le novità siano prolungati, visto il bisogno di comprenderle tramite gli altri canali sensoriali.
Questo non influenza soltanto la dimensione affettivo-relazionale, ma anche la comunicazione, il gioco e l’apprendimento, nonché il movimento all’interno di uno spazio ricco di stimoli ma con pochi punti di riferimento riconoscibili.
In particolare, in riferimento all’area affettivo-relazionale è di primaria importanza creare un ambiente all’interno del quale A. possa sentirsi rassicurata e, di conseguenza, possa instaurare una relazione di fiducia con il terapista.
Il terapista deve quindi essere per A. una figura di riferimento, che la sostiene in questo suo percorso di crescita.
Affinché questo avvenga, l’adulto deve conoscere la bambina e, in particolare, le sue modalità di interazione con il mondo esterno. L’osservazione di A. e delle sue modalità di interazione con la realtà esterna danno al terapista la possibilità di utilizzare e adeguare le categorie psicomotorie, al fine di costruire le basi di una relazione con la bambina.
Obiettivi riabilitativi
Alla luce dell’osservazione di A., dei suoi punti di forza e di debolezza, e di ciò che emerge dall’analisi del suo profilo funzionale visivo, sono stati pensati i seguenti obiettivi riabilitativi:
- sostenere la scoperta dell’oggetto e dell’ambiente attraverso esperienze multisensoriali
- sostenere l’acquisizione dei prerequisiti per l’orientamento e la mobilità
- valorizzare e sostenere le competenze visive di A.
A seguito dell’osservazione di A. e della stesura degli obiettivi riabilitativi, è stato utile riprendere le informazioni contenute nell’Assessment neurovisivo dove è emerso che A. ha delle buone competenze nell’aggancio e nel mantenimento dello sguardo su un oggetto con caratteristiche di luminosità e multisensorialità, posto all’interno di un ambiente facilitante e semioscurato.
Dall’analisi di queste informazioni si è compreso quale potesse essere lo strumento visivo per lei più efficace ai fini dell’interazione con l’ambiente esterno.
Strategie e strumenti per l’intervento riabilitativo
Come oggetti utili alla riabilitazione neuropsicomotoria si propongono la torcia (Figura 2) e gli oggetti multisensoriali.
Fig. 2 Torcia come strumento a sostegno dell'orientamento e della mobilità.
La torcia, pur non essendo uno strumento nato a scopo riabilitativo, grazie alla sua caratteristica di fonte luminosa dalla facile maneggevolezza, può essere ampiamente utilizzata durante le attività, sia come target da localizzare, agganciare e inseguire visivamente, sia come sorgente che va a illuminare un secondo oggetto, risaltandone le caratteristiche.
Esistono torce di varie dimensioni, colori e forme, scelte sulla base del singolo bambino e del progetto riabilitativo per lui pensato.
Tra le torce è presente anche la Black light, ovvero una torcia a luce ultravioletta, conosciuta anche come Lampada di Wood, in grado di esaltare notevolmente il colore bianco e i colori fluorescenti degli oggetti e il loro contrasto con gli altri colori, essa risulta quindi molto utile nel favorire la percezione di un oggetto con pattern bianco e nero e/o bianco/nero/colore fluorescente. La caratteristica luminosa non è, tuttavia, l’unica che può essere sfruttata per sostenere A. nella conoscenza dell’ambiente; la bambina apprende dall’ambiente esterno anche attraverso l’integrazione delle informazioni derivanti dai diversi canali sensoriali. Offrire, dunque, oggetti dalle caratteristiche multisensoriali (Figura 3) diviene di fondamentale importanza nella formazione di una rappresentazione mentale dell’oggetto stesso.
Fig. 3 Il percorso multisensoriale.
Il caso di R.
Al momento dell’osservazione R. ha 4 anni e 9 mesi.
La diagnosi clinica è albinismo oculo-cutaneo.
Valutazione
Dall’Assessment neurovisivo emergono:
- acuità visiva, che si presenta pari a 3/10 in entrambi gli occhi
- campo visivo con restringimento temporale ai 40°
- quadro visivo di ipovisione di grado lieve (Legge 3 aprile 2001, n. 138)
- nistagmo
- fotofobia.
Nonostante il deficit, la vista viene utilizzata come canale sensoriale preferenziale di interazione con l’ambiente, sostenuta dall’utilizzo degli occhiali per la correzione del difetto refrattivo. R., infatti, è in grado di cogliere, all’interno della stanza, stimoli localizzati anche a 3 metri di distanza e la grandezza minima del target può essere anche di pochi centimetri.
A ostacolare la sua esplorazione dello spazio e degli oggetti è la presenza di scosse di nistagmo; inoltre R. presenta fotofobia e, per tale motivo, è opportuno strutturare il setting con un’illuminazione adeguata che non rechi fastidio agli occhi e regolare la luminosità di alcuni strumenti durante il loro utilizzo.
Emergono inoltre difficoltà a livello prassico, visuo-esplorativo, visuo-percettivo e visuo-spaziale. A queste informazioni si integrano quelle colte dalla compilazione della Scheda SON: in particolare, nell’area motoria si riscontrano delle difficoltà sul piano qualitativo, essendo presenti un impaccio motorio globale e una motricità fine inadeguata.
Sul versante comunicativo-linguistico sono riconoscibili delle difficoltà a livello articolatorio e dei processi di semplificazione fonologica, tuttavia, R. si corregge con la guida dell’adulto; il lessico è in costante crescita e il linguaggio verbale viene ampiamente utilizzato nell’interazione e nel gioco.
Il gioco è caratterizzato da rappresentazioni simboliche di vita quotidiana e stanno emergendo le prime caratteristiche del gioco di ruolo.
Obiettivi riabilitativi
Alla luce delle osservazioni e dell’individuazione dei punti di forza e debolezza del profilo clinico di R. sono stati individuati i seguenti obiettivi riabilitativi:
- sostenere le capacità di esplorazione visiva e le abilità visuo-spaziali
- favorire lo sviluppo del gioco simbolico-rappresentativo e narrativo
- sostenere la motricità fine e la coordinazione oculo-manuale.
Dalle informazioni ricavate tramite la scheda SON e l’Assessment neurovisivo possiamo comprendere quanto sia fondamentale per R. interagire con elementi ad alto contrasto cromatico collocati in ambienti facilitanti (limitati nello spazio, non in eccesso di stimoli, con punti di riferimento ben definiti).
Strategie e strumenti per l’intervento riabilitativo
La necessità di operare all’interno di un ambiente sobrio, con pochi stimoli ad alto contrasto e con confini definiti ha portato a proporre a R. come strumento visivo il piano luminoso o «light-box» (Figura 4 e Figura 5) in quanto esso facilita la percezione di un oggetto, aumentandone il contrasto, enfatizzandone i colori ed evidenziandone i confini.
Inoltre, essendo la sua luminosità regolabile, non reca fastidio alla vista di R.
Fig. 4 Light-box come supporto all’attività grafomotoria.
Fig. 5 Light-box per l’organizzazione di una cornice di gioco
Il caso di S.
Al momento dell’osservazione S. ha 7 anni.
La diagnosi clinica è cataratta congenita-pseudofachia bilaterale, strabismo, nistagmo, miopia elevata e astigmatismo miopico, ipovisione medio-grave in Sindrome di Down.
Valutazione
Dall’Assessment neurovisivo si rilevano i seguenti dati:
- acuità visiva pari a 2/10 nell’occhio destro e 1/30 nell’occhio sinistro
- restringimento campimetrico a destra ai 30/40° e a sinistra ai 20°
- ipovisione medio-grave (Legge n. 138 del 3 aprile 2001).
Con l’ausilio degli occhiali per la correzione del deficit refrattivo, la bambina è in grado di utilizzare la via visiva come canale di esplorazione preferenziale, integrato con la via tattile.
Sono presenti, tuttavia, delle difficoltà nella percezione della profondità e dei dislivelli che limitano ulteriormente il movimento di S. nello spazio; è quindi importante prestare attenzione alla strutturazione del setting affinché sia privo di ostacoli e dotato di punti di riferimento dai colori ad alto contrasto, facilmente riconoscibili.
A tali informazioni si integra ciò che emerge dalla compilazione della scheda SON.
Un importante punto di forza è rappresentato dall’alta motivazione della bambina nel relazionarsi con l’altro, grazie alla quale si fonda una buona alleanza terapeutica che le consente di interagire con i terapisti in un contesto di piacere.
S. ha però bisogno di essere sostenuta e guidata nella gestione dei vissuti emotivi più intensi, che spesso la portano a interrompere l’interazione.
Causa di frustrazione è, inoltre, la difficoltà che la bambina ha nel farsi comprendere e comunicare con l’altro, a causa di un disturbo fonologico del linguaggio.
La percezione dei contrasti e il riconoscimento dei colori sono adeguati e questi possono essere considerati punti di forza per la scelta degli oggetti e per la modalità di proposta; il deficit visivo di S. determina inoltre un’assenza di stereopsi e quindi una difficoltà nella percezione della tridimensionalità e della profondità che limita l’autonomia della bambina negli spostamenti e nell’esplorazione degli oggetti.
Sul versante motorio è riconoscibile un impaccio generale della motricità sia globale sia fine, e il tono muscolare di S. è tendenzialmente basso e non sempre modulato.
L’organizzazione oculo-manuale è adeguata e S. utilizza lo sguardo in tutte le fasi di raggiungimento, presa e manipolazione dell’oggetto.
Le prassie transitive, intransitive, di base e costruttive sono state acquisite.
Per quanto riguarda le competenze grafico-rappresentative, esse sono caratterizzate da una difficoltà di modulazione tonica a livello distale, che genera un tratto poco fluido e non preciso. Nel disegno S. propone lo scarabocchio e non ha accesso alla riproduzione di rappresentazioni grafiche di tipo simbolico, per questo motivo sta imparando a usare una tastiera come ausilio per la scrittura da utilizzare a scuola.
La bambina ha accesso al gioco di ruolo, che si sta strutturando, anche se necessita ancora della guida e del sostegno del terapista nella sua costruzione.
Obiettivi riabilitativi
Alla luce dell’osservazione di S., dei suoi punti di forza e di debolezza, e di ciò che emerge dall’analisi del suo profilo funzionale visivo, sono stati pensati i seguenti obiettivi riabilitativi:
- sostenere la regolazione tonica e il controllo motorio fine
- sostenere la letto-scrittura e gli apprendimenti
- sostenere l’evoluzione del gioco simbolico e narrativo.
Strategie e strumenti per l’intervento riabilitativo
Nel caso di S. è possibile riconoscere tre aree di intervento principali: area affettivo-relazionale, area motorio-prassica e area degli apprendimenti scolastici. Dagli obiettivi pensati per ciascuna area sono scaturite proposte riabilitative differenziate, con oggetti e adattamenti specifici per concretizzarle.
La scelta spazia da materiali non strutturati con caratteristiche multisensoriali (in particolare tattili) a specifiche impostazioni di accessibilità del computer, in vista dell’inserimento di S. alla scuola primaria.
Un esempio di strumento utilizzato per la categoria degli oggetti multisensoriali sono i colori per tessuti (Figura 6): questi sono caratterizzati da colori sgargianti ad alto contrasto che, una volta stesi, si solidificano lasciando il disegno creato percepibile al tatto.
Per quanto riguarda invece le proposte al computer, è opportuno che il monitor presenti icone ingrandite e ad alto contrasto, così come il cursore.
La tastiera che S. utilizza è una tastiera facilitata, a caratteri grandi, ad alto contrasto e semplificata (Figura 7).
Fig. 6 Colori per tessuti.
Fig. 7 Proposta di attività con utilizzo del computer e della tastiera facilitata.
Per sostenere la bambina nell’utilizzo della tastiera, la terapista copre con dei cartoncini le righe che non sono oggetto di apprendimento, in modo da evidenziare solo l’area di esplorazione contenente la lettera cercata.
Uno strumento rivelatosi utile è il tablet (Figura 8): esso presenta molte delle funzioni presenti nel computer, ma è più comodo da utilizzare e la bambina può facilmente portarlo con sé nei diversi ambienti che frequenta.
Le attività proposte attraverso il tablet hanno lo scopo di avvicinare la bambina al dispositivo apprendendone le modalità di utilizzo, oltre che promuovere le abilità di esplorazione visiva e coordinazione motoria.
Fig. 8 Proposta di utilizzo del tablet.
Conclusioni
L’illustrazione dei casi evidenzia l’importanza della categoria psicomotoria «oggetto» che, particolarmente nell’intervento neuropsicomotorio rivolto al bambino con disabilità visiva, diviene un «mezzo di unione tra il corpo e l’ambiente». La costruzione del setting, che include la scelta di oggetti, materiali e la personalizzazione dell’ambiente terapeutico in base alla funzionalità visiva del bambino, ai suoi punti di forza e di debolezza, consente di ridurre l’impatto del deficit visivo e facilita le interazioni promuovendo una più efficace integrazione sensoriale.
La scelta di utilizzare i colori per tessuti con S., per esempio, ha reso il tratto grafico della bambina apprezzabile sia per via visiva sia per via tattile, dando la possibilità di integrare entrambe le informazioni sensoriali. I colori per tessuti sono diventati in questo caso uno strumento riabilitativo per promuovere l’organizzazione della funzione motorio-prassica e, contemporaneamente, una maggiore percezione visiva del tratto grafico grazie al supporto del tatto.
Un’importante riflessione riguarda la ricaduta dell’uso adeguato anche delle altre categorie psicomotorie sull’interazione con il bambino con disabilità visiva.
Si pensi, ad esempio, all’utilizzo di una postura ravvicinata nel bambino con ipovisione, all’importanza della voce nel bambino con cecità come segnale di «presenza» dell’altro, alla necessità di fornire tempi dilatati e di riproporre esperienze, all’attenzione nella strutturazione di uno spazio che sia sicuro e ben riconoscibile dal bambino, all’utilizzo di un tono muscolare che gli dia sicurezza e alla cautela dei movimenti. L’«oggetto» perde efficacia se non viene inserito in un contesto che si adegui globalmente alle caratteristiche del bambino, consentendogli di essere protagonista attivo delle proprie esperienze.
Le esperienze con bambini che presentano disabilità visiva hanno fatto emergere tre considerazioni: in primo luogo è importante considerare il bambino con disabilità visiva nella sua interezza soffermandosi a indagare su come il deficit visivo influenzi il suo sviluppo e la sua modalità di interazione con l’ambiente, in quanto questa prima fase permetterà di riflettere su quali siano i reali punti di forza e di debolezza del bambino e su quali obiettivi dovrà focalizzarsi l’intervento riabilitativo (Signorini e Luparia, 2016; Mercuri, Cioni e Fazzi, 2005). In secondo luogo, la caratteristica dell’intervento neuropsicomotorio, centrato sull’uso delle categorie analogiche, permette di trovare quali siano i modi di agire più adeguati a interagire con il bambino, costruendo le basi che renderanno efficace la proposta riabilitativa. Infine, la categoria psicomotoria «oggetto» rappresenta un elemento essenziale della proposta riabilitativa poiché sostiene il bambino nell’interazione con l’ambiente e nella scoperta del mondo esterno, grazie a quelle caratteristiche specifiche che aderiscono al suo profilo di funzionamento visivo. L’«oggetto» permette al bambino di essere protagonista attivo degli eventi che si verificano in seduta, implementando la motivazione e l’efficacia dell’intervento riabilitativo.
Si evince dalle esperienze descritte come gli obiettivi riabilitativi identificati per ogni bambino non interessino una sola specifica area di funzionamento, bensì considerino lo sviluppo «neuro-psico-motorio» nella sua globalità. Il Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva promuove lo sviluppo all’interno di una dinamica di piacere che utilizza il gioco, partendo dalle azioni spontanee del bambino.
L’approccio neuropsicomotorio guarda al bambino in un’ottica globale, osservando ogni area di sviluppo e considerando la sua influenza e integrazione con le altre; è indirizzato, infatti, a promuovere la salute del bambino nella sua dimensione «bio-psico-sociale» allo scopo di garantire la formazione di un Sé coeso e armonico e il raggiungimento del più alto grado di autonomia.
Abstract
Every child develops according to his/her daily experiences while interacting with the surrounding environment. These sensory experiences are directed to the central nervous system and subsequently elaborated. Vision has a primary role in neural development during the first years of life because it facilitates the integration of information coming from diverse sensory paths. In fact, vision is defined as an «experience synthesizer» since it allows for a global perception of an object and simultaneously furnishes abundant information on the object’s features (Fraiberg, 1977).
Many studies have therefore emphasized how vision plays an important role in the child’s discovery and interaction with the environment, and how it helps in organizing motor, cognitive and relational skills. A child who has a visual deficit and who doesn’t receive enough information through sight, has difficulty in making sense of all the diverse stimulus, in constructing a mental representation of an external reality and its features, and consequently, acquiring self awareness in reality.
The «object», as referred to in (Berti et al., 2000) as a psychomotor category, is central. The TNPEE observes and considers it in preparing therapeutic intervention. This article emphasizes the importance of the «object» through the discussion of three clinical case studies.
Keywords
Developmental neuro psychomotor therapist (TNPEE), neural visual rehabilitation, psychomotor category «object», neuropsychomotor development
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