Il TNPEE

© 2021 Erickson

Vol. 3, n. 2, novembre 2021

(pp. 15-25)

La proposta precoce della carrozzina manuale ad autospinta a sostegno dello sviluppo neuropsicomotorio del bambino con SMA

Lavinia Fanelli

(TNPEE)

Giorgia Coratti

(TNPEE)

Nicoletta Madia

(Responsabile della comunicazione)

Roberto De Sanctis

(TNPEE)

Nicola Forcina

(TNPEE)

Giulia Norcia

(TNPEE)

Sara Carnicella

(TNPEE)

Giulia Stanca

(TNPEE)

Beatrice Berti

(Neuropsichiatra Infantile)

Daniela Leone

(Neuropsichiatra Infantile)

Concetta Palermo

(Neuropsichiatra Infantile)

Maria Carmela Pera

(Neuropsichiatra Infantile)

Laura Antonaci

(Neuropsichiatra Infantile)

Anna Lia Frongia

(Neuropsichiatra Infantile)

Costanza Cutrona

(Neuropsichiatra Infantile)

Marika Pane

(Neuropsichiatra Infantile)

Eugenio Maria Mercuri

(Neuropsichiatra Infantile)

Sommario

I bambini con Atrofia Muscolare Spinale (SMA) di tipo 2 e, recentemente, anche quelli di tipo 1 trattati precocemente, raggiungono il controllo del tronco ma presentano un importante ritardo nell’apprendimento di modalità di spostamento autonomo che, nella maggior parte dei casi, non arrivano ad acquisire. Nell’ottica di preservare un armonico sviluppo neuropsicomotorio e le competenze emotive di separazione-individuazione dalle figure di riferimento, compito del Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva (TNPEE), in accordo con l’equipe medica, è la proposta e l’introduzione della carrozzina ad autospinta, per consentire al bambino di effettuare le prime esperienze di spostamento autonomo nell’ambiente. Tale attività rappresenta un vantaggio non solo dal punto di vista neuropsicomotorio ma anche biomeccanico, poiché richiede il precoce utilizzo in simmetria della motricità di tronco e arti superiori, favorendone la funzione e il mantenimento del trofismo. Per le peculiarità relative alla condizione neurologica e all’età di utilizzo secondo cui viene proposta, la carrozzina ad autospinta deve possedere alcune caratteristiche imprescindibili quali leggerezza, maneggevolezza e adattabilità alle esigenze posturali dei piccoli pazienti. In questo lavoro presentiamo la nostra esperienza come centro di terzo livello di riferimento per le patologie neuromuscolari.

Parole chiave

SMA, Carrozzina ad autospinta superleggera, Mobilità, Intervento precoce, Qualità della vita.

Introduzione

La definizione Atrofia Muscolare Spinale (SMA) si riferisce a un gruppo eterogeneo di malattie determinate geneticamente, caratterizzate dalla degenerazione del secondo neurone di moto delle corna anteriori del midollo spinale, con conseguente atrofia muscolare neurogena progressiva degli arti — maggiormente gli arti inferiori rispetto agli arti superiori — e del tronco, debolezza dei distretti muscolari coinvolti e paralisi, in assenza di disturbi della sensibilità. Le funzioni cognitive, il tatto e l’esterocezione non sono generalmente coinvolti nel processo degenerativo. È una delle più comuni malattie genetiche autosomiche recessive con un’incidenza di circa 1/6000-1/10.000 nati vivi. Nella maggior parte dei casi viene trasmessa da due genitori portatori sani con modalità autosomica recessiva (con il 25% di possibilità a ogni gravidanza) e solo raramente si tratta di una mutazione de novo. Nel 95% dei casi, la patologia è causata da specifiche mutazioni nel gene SMN1, collocato sul cromosoma 5q13. Gene che codifica per la proteina Survival Motor Neuron (SMN), essenziale per la sopravvivenza e il normale funzionamento dei motoneuroni. I pazienti affetti da SMA hanno un numero variabile di copie di un secondo gene, SMN2, che codifica per una forma accorciata della proteina SMN, dotata di una funzionalità ridotta rispetto alla proteina SMN completa (quella codificata dal gene SMN1 sano). Il numero di copie del gene SMN2 è quindi alla base della grande variabilità della patologia, con forme più o meno gravi e un ventaglio sintomatico molto ampio, anche se non è stata a oggi dimostrata una correlazione fissa tra numero di copie di SMN2 e severità del quadro clinico.

In base all’età di esordio e al decorso clinico, le forme più comuni di SMA si distinguono in: SMA di tipo 0, con esordio prenatale, porta a exitus nei primi mesi di vita; SMA di tipo 1 (o malattia di Werdnig Hoffman), in cui i soggetti non acquisiscono la posizione seduta (55% dei casi totali di SMA); forme intermedie di tipo 2 (malattia di Dubowitz), cioè coloro che non acquisiscono la stazione eretta (30% dei casi totali di SMA); SMA di tipo 3 (o malattia di Kugelberg Welander), ossia le forme giovanili che acquisiranno la stazione eretta e la deambulazione, ma che potrebbero perderla (15% dei casi totali di SMA), e la forma dell’adulto o di tipo 4 con esordio più tardivo (10-30 anni) e prognosi migliore per quanto riguarda il mantenimento della funzione motoria (D’Amico, Mercuri, Tiziano e Bertini, 2011).

Nel 2004 sono stati stabiliti gli «standard di cura» di questa condizione patologica (Mercuri et al., 2018; Finker et al., 2018). Contemporaneamente, vari gruppi di esperti ne hanno definito le modalità diagnostiche differenziali e l’importanza di un approccio multidisciplinare in grado di prestare attenzione ai vari ambiti colpiti, in particolare la riabilitazione ortopedica, respiratoria e polmonare, l’aspetto nutrizionale e le cure palliative. Le evidenze scientifiche dell’ultima decade confermano un miglioramento della storia naturale dei pazienti affetti da SMA. Anche il tipo 1, forma più grave di SMA, ha mostrato un aumento della sopravvivenza dei pazienti affetti, grazie all’utilizzo di un approccio proattivo, seguito dall’introduzione della ventilazione non invasiva (NIV) e della nutrizione enterale (De Sanctis et al., 2018).

L’atrofia muscolare spinale ha un’incidenza attuale di circa 1 paziente su 11.000 nati vivi, con prevalenza maggiore nel sesso maschile pari a 2:1, mentre gli individui portatori sani sono circa 1:50. In Italia, ogni anno, sono circa 50-60 i bambini nati con SMA, mentre in Europa circa 550-600.

Nell’ultima decade il crescente interesse nei confronti di questa patologia ha portato allo sviluppo di numerosi trial clinici che hanno consentito l’approvazione di trattamenti in grado di modificare la storia naturale della patologia, specialmente nel caso di pazienti trattati precocemente (Tiziano e Tizzano, 2020). È inoltre disponibile in Italia, nell’ambito di un progetto pilota che ha coinvolto a partire da marzo 2020 le regioni Lazio e Toscana, uno specifico screening neonatale, grazie a un campione di sangue prelevato dal tallone, in grado di identificare le mutazioni del gene SMN1 e quindi indirizzare precocemente, spesso ancor prima della manifestazione dei sintomi, i bambini e le loro famiglie presso centri di riferimento per le patologie neuromuscolari e garantire un precoce accesso ai trattamenti disponibili.

Il progresso scientifico in materia sta modificando in modo significativo il quadro dei fenotipi neuromotori. Rappresentativo è il caso dei bambini con forma di tipo 1, che per storia naturale non dovrebbero raggiungere la posizione seduta in modo autonomo e che invece sempre più spesso riescono a raggiungere tale tappa motoria, in particolare quando individuati precocemente attraverso lo screening e trattati quando ancora asintomatici o paucisintomatici. Diverso è il caso dei bambini affetti dalla forma 2 la cui diagnosi avviene tardivamente e così anche l’accesso ai trattamenti, ugualmente promettenti e di aiuto, fatta eccezione per i bambini individuati in modo presintomatico dallo screening neonatale, disponibile ancora solo in poche regioni in Italia.

SMA 2: Una storia naturale nota

Nei pazienti affetti dalla forma 2, sottoclassificati in tre forme secondo l’età di esordio e la severità dei sintomi, la storia naturale e il fenotipo neuropsicomotorio sono noti e, una volta confermata geneticamente la diagnosi clinica, permettono di tracciare delle traiettorie di sviluppo. Per questo gruppo di pazienti è possibile rilevare l’esordio dei sintomi intorno al terzo trimestre del primo anno di vita. Tutti i bambini riescono a mantenere la posizione seduta (ma possono non essere in grado di raggiungerla in modo autonomo) e alcuni di loro possono arrivare a effettuare spontaneamente gli spostamenti sul piano orizzontale o addirittura a verticalizzarsi, senza però riuscire a raggiungere la deambulazione autonoma e con tendenza a perdere tali competenze. Tali pazienti mostrano fin dall’esordio dei sintomi una caratteristica tendenza all’ipostenia, all’ipotrofia muscolare e all’areflessia a carico degli arti. Dal punto di vista cognitivo e neurolinguistico si rilevano una precoce produzione verbale, buone capacità attentive contestuali, e l’uso privilegiato dei canali visivo e verbale per esplorare e interagire con l’ambiente e con i caregiver, utilizzati anche come tramite per sopperire alla povertà di motricità autonoma.

L’interferenza della difficoltà motoria nello sviluppo emotivo e neuropsicomotorio del bambino con sma

L’importante disarmonia che riguarda lo sviluppo delle competenze neuropsicomotorie nei primi due anni di vita comporta un rischio di scissione nella consapevolezza di sé e una difficoltà nella realizzazione del processo di «separazione-individuazione», così come descritto da Mahler nella sua teoria dello sviluppo (Mahler et al., 19538), ripreso e ampliato da Winnicott, nell’ambito delle teorie che descrivono lo sviluppo delle relazioni oggettuali (Winnicott, 1953). Mahler individua dapprima una «fase autistica», che il bambino attraverserebbe nei primi due mesi di vita, spinto dalla sola soddisfazione dei suoi bisogni primari legati alla sopravvivenza, in seguito una seconda «fase simbiotica», attraversata dal lattante tra il secondo e il sesto mese di vita e che sarebbe caratterizzata dalla diade simbiotica madre-bambino, in cui il bambino sperimenterebbe un senso di onnipotenza dato dall’illusione di un confine comune con la madre, senza differenziazione tra il suo Io e il mondo esterno, per giungere dopo il primo semestre di vita alla più nota fase di «separazione- individuazione». Sebbene tale teoria risulti attualmente parzialmente superata grazie all’integrazione di ulteriori evidenze aggiornate delle neuroscienze (Ammaniti e Gallese, 2014), la fase di «separazione-individuazione» osservata nella pratica clinica sembra essere ancora particolarmente significativa nei bambini che presentano una ridotta autonomia motoria. Tale fase è composta a sua volta da ulteriori sottofasi:

  • la «differenziazione», tra i 6 e i 10 mesi, in cui inizierebbe una differenziazione di sé dalla madre e della madre dagli estranei e durante la quale il bambino si dedica all’esplorazione degli oggetti;
  • la «sperimentazione», tra i 10 e gli 11 mesi, guidata dall’acquisizione delle competenze motorie di spostamento orizzontale che, permettendo al bambino di effettuare un’esplorazione autonoma dell’ambiente e di allontanarsi dalla mamma, gli darebbero al contempo la competenza di tornare poi tra le sue braccia per appagare il proprio bisogno di «rifornimento affettivo»;
  • il «riavvicinamento», fase vissuta dal bambino tra i 16 e i 24 mesi, durante la quale il piccolo sperimenterebbe la soddisfazione di separarsi sempre più dalla mamma e in modo sempre più consapevole, seguendola a distanza per paura di essere ricatturato nella simbiosi ma percependo allo stesso tempo l’angoscia di perderla. La sperimentazione di tale ambivalenza nei confronti della madre sarebbe mediata in questa fase in modo importante dalla presenza della figura paterna e dallo sviluppo del linguaggio simbolico, inteso in questo senso come lo strumento attraverso cui ritrovare la «distanza ottimale» dalla mamma nel conflitto tra allontanamento e riavvicinamento.

Assumendo il ruolo di tali fasi come fondamento per la costruzione delle competenze di differenziazione dalla madre e di individuazione di sé, appare evidente quanto le difficoltà motorie incontrate dal bambino con SMA di tipo 2 possano interferire profondamente con la fase di sperimentazione e, di conseguenza, distorcere anche la successiva fase di riavvicinamento. La condizione di impossibilità a sperimentare una vera e propria indipendenza dal corpo della madre, o dai caregiver, rende difficile il passaggio a una fase di «riavvicinamento» volontario, dettato dall’esperienza stessa della separazione. Se è vero infatti che, specialmente con l’introduzione dei trattamenti farmacologici e grazie all’intervento abilitativo neuropsicomotorio, questi bambini possono arrivare a raggiungere e mantenere posture intermedie e talvolta anche a gattonare, tali acquisizioni si profilano come indotte dall’ambiente e guidate dal terapista e vengono raggiunte tardivamente, perdendo di fatto il loro significato nell’ottica della relazione con le figure di riferimento. Non si tratta pertanto solo di un mancato appuntamento evolutivo in un prezioso periodo finestra (Ferrari, 2014), quanto piuttosto di un confrontarsi con una patologia che, per storia naturale, ha un carattere degenerativo e che paradossalmente viene affrontata primariamente rispetto gli aspetti motori e non per quanto riguarda la loro integrazione nell’ambito dello sviluppo dell’individuo.

Nell’ottica di preservare l’armonia dello sviluppo, le componenti psicoaffettive e relazionali, ma anche con l’idea di consentire al bambino con SMA l’autonomia e la possibilità di sperimentare il piacere sensomotorio e l’edonismo muscolare fisiologico per età, il ruolo dell’equipe neuropsichiatrica infantile è di proporre con il giusto timing l’ausilio in grado di consentire la deambulazione autonoma quando questa non si profila neurologicamente possibile. Il TNPEE, specialista nell’età evolutiva, svolge insieme allo psicologo un ruolo fondamentale nell’identificazione precoce dei segni clinici quali indicatori di uno sviluppo poco armonico e del momento opportuno per proporre al bambino l’ausilio più indicato. Per farlo si avvale di momenti di osservazione del profilo di sviluppo globale che gli consentono non solo di identificare le caratteristiche neuropsicomotorie, ma anche le dinamiche relazionali ed emotive che influiscono sullo stile di separazione e di apprendimento. Insieme al tecnico ortopedico individua e adatta l’ausilio alle esigenze di vita quotidiana del bambino.

In tale fase delicata è inoltre compito dell’intera equipe sostenere i caregiver del bambino e accompagnarli nel percorso di accettazione dell’ausilio, riconoscendone i plurimi vantaggi.

Caratteristiche dell’ausilio

Sulla base delle caratteristiche fenotipiche del bambino con SMA, e in particolare ipotrofia e astenia di tronco e arti superiori, facile faticabilità e necessità di contenimento posturale, risulta centrale individuare alcune caratteristiche fondamentali e imprescindibili che la carrozzina manuale ad autospinta deve possedere per risultare adeguata all’utilizzo per questa specifica popolazione neuromuscolare.

L’ausilio deve pertanto essere:

  • superleggero per consentire l’autospinta da parte del bambino e facile trasporto nel bagagliaio dell’auto senza necessitare di particolari adattamenti da parte del caregiver, pertanto deve essere costituito da telaio rigido in modo da ridurre qualsiasi peso legato alle giunture e ai pezzi di articolazione (peso medio dell’ausilio: 3,4-3,7 kg a seconda delle dimensioni);
  • ben bilanciato, ovvero con un assetto il più possibile attivo tale da richiedere il minor sforzo possibile nell’autospinta;
  • sprovvisto di freni manuali in quanto considerati peso aggiuntivo e difficili da gestire in autonomia dal bambino piccolo;
  • provvisto della possibilità di configurare su misura un sistema posturale per il bacino realizzato su calco;
  • provvisto della possibilità di realizzare, a seconda delle esigenze, un sistema posturale per il tronco (schienale, pelotte, cinghie toracali), anche tenendo conto delle eventuali ortesi di tronco (fasce steccate, corsetto statico equilibrato) che il bambino ha indicazione di indossare in posizione seduta;
  • dotato di cintura pelvica per la stabilizzazione del bacino;
  • dotato di due ruote per autospinta e una ruota anteriore piroettante per maggiore stabilità e manegevolezza;
  • dotato di ruotino posteriore antiribaltamento;
  • dotato di maniglione amovibile per il trasporto esterno e per assistere il bambino nella spinta quando stanco.

Attualmente gli ausili disponibili sul mercato sembrano non rispondere completamente alle caratteristiche richieste, in particolare relativamente alla leggerezza e alla maneggevolezza, e presentano alcuni limiti non secondari:

  • prestazioni ottimali in ambiente interno con pavimento liscio e in piano;
  • ridotta adattabilità ai terreni accidentati, alle buche e alle pendenze, con ruote facilmente soggette a foratura. Per tale motivo per gli spostamenti in ambienti esterni particolarmente accidentati va proposto per i bambini piccoli il passeggino posturale e per i più grandi la carrozzina elettronica;
  • assenza di appositi cerchioni per autospinta (che appesantirebbero la struttura e richiederebbero un movimento più ampio e un maggiore sforzo), quindi il bambino si spinge direttamente dalle ruote e questo comporta che le mani siano spesso sporche;
  • scarsa modularità, data dal telaio unico e dalla presenza di poche regolazioni della lunghezza del sedile e della profondità della pedana poggiapiedi, cui si aggiunge la rapida crescita fisiologica del bambino in età di sviluppo, richiedendo la revisione periodica degli elementi predisposti su misura e di effettuare interventi che necessitano del tecnico ortopedico, con scarsa autonomia del genitore nell’adeguare l’ausilio on time alla crescita del bambino.

La visione della carrozzina da parte del genitore

Le caratteristiche strutturali della carrozzina manuale rendono l’ausilio evidente. Queste, unitamente alla difficoltosa accettazione di dover affidare a un ausilio quella che per altri bambini è una fisiologica abilità di sviluppo (la deambulazione autonoma), rendono il momento dell’introduzione della carrozzina manuale superleggera un passaggio significativo, carico di emotività e vissuto con timore dai genitori di bambini con SMA. Ciò comporta infatti la necessità di superare lo stigma sociale di disabilità, limitazione e non autosufficienza che la carrozzina porta con sé, e di abbandonare l’aspettativa di poter acquisire una deambulazione autonoma, seppur in ritardo rispetto ai coetanei, e raggiunta grazie al supporto terapeutico.

L’avvento delle terapie farmacologiche e della loro possibilità di applicazione in età sempre più precoce, grazie alla disponibilità di screening neonatali e alle migliori conoscenze dei segni clinici precoci, ha consentito negli ultimi anni di assistere a una rivoluzione dei quadri clinici attesi presentati dai bambini. Queste possibilità aprono nuovi stimolanti interrogativi per i riabilitatori e aumentano le aspettative dei genitori, che attendono fiduciosi l’emergere della deambulazione nei loro bambini, investendo personalmente — e talvolta anche economicamente — in ore di terapie, stretching ed esercizi a casa e tendendo a voler posticipare il momento della proposta dell’ausilio ad autospinta, considerato come sentenza definitiva alla possibilità per il bambino di spostarsi in modo autonomo in stazione eretta. Questa idea, caso per caso, è solo parzialmente vera: è infatti osservabile che alcuni pazienti, opportunamente seguiti in specifici training di terapia neuropsicomotoria, possono arrivare ad acquisire anche una discreta autonomia in stazione eretta mediante l’utilizzo di tutori femoropodalici. Tuttavia è altresì osservabile come, nonostante il raggiungimento di questa importante tappa di sviluppo, numerosi bambini tendano a preferire l’utilizzo della carrozzina, in quanto più efficace, efficiente e meno dispendiosa a livello energetico in tutti gli ambiti di vita prevalenti: scolastico e nel gioco con i pari. Si tratta del concetto di «cammino sociale» proposto da Bottos (2002), su cui è necessario che l’equipe orienti la famiglia, ma spontaneamente chiaro ai bambini che sembrano cogliere le numerose possibilità offerte, piuttosto che i limiti, dalla loro vita su quattro ruote.

Lo scetticismo e il sentimento di timore caratteristici di numerose famiglie tendono, nella maggior parte dei casi, a cambiare velocemente non appena al bambino viene concessa la possibilità di provare il nuovo ausilio. Questi bambini, infatti, comprendono senza necessità di troppe indicazioni come utilizzare in autonomia la carrozzina già durante la prima prova, che viene proposta, a seconda dei singoli casi, generalmente tra i 15 e i 18 mesi di vita. Non occorre quindi che il terapista effettui un training specifico sull’utilizzo dell’ausilio poiché la maggior parte dei bambini riesce velocemente a effettuare le prime spinte e a direzionarsi correttamente, con il giusto supporto motivazionale per raggiungere autonomamente le braccia dei genitori o gli oggetti di interesse. È in queste fasi che si assiste al vissuto esperienziale del passaggio di «sperimentazione» e «riavvicinamento» tanto importante per lo sviluppo dell’Io, dell’autodeterminazione, della consapevolezza di sé e quindi della costruzione dell’autostima del bambino. Ciò viene dimostrato anche dalla difficoltà che spesso si riscontra nei bambini a scendere dalla loro nuova «macchinina» al termine della prima prova. Per questo motivo è necessario che l’equipe sia fornita di almeno un ulteriore ausilio di prova da prestare alla famiglia in attesa dell’arrivo di quello concesso dall’Azienda Sanitaria Locale (ASL). La possibilità di muoversi in autonomia all’interno dello spazio permette al bambino non solo di esplorare quest’ultimo ma anche di accedere visivamente e motoriamente a un orizzonte visivo più ampio, più adeguato alla sua età cronologica.

L’esperienza con le famiglie ha portato la nostra equipe neuropsichiatrica infantile del Centro clinico NeMO Pediatrico della Fondazione Agostino Gemelli a comprendere che il processo di accettazione dell’ausilio passa attraverso un percorso di accompagnamento dedicato alla famiglia, tramite un coinvolgimento attivo in grado di portare i caregiver alla percezione del vantaggio che il bambino prova una volta acquisita questa nuova abilità. A seguito di questo coinvolgimento, i genitori stessi riferiscono con emozione il momento in cui la loro visione della carrozzina cambia, riuscendo a riconoscere in quell’ausilio non un vincolo ma un veicolo per la libertà del proprio bambino.

A conferma di quanto sperimentato dalla nostra equipe, riportiamo l’esperienza di Sonia, mamma di Massimo che convive con SMA 2: «Il primo giorno che hanno messo mio figlio sulla carrozzina superleggera per me è stato come vederlo compiere i suoi primi passi. Ha immediatamente capito come muoversi. Nonostante i timori iniziali, con l’ingresso della carrozzina la nostra vita è cambiata perché il bambino non era più fermo immobile su un passeggino che andava diretto da un’altra persona: era libero di muoversi come voleva. Per la prima volta ho potuto camminare con lui mano nella mano, cosa che prima non potevo fare. Questo ha cambiato la nostra vita e la sua: un oggetto che è stato come una prima conquista verso l’autonomia e verso l’esplorazione del mondo».

Risulta quindi prezioso il contributo che ciascuna delle figure professionali dell’equipe neuropsichiatrica infantile offre nel percorso di presa in carico del bambino con SMA e della sua famiglia, senza la cui compliance non sarebbe possibile perseguire obiettivi abilitativi e riabilitativi personalizzati, efficaci ed efficienti.

Conclusioni

Consentire l’autonomia motoria del bambino, rispettando i suoi tempi di sviluppo fisiologici, e al contempo migliorare la sua qualità di vita sono gli obiettivi principali del lavoro dell’equipe neuropsichiatrica infantile. Il compito del TNPEE, accanto a quello del medico neuropsichiatra infantile prescrittore e in collaborazione con la figura dello psicologo clinico, è in quest’ottica quello di saper individuare le tempistiche individuali di ogni soggetto e del suo nucleo familiare, considerando non solo gli aspetti neuro e psicomotori del bambino ma anche le dinamiche relazionali ed emotive in atto in quella specifica fase. Il TNPEE si profila inoltre come figura centrale, in collaborazione con il tecnico ortopedico, nell’individuare e adattare nel modo più personalizzato possibile, a seconda delle esigenze, l’ausilio alla vita quotidiana del bambino e nell’accompagnare tutto il nucleo familiare nell’esperienza dell’adozione dell’ausilio nell’ambito della vita di tutti i giorni. In effetti, a fronte di un comprensibile timore da parte dei genitori di un disinvestimento sulla funzione cammino e di una difficoltà di accettazione dello stigma sociale della carrozzina, l’adozione di un ausilio superleggero presenta numerosi vantaggi a breve e a lungo termine per il bambino con SMA. Innanzitutto la possibilità per il bambino di effettuare lo spostamento in autonomia in ambiente protetto, la soddisfazione e l’affermazione personale nel sentirsi attore attivo del suo movimento, la possibilità di accesso all’esplorazione autonoma dell’ambiente e degli oggetti in esso contenuti, svincolandosi dalle braccia dei genitori, e quindi di fare esperienza autonoma dei diversi meccanismi causa-effetto motori (es. sperimentare la maggiore velocità in discesa e la maggiore fatica in salita) e la possibilità di adattare il proprio movimento alle richieste ambientali. Anche dal punto di vista strettamente biomeccanico e neuromotorio l’attività autonoma di autospinta consente a breve e a lungo termine il mantenimento dell’attività simmetrica di tronco e arti superiori, la possibilità di maggiore autonomia nel raccogliere oggetti da terra e di essere all’altezza dei pari da seduto nelle attività scolastiche (nido/scuola d’infanzia), e non ultima la possibilità di accedere ad attività sportive e ricreative con i pari quali la danza o gli sport di squadra come pallamano, pallacanestro ecc., con notevole guadagno nel breve e nel lungo periodo in termini di socializzazione e più in generale di qualità della vita.

Abstract

Children with type 2 Spinal muscular atrophy (SMA), and, more recently, also those with type 1, who had benefited from early intervention, manage to gain control of the torso even if at a considerable delay. A independent movement, in addition, is not obtained in the majority of situations. The introduction of a self- propelled buggy that allows a child to realize the first independent movement experiences in his/her environment has been proposed with the idea of favouring a harmonious neuro psychomotor development and of supporting emotional skills related to the separation-individuation phase from the referral person. The TNPEE has this task, in collaboration with the medical team. The advantages of the activity are not only at the psychomotor level but also at the biological and mechanical levels. This is because early use of symmetric muscle activity in the torso and upper limbs for managing the buggy is required and favours functioning and muscle tone maintenance. The buggy must provide essential characteristics such as lightness, practicality and adaptability to the postural needs of the young patients because of the neurological conditions and the early age at which it is prescribed. This study presents our experience as a third level referral for neuro muscular pathology.

Keywords

SMA, Extra-light manual wheelchair, Mobility, Early intervention, Quality of daily life.

Bibliografia

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SITOGRAFIA

https://www.regione.toscana.it/-/sceening-neonatale-per-la-sma-atrofia-muscolare-spinale.

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