Eterogeneità e complessità delle classi di oggi

[L’intero lavoro è frutto di un’elaborazione collettiva dei due autori, tuttavia Davide Zoletto è autore del primo e del terzo paragrafo, Francesca Zanon è autrice del secondo e del quarto]

Le classi delle scuole dell’infanzia e delle scuole primarie di oggi sono caratterizzate da una molteplicità di differenze che sempre meno facilmente si lasciano descrivere, comprendere e affrontare a partire da un’unica dimensione. Nei vissuti di bambini e bambine, così come peraltro in quelli delle loro famiglie, si intrecciano — accanto a elementi riferibili a possibili background di tipo migratorio — anche aspetti riconducibili a elementi quali l’età, il genere, il gruppo sociale, capitali e repertori linguistici e culturali, stili di vita e forme di consumo culturale, nonché una pluralità e diversità di abilità. Questa eterogeneità diventa anche complessità, nel senso che a partire da tutte le differenze che incontriamo in classe possono emergere ulteriori elementi che dipendono dalle relazioni fra queste stesse differenze e che difficilmente un insegnante può cogliere, comprendere e orientare focalizzandosi solo su alcuni singoli aspetti, perché emergono proprio dall’insieme delle relazioni fra essi.

Si tratta di una consapevolezza teorico-pedagogica che trova riscontro, per esempio, nei contributi di ricerca da tempo emersi nell’ambito degli studi sull’intersezionalità (McCall, 2005; Valentine, 2007), che evidenziano come sia i cammini di formazione delle persone, che gli eventuali processi di marginalizzazione, così come i percorsi di inclusione ed emancipazione, non possono essere letti come mera giustapposizione di differenze semplicemente preesistenti, perché emergono invece nell’intersezione di tale pluralità di aspetti. Ed è una consapevolezza che emerge anche nella ricerca pedagogico-interculturale odierna sia a livello internazionale che nazionale (Catarci e Fiorucci, 2015; Fiorucci, Pinto Minerva e Portera, 2017; Portera e Grant, 2017; Polenghi, Fiorucci e Agostinetto, 2018). Appare infatti con sempre maggiore chiarezza che, come ben sintetizzato nell’efficace titolo di un contributo di Cristina Allemann-Ghionda (2009), si tratta di passare oggi «dall’educazione interculturale all’inclusione della diversità»: una prospettiva che evidenzia l’importanza non solo di riconoscere/integrare specifiche differenze «culturali», ma anche l’urgenza di promuovere contesti che favoriscano al loro interno l’interazione di tutte le diversità (Zoletto, 2012), e che sappiano garantire a tutti e tutte gli/le apprendenti pari possibilità di successo formativo (Tarozzi, 2015).

L’importanza di superare chiavi di lettura riduttivamente culturaliste sembra emergere peraltro anche nei documenti ministeriali. Già nel 2007, ne La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli allievi stranieri, si richiamava infatti la necessità di «assumere la diversità come paradigma dell’identità stessa della scuola nel pluralismo, come occasione per aprire l’intero sistema a tutte le differenze (di provenienza, genere, livello sociale, storia scolastica)» (Ministero Pubblica Istruzione, 2007, p. 9). E anche le «Linee guida» del febbraio 2014 si ponevano in continuità con questa prospettiva, quando sottolineavano ad esempio l’importanza di meglio tratteggiare le specificità dei percorsi biografici e scolastici dei diversi allievi e allieve con background migratorio (MIUR, 2014, pp. 4-7). Inoltre, in un senso più ampio e trasversale, questa stessa consapevolezza emerge tanto nelle «Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione» del 2012 che nel più recente documento su «Indicazioni nazionali e nuovi scenari» del 2018: in entrambi i documenti, infatti, si esplicita la necessità di «attuare interventi adeguati nei riguardi delle diversità, per fare in modo che non diventino disuguaglianze» (MIUR, 2012, p. 34; MIUR, 2018, p. 17). Si tratta insomma, per riprendere una felice formula di sintesi proposta qualche anno fa da Rita Besozzi sulle pagine di uno dei rapporti annuali MIUR-ISMU sugli alunni con cittadinanza non italiana, di passare, anche nelle scuole eterogenee e multiculturali, da una rappresentazione in termini di «normale diversità» a una più coerentemente improntata a una prospettiva di «diversa normalità» (Besozzi, 2015, p. 133).

La sopracitata «Via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli allievi stranieri» aveva anticipato già nel 2007, anche nel contesto del nostro Paese, quali potessero essere alcune delle implicazioni che l’eterogeneità e complessità delle classi comportano per la formazione degli insegnanti. Tale documento sottolineava infatti che «una rinnovata visione della formazione degli insegnanti come “sensibili alle culture”», lungi dal ridursi a proposte di carattere meramente informativo o di tipo culturalista, avrebbe dovuto in realtà mirare «a una costruzione di tipo riflessivo della personalità dei docenti, per renderli capaci di apertura alla diversità e interpretazione del bagaglio culturale degli alunni/studenti nei loro aspetti singolari e soggettivi» (Ministero della Pubblica Istruzione, 2007, p. 20). Nel richiamare la «diversità culturale» caratteristica dei contesti scolastici odierni, il documento evidenziava non a caso che preparare i docenti a rispondere alle sfide poste da tali contesti, non poteva certo significare formarli «a rispondere a bisogni “speciali”», quanto, al contrario, abituarli «a leggere l’intero contesto scolastico sotto il segno della differenza» (Ministero della Pubblica Istruzione, 2007, p. 20).

 

Un laboratorio per formarsi a leggere e gestire la complessità

È muovendo da questo sfondo teorico-pedagogico che è nata nell’anno accademico 2016/2017, inizialmente a partire dai corsi di Pedagogia Interculturale e di Tecnologie Didattiche del corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria dell’Università degli Studi di Udine, l’idea di proporre agli studenti iscritti la possibilità di arricchire il proprio percorso di formazione con uno specifico approfondimento di temi, approcci e soprattutto linguaggi emergenti nelle classi ad alta eterogeneità e complessità.

Se infatti, da un lato, in classi eterogenee e complesse ogni allievo e allieva può contribuire ai percorsi di apprendimento propri e dei compagni partendo da punti di forza diversi che possono diventare altrettante preziose opportunità per progettare percorsi davvero inclusivi, dall’altro lato proprio questa stessa complessità può risultare impegnativa e difficile da leggere, gestire, orientare per un insegnante.

Per questo, nell’ideare e progettare le attività del Laboratorio, inteso in primo luogo (anche se certo non solamente) come spazio di apprendimento in cui discutere, costruire, verificare — mediante il confronto e la collaborazione con i pari e con i docenti/ricercatori e attraverso una molteplicità di linguaggi — temi e problemi che emergono all’incrocio fra prospettive disciplinari e interdisciplinari (Frabboni, 2004, pp. vii e sgg.), si è voluto provare a organizzare situazioni di approfondimento teorico e metodologico attraverso cui i futuri insegnanti di scuola dell’infanzia e primaria potessero:

  1. acquisire chiavi di lettura utili a cogliere e leggere la pluralità di linguaggi, differenze e relazioni presenti nelle classi odierne, nonché a vederli come altrettanti punti di forza dai quali partire per progettare percorsi di apprendimento/insegnamento inclusivi;

  2. acquisire strumenti utili a gestire questa complessità e a organizzarla in forme di progettazione didattica in grado di valorizzare i punti di forza di ogni allievo e allieva;

  3. prendere consapevolezza e, laddove possibile, sperimentare in prima persona la valenza inclusiva e interculturale che possono svolgere in tale prospettiva ambienti e pratiche tecnologicamente mediate, in particolare in contesti segnati da elevata complessità linguistica, sociale e culturale (Zinant, 2014; 2017).

A partire da tali presupposti si è giunti alla costituzione, nell’autunno del 2016, di un apposito «Laboratorio permanente di educazione interculturale e crossmediale per futuri insegnanti di scuola dell’infanzia e scuola primaria», finalizzato a offrire agli studenti e alle studentesse iscritti a Scienze della Formazione Primaria delle occasioni laboratoriali di riflessione pedagogico-didattica, nonché di progettazione e sperimentazione di attività didattiche interdisciplinari di tipo collaborativo anche attraverso strumenti e ambienti multi e crossmediali. Tale laboratorio — finanziato grazie alle risorse del Piano Strategico del Dipartimento di Lingue e Letterature, Comunicazione, Formazione e Società (DILL) dell’ateneo udinese — ha potuto sviluppare le sue attività nel corso degli anni accademici 2016/2017, 2017/2018 e 2018/2019.

Al fine di garantire ai partecipanti la possibilità, da un lato di sperimentare in modo laboratoriale i temi e gli approcci proposti, dall’altro di cogliere la valenza professionalizzante e inclusiva — tanto più entro contesti eterogenei e complessi — di approcci pedagogici improntati a un atteggiamento di ricerca, nella maggior parte degli appuntamenti del Laboratorio gli studenti hanno potuto confrontarsi sia con un professore/ricercatore universitario che con un insegnante/educatore impegnati in attività di ricerca. Tali esperti esterni hanno proposto non solo approfondimenti teorici, ma anche alcune esperienze pratiche, talora in forma di descrizione/documentazione, talora mediante momenti vissuti proposti in prima persona ai partecipanti al Laboratorio. Inoltre, al fine sia di favorire il coinvolgimento attivo degli studenti che di sperimentare alcune delle potenzialità delle tecnologie nella promozione di forme didattiche di tipo laboratoriale, alcuni degli appuntamenti del Laboratorio sono stati organizzati secondo modalità di lavoro blended che prevedevano due input a distanza separati da attività in presenza come seminari e laboratori secondo lo schema seguente:

zoletto

Fig. 1 Schema di organizzazione del Laboratorio in modalità blended.

Nel caso di questi specifici incontri del Laboratorio, il primo input si è concentrato di solito sulla presentazione da parte dei proponenti delle informazioni ritenute essenziali per affrontare la lezione/seminario in presenza, tramite un file PowerPoint o un video (tutto online), oppure materiale cartaceo. In questi casi, alla fase a distanza ha fatto seguito l’attività seminariale/laboratoriale proposta in presenza dagli esperti esterni, dopo la quale è stata proposta agli studenti una riflessione sugli argomenti affrontati, fornendo loro una consegna di lavoro da svolgere online e da discutere all’interno di un forum.

 Inoltre, anche al fine di coinvolgere in modo laboratoriale gli studenti nell’attività di progettazione e realizzazione di alcuni degli incontri, il Laboratorio ha dedicato nel corso di ognuno degli anni accademici uno specifico appuntamento agli interventi predisposti e tenuti da alcuni studenti di Scienze della Formazione Primaria che avevano fruito nei semestri precedenti della mobilità Erasmus: in questo modo si è mirato, da una parte, a valorizzare le competenze/conoscenze — in particolare su tematiche quali la progettazione di ambienti e attività inclusivi e interculturali — acquisite da tali studenti durante la loro esperienza all’estero; dall’altra parte, si è voluto sensibilizzare in generale gli iscritti al corso di Scienze della Formazione Primaria sulla possibile valenza anche professionalizzante in questa prospettiva dell’esperienza di mobilità internazionale.

Tecnologie e ambienti inclusivi in classi eterogenee e multiculturali

Un primo filone di temi e approcci proposti nei diversi appuntamenti del Laboratorio ha riguardato l’aiuto che a un insegnante può venire dall’utilizzo delle tecnologie digitali viste come supporto nella gestione della complessità emergente nelle classi.

Fra gli altri aspetti si è cercato di approfondire, grazie al qualificato contributo di studiosi ed esperti provenienti da diversi atenei e istituti scolastici italiani, come l’uso delle tecnologie possa fornire un aiuto prezioso in diversi ambiti della progettazione e attività didattica in classi ad alta complessità linguistica e socioculturale, quali ad esempio:

  • l’organizzazione e gestione di ambienti di apprendimento inclusivi, dove ciascuno possa trovare valorizzati i propri punti di forza secondo modalità che l’insegnante possa progettare e gestire in modi e tempi efficaci per allievi e allieve e «sostenibili» per l’azione dell’insegnante stesso e per il contesto (Rossi, 2016, pp. 16-17);
  • la progettazione di attività didattiche secondo approcci innovativi capaci di valorizzare, anche grazie all’apporto delle tecnologie, il ruolo attivo e le competenze dei diversi apprendenti; sono stati approfonditi in tal senso, tra gli altri, approcci quali gli Episodi di Apprendimento Situato (EAS) (Rivoltella, 2013; 2015) e la flipped classroom (Cecchinato, 2016; Zinant, Zanon e Zoletto, 2016);
  • le possibili connessioni sia pedagogiche che didattiche che possono legare le nuove tecnologie all’insegnamento/apprendimento dell’italiano come lingua seconda e all’educazione interculturale e plurilingue, considerando ad esempio il fatto che le immagini, i video, il web sembrano poter offrire ai docenti l’opportunità di sviluppare ambienti e progetti di apprendimento efficaci, flessibili e inclusivi adatti a rispondere a vecchi e nuovi bisogni di apprendimento linguistico nelle classi di oggi (Favaro, 2017; Di Pietro, 2017);
  • il collegamento fra micro e macroprogettazione (Rossi, 2016, pp. 30-32), al fine di collegare il piano «micro», in cui le differenze vengono valorizzate nella progettazione delle singole attività di apprendimento, con il piano «macro» del curricolo, che garantisce all’attività didattica coerenza, continuità, nonché la necessaria attenzione rispetto al più ampio percorso formativo dell’allievo e dell’allieva (Rossi, 2016, pp. 30-32).

Il Laboratorio ha inoltre cercato di offrire agli studenti, ancora una volta grazie al qualificato intervento di ricercatrici e docenti esperte nel settore, una prima opportunità per iniziare a esplorare la valenza formativa che può essere assunta oggi dalle tecnologie — e in particolare dai video — nella prospettiva di promuovere quell’atteggiamento riflessivo e consapevole che, come già anticipato, appare oggi componente ineliminabile della formazione di insegnanti chiamati a operare in contesti ad alta complessità ed eterogeneità socioculturale. Come si osserva infatti in un recente contributo, è possibile vedere «nell’uso del video […] un’occasione per promuovere una postura interrogante nei protagonisti e un pensiero critico rispetto alle azioni quotidianamente agite nei contesti professionali» (Cescato, Bove e Braga, 2015, p. 62). In questa stessa direzione, si è voluto inoltre suggerire — anche a partire da alcune esperienze di ricerca-formazione sviluppate dalle relatrici intervenute — la possibile valenza formativa specificatamente «interculturale» di percorsi che permettano a ricercatori e professionisti di osservare, comprendere e comparare pratiche organizzative, educative e didattiche in contesti diversi tra loro per caratteristiche socioculturali (Moran, Bove, Brookshire, Braga e Mantovani, 2017).

I media come ambito in cui emergono repertori di competenze da valorizzare

Un secondo filone che si è iniziato ad approfondire nel corso del Laboratorio, anche in questo caso avvalendosi del prezioso contributo di colleghe e colleghi esperti, ha riguardato un ulteriore aspetto per il quale media e tecnologie possono costituire un ambito strategico per futuri insegnanti che vogliano impegnarsi nella progettazione di percorsi educativi inclusivi in contesti eterogenei e multiculturali: ovvero il ruolo che media e tecnologie giocano nelle pratiche culturali che possono accomunare oggi gli allievi e le allieve, anche con background diversi, con i quali gli insegnanti si trovano a lavorare.

Infatti, non solo la produzione culturale ed editoriale rivolta ai bambini e ai loro genitori è oggi spesso tecnologicamente mediata, ma anche le culture dei pari elaborate da allievi e allieve nella quotidianità dei loro incontri, discorsi e giochi sono spesso il frutto di processi con cui bambini e bambine interpretano e rielaborano attivamente immagini, narrazioni, pratiche che giungono loro attraverso la mediazione di una pluralità di media (libri, film, fumetti, cartoni, giocattoli, videogiochi, ecc.) (Corsaro, 2003; De Block e Buckingham, 2007; per un tentativo di declinazione in ambito italiano, si veda Zoletto, 2011; 2016)

È anche a questa dimensione «crossmediale» (Antoniazzi, 2012; 2015) che alcuni degli appuntamenti del Laboratorio hanno allora cercato di introdurre i partecipanti, con un particolare riferimento ai nessi che oggi possono legare media, tecnologie e produzione culturale per l’infanzia. Nel passaggio attraverso i diversi media e nella rielaborazione attiva da parte di bambini e bambine, infatti, le immagini e narrazioni che compongono oggi le culture per l’infanzia e dell’infanzia si incrociano, si modificano, si situano entro concreti contesti educativi (Tobin, 2004). Possono così diventare per l’insegnante di scuola dell’infanzia e primaria, da un lato, un osservatorio privilegiato sull’immagine e sull’immaginario dei bambini e delle bambine di oggi, dall’altro, un ambito particolarmente importante sulle cui ambivalenze e criticità è importante vigilare con attenzione pedagogica. Al tempo stesso, tuttavia, tali immagini e narrazioni possono costituire anche un repertorio di linguaggi e storie ai quali attingere e da ri-orientare entro percorsi inclusivi che partano anche dal mondo quotidiano di allievi di allieve.

È questa una prospettiva che trova conferma, ad esempio, in un ambito particolarmente rilevante della ricerca pedagogica nelle classi culturalmente e socialmente eterogenee, ovvero quello degli studi sulla literacy, con particolare riferimento a quelle che vengono definite inclusive literacies. Non a caso, una delle più note studiose contemporanee di literacy in contesti eterogenei, ovvero Anne Haas Dyson, ha sottolineato come un curricolo inclusivo nell’ambito di percorsi di produzione della lingua scritta potrebbe essere proprio quello capace di «basarsi sulle conoscenze e sulle esperienze di tutti i bambini e le bambine» (Dyson, 1997, p. 171).

Durante uno degli appuntamenti del Laboratorio sono state in questo senso approfondite, ad esempio, le competenze emergenti legate a una pratica tecnologicamente mediata come la visione di cartoons: esse possono essere colte dall’insegnante di scuola dell’infanzia come elementi significativi nell’ambito di quella che viene definita «alfabetizzazione emergente», ovvero quel «complesso di abilità, atteggiamenti e processi tra loro interdipendenti che si presume siano i precursori evolutivi della lettura e scrittura convenzionali» (Cisotto, 2006, p. 62). Si tratta di un insieme di competenze alle quali un insegnante che voglia progettare percorsi educativi inclusivi, potrebbe guardare non tanto come dei «prerequisiti», quanto piuttosto come «un complesso di conoscenze che il bambino utilizza attivamente per costruire livelli crescenti di padronanza del sistema alfabetico e interpretarne il funzionamento» (Cisotto, 2006, p. 97). La progettazione di un curricolo di continuità verticale e orizzontale in scuole dell’infanzia e primaria ad alta complessità socioculturale potrebbe partire ad esempio proprio dalla valorizzazione di queste literacies emergenti potenzialmente condivise anche al di là dei diversi background (Cisotto, 2011).

Conclusioni

Come ha ben sottolineato la già citata Anne Haas Dyson, nel suo ormai quasi classico Writing superheroes: contemporary childhood, popular culture and classroom literacy, nella progettazione di percorsi didattici inclusivi, a maggior ragione in classi eterogenee e multiculturali come quelle odierne, è importante partire non solo dai punti di debolezza degli allievi e delle allieve, ma soprattutto dai loro punti di forza (Dyson, 1997, p. 171). In questa prospettiva, nel corso degli incontri del Laboratorio, è emerso più volte come le nuove tecnologie possano svolgere un ruolo strategico nella progettazione e realizzazione di ambienti e percorsi educativi inclusivi anche nel contesto di classi di scuola dell’infanzia e primaria. Tale centralità è emersa sia dal punto di vista delle tecnologie digitali come ambienti e strumenti inclusivi, sia dal punto di vista dei media come ambito entro cui emergono linguaggi e repertori di competenze di allievi e allieve che possono essere valorizzati dagli insegnanti. D’altra parte, come si può leggere nelle Indicazioni per il curricolo del 2012, «il compito specifico del primo ciclo è quello di promuovere l’alfabetizzazione di base attraverso l’acquisizione dei linguaggi e dei codici che costituiscono la struttura della nostra cultura, in un orizzonte allargato alle altre culture con cui conviviamo e all’uso consapevole dei nuovi media» (MIUR, 2012, pp. 24-25).

Proprio in contesti educativi eterogenei e multiculturali come quelli di oggi, dunque, anche per i futuri insegnanti di scuola dell’infanzia e scuola primaria, l’ambito delle tecnologie e dei media sembra apparire sempre più centrale per maturare competenze professionali intese come «insieme di risorse» che è possibile attivare «in relazione a situazioni complesse» (Altet, 2012, p. 299). In questo senso, un’esperienza come quella illustrata in queste brevi considerazioni, ovvero un’esperienza che miri a intrecciare esplicitamente temi, approcci e linguaggi emergenti nel campo pedagogico-interculturale con alcune delle prospettive aperte nell’ambito delle tecnologie didattiche, può forse concorrere alla formazione di professionisti capaci di avere un rapporto di maggiore consapevolezza nei confronti di contesti educativi come quelli odierni carichi certo di complessità e incertezza, ma, forse proprio per questo, anche di punti di forza.

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