Esperienze
La personalizzazione dei percorsi educativi e didattici nelle classi plurilingui: quadro normativo e strumenti operativi1
Tiziana Chiappelli
Ph.D. in Qualità della formazione (Università di Firenze) e Teorie et pratique du sense (Paris VIII) sui processi di inclusione socio-educativa delle minoranze di origine immigrata, lavora presso l’Università degli Studi di Firenze coordinando specifici progetti per l’inclusione e partecipazione attiva dei migranti con particolare attenzione al settore scolastico-educativo (Facoltà di Scienze della Formazione e Psicologia). Dal 2005 a oggi ha coordinato vari servizi di facilitazione linguistica/interculturali (Centro Interculturale Empolese Valdelsa; Comune di Prato; Centro Giufà della Rete dei Centri del Comune di Firenze; progetto Plurilinguismo della Provincia di Pistoia).
Alan Pona
Ph. D. in Linguistica (Università di Firenze), lavora come formatore di docenti e operatori in Toscana sui temi dell’apprendimento/insegnamento dell’italiano e, nelle scuole del Comune di Prato, come insegnante/facilitatore linguistico di italiano con bambini parlanti italiano L2. Coordina vari progetti territoriali relativi al plurilinguismo, alla facilitazione linguistica e alla formazione.
Abstract
L’articolo si focalizza sulla personalizzazione dell’azione didattica e educativa attraverso la costruzione di strumenti di programmazione specifici (PPT) che coinvolgono i vari operatori della scuola (dirigenti, segreterie, insegnanti, facilitatori, mediatori, ecc.) al fine di creare percorsi coerenti in un’ottica di continuità scolastico-educativa. La predisposizione di percorsi personalizzati è affrontata sia dal punto di vista delle indicazioni normative che da quello più operativo dell’individuazione di sezioni descrittive all’interno di un modello di formalizzazione, tenendo conto del fatto che, da una parte, anche le nuove Linee guida per l’integrazione degli alunni di origine straniera del 2014 ritengono tale adattamento della programmazione didattica una “responsabilità delle istituzioni scolastiche autonome e dei docenti” e che, dall’altra, è proprio in base a quanto da essa prevista che può essere operata la valutazione. Nella seconda parte dell’articolo vengono poi fornite indicazioni per la costruzione di percorsi personalizzati per gli alunni con madrelingua non italiana, incrociando le fasi di apprendimento e sviluppo delle competenze linguistico-comunicative in italiano L2 con le indicazioni dei traguardi formativi e educativi del curricolo pubblicate dal MIUR per i vari ordini di scuola.
La normativa di riferimento
Ha compiuto quest’anno 25 anni la Circolare ministeriale n. 301, dell’8 settembre 1989, che prevedeva: “[ove] nella classe siano presenti alunni appartenenti a diversa etnia, la programmazione didattica generale sarà integrata con progetti specifici che disegnino percorsi individuali di apprendimento, definiti sulla base delle condizioni di partenza e degli obiettivi che si ritiene possano essere conseguiti da ciascuno di quegli alunni”. Da allora, attraverso il D.P.R. 1999/394, art. 45, comma 4,[2] il D.L. 59/2004 cosiddetto Moratti,[3] la C.M. 28/2007,[4] sono state ribadite più volte le indicazioni che, nella scuola di tutti e di ciascuno prefigurata dalle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca 2012, p. 14), vengono espresse in maniera limpida: “La scuola italiana sviluppa la propria azione educativa in coerenza con i principi dell’inclusione delle persone e dell’integrazione delle culture, considerando l’accoglienza della diversità un valore irrinunciabile. La scuola consolida le pratiche inclusive nei confronti di bambini e ragazzi di cittadinanza non italiana promuovendone la piena integrazione. Favorisce inoltre, con specifiche strategie e percorsi personalizzati, la prevenzione e il recupero della dispersione scolastica e del fallimento formativo precoce; a tal fine attiva risorse e iniziative mirate anche in collaborazione con gli enti locali e le altre agenzie educative del territorio”.
È evidente, e esplicitamente dichiarato, il riferimento a un importante documento, considerato di “valore strategico”, vera pietra miliare per l’inclusione scolastica degli alunni di origine non italiana: La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri del 2007 (MIUR).
Anche la recente normativa sui Bisogni Educativi Speciali ribadisce la necessità di predisporre programmazioni adatte e strategie inclusive per gli alunni con specifiche esigenze linguistiche, in questo apparendo in linea con le normative e Linee guida espresse dal Ministero per gli studenti con background migratorio.[5] Tutte queste osservazioni confluiscono nelle nuove Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri (MIUR, 2014), che riprendono, ampliano e approfondiscono le Linee guida precedenti, oramai datate 2006.
Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri (MIUR, 2014)
Queste nuove Linee guida introducono una serie di elementi strategici rispetto alla presenza degli alunni “stranieri”[6] nelle scuole italiane. Anzitutto, sottolineano come la responsabilità di attuare modalità inclusive e di predisporre programmazioni che tengano conto delle esigenze particolari di questa fascia di alunni faccia capo alle singole scuole, ai collegi docenti, al consiglio di classe e ai singoli insegnanti. Ogni corpo docente è quindi tenuto ad attrezzarsi delle competenze e degli strumenti necessari e a impegnarsi a stilare piani di studio personalizzati per gli studenti non completamente autonomi per quanto riguarda le richieste scolastiche relative ai processi di apprendimento.
Le Linee guida, a nostro parere, introducono anche una fondamentale precisazione circa i criteri di valutazione di questi alunni: esse infatti specificano che “il principio pedagogico sulla valutazione degli alunni stranieri come equivalente a quella degli alunni italiani” (presente in un documento licenziato dalla ex ministra Gelmini) va inteso come una “valutazione modulata in modo specifico e attenta alla complessa esperienza umana di apprendere in un contesto culturale e linguistico nuovo […] adattando gli strumenti e le modalità con cui attuare la valutazione stessa”. Inoltre: “Occorre anche tenere conto del fatto che, nelle scuole che hanno maggiore esperienza di alunni stranieri, da molti anni è emersa una riflessione sull’opportunità di prevedere una valutazione per gli alunni stranieri modulata in modo specifico e attenta alla complessa esperienza umana di apprendere in un contesto culturale e linguistico nuovo, senza abbassare in alcun modo gli obiettivi richiesti, ma adattando gli strumenti e le modalità con cui attuare la valutazione stessa”.
In tal senso, il documento è chiaro e analitico, e per questo ci pare importante citarlo alla lettera: “Nella sua accezione formativa, la valutazione degli alunni stranieri, soprattutto di quelli di recente immigrazione o non italofoni, pone diversi ordini di questioni, che possono riguardare non solo le modalità di valutazione e di certificazione ma, in particolare, la necessità di tenere conto del percorso di apprendimento dei singoli studenti”.
È prioritario, in tal senso, che la scuola favorisca, con specifiche strategie e percorsi personalizzati, a partire dalle Indicazioni nazionali per il curricolo del primo ciclo di istruzione e, successivamente, dalle Indicazioni e Linee guida per le scuole secondarie di secondo grado, un possibile adattamento dei programmi per i singoli alunni, garantendo agli studenti non italiani una valutazione che tenga conto, per quanto possibile, della loro storia scolastica precedente, degli esiti raggiunti, delle caratteristiche delle scuole frequentate, delle abilità e competenze essenziali acquisite.
La già ricordata direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 sui bisogni educativi speciali e le successive note di chiarimento “rafforzano e specificano il ruolo e le responsabilità delle istituzioni scolastiche autonome e dei docenti nella valutazione degli alunni stranieri non italofoni, anche attraverso strumenti di lavoro in itinere che abbiano la funzione di documentare alle famiglie le strategie di intervento personalizzato programmate”.[7]
Verso un possibile percorso di personalizzazione delle azioni nella scuola
Negli ultimi anni nella scuola molte definizioni e innumerevoli acronimi si sono rincorsi, avvicendati: PEP (Piano Educativo Personalizzato), PSP (Piano di Studi Personalizzato), PPT (Piano Personale Transitorio):[8] tutti questi sono strumenti che favoriscono, formalizzandolo, il percorso di personalizzazione delle pratiche educative e didattiche per rispondere alle caratteristiche individuali degli apprendenti. La loro attuazione richiede formazione specifica, costante aggiornamento e, infine, lavoro sinergico e di comunicazione tra corpo docenti e personale amministrativo: comunicazione interna e orizzontale tra le varie figure professionali della scuola, dalla segreteria e dalla dirigenza alle funzioni strumentali, ai docenti curricolari e agli operatori, che a vario titolo collaborano con la scuola (in particolare, mediatori e facilitatori linguistici); comunicazione verticale fra i vari ordini di scuola. Mentre negli istituti comprensivi la comunicazione può avvenire più facilmente anche in maniera più informale – sia con dialogo diretto tra i docenti dei diversi ordini che con griglie informali approntate come strumenti di passaggio –, il collegamento tra scuole secondarie di I e II grado richiede strumenti specifici e procedure codificate: in questo caso, il PPT, corredato o sostituito da uno strumento di passaggio riassuntivo di più agile lettura, si candida come strumento perfetto per il passaggio di informazioni tra gli ordini di scuola.
Un PPT ben formato contempla varie sezioni, ciascuna delle quali risponde a un’esigenza specifica di osservazione e documentazione, e che pertanto si giova delle informazioni e competenze professionali delle varie figure coinvolte nella sua compilazione. Le varie sezioni sono spesso redatte in momenti diversi, principalmente in funzione sia delle fasi scolastiche di accoglienza, inclusione, programmazione e valutazione sia dello sviluppo delle competenze del ragazzo dal punto di vista linguistico-comunicativo e curricolare. Tali sezioni sono poi aggiornate sulla base della personalizzazione didattica predisposta dopo ogni valutazione formativa, fino all’autonomia formativa del ragazzo, che fa sì che il documento di formalizzazione non sia più necessario, e resti negli archivi.
Un possibile modello di PPT
Qui di seguito, si fornisce un possibile modello di PPT per gli allievi parlanti italiano L2, formato da cinque parti.
Per quanto riguarda la prima sezione, la Commissione accoglienza, in collaborazione con la Segreteria, raccoglie i dati in funzione della ricostruzione della storia educativa dello studente, indicando anche i fondamentali dati anagrafici che tengano conto delle particolari situazioni di chi è coinvolto in un percorso migratorio personale o familiare. Nelle buone prassi, il mediatore linguistico ha rivestito un ruolo importante in questa fase della compilazione. In questa sezione, oltre al nome e al cognome e all’indicazione se si tratta di una bambina o un bambino, all’età, alla scuola e alla classe, si indicheranno la sua data di arrivo in Italia e di iscrizione nell’istituto, la sua madrelingua e le altre lingue conosciute nonché i laboratori scolastici frequentati ed eventuali altri laboratori o attività extrascolastiche. Molto importante è il dato riguardante la comunicazione tra scuola e famiglia: mediata o meno dal mediatore linguistico.
La seconda sezione può comprendere una breve ma significativa individuazione e descrizione delle competenze e abilità in ingresso: in questa sezione si inizierà anche a distinguere, soprattutto ai livelli di più piena autonomia linguistico-comunicativa, tra competenze linguistico-comunicative in italiano lingua di comunicazione e abilità legate allo studio delle discipline curricolari. È in questa sezione che occorre riadattare il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue (QCER) per il particolare contesto di apprendimento e per il particolare profilo di apprendente. Una mera citazione dei descrittori di uno strumento che nasce per scopi diversi non è adeguata: il QCER è stato elaborato per l’apprendimento/insegnamento/valutazione delle lingue straniere, per favorire la mobilità interna all’Europa dei suoi cittadini adulti, come recita il documento sin dalle prime pagine e come ha chiarito in Italia Piet Van Avermaet (in Ciliberti, 2008), che collabora con il Consiglio d’Europa. Occorre quindi dotarsi di strumenti adatti sia all’osservazione delle competenze/abilità linguistico-comunicative degli apprendenti sia all’osservazione e valutazione delle competenze ed abilità disciplinari in ingresso. Questa seconda sezione è a cura del facilitatore linguistico e del Consiglio di classe/Team docenti. È importante che eventuali figure professionali aggiuntive abbiano specifiche competenze in relazione all’osservazione e valutazione degli apprendimenti. Nelle buone prassi sono stati talvolta coinvolti mediatori con una formazione approfondita in termini di didattica o pedagogia interculturale, in stretta collaborazione con il Consiglio di classe/Team docenti. Si segnala che la rilevazione tramite test può risentire di caratterizzazioni culturali non percepite da chi li costruisce ma che, di fatto, impediscono una corretta lettura delle competenze in ingresso degli studenti, ad esempio nell’uso di immagini.
La terza sezione individua, all’interno del piano educativo e di studio, gli obiettivi linguistici e disciplinari e gli obiettivi trasversali alle discipline. Per quanto riguarda gli obiettivi linguistici, è consigliabile rifarsi alle griglie delle abilità linguistico-comunicative del QCER ricalibrato per profilo e contesto di apprendimento. Per gli obiettivi disciplinari, è opportuno effettuare una selezione degli obiettivi essenziali all’interno degli obiettivi disciplinari (non prescrittivi) già previsti nelle Indicazioni nazionali per il curricolo (D.M. 254/2012), possibilmente selezionando collegamenti tra discipline che possano far costruire agli alunni mappe mentali precise e non dispersive (rispetto, ad esempio, alle aree semantiche e al lessico), cosa che ha un effetto facilitante dal punto di vista mnemonico, cognitivo e linguistico. Per gli obiettivi trasversali, il riferimento è alle life skills dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
La quarta sezione del PPT individua le scelte metodologiche e didattiche (modelli operativi, materiali di lavoro, tecnologie didattiche, ecc.) attuate per il raggiungimento degli obiettivi del piano educativo personalizzato. In questa sezione è anche possibile indicare eventuali misure dispensative e compensative transitorie.
La quinta sezione, infine, specificando tipologie e strategie di osservazione/valutazione, prevede l’osservazione dei progressi e degli obiettivi raggiunti dall’apprendente e la valutazione delle azioni del Consiglio di Classe/Team docenti tese al miglioramento dell’offerta formativa. In questa sezione, il Consiglio di Classe/Team docenti può, inoltre, indicare quali ulteriori risorse occorre mettere in atto all’interno della personalizzazione dei piani educativi, come da normativa vigente. Si ricorda che è proprio sulla personalizzazione degli obiettivi che verrà effettuata la valutazione (MIUR, 2012, pp. 12-13), come ricorda anche Graziella Favaro nelle sue Dieci attenzioni per l’accoglienza su “La vita scolastica” (n. 1, settembre 2014).[9]
La terza, quarta e quinta sezione riguardano più specificamente gli insegnanti curricolari e il facilitatore linguistico. Nelle buone prassi, tuttavia, anche per queste sezioni ci si è avvalsi del mediatore linguistico-culturale con competenze in pedagogia interculturale: è infatti opportuno, come consigliano anche le ultime Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri (febbraio 2014), inserire nel curricolo dell’allievo “eventuali percorsi di mantenimento e sviluppo della lingua d’origine”, e fare di queste convivenze in classe un’ulteriore occasione per una curvatura interculturale del curricolo e per la valorizzazione del plurilinguismo.
Per concludere questa sezione, aggiungiamo una piccola riflessione sulle buone prassi: sarebbe opportuno lasciare all’interno di ogni sezione spazi vuoti da compilare durante l’anno scolastico sia per rendere più complessa la pratica dell’osservazione sia per lasciare spazio agli “attesi imprevisti” che ogni buon educatore si aspetta all’interno dei percorsi educativi e relazionali. La pratica osservativa o etnografica diventa, quindi, uno strumento conoscitivo reciproco per l’insegnante/facilitatore e per l’apprendente, ribaltandone i ruoli e inducendo il primo a imparare da tutto quello che le/gli accade intorno, soprattutto dalle relazioni con i propri apprendenti.
Conclusioni
Tanto è stato fatto in questi anni, ma le scuole di eccellenza stanno facendo un passo in più. Dal laboratorio di L2, le strategie per includere gli alunni di madrelingua non italiana si stanno trasferendo alla classe intera, diventando strumento innovativo della didattica per tutti. Le Linee guida, dopo la fase iniziale dell’apprendimento dell’italiano L2 per comunicare, prevedomo due ulteriori passaggi: una fase ponte di accesso all’italiano dello studio e la fase degli apprendimenti comuni. Molte sperimentazioni hanno puntato su una didattica a classe intera anche per la fase ponte, che non esclude a priori possibili interventi di L2 laboratoriali anche in piccoli gruppi per i soli studenti non italofoni, se ritenuti necessari, ma si propone di attuare fin da subito una trasformazione dell’azione di insegnamento secondo quanto auspicato dall’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura, usando la cassetta degli attrezzi dell’insegnante/facilitatore linguistico, i trucchi del mestiere dell’apprendimento cooperativo, i materiali della classe ad abilità stratificate, l’ambiente di apprendimento tipico del laboratorio esperienziale. Possibilmente, rimodellando il curricolo e gli obettivi formativi con gli strumenti delle pedagogie interculturali.
Riferimenti bibliografici
C.M. 301/1989
C.M. 28/2007
C.M. 8/2012
D.M. 254/2012
D.L. 59/2004
D.P.R. 394/1999
Favaro G. (2014), Dieci attenzioni per l’accoglienza, “La vita scolastica”, n. 1, Firenze, Giunti.
MIUR (2007), La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri.
MIUR (2012), Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione.
MIUR (2014), Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri.
Van Avermaet P. (2008), Multilingual spaces in Europe and the use of the CEFR. In A. Ciliberti (a cura di), Un mondo di italiano, Perugia, Guerra.
[1] Le riflessioni presentate in questo articolo sono il frutto di anni di lavoro nel territorio e nelle scuole, attraverso attività sia di ricerca e di formazione dei docenti, che di coordinamento di progetti e servizi per l’inclusione educativa e scolastica dei bambini di origine immigrata, oltre che di insegnamento in laboratori di italiano L2 presso le scuole pubbliche. In particolare, si citano le esperienze e sperimentazioni attuate sulle scuole del primo ciclo di Prato e il PPT sviluppato dalla Rete Centro in collaborazione col servizio di Facilitazione Linguistica del Comune, i percorsi effettuati presso le scuole di Colle Val d’Elsa, il Centro Giufà della Rete dei Centri di Alfabetizzazione del Comune di Firenze, l’esperienza maturata attraverso il Centro Interculturale Empolese Valdelsa e le azioni formative e sul plurilinguismo nelle scuole secondarie della Provincia di Pistoia.
[2] “Il Collegio dei docenti definisce, in relazione al livello di competenza dei singoli alunni stranieri, il necessario adattamento dei programmi di insegnamento”.
[3] “La valutazione, periodica e annuale, degli apprendimenti e del comportamento degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite sono affidate ai docenti responsabili delle attività educative e didattiche previste dai piani di studio personalizzati; agli stessi è affidata la valutazione dei periodi didattici ai fini del passaggio al periodo successivo”.
[4] “Pur nell’inderogabilità dell’effettuazione di tutte le prove scritte previste per l’esame di Stato e del colloquio pluridisciplinare, le Commissioni vorranno esaminare la particolare situazione di tali alunni stranieri e procedere a un’opportuna valutazione dei livelli di apprendimento conseguiti che tenga conto anche delle potenzialità formative e della complessiva maturazione raggiunta”.
[5] “Per questi alunni, e in particolare per coloro che sperimentano difficoltà derivanti dalla non conoscenza della lingua italiana – per esempio alunni di origine straniera di recente immigrazione e, in specie, coloro che sono entrati nel nostro sistema scolastico nell’ultimo anno –, è parimenti possibile attivare percorsi individualizzati e personalizzati, oltre che adottare strumenti compensativi e misure dispensative (ad esempio la dispensa dalla lettura ad alta voce e le attività ove la lettura è valutata, la scrittura veloce sotto dettatura, ecc.), con le stesse modalità sopra indicate”.
[6] Mettiamo tra virgolette il termine poiché esso è sia troppo ampio che troppo ristretto rispetto agli studenti con background migratorio o non italofoni. Ci sono infatti alunni con cittadinanza italiana ma non italofoni, come ad esempio alcuni bambini neoadottati, alcuni bambini rom o altri bambini con genitori di origine straniera, ma nati e vissuti in Italia e che necessitano in alcuni momenti del percorso scolastico di una programmazione che tenga presente, ad esempio, lo spazio linguistico in cui si muovono. Le Linee guida dedicano uno spazio iniziale al tentativo di definire alcune tipologie principali di “alunni di origine straniera”.
[7] Corsivo nostro.
[8] A loro volta, con qualche grado di parentela con il previsto PDP (Piano Didattico Personalizzato) della normativa sui BES.
[9] Nello stesso fascicolo segnaliamo le interessanti note di Giancarlo Cerini sul lavoro per competenze nella scuola.