Riflessioni e teorie
L’altruismo al tempo dell’intercultura - Altruism in times of interculturalism
Andrea Canevaro
Professore Emerito dell’Università di Bologna
Abstract
L’aiuto reciproco può avvenire con il contatto diretto o attraverso un’organizzazione. L’intercultura richiede un altruismo nuovo, sia nel contatto diretto che nell’organizzazione. L’altruismo razionale è collaborazione di contatto diretto e contatto attraverso un organismo di intermediazione. L’importanza del giudizio del pubblico richiama la necessità di un altruismo nuovo e innovativo, relazione empatica e aiuto giusto.
Abstract
Mutual aid can be provided through direct contact or through an organisation. Interculturalism requires a new altruism, both in direct contact and organisations. Rational altruism is direct contact collaboration and contact through an intermediary organisation. The importance of public opinion calls for new and innovative altruism, empathic relationships and the right help.
Keywords: rescue, reciprocity, proximity, confidence, organisation, innovation.
Sommario
L’aiuto reciproco può avvenire con il contatto diretto o attraverso un’organizzazione. L’intercultura richiede un altruismo nuovo, sia nel contatto diretto che nell’organizzazione. L’altruismo razionale è collaborazione di contatto diretto e contatto attraverso un organismo di intermediazione. L’importanza del giudizio del pubblico richiama la necessità di un altruismo nuovo e innovativo, relazione empatica e aiuto giusto.
Parole chiave: soccorso, reciprocità, vicinanza, fiducia, organizzazione, innovazione.
L’altruismo, come l’intercultura, è mettersi in cammino
Filastrocca impertinente
(Gianni Rodari, 1960)
Chi sta zitto non dice niente,
chi sta fermo non cammina,
chi va lontano non s’avvicina,
chi si siede non sta ritto,
chi va storto non va dritto,
e chi non parte, in verità,
in nessun posto arriverà.
L’altruismo e l’estraneo
I riferimenti a libri che sono patrimonio di una religione possono essere intesi come avvio a una riflessione di carattere religioso. Non è il caso di questa riflessione, che non esclude chi volesse accostarla con uno spirito religioso, ma che vorrebbe essere civile, sociale e quindi laica di quella laicità che non va confusa con il laicismo. Laicità è la promozione dell’incontro delle ragioni, per cui una persona può dirsi, se crede, o può non dirsi, se ritiene di tenere nella propria coscienza quello che è. Può dirsi che cosa? Può dirsi ateo, può dirsi credente, può dirsi e può non dirsi. La laicità è un terreno di tolleranza che rispetta i silenzi. La laicità può andare d’accordo con le religiosità. E questo, per l’altruismo al tempo dell’intercultura, è di non poco conto.
Con questa premessa, ci accostiamo al testo evangelico che parla del buon Samaritano. La parabola del Samaritano, così come i Vangeli ce la presentano (Luca, X, 25-37), ha un’impostazione molto chiara. E’ utilizzata da Gesù in un incontro con contraddittorio sul tema del dovere della carità e su chi sia il nostro prossimo. La parabola racconta una vicenda che si svolge sulla strada che da Gerusalemme scende a Gerico, attraversando un deserto. Su quella strada, un viandante viene aggredito da rapinatori, che lo lasciano ferito e stordito. Un sacerdote e un levita passano senza fermarsi. Un commerciante samaritano si ferma, mosso a pietà. I Samaritani erano considerati nemici dagli Giudei. Il Samaritano soccorre il ferito. Mette a disposizione tempo, attività di soccorso, denaro. Lava e disinfetta le ferite con olio e vino, e lo carica sul suo cavallo, portandolo in un albergo, dove lo affida alle cure dell’albergatore, dicendogli che ripassando, al ritorno, gli salderà il conto. Lui, il samaritano, prosegue la sua strada perché deve continuare a lavorare. Non cambia il suo lavoro. Il samaritano aggiusta la vita di un altro, sconosciuto, senza cambiare le proprie occupazioni. Aggiunge alla sua vita un impegno e si serve delle sue risorse per una solidarietà che non incide sostanzialmente sui suoi doveri. Aggiunge un dovere ai suoi doveri, senza venir meno a questi ultimi e senza cambiarli.
In questo racconto si possono individuare due modi di essere dell’altruismo. Il primo è basato sul contatto diretto, il secondo su un aiuto indiretto. Il Samaritano aiuta il malcapitato Giudeo direttamente e in un secondo tempo lo alloggia a sue spese in una locanda, ed è l’altruismo organizzato con intermediari. In questo modo, quel Samaritano può continuare nei suoi impegni di lavoro, dai quali ricaverà il denaro che servirà anche per pagare alloggio e cure del povero Giudeo.
Anche nel raccontino che segue, e di cui ignoriamo la fonte, si possono trovare i due modi di essere altruisti, espressi diversamente ma riconducibili a quelli già indicati.
Si chiamava Fleming ed era un povero contadino scozzese.
Un giorno, mentre stava lavorando, sentì un grido d’aiuto venire da una palude vicina. Immediatamente lasciò i propri attrezzi e corse alla palude. Lì, bloccato fino alla cintola nella melma nerastra, c’era un ragazzino terrorizzato che urlava e cercava di liberarsi.
Il contadino Fleming salvò il ragazzo da quella che avrebbe potuto essere una morte lenta e orribile.
Il giorno dopo una bella carrozza attraversò i miseri campi dello scozzese; ne scese un gentiluomo elegantemente vestito che si presentò come il padre del ragazzo che Fleming aveva salvato. «Vorrei ripagarvi» gli disse il gentiluomo «avete salvato la vita di mio figlio».
«Non posso accettare un pagamento per quello che ho fatto» replicò il contadino scozzese rifiutando l’offerta.
In quel momento il figlio del contadino si affacciò alla porta della loro casupola.
«E’ vostro figlio?» chiese il gentiluomo. «Si» rispose il padre orgoglioso.
«Vi propongo un patto: lasciate che provveda a dargli lo stesso livello di educazione che avrà mio figlio. Se il ragazzo somiglia al padre, non c’è dubbio che diventerà un uomo di cui entrambe saremo orgogliosi».
E così accadde.
Il figlio del contadino Fleming frequentò le migliori scuole dell’epoca, si laureò presso la scuola medica dell’ospedale St, Mary di Londra e diventò celebre nel mondo come sir Alexander Fleming, lo scopritore della penicillina.
Anni dopo, lo stesso figlio del gentiluomo che era stato salvato dalla palude si ammalò di polmonite. Questa volta fu la penicillina a salvare la sua vita.
Il nome del gentiluomo era lord Randolph Churchill e quello di suo figlio sir Winston Churchill.
I due esempi permettono di indicare alcune caratteristiche dell’altruismo:
l’altruismo supera le barriere poste dalle appartenenze tribali o razziali/culturali. Il rischio è il nascere di dinamiche selettive – il caporalato nell’altruismo – con lo scopo di assumere posizioni vantaggiose e di rappresentanza all’interno della propria tribù;
l’altruismo può avere modi diretti, che vivono nell’immediatezza del contatto fra chi aiuta e chi viene aiutato e modi indiretti, che propongono strutture intermedie fra chi aiuta e chi viene aiutato. Il rischio è un certo protagonismo, utilizzabile per avere un’immagine sociale rilevante. E nell’intercultura una polarizzazione fra chi aiuta e chi è aiutato;
l’altruismo vive in una prospettiva di reciprocità e chi aiuta potrà essere aiutato, forse non nel modo diretto, ma attraverso le strutture intermedie. Il rischio è quello dell’anonimato e della possibilità di guadagni in nero o corruzioni. E un altro rischio è costituito dalla pretesa che chi viene da lontano ricambi come e quando vuole chi accoglie.
Un welfare generatore di prossimità1
L’altruismo razionale che intendo difendere può essere intuitivamente rappresentato mediante l'argomento familiare, «come ti sentiresti, se qualcuno lo facesse a te?». Si tratta di un argomento al quale tutti siamo in qualche grado suscettibili; ma come esso operi, come possa essere persuasivo, ciò è controverso. Possiamo assumere che la situazione, nella quale esso viene proposto sia una situazione nella quale non vi piacerebbe se un'altra persona vi facesse quello che state facendo adesso a qualcun altro (la formula può essere variata a seconda dei casi; può essere probabilmente adoperata, se funziona tout court, per persuadere la gente ad aiutare gli altri, come ad evitare di danneggiarli).
Ma cosa ne consegue? Se nessuno lo sta facendo a voi, come può la vostra condotta essere influenzata dall'ipotetica ammissione che se qualcuno lo facesse, non vi piacerebbe? Possono essere avanzate diverse ipotesi. Potrebbe darsi che voi temiate che il vostro attuale comportamento abbia come risultato che qualcuno faccia a voi la medesima cosa; il vostro comportamento potrebbe causare ciò, o direttamente, o incoraggiando una pratica generale di qualche tipo. Potrebbe darsi che il pensiero di voi stessi in una posizione analoga a quella della vostra vittima sia così vivido e spiacevole che vi sentireste troppo disgustati per continuare a perseguitare il disgraziato. Ma che accade se non avete né questa credenza né questo grado di risposta affettiva? O, alternativamente, perché non dovrebbero queste considerazioni motivarvi ad incrementare la vostra sicurezza contro una ritorsione, o a prendere un tranquillante per sedare la vostra compassione, piuttosto che desistere dalla vostra persecuzione?
C'è qualcos'altro, nell'argomento: esso non fa appello soltanto alle passioni, ma è un'argomentazione in senso proprio, la cui conclusione è un giudizio. L'essenziale sta nel fatto che non soltanto a voi non piacerebbe che altri vi trattassero in quel modo; voi vi offendereste di tale comportamento. Ovvero, pensereste che la vostra difficile situazione dia all'altra persona una ragione per cessare o modificare la sua partecipazione ad essa e che nel non farlo, essa stia agendo contrariamente a ragioni, che le sono perfettamente accessibili. In altre parole, l'argomento fa appello ad un giudizio, che voi formulereste, se vi trovaste nel caso in ipotesi, un giudizio che applica un principio generale che pertiene anche il caso in questione. Non si tratta di una questione di compassione, bensì di semplice connessione allo scopo di individuare ciò che le nostre attitudini ci impegnano a fare.
«Il riconoscimento della realtà dell'altra persona, e la possibilità di mettersi al suo posto, sono essenziali. Voi vedete la presente situazione come un esempio di uno schema più generale, nel quale i protagonisti possono essere scambiati. Il fattore cruciale in questo schema è un atteggiamento che voi avete nei confronti di voi stessi, o piuttosto un aspetto della vostra concezione dei vostri bisogni, azioni e desideri. Voi attribuite ad essi, in effetti, un certo interesse oggettivo ed il riconoscimento di altri come persone come voi vi permette l'estensione di questo interesse oggettivo ai bisogni e desideri delle persone in generale, o a quelli di ogni particolare individuo la cui situazione venga presa in considerazione» (Nagel 1994; 1970, p. 90).
I due modi essere dell’altruismo – con contatto diretto e con intermediari organizzati – avrebbero bisogno di funzionare in senso complementare, a vantaggio reciproco. Ma se la locanda che accoglie il malcapitato Giudeo volesse fare la cresta sul conto che presenterà al Samaritano? Se il contadino Fleming avesse caricato sul conto degli studi spese aggiuntive con la giustificazione che un futuro medico avesse bisogno di essere circondato da oggetti di valore? Ecco che emerge il problema della fiducia, che dovrebbe essere alla base dell’altruismo e che, se viene meno, lo indebolisce svuotandolo di quello che probabilmente è il suo senso più importante: la costruzione di una società accogliente e solidale. Se manca la fiducia, il Samaritano e il gentiluomo pensano ad una messinscena fatta per estorcere denaro. Se possono, denunciano all’autorità i presunti impostori, perché il loro comportamento venga valutato ed eventualmente sanzionato. Dall’aiuto reciproco si passerebbe all’ordine pubblico. Che ha un costo, ma questo costo ricade in minima parte sul Samaritano e sul gentiluomo. Il seguito, cioè la locanda e gli studi del giovane Fleming, possiamo cancellarlo, perché il venir meno della fiducia iniziale non lo rende possibile. Viene meno la prospettiva di futuro che accompagna l’altruismo.
Possiamo dire, constatando i guasti che avvengono quando manca la fiducia, che l’altruismo è prospettiva di futuro.
Qualcuno una volta ha detto:
Quello che va in giro torna.
Lavorate come se non aveste bisogno di denaro.
Amate come se non foste mai stati feriti.
Danzate come se nessuno stesse a guardare.
Cantate come se nessuno stesse a sentire.
Vivete come se in terra ci fosse il paradiso.
Il comportamento pro-attivo sviluppa la logica del domino. Ciascuno di noi può considerarsi con e quindi da più lati, come un «pezzo» del domino. E può «combinarsi» con altri pezzi, costruendo un disegno, un percorso. Questo significa non subire un destino. Conosci te stesso, per scoprire i diversi lati del «pezzo» che sei. E per scoprire che non sei un elemento isolato, che deve fare tutto da solo. L’onnipotenza e l’impotenza sono due facce della stessa medaglia. E queste due facce non possono essere distribuite barando e facendo in modo che la potenza sia mia, che sono nato qui, e l’impotenza tua, che sei nato chissà dove.
«Le convinzioni di autoefficacia sono l'elemento chiave dell'agentività umana. Se le persone credessero di non avere la possibilità di produrre risultati, non tenterebbero neanche di farlo. Nella teoria sociocognitiva il senso di autoefficacia è rappresentato in forma di convinzioni proposizionali. […] tali convinzioni [sono] inserite in una rete di relazioni funzionali insieme ad altri fattori che cooperano nella gestione attiva delle diverse realtà» (Bandura 2000; 1997, p. 23).
Il giudizio del pubblico
Altro piccolo racconto:2
Una donna bianca, di circa 50 anni, prende posto in classe economica di fianco ad un nero.
Visibilmente turbata, chiama la hostess. «Che problema ha signora?» chiede l'hostess. «Ma non lo vede?» risponde la signora «mi avete messo a fianco di un nero! Non sopporto di rimanere qui. Assegnatemi un altro posto». «Per favore, si calmi» dice l'hostess «Perché tutti i posti sono occupati. Vado a vedere se ce n'è uno disponibile». L’hostess si allontana e ritorna qualche minuto più tardi. «Signora, come pensavo, non c'è nessun altro posto libero in classe economica. Ho parlato col comandante e mi ha confermato che non c'è nessun posto, neanche in classe executive.
C'è rimasto libero soltanto un posto in prima classe.» Prima che la donna avesse modo di commentare la cosa, l'hostess continua: «Vede, è insolito per la nostra compagnia permettere a una persona con biglietto di classe economica di sedersi in prima classe, ma, viste le circostanze, il comandante pensa che sarebbe scandaloso obbligare qualcuno a sedersi a fianco di una persona sgradevole», e rivolgendosi al nero, l'hostess prosegue: «Quindi, signore, se lo desidera, prenda il suo bagaglio a mano che un posto in prima classe la attende... ». E tutti i passeggeri vicini che, allibiti, avevano assistito alla scenata della signora, si sono alzati applaudendo.
In questo caso, l’intermediario, cioè l’equipaggio dell’aereo, ha il compito di rendere giustizia. Lo porta a termine in modo da ricevere l’applauso del pubblico dei passeggeri.
Ragioniamo sull’episodio a partire da queste sottolineature appena fatte. L’organismo intermediario è fondamentale per l’equità, che non può essere estranea all’altruismo. E ha bisogno di essere conosciuto e apprezzato dall’opinione pubblica. Questo è un punto importante, in un’epoca di migrazioni e populismi. Si può diffondere l’idea che chi viene da lontano porti via a chi è di qui. Per questo sarebbe importante che l’operato degli organismi di intermediazioni fosse tracciabile, ossia visibile perché trasparente. Tomasello (2010; 2009) ha studiato i meccanismi per cui i cuccioli umani cooperano e «si rendono conto di essere soggetti al giudizio degli altri» (Tomasello, 2009, p. 41; 2010). L’intermediario, o l’organizzazione di intermediazione, si espone al giudizio degli altri, dei semplici cittadini? O si nasconde dietro un apparato, magari tecnico? Eppure la valutazione pubblica, cioè l’applauso dei passeggeri, è il riconoscimento dell’operato dell’organismo intermediario e la sua giustificazione. È possibile che un organismo intermediario ritenga che l’eventuale valutazione da parte dei semplici cittadini, sia improntata unicamente al controllo e non contenga elementi per una logica di sviluppo (Basu, 2011; 2013).
Un altruismo creativo
«La gratitudine trasforma il tormento del ricordo in una gioia silenziosa. Portiamo allora dentro di noi la bellezza del passato non come una spina, ma come un dono prezioso. Bisogna guardarsi dal frugare nel passato, dal consegnarsi ad esso, così come un dono prezioso non lo si rimira continuamente, ma solo in momenti particolari, e per il resto lo si possiede come un tesoro nascosto della cui esistenza si è sicuri; allora dal passato si irradiano una gioia e una forza durature» (Bonhoeffer, 1969, p. 238).
Questa citazione apre una prospettiva che, indicando il tesoro nascosto del passato, permette di immettere nell’altruismo niente di meno che la fantasia. Non possiamo proporre un altruismo secondo le abitudini che abbiamo. Dobbiamo permettere che chi viene da lontano collabori alla realizzazione di un altruismo nuovo, innovando. È una scelta etica e quindi politica, che alcuni paesi fanno ricorrendo all’innovazione tecnologica. Alec Ross (2016) ci dice come il Giappone affronta il tema della popolazione anziana, in forte aumento relativamente al ricambio generazionale. Mancando, e sempre più in prospettiva, le persone che possono fornire assistenza, il Giappone punta sui robot e Toyota e Honda stanno producendo in questa direzione, preoccupandosi non solo dei servizi funzionali, ma anche delle gratificazioni affettive. Qualche difficoltà viene registrata nel tentativo di garantire un rapporto empatico. Il Giappone, come altri paesi dell’Asia, presenta un vantaggio: la religione scintoista ritiene che anche gli oggetti, e quindi anche i robot, abbiano un’anima.
Altruismo ed empatia
Maria Montessori (1999) ha detto e scritto che ogni aiuto inutile è un ostacolo allo sviluppo. Per capire quanto sia utile un aiuto, e di conseguenza quanto sia inutile, bisogna sviluppare un rapporto empatico con l’altro. «Un’espressione di empatia […] complessa è l’aiuto mirato. Invece di reagire alla sofferenza di altri, qui il fine è quello di capirne la situazione. Noi miriamo a riconoscere i bisogni specifici di altri, come quando aiutiamo una persona cieca ad attraversare la strada. Possiamo immaginare che cosa significhi la cecità e dare aiuto a chi è affetto da questa specifica condizione. Nella vita reale umana c’è abbondanza di esempi, ma ciò vale anche per altre specie dotate di un cervello grande, come i delfini, gli elefanti e le scimmie antropoidi. Ero solito raccontare di come un bonobo avesse salvato un uccello tramortito andato a sbattere contro un vetro o come uno scimpanzé avesse letteralmente strappato a un serpente velenoso un uccello non esperto dei pericoli dell’ambiente naturale. Ci sono molte storie in cui una scimmia antropomorfa sembra adottare il punto di vista dell’altra. Non mi tratterrò però qui su queste storie ora che l’aiuto mirato è stato finalmente sottoposto a test. Questi esperimenti, eseguiti all’Istituto di ricerche sui primati dell’Università di Kyoto, in Giappone, sono complementari alle nostre ricerche sulla disponibilità degli scimpanzé a farsi favori fra loro. Sono stato varie volte all’Istituto di Kyoto. Gli scimpanzé vivono in vaste aree all’aperto con grandi quantità di arbusti verdi e di alte strutture su cui arrampicarsi. Come avviene anche da noi a Yerkes, essi vengono chiamati dentro per partecipare volontariamente ai test.
A Kyoto, però, le antropomorfe devono percorrere un complicato sistema di tunnel prima di arrivare in una stanza in cui occupano la posizione centrale, mentre gli esseri umani sono periferici. Esse vengono fatte entrare in un spazio delimitato da pareti di vetro e gli sperimentatori si muovono intorno a loro con strane apparecchiature. Nell’esperimento in questione, l’apparecchiatura non era però tanto avanzata. Il primatologo Shinya Yamamoto diede alle antropomorfe una scelta fra due modi per ricevere succo di arancia. Potevano o avvicinare a sé un contenitore fuori della loro portata con l’aiuto di un rastrello o sorbire il succo con una cannuccia. Il problema è che non avevano a disposizione alcun utensile. Accanto a questi scimpanzé, in un’area separata era seduto un altro scimpanzé che aveva un intero set di utensili diversi. Questo scimpanzé prima si interessava al problema dell’altro, poi prendeva l’utensile giusto per il compito e lo porgeva all’altro scimpanzé attraverso una piccola finestra. Se però lo scimpanzé che disponeva degli utensili non era in grado di osservare la situazione dell’altro, gli passava strumenti a caso, indicando così che non aveva idea di che cosa servisse all’altro. Questo esperimento dimostrò che non solo gli scimpanzé sono pronti a offrirsi aiuto reciprocamente, ma che tengono conto anche dei bisogni specifici dell’altro» (De Waal, 2013, pp. 108-111).
Conclusioni
L’altruismo al tempo dell’intercultura ha certamente bisogno dell’iniziativa dei singoli, ma non può accontentarsi del «fai da te». Inoltre il volontariato è guardato con golosità da chi è già in apparati politici e teme di avere poco seguito. Il volontario è considerato capace di dar voce al cuore, che sembra avere più credito della ragione.
Il progetto di un nuovo altruismo, per il tempo dell’intercultura, deve appellarsi anche alla ragione e può passare da organizzazioni collettive di intermediazione in cui possono confluire gli apporti individuali. La donazione di sangue raccoglie donatori, che diventano indistinti perché il loro dono sarà privo del riconoscimento della provenienza e riorganizzato e conservato secondo le tipologie di sangue, ma chi dona sangue deve sottoporsi a una visita. C’è un filtro selettivo, ragionevole.
Chi avrà bisogno di sangue ne avrà secondo il suo bisogno – e non secondo quote predefinite – e non potrà sapere il nome del donatore. Questo rende meno sicura la banca del sangue? Non conoscere il nome del donatore fa perdere fiducia nell’organizzazione di intermediazione collettiva? Vi è un grande limite nella pretesa di fidarci solo di ciò che ci arriva da un donatore diretto a noi personalmente. In questo modo riduciamo pericolosamente la fiducia.
Condizioniamo pericolosamente:
La partecipazione: non dovremmo pretendere di avere ad ogni costo visibilità. Una mia partecipazione condizionata dalla mia visibilità rischia di essere un sabotaggio, incontrando la conflittualità legata alla dinamica dei protagonismi.
La tracciabilità: paradossalmente, viene invocata molto, ma trova non pochi ostacoli dal desiderio di tanti di rimanere invisibili.
Come fare con questi elementi contrastanti? La risposta è nel nostro impegno di fare un progetto che contenga gli elementi ora contrastanti e li organizzi perché possano rivelarsi entrambe utili (Venturi e Zandonai, 2016).
Avraham Burg (2007; 2008, p. 177) usa l’espressione consumatori compulsivi di passato, indicando con queste parole un utilizzo delle nostre energie rivolto verso il passato. Questo autore riflette sul rischio – e qualcosa di più – che gli ebrei fondino la loro identità sul genocidio nazista. Burg è un autore complesso e molto interessante, e non è il caso di riassumere il suo libro di più di 400 pagine in poche righe. Ma quella sua espressione può farci riflettere e ci pone una domanda: stiamo utilizzando le nostre energie per il futuro, o siamo degli «attivisti retroattivi»? In altri termini: siamo rivolti più verso il passato dell’esclusione, o verso il futuro dell’inclusione? Accettiamo di vivere il futuro come una promessa che contiene una sorpresa?
Il riconoscimento dei bisogni individuali, permette di rendere reale l’affermazione dello scrittore austriaco Canetti: l’uomo deve essere consapevolmente molti uomini e tenerli tutti insieme. L’individuo deve permettere agli altri di affacciarsi alla sua dimensione individuale non affrontandoli e collocandoli in una vaga nebulosa ma individuandoli come altri individui.
Nelson Mandela allargò il senso e il significato di nostro. Il futuro non poteva essere di noi neri, ma di tanti diversi, che diventavano noi. Il futuro contiene domande anche sul passato. Che sembrava costituito di certezze, e invece possiamo – dobbiamo? – rendere il passato fecondo. E la fecondità è l’incontro fra ciò che credevamo di conoscere, e l’inatteso.
La memoria non deve inchiodarci al passato, ma rendere il passato fecondo, e quindi incognito.
Bibliografia
Bandura A. (2000), Autoefficacia. Teoria e applicazioni, Presentazione di Gian Vittorio Caparra, Traduzione di Gabriele Lo Iacono, Trento, Erickson.
Basu K. (2013), Oltre la mano invisibile. Ripensare l’economia per una società giusta, Bari-Roma, Laterza.
Bonhoeffer D. (1969), Lettera a Renate ed Eberhard Bethge, da Resistenza e resa, Milano, Bompiani.
Burg A. (2008), Sconfiggere Hitler. Per un nuovo universalismo e umanesimo ebraico, Vicenza, Neri Pozza.
Canetti E. (1981), Massa e potere, Milano, Adelphi.
De Waal F. (2013), Il bonobo e l’ateo, Milano, Raffaello Cortina.
Messia F. e Venturelli C. (a cura di) (2015), Il welfare di prossimità. Partecipazione attiva, inclusione sociale e comunità, Trento, Erickson.
Montessori M. (1999), La scoperta del bambino, Milano, Garzanti.
Nagel T. (1994), La possibilità dell’altruismo, il Mulino, Bologna.
Tomasello M. (2010), Altruisti nati. Perché cooperiamo fin da piccoli. Le basi scientifiche del nostro istinto ad aiutare il prossimo, Torino, Bollati Boringhieri.
Rodari G. (1960), Filastrocche in cielo e in terra, Torino, Einaudi.
Ross A. (2016), Il nostro futuro. Come affrontare il mondo dei prossimi vent’anni, Milano, Feltrinelli.
Venturi P. e Zandonai F. (2016), Imprese ibride. Modelli d’innovazione sociale per rigenerare valore, Milano, EGEA.
Autore per la corrispondenza
Andrea Canevaro
Indirizzo e-mail: andrea.canevaro@unibo.it
Scuola di Psicologia e Scienze della Formazione, Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Dipartimento Scienze dell’Educazione
1 Cfr. F. Messia, e C. Venturelli (a cura di), Il welfare di prossimità. Partecipazione attiva, inclusione sociale e comunità, Trento, Erickson, 2015.
2 La breve scena che segue si è svolta sul volo della compagnia British Airways, tra Johannersburg e Londra.
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ISSN 2420-8175 Educazione interculturale (Online).
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