Test Book

Riflessioni e teorie / Thoughts, theories, analysis

Famiglia e Scuola in contesti multiculturali. Tra conoscenza e progettazione pedagogica e didattica
Families and schools within multicultural contexts. A pedagogical and didactic approach to knowledge and planning

Laura Cerrocchi

Professore Associato di Pedagogia generale e sociale, Dipartimento di Educazione e Scienze Umane, Università di Modena e Reggio Emilia


Autore per la corrispondenza

Laura Cerrocchi
Indirizzo e-mail: laura.@unimore.it
Dipartimento di Educazione e Scienze Umane, Università di Modena e Reggio Emilia, Viale Antonio Allegri, 9, 42121 Reggio Emilia RE



Sommario

L’articolo introduce le principali caratteristiche del contesto e le scelte di contenuto e di struttura del Master in Organizzazione e gestione delle istituzioni scolastiche in contesti multiculturali, attivato presso il Dipartimento di Educazione e Scienze Umane dell’Università di Modena e Reggio Emilia in funzione della formazione di insegnanti e dirigenti scolastici. Da un lato, argomenta sul conoscere per progettare in prospettiva pedagogica e didattica nella reciprocità tra fattori sociali, culturali e psicologici e in funzione del passaggio dalla multicultura, all’intercultura e alla transcultura. Dall’altro lato, si concentra su famiglia e scuola, ritenendo la famiglia il principale osservatorio e progetto della migrazione e la lingua e il lavoro i principali mezzi di integrazione e inclusione culturale e sociale.

Parole chiave

famiglia; scuola; educazione interculturale.


Abstract

This paper introduces the main features of the local context and choices related to the structure and content of the Master’s degree in School organisation and management in multicultural contexts offered by the Department of Education and Human Sciences of the University of Modena and Reggio Emilia, in order to train teachers and head teachers. On the one hand, it refers to pedagogical and didactical knowledge and planning, focusing on the reciprocity between social, cultural and psychological factors and taking into account the transition between multiculturalism, interculturalism and transculturalism. On the other hand, it alludes to the family and the school, considering the family as the primary observatory and project of migratory processes and language and work as the main mediums of integration and inclusion.

Keywords

family; school; intercultural education.


Organizzazione delle istituzioni scolastiche in contesti multiculturali: tra contesto e scelte di contenuto e struttura del Master attivato presso Unimore

Nello scorso anno accademico (2017-2018), in Emilia-Romagna sono stati attivati due Master FAMI in “Organizzazione e gestione delle istituzioni scolastiche in contesti multiculturali”, rispettivamente presso gli atenei di Bologna e (successivamente) di Modena e Reggio Emilia. L’Emilia-Romagna è tra le Regioni che si distinguono a livello nazionale, oltre che per il terzo settore e/o le infrastrutture, per la qualità dei servizi alla persona e di quelli tipicamente educativi. Soprattutto, non può essere trascurato lo spessore della pedagogia emiliana di stampo accademico (ma non solo), con figure di rilievo che – entro la ricorsività fra teoria e prassi – hanno interpretato e penetrato i temi-problemi del pedagogico relativamente all’educazione delle età della vita (infanzia, adolescenza, giovani, adulti e anziani) nell’ottica del sistema formativo integrato e della rete dei servizi (con particolare riferimento a scuola, famiglia e altre agenzie educative extrascolastiche).

Il Dipartimento di Educazione e Scienze Umane – nel quale ha trovato collocazione scientifica e didattica il Master in oggetto – è particolarmente giovane e trae la sua primissima origine da una gemmazione per un primo biennio dell’allora Corso di Studi in Scienze della Formazione Primaria (vecchio ordinamento) dell’Università di Bologna (dovuta allora all’impegno istituzionale di Franco Frabboni e di Maria Grazia Contini e a quello didattico di molti colleghi al tempo in servizio presso l’ateneo felsineo).

Il Master Unimore, svolto presso la sede di Reggio Emilia, ha accolto alcuni dirigenti scolastici e, prevalentemente, insegnanti di tutti i gradi scolastici (inclusi CPIA), di differente ambito disciplinare e anzianità di servizio e in servizio nei Comuni e nelle Province di Reggio Emilia, Modena, Parma, Piacenza; non sono mancate alcune unità in servizio in Romagna e, per ragioni di prossimità territoriale, a Mantova contrassegnando parte del target di certo svantaggio a fronte della dislocazione geografica e/o logistica su territorio.

Tenuto conto del successivo avvio di Unimore rispetto a Unibo (in cui si erano concentrati insegnanti a tempo indeterminato), diversi sono stati i corsisti in servizio a tempo determinato presso la scuola con alcuni riflessi critici sull’organizzazione e fruizione del Master (ad esempio, le ore di tirocinio non sempre hanno potuto risolversi in un’unica scuola perché, con la ripresa dell’anno scolastico, i docenti sono stati incaricati altrove: fattore che ha reso necessario il ripensamento del loro percorso di ricerca-azione), ma anche con un potenziale positivo, poiché il docente precario è mediamente più giovane e dunque può costituire un target particolarmente ricettivo e vitale.

L’estensione della Regione e la dislocazione territoriale delle Province e dei Comuni di maggior provenienza lavorativa dei corsisti lasciano intendere che la formazione attraverso i due master attivati non sia riuscita a coprire potenzialmente e in linea teorica la prevalenza delle istituzioni educative, immaginando l’opportunità di replicare il Master in futuri anni accademici.

L’impianto generale del Master ha recepito le linee indicate dal progetto FAMI e, allo stesso tempo, lo ha valorizzato avvalendosi delle specifiche competenze culturali, disciplinari e didattiche di docenti e di referenti e testimoni privilegiati del mondo della scuola e dei servizi educativi del territorio. Sotto questo punto di vista, i principali aspetti che hanno contrassegnato il caso di Unimore sono stati:

 

  • la ricorsività fra teoria e prassi resa possibile dalla cucitura tra i format curricolari relativi a insegnamenti, laboratori, tirocinio indiretto e diretto, project work;

  • un impianto tipico della ricerca-azione che richiede di conoscere (i soggetti e i contesti nei loro bisogni espressi e da attribuire) per gestire/coordinare, progettare/programmare (con intenzionalità e flessibilità) e condurre/realizzare gli interventi pedagogici e didattici, avvalendosi di validi contenuti, strumenti e strategie: oltre ai temi e alle modalità previste dal piano di studi e trasversali a tutti i master omologhi, a riguardo sono state specificamente dedicate delle videolezioni pubblicate sul sito del Master,1 corredate da capitoli e paragrafi di approfondimento delle tipologie della ricerca quantitativa e qualitativa, del disegno e degli strumenti della ricerca in ambito pedagogico e didattico;

  • in assenza della costruzione di una rete di scuole specificamente dedicate a livello regionale, durante il Master, la ricerca-azione ha previsto sessioni di riflessività entro uno scambio individuale e di gruppo tra coordinatore, tutor e corsisti: l’incarico di tutor è stato ricoperto da un insegnante e un supervisore di tirocinio, che, rispettivamente, presentano un curricolo (oltre che scolastico) accademico nell’ambito della pedagogia interculturale (Federico Zannoni) e della didattica disciplinare in prospettiva interculturale (Alessandro Ramploud), e da un dirigente scolastico del Centro per l'Istruzione degli Adulti (CPIA Metropolitano di Bologna) nonché Coordinatore nazionale e Responsabile locale dell’omonimo Centro di Ricerca (Emilio Porcaro). Sotto questo punto di vista, è stata promossa una formazione del dirigente e dell’insegnante come moltiplicatore delle competenze interculturali, in grado di diffondere le conoscenze e le competenze acquisite, sia attraverso l’esercizio di un ruolo che generi apprendimento organizzativo, sia attraverso la possibilità di diventare formatore/formatrice dei propri colleghi (Vaccarelli, 2019), riunendo la formazione iniziale e quella in servizio, ossia, per il secondo aspetto, quella dei corsisti entro le attività del Master e relativamente al loro potenziale contributo come formatori dei colleghi in eventuali fasi di ricerca-azione successive al Master;

  • un curricolo caratterizzato dalla sintesi tra saperi umanistici e scientifici, disciplinari e delle didattiche disciplinari e secondo setting pedagogici e didattici (come sistemi di ipotesi e cornici organizzative di riferimento) (Dozza, 2006) in prospettiva di educazione interculturale: oltre ai saperi previsti dalla tabella ministeriale, una specificità della sede reggiana è stata la presenza di lezioni e laboratori (ripresa in molte esperienze di tirocinio) anche su famiglia2 e Minori Stranieri Non Accompagnati, educativa domiciliare e sostegno alla genitorialità, didattica della lingua (e interlingua) e della matematica, pluralismo religioso e dialogo interreligioso in prospettiva interculturale, estetica filosofica nei termini dei linguaggi artistico-espressivi e digital storytelling, gruppo, relazione educativa e conduzione pedagogica e didattica del gruppo in termini di gruppo di lavoro che fa lavoro di gruppo;

  • la continuità tra differenti Università (con il contributo didattico di rispettivi docenti) e tra Università, MIUR (a livello nazionale ma anche nella sua declinazione locale di USR-ER) e agenzie e attori educativi di tipo scolastico (secondo differenti ordini e gradi) ed extrascolastico coinvolti nelle lezioni, nei laboratori e nei tirocini, in seminari di approfondimento e nel project work, in linea con gli intendimenti che in questi ultimi 28 anni circa hanno segnato la via italiana della scuola multiculturale.3

 

Conoscere per progettare in prospettiva pedagogica nella reciprocità tra fattori sociali, culturali e psicologici: dalla multicultura, all’intercultura e alla transcultura

Sembra opportuno muovere distinguendo la migrazione dall’irruzione di una società multiculturale. Da un lato, la migrazione coincide con un fenomeno tipico nell’evoluzione della specie umana (filogenesi) e sempre più del singolo (ontogenesi): infatti, ormai, è sempre meno probabile che l’uomo e la donna nel corso della loro vita siano estranei a migrazioni in risposta a bisogni primari legati alla sopravvivenza e/o incolumità psico-fisica, come a scelte affettive, esigenze di formazione e/o di lavoro ecc.; dall’altro, non è possibile continuare a intendere le culture come delimitate e fisse poiché esse vanno concepite, da sempre e necessariamente, come culture migranti (Cerrocchi, in Cerrocchi e Contini, 2011), segnate da tensioni e cooperazioni, soggette a continui meticciamenti e dinamismi e tali da incentivare multiappartenenze e pluridentità. L’irruzione di una società multiculturale, invece, costituisce un cambiamento che non può essere che conosciuto e trattato come nesso emigrazione-immigrazione e secondo uno sguardo e una prospettiva complessi e consapevoli delle reciproche implicazioni internazionali, nazionali e locali. La conoscenza e la progettazione pedagogica e didattica relativamente a questo trend di cambiamento socioculturale (nel suo portato quantitativo e qualitativo) devono concernere la vita umana nelle età (infanzia, adolescenza, giovani, adulti, anziani), tra i contesti (fisici, sociali e culturali, dunque fra le agenzie del sistema formativo formale, non formale e, per quanto possibile, informale) e nella profondità (Dozza, 2006) delle sue dimensioni (fisica, cognitiva, affettiva, etica ed estetica) (Frabboni e Pinto Minerva, 1994) e delle loro connessioni tenendo conto della reciprocità tra fattori (Cerrocchi, 2013; 2018):

 

  • sociali di macrosistema, microsistema e mesosistema. I fattori di macrosistema sono relativi a politiche/disposizioni legislative e interventi programmatici (di tipo socio-sanitario, assistenziale, abitativo, lavorativo e educativo, ecc.) da analizzare e riformulare poiché caratterizzano e segnano diversi aspetti materiali, culturali e umani. I fattori di microsistema (come analisi e ripensamento dei processi e delle pratiche di inculturazione4 e acculturazione5 e di socializzazione primaria e secondaria)6 sono relativi al sistema d’ipotesi e alla cornice organizzativa degli interventi educativi e didattici che circolano tra le figure di diverso e pari grado e funzione e alla rispettiva traduzione nel curricolo, come sintesi del programma e della programmazione, da ripensare a livello sia di educazione e didattiche disciplinari e in prospettiva interdisciplinare, sia della professionalità degli insegnanti, relativamente all’interazione tra artefatti (contenuti, materiali, linguaggi, strumenti, metodi, strategie, tecniche, campi d’esperienza o discipline e prospettive interdisciplinari dunque anche format didattici come insegnamenti, laboratori, tirocini, tesi, ecc.), soggetti (posti in relazioni asimmetriche o simmetriche) e fattori organizzativi di contesto (tempi, spazi e regole/relazioni). I fattori di mesosistema sono relativi ai rapporti tra differenti sistemi – formale, non formale e informale – che concorrono alla formazione e rendono necessario dapprima chiarire responsabilmente quanto è di valore e qualità e deve essere pubblico e ciò che può essere privato, anche tenuto conto dell’impossibilità della fruizione a fronte di fattori economici, logistici e culturali (sappiamo infatti che la prevalenza dell’attuale portato migratorio è sintesi di pauperismo socio-economico oltre che di differenza etnico-antropologica), e, successivamente, precisare i fattori sia di continuità sinergica e strategica tra sistema formale e non formale nell’ottica di un sistema formativo integrato, sia di discontinuità in termini di specifico formativo di agenzie e attori (come scuola e famiglia, rispettive figure professionali e parentali, evitando assenze e sostituzioni, confusioni e contraddizioni);

  • culturali (con particolare attenzione sia alla crisi della presenza che può emergere per la messa in discussione dei riti collettivi costruiti entro i miti della cultura7 di appartenenza nonché ai risvolti sul piano delle routine individuali, sia alla possibilità di ristrutturazione e riorganizzazione dei modelli e degli schemi di riferimento che consentiranno di pensare, sentire e agire nella realtà come identità plurime costruite entro multiappartenenze, nel caso di singoli o famiglie migranti ma anche, più ampiamente, in rapporto al costante cambiamento che segna la struttura delle società e delle culture) (Harris, 1990; De Martino, 1959; Di Nola, 1976; Winnicott, 1971; Frabboni, Pinto Minerva, 1994);

  • psicologici con particolare riferimento sia ai fattori relativi al profilo cognitivo (in genere non estraneo alle opportunità e agli stimoli culturali ma anche alle rappresentazioni sociali, in particolare stereotipi e pregiudizi, che possono circolare all’esterno e tanto da segnare status e reti relazionali nonché incidere all’interno su sistemi di autopercezione, senso di autoefficacia e agentività e, a propria volta, sulle immagini reali dei soggetti), sia a specifiche dinamiche degli affetti (con la crescita e la costante trasformazione dell’uomo e della donna, il luogo di partenza e quello di approdo possono risultare, contemporaneamente, necessari e insufficienti – Sayad, 1999 – mentre possono sopraggiungere fratture/lacerazioni da tempi, spazi e relazioni interiorizzati nell’appartenenza, aprendo al rischio di un conflitto – insieme biologico, psicologico, socio-economico ed etnico-antropologico – che può sfociare in nevrosi e depressioni, ma, allo stesso tempo, coincidere con potenziale opportunità di crescita e di emancipazione ossia obbligando e/o prospettando suture e/o nuovi o più funzionali tempi, spazi e relazioni).

 

In questo senso, appare determinante una progettazione che muova da una corretta e costante conoscenza della società, della cultura e dei profili psico-fisici che segnano la migrazione di singoli soggetti e gruppi storici, smarcando separatismo/ghettizzazione e assimilazionismo/omologazione, come estremi opposti che impediscono integrazione e inclusione,8 per eventuali spinte affini e/o complementari delle culture autoctone e di approdo, e – considera Pinto Minerva – tale da promuovere il passaggio dalla multicultura (quale dato di fatto che fotografa la coesistenza di più culture nello stesso spazio fisico), all’intercultura (che richiede lo scambio e la reciprocità tra le culture) e alla transcultura (come ideale regolativo riferibile alla consapevolezza di appartenere tutti a una comune Madre Terra che riunisce le differenti forme di vita vegetale, animale e umana, quest’ultima nelle sue differenti società e culture secondo un’educazione ecologicamente ed eticamente sostenibile e segnata).

 

Famiglia e Scuola: problematiche e prospettive di integrazione e inclusione culturale e sociale

Relativamente al tema assunto in questa sede, al contesto dell’esperienza e ai riscontri emersi in molteplici attività di ricerca-azione e/o di project work del Master Unimore, sul piano culturale e sociale, scegliamo di sottolineare e rilanciare talune questioni da assumere e trattare nella loro complessità con particolare riguardo al rapporto tra famiglia e alcuni fattori di accesso e successo scolastico e di eventuale e/o potenziale integrazione e inclusione culturale e sociale.

La famiglia corrisponde a un ambiente e/o un sistema complesso, plurale e dinamico (Lewin, 1948), di cui – nella ricorsività fra teoria e prassi – non possiamo che rilevare la natura e sostenere la funzione (trasformativa), ossia comprenderne le caratteristiche e meglio prospettarne la progettualità educativa (incentivando capacità di coping, resilienza e agentività e facendo del superamento di crisi e conflitti fattori di ristrutturazione, crescita ed emancipazione da eventuali condizioni di oppressione e subalternità di genere, di generazione, di profilo psicofisico, di classe sociale, di background culturale e di gruppo etnico-linguistico-religioso).

Il target degli allievi prevalentemente implicato nella scolarizzazione ha rispecchiato l’andamento politico-economico dei flussi migratori internazionali sia per provenienza sociale sia per appartenenza etnica (nel contesto del Master, prevalentemente Nord Africa, Est Europa e specificamente Romania e continente asiatico con ovvio riferimento all’India e alla Cina), rendendo necessari interventi che muovano dalla consapevolezza dello stretto rapporto tra migrazione e sperequazione socio-economica e culturale e dall’importanza della conoscenza delle società di provenienza e delle culture di appartenenza per sventare deculturazione e creare coerenza nei processi e nelle pratiche di socializzazione secondaria e di acculturazione.

A fronte di differenti forme di strutturazione del nucleo familiare che caratterizzano la migrazione,9 sono state riscontrate diverse condizioni di presenza degli allievi nei diversi gradi scolastici e, probabilmente, per ragioni non estranee al ruolo – materiale e simbolico – giocato dalla famiglia in termini di propulsore, controllo anche a distanza, assenza, risorsa e costo da risarcire. La distribuzione decrescente per età degli studenti di origine non italiana (maggiormente presente nei gradi scolastici inferiori e sempre meno in quelli successivi) è risultata in linea con una migrazione come fattore correlato all’immediata o in funzione della successiva formazione della famiglia (sono migrate prevalentemente famiglie con figli/e piccoli/e o a fronte di una migrazione economicamente vantaggiosa e/o di un territorio caratterizzato da benessere economico e servizi i genitori hanno potuto sostenere la nascita e la crescita dei figli):10 gli studenti di origine non italiana nati in Italia o precocemente arrivati, tendenzialmente, non mostrano significativi problemi di apprendimento e di relazione con i coetanei e le figure adulte (se non legati a specifici profili psicofisici o a vissuti familiari e/o personali irrisolti in termini di appartenenza e identità).

Al contrario, quella parte del target senza pre-scolarizzazione e/o con scolarizzazione tardiva nella scuola della cultura di approdo è risultata più in difficoltà se non in ritardo sia nell’apprendimento della lingua, con risvolti nell’accesso ai campi d’esperienza e/o ai saperi curricolari, che nelle relazioni con pari e adulti (fattori che, come sappiamo, hanno prodotto il trascorso dibattito sul tetto massimo di alunni migranti e sulle classi ponte). Nei gradi scolastici ulteriori, questo aspetto e, più complessivamente, il pauperismo sociale e culturale delle famiglie, cui possono aggiungersi frequenza della scuola a singhiozzo o frammentazioni dovute ad andate e ritorni da scuole di diversi Paesi, si traducono in dispersione scolastica (che, come per gli autoctoni, si intensifica prevalentemente nel biennio delle scuole secondarie di secondo grado rendendo necessario anche ripensare il modo corretto di prospettare l’orientamento scolastico e professionale), ed eventualmente incentivata dal ricorso a un uso punitivo e/o antipedagogico piuttosto che formativo della verifica e della valutazione; altra espressione della povertà sociale e culturale delle famiglie come variabile assegnata è la canalizzazione (prevalentemente) precoce del percorso di studi verso una formazione professionale che si traduce deterministicamente nei destini occupazionali e personali, quale riproduzione della frattura tra teoria e prassi11 come culture che esprimono la sperequazione fra classi sociali e fra gruppi etnici.12 In generale, questi fattori richiedono di prevedere e di sostenere a livello educativo e didattico la futura presenza di minori di origine non italiana negli ulteriori gradi scolastici (peraltro ormai caratterizzati da una nuova coorte, quella dei minori stranieri non accompagnati che, come emerso anche nei lavori del Master, presentano tra le necessità quella di mettere a punto protocolli di lavoro e buone pratiche a livello centrale e/o locale per documentare la storia e il percorso di studenti di cui si rischia di perdere le tracce ai fini della continuità fra ordini e gradi scolastici – senza escludere casi di ulteriore migrazione in altre città o nazioni – come fra diverse agenzie e di riflesso – ma non solo – tra insegnanti e educatori che tendono a lavorare su binari paralleli senza necessariamente incontrarsi a livello culturale e operativo).

La distribuzione a polvere e ghettizzata delle minoranze e/o l’uso (spesso) congregativo della lingua di origine (soprattutto in famiglia) può intensificare una condizione di stranierizzazione per specifici gruppi sia fuori che dentro la scuola, mentre l’eventuale appartenenza a comunità della non scrittura (tra esse i casi di quelle rom e sinte) impone agli studenti di incontrare per la prima volta la scrittura e in un codice affettivo e cognitivo diverso da quello del gruppo di appartenenza; sotto questo punto di vista, non possiamo trascurare il peso della scrittura nella costruzione interna ed esterna delle topiche riferibili a spazio-tempo-relazioni della vita umana (per essere più chiari, possiamo provare a pensare come sarebbe differente il nostro modo di intendere e di agire nel tempo, nello spazio e nelle relazioni se nella nostra vita fosse stata assente la scrittura), rimandando alla necessità per le figure professionali di smarcarsi da letture e interventi caratterizzati da stereotipi e pregiudizi culturali e privilegiando risposte capaci di assumere in modo competente e profondo le differenze attraverso un ripensamento del curricolo in prospettiva interculturale (Baldacci, 2006).13 Allo stesso tempo, non possiamo trascurare che ricorrere a una lingua madre tramandata in maniera orale e non scritta acuisce a diversi livelli le difficoltà dell’incontro con una lingua diversa e, per la prima volta, con la scrittura (sempre in una lingua diversa), aprendo a maggiori rischi di ritardi o di insuccesso vero e proprio. Purtroppo la richiesta formativa scolastica, come per certi versi anticipato, solitamente, muove secondo due linee di scarsa opportunità: tutti i soggetti non autoctoni vengono inglobati nella macro-categoria stranieri senza riconoscere il loro specifico sociale14 e culturale15 e, nel caso degli alunni di alcune culture o comunità collocate per rappresentazione sociale nella scala più bassa di allusi organigrammi sociali e culturali, ciò è aggravato da una loro rappresentazione di «diversi tra diversi», posti al livello più basso di quella scala determinandone il destino (oltre che culturale) professionale, occupazionale e di vita tramite la stessa canalizzazione precoce o scorciatoie (rivestite da certo tipo di esternalizzazioni del curricolo scolastico se non da precarie certificazioni delle competenze). Il rischio è che all’alunno venga chiesto di adattarsi alla programmazione senza che dirigenza scolastica e insegnanti ripensino l’organizzazione in funzione della presenza di soggetti segnati da differenze sociali e culturali e il curricolo nel suo potenziale multiculturale: a riguardo, ancorarsi al concreto e/o esternalizzare il curricolo possono essere intese azioni funzionali sul piano strategico – per raccogliere a livello cognitivo comprensione e a livello affettivo interesse – ma non definitive o identificabili con quel valore assoluto che può corrispondere soltanto al perseguire una formazione tale da mettere la persona in possesso di tutte le sue facoltà e che, dunque, necessariamente consenta l’acquisizione di un pensiero astratto e riconosca la funzione pedagogica e didattica della scuola come agenzia intenzionalmente formativa.

Ritornando alla questione della lingua, se è vero che le due dimensioni non scontatamente vivono un rapporto caratterizzato da contrasti e/o conflitti, ossia un soggetto “orale” (e non “alfabetico”) non è assolutamente destinato a non apprendere altre lingue, è altrettanto vero che la difficoltà dell’apprendimento della lingua risulta essere un aspetto di particolare criticità ulteriormente appesantito dall’assenza, in alcuni casi già nella lingua di origine, di una produzione scritta e cruciale per le sue ricadute sul complessivo successo scolastico e formativo. Questo aspetto meriterebbe uno studio più approfondito, funzionale sia a comprendere meglio quali correlazioni si possono fare tra assenza della lingua scritta e processi e pratiche di inculturazione e acculturazione, di socializzazione primaria e secondaria, sia – come per gli altri aspetti discussi e da discutere – a comprenderne meglio le specificità per mettere a punto un ripensamento delle pratiche. Peraltro, la scarsa padronanza linguistica può non venire trattata come fattore sociale e culturale perorando una possibile, discutibile e, di più, pericolosa “moda” della certificazione e/o della patologizzazione e senza far venir meno il rischio di una programmazione diversificata e/o semplificata, caratterizzata dalla definizione di obiettivi minimi, di conseguenza, ricorrendo a una valutazione in base agli obiettivi identificati nel progetto individuale e prevalentemente di socializzazione (cioè non tanto di alfabetizzazione).

Infatti, sembra assumere un peso molto importante il tema della certificazione che privilegia un atteggiamento diagnostico e terapeutico rischiando di sollevare, per certi versi, l’insegnante e la scuola dalle rispettive responsabilità del mandato professionale e istituzionale e di sostituire – crediamo, in modo preoccupante, – l’impegno pedagogico-didattico nel progettare interventi socialmente e culturalmente mirati, segnati da strategie di individualizzazione e personalizzazione; non meno rassicurante è il ricorso al sostegno, aprendo a impliciti che tendono a equiparare i fattori di diversità culturale e sociale al deficit cognitivo e/o socio-affettivo nonché a un eventuale uso selettivo (piuttosto che formativo) della verifica e valutazione producendo significative contraddizioni di ordine etico e professionale.

In altri casi, l’insegnamento della lingua si confronta con l’appartenenza a specifici gruppi etnico-linguistico-religiosi alfabetizzati alla lingua di origine al fine di mantenere il canone culturale e/o religioso (può essere il caso, ad esempio, degli studenti che provengono dalle scuole coraniche), rendendo necessario lavorare sull’alfabetizzazione in senso non solo cognitivo (ossia rendendo coscienti del rapporto della lingua in termini di emancipazione culturale e sociale) ma anche educativo, ossia di dialogo interetnico.

Non possiamo nemmeno trascurare che alcuni alunni sono in grado di ricorrere a lingue diverse (sebbene con un’eventuale difformità qualitativa tra scritto e parlato), quella (o quelle) della famiglia e quella della cultura di approdo o delle culture di transizione (non è da trascurare il fatto che molti alunni sono di passaggio, in previsione, se non di rientro nel Paese di origine, di successive migrazioni in altri Paesi, ulteriore fattore che può interferire sul piano della scolarizzazione e deve essere trattato a livello didattico). L’uso di più lingue e di linguaggi plurimi (particolarmente valorizzati nelle attività del Master, tramite pratiche laboratoriali dedicate ai linguaggi estetici e ai silent book) può, allo stesso tempo, essere assunto per compensare eventuali incompetenze nella lingua orale e scritta. Invece, l’eventuale analfabetismo della famiglia (con particolare riferimento ai genitori) sia nella lingua di origine che in quella di approdo rende difficile fornire un necessario supporto allo studio per i/le figli/e (considerando anche l’eventuale impossibilità di ricorrere a recuperi a pagamento o la scarsa cura di questo aspetto per mancata consapevolezza dell’importanza dello studio nella vita) con rischiose ricadute sull’isolamento cognitivo e sociale, sull’apprendimento e sull’inserimento dei figli nella realtà sociale. Allo stesso tempo, la lingua può essere riconosciuta dalla famiglia (e/o dalla comunità di origine) per il suo valore strumentale e/o “di transizione” temporanea fra un modello sociale ritenuto familiare e uno prevalentemente vissuto come estraneo e problematico che ingloba il pericolo di allontanamento e che può favorire un atteggiamento di problematica integrazione configurando alcune popolazioni come «popolo-resistenza» (Asséo, 1989, p. 124). Peraltro, non raramente, le politiche che insistono sugli estremi della ghettizzazione/separatismo o dell’assimilazionismo/omologazione possono produrre e/o amplificare la diffidenza delle famiglie di origine non italiana sia verso il coinvolgimento dei/delle figli/e nella ricerca di settore, sia nelle strategie messe in campo tanto da percepire la scuola come un luogo potenzialmente positivo in funzione dell’integrazione e dell’inclusione ma anche potenzialmente negativo in ragione di rischi di deculturazione e conformazione (amplificando forme di controllo di genere e generazionali e conflitti fra generi e generazioni). La lingua è anche quella dei media (prevalentemente televisione, ma anche radio e stampa, sempre più social e personal media) che possono essere fruiti nella lingua di origine della famiglia, in quella veicolare o del Paese di approdo, e che possono avere un impatto informale sull’apprendimento della nuova lingua (in certi casi coadiuvato anche dai rapporti con la scuola) o sul mantenimento o meno di continuità con il Paese di provenienza, producendo modelli e condizionando stili di vita.

Sul piano della socializzazione, molti alunni non praticano attività pomeridiane con i coetanei al di fuori della scuola se non quelle a fruizione gratuita e prossime ai luoghi di vita. I motivi potrebbero essere riconducibili ad aspetti sui quali occorre riflettere e intervenire sia a livello di macro che a livello di microsistema, fra questi: problemi economici (ossia eventuali condizioni di indigenza familiare che non permettono di usufruire di servizi a pagamento diversamente fruibili dagli altri), mancanza di tempo da parte dei genitori (ossia, sempre per motivi economici, padre e/o madre sono impegnati in lavori pesanti e a tempo pieno e non possono accompagnare i/le figli/e) e questioni culturali (ossia diffidenza nei confronti delle proposte culturali, sportive e soprattutto di natura religiosa, provenienti dal Paese d’immigrazione, nonché, particolarmente in alcune culture, alle madri impegnate nella cura dei/delle figli/e non viene consentito di uscire da casa oppure alle ragazze non è consentito di svolgere attività sportive).

Se la famiglia, in alcuni casi, può reagire inasprendo l’aderenza alle pratiche di inculturazione (per il timore che i figli e le figlie perdano valori e significati della cultura di riferimento), in altri casi, può agire delle aperture che la svincolano dalla solitudine; spesso sono proprio i figli e le figlie e i rispettivi rapporti con la scuola e altre agenzie educative extr-scolastiche del territorio, il gruppo dei pari e i media (mass e personal) a fungere da mediatori con la cultura di approdo e a riportare in famiglia le evenienze dei processi e delle pratiche di acculturazione.

 

Riflessioni conclusive: la famiglia come osservatorio e progetto della migrazione e la lingua e il lavoro come strumenti di integrazione e inclusione culturale e sociale

Un ripensamento delle politiche, dei processi e delle prassi di integrazione e inclusione dovrebbe essere caratterizzato nell’ottica dell’educazione per tutta la vita e del sistema formativo integrato (imponendo di riflettere anche su quali investimenti economici si possa contare e su quali offerte e scambi formativi potrebbero essere concretizzati tra famiglie, scuola e altre agenzie educative), alludendo a una modalità sinergica e strategica di porre in relazione conoscitiva e progettuale – soprattutto – il sistema formale e non formale (pur tenendo ferma la specificità formativa di differenti agenzie e attori) secondo una prospettiva di benessere individuale e di comunità (Cerrocchi e Dozza, 2018).

Se la(e) famiglia(e) – nella sua/loro caratterizzazione complessa e plurale, interconnessa e in evoluzione – coincide (coincidono) con il principale osservatorio e progetto delle trasformazioni sociali e culturali, i principali rispettivi fattori di integrazione e inclusione, culturale e sociale, restano la lingua e il lavoro, ponendo in luce – sul piano della cura del contesto e dell’attivazione del soggetto (entrambi indispensabili per dar luogo a una condizione autenticamente educativa) – l’importanza dei processi e delle pratiche di alfabetizzazione/istruzione e di socializzazione/educazione (con ricadute anche sulla qualità della cura fisica e psichica in senso cognitivo e affettivo).

Questo rende possibile ricordare sia l’opportunità di immaginare percorsi di alfabetizzazione rivolti alle famiglie e di loro migliore socializzazione con la scuola, in ragione di auspicabili risvolti sul rendimento scolastico e – più complessivamente – sulla vita dei figli e delle figlie, sia il ruolo proficuo che, oltre all’insegnante, possono svolgere altre figure come l’educatore professionale socio-pedagogico (quale figura potenzialmente ponte tra scuola, famiglia e agenzie educative extrascolastiche) e il pedagogista (come figura di coordinamento dei servizi socio-educativi, ma anche di supervisione e ricerca) entro una formazione iniziale e in servizio qualitativamente valide e funzionali all’analisi e alla revisione dei curricula scolastici, all’interno e all’esterno della scuola, ove l’ancoraggio e l’alleanza educativa con la famiglia rivestono un determinante ruolo conoscitivo e progettuale.

La possibilità che la scuola traduca la sua intenzionalità formativa (funzione pedagogica) attraverso la sua predisposizione curricolare (funzione didattica) richiede consapevolezza e azione circa le complesse interazioni e interdipendenze tra i fattori di macrosistema, mesosistema e microsistema che concernono processi e pratiche di istruzione e educazione (nella loro inscindibilità)16 come fattori culturali e sociali attraverso cui si concorre a svincolare dalle determinanti biologiche dello sviluppo come dalle forme di oppressione di genere, di generazione, di profilo psico-fisico, di classe sociale e di gruppo-etnico-linguistico-religioso. Coinvolge la scuola sul piano gestionale e curricolare nelle fasi di accoglienza, permanenza e transizione/congedo; relativamente a: analisi/monitoraggio, gestione/coordinamento, programmazione/progettazione, conduzione/intervento, verifica/valutazione e documentazione, format didattici delle lezioni, dei laboratori, dei tirocini, orientamento e counselling, collegialità e/o lavoro di équipe e supervisione, lavoro di rete e/o alleanza con diverse agenzie e attori e, dunque, differenti professionalità; e, nello scambio con l’università, in merito alla formazione iniziale e in servizio, anche – per alcuni aspetti – insieme ad altre figure professionali.

La lingua e il lavoro permettono di entrare in contatto con e di co-costruire pensieri ed emozioni (se non sentimenti), artefatti (materiali e simbolici) e azioni, tramite una coordinazione tra differenti punti di vista resa possibile da attività a carattere disciplinare e interdisciplinare e, insieme, cooperative con caratteristiche di mediazione (per conto di un terzo neutrale) o di negoziazione (tra pari).

Nel fare riferimento alla lingua non possiamo trascurare sia che l’assenza dell’alfabetizzazione linguistica tradisca di fatto la possibilità di quell’accesso trasversale ai saperi che è proprio la lingua a rendere possibile, sia che è la padronanza della lingua scritta a costituire il fattore di discrimine nella comprensione e nella partecipazione al progresso individuale e sociale da parte di ciascuno e tutti membri della famiglia, ponendo il problema del codice ristretto e specifico, come di differenti lingue e linguaggi anche in rapporto alla mancata scolarizzazione o alla dispersione scolastica pur con ricadute in termini di occupabilità futura e di status professionale e, di riflesso, socio-economico; nel fare riferimento al lavoro non possiamo trascurare quanti sono afflitti da un lavoro subalterno e altamente alienante piuttosto che lavorare in un ambiente caratterizzato da una sana qualità del gruppo di lavoro che fa lavoro di gruppo e da un giusto riconoscimento professionale, ponendo il problema di sostenere i membri della famiglia nell’accesso e nella presenza, nell’aggiornamento e nella riconversione, nel ri-orientamento e nel reinserimento al lavoro.

Scegliendo di fare alcune essenziali considerazioni relativamente a questi due fattori e al loro rapporto con le caratteristiche della famiglia, dunque anche alle rispettive ricadute, rileviamo linee di scarsa opportunità sia sul piano della conoscenza, perciò degli strumenti, che dell’intervento, perciò delle strategie che interessano i processi e le pratiche di alfabetizzazione/istruzione (in termini di individualizzazione e personalizzazione) e di socializzazione/educazione (gioco e lavoro, orientamento e counselling). Linee che rimandano alla necessità, ad esempio, di coltivare un rapporto scuola-famiglia e lavoro-famiglia che concepisca anche l’alfabetizzazione e la professionalità degli adulti (il cui peso, si è anticipato, non è trascurabile sui minori e su tutti i membri della famiglia), pratiche di educativa familiare e di sostegno alla genitorialità (riferendoci al possibile contributo dell'educatore professionale socio-pedagogico e dei servizi per l’infanzia e del pedagogista) come di formazione iniziale e in servizio di figure professionali, testimoni consapevoli e ulteriori rispetto a eventuali testimoni soccorrevoli che gli studenti possono incontrare nella loro vita. Sempre in merito alle figure professionali, relativamente all’organizzazione e alla gestione delle istituzioni scolastiche in contesti multiculturali riteniamo indispensabile, da un lato, rendere consapevoli dell’importanza di coltivare la conoscenza delle società di provenienza e delle culture di appartenenza segnandone l’uso complesso, integrato e dinamico, di strumenti e strategie tanto da sventare deculturazione e creare coerenza nei processi e nelle pratiche di socializzazione secondaria e di acculturazione; dall’altro rimandare all’Educazione degli Adulti come questione meta, ossia ambito di riflessione e formazione accademica intorno a chi educa, a cosa educare e come educare colui/colei che andrà a educare senza trascurare una preparazione sul piano della ricerca-azione e della ricerca-formazione.

 

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Note

1 Il sito è stato realizzato con il supporto della Fondazione Marco Biagi, a cui si è ricorso per attività di supporto alla gestione amministrativa del Master FAMI.
2 Cfr. Cerrocchi, 2018.
3 https://archivio.pubblica.istruzione.it/news/2007/allegati/pubblicazione_intercultura.pdf e http://www.cislscuola.it/index.php?id=2872&tx_ttnews[tt_news]=24974&cHash=ff8579e869070f1c9a57c9d90a6ee1a8 (consultato il 6 febbraio 2019).
4 Con inculturazione, si intende, in modo generale, il processo o il fascio di processi consapevoli o inconsapevoli, spontanei o organizzati, diretti o mediati attraverso cui i nuovi nati di un gruppo etnico vengono integrati (tramite la lingua e le forme di aggregazione, trasferendo il proprio patrimonio etico-valoriale e simbolico-culturale) nella cultura del gruppo stesso di cui diventano e si sentono componenti, cioè ne sono portati ad accettare valori e modelli, ad assorbire conoscenze e competenze, a adottare concezioni e comportamenti (Frabboni e Pinto Minerva, 1994, p. 344; Cerrocchi, in Cerrocchi e Contini, 2011, p. 37), ma anche la stratificazione, la differenza e l’interdipendenza degli strati sociali vigenti, in una data epoca, nel proprio contesto di appartenenza (Cerrocchi, 2013).
5 Con acculturazione, si intendono «i processi di scambio (intesi anche come conflitto) che si verificano per il contatto – diretto e continuo – fra culture diverse tra loro, ovvero l’insieme dei processi comprensivi di quei fenomeni conseguenti all’incontro tra più culture e alle relative trasformazioni di patrimoni culturali. Gli scambi, quindi i conflitti e le trasformazioni, non sono estranei a una determinazione storica e dialettica, essendo legati ai rapporti di forza (economici e politici) tra i diversi gruppi sociali e culturali che, insieme alle proprie premesse culturali, incidono sull’accettazione, sulla selezione e sul rifiuto da parte di una cultura nei confronti di un’altra. Quello dell’acculturazione è un fenomeno che per essere meglio compreso richiede di partire dal presupposto secondo cui nessuna cultura è isolata e autosufficiente, ma “si fa” e si trasforma proprio attraverso l’incontro-scambio con altre culture differenti dalla propria, con conseguenti modificazioni – appunto – nei modelli culturali originari di uno o di entrambi i gruppi (e con una varietà di posizioni intermedie che vanno dal contatto effimero all’ibridazione, dalla contaminazione al meticciato fra culture, come scelte consapevoli o obbligate, dirette o mediate) (Cerrocchi, in Cerrocchi e Contini, 2011, p. 37; Cerrocchi, 2013). Come la ri-socializzazione, l’acculturazione (intesa come seconda, o oltre, inculturazione) può permeare, in modo più o meno profondo, qualsiasi esperienza di vita dell’individuo consentendo una ristrutturazione e una riorganizzazione delle esperienze stesse, tanto, in alcuni casi, particolarmente quelli riferibili alle generazioni diverse dalla prima, da tradursi nella delineazione di un’autentica personalità biculturale o multiculturale, ma, nel sopraggiunto «villaggio globale», anche in processi di deculturazione, come perdita di propri elementi connotativi, per effetto di processi di assimilazione e di conformazione (o di adeguamento passivo) rispetto a culture maggioritarie e/o dominanti» (Cerrocchi, 2013; Cerrocchi in Ellerani, 2014, p. 105).
6 Con socializzazione primaria si intende la socializzazione ai rapporti (verticali) con adulti e (orizzontali) con i pari che avviene internamente alla famiglia; con socializzazione secondaria si intende la socializzazione ai rapporti con figure autorevoli (verticali) o paritarie (orizzontali) che, sulle basi di quella primaria, procede nella scuola, nel lavoro, nelle relazioni diffuse, ecc.
7 Le culture – in accezione etnico-antropologica – producono cultura come sapere e, allo stesso tempo, si distinguono anche come culture e cultura di genere, generazione, profilo psico-fisico, classe sociale e gruppo etnico-linguistico-religioso.
8 In quest’ultimo caso, l’integrazione e l’inclusione dovrebbero rimandare a condizioni/forme di presenza in cui – tra identità e appartenenze – il soggetto, singolo o collettivo, direttamente o indirettamente, si insedia e assume (in genere) permanentemente le abitudini del Paese di approdo (assimilandone soprattutto nella e rispetto alla sfera pubblica i nuovi valori-significati-codici), pur mantenendo inalterate le proprie peculiarità (e/o conservando soprattutto nella e rispetto alla sfera privata i propri valori-significati-codici), ossia ponendo equilibrio fra gli esiti dei processi di inculturazione e acculturazione e fra quelli della socializzazione primaria e secondaria.
9 Distinguiamo tra le principali forme di strutturazione del nucleo nella migrazione (Balsamo, 2003; Cerrocchi, 2013; 2018): tradizionale al maschile, ricongiungimento al femminile (per esempio i casi delle donne filippine degli anni ’80 e recentemente delle donne dell’Est), neocostitutivo, simultaneo, monoparentale, biculturale (con famiglia mista), diasporico, di minori stranieri non accompagnati (ormai una nuova e specifica coorte presente nelle scuole e nelle comunità per minori), di orfani bianchi (minori i cui genitori sono in vita ma che lavorano in altri Paesi, dunque maggiormente esposti ai rischi dell’assenza di cura fisica, psichica, sociale e culturale e, più ampiamente, educativa: di questi minori non possiamo escludere che, nel tempo, raggiungeranno i genitori) e di minori presunti (ossia di minori di cui non conosciamo l’effettiva età anagrafica, ad esempio perché vengono da Paesi in cui ne è venuta meno la registrazione alla nascita, dichiarano un’età diversa per ragioni di opportunità che stanno alle contraddizioni della migrazione o la cui età effettiva è coperta da privacy per ragioni di sicurezza: sebbene dobbiamo considerare l’età non solo come fattore anagrafico ma tipicamente culturale, secondo pratiche che per alcune classi sociali e gruppi etnici possono essere ritenute di adultizzazione con rispettive attese in termini di responsabilità nei confronti della famiglia); ci spingiamo ad argomentare anche in termini di famiglie affidatarie e/o adottive, di case-famiglia e/o di comunità per minori (peraltro con una distribuzione altamente disomogenea e/o a macchia di leopardo per specificità politico-economiche e socio-culturali dei territori) e, di riflesso, sia della presenza di tali minori, sia del rapporto di tali tipologie sociali con le scuole e i contesti educativi extrascolastici di cui questi minori usufruiscono.
10 Il modo in cui la nascita dei/lle figli/e e/o il loro arrivo viene trattato e vissuto da parte dei genitori (come dal resto della famiglia) può segnare il tentativo e l’impegno di non rimanere invisibili e ai margini della società, spingendo gli adulti ad assumere ruoli sociali nuovi oltre a quello di lavoratore, tali da permettere alla prole di godere di migliori condizioni di vita, avviando o ampliando intrecci e interazioni stabili con altri luoghi e figure educative (ad esempio, la scuola e gli insegnanti).
11 La ricorsività fra teoria e prassi – densa di condizioni motivazionali e sperimentali – ha importanti potenziali fisico-motori, cognitivo-affettivi, socio-relazionali, etici ed estetici, poiché rende rispettivamente possibili processi “di ri-produzione (alfabetizzazione di base nelle singole discipline), ri-costruzione (indagini conoscitive a livello metacognitivo sulle conoscenze acquisite) e reinvenzione delle conoscenze (trasfigurate in modo personale e creativo da soggetti, singoli e collettivi)” (Frabboni, 1992), affrancandosi, attraverso una formazione multidimensionale e/o integrale, dai rischi di subalternità e alienazione dai prodotti e dai processi.
12 Peraltro, le famiglie meno attrezzate a livello sociale e culturale non necessariamente colgono l’importanza della scuola nella formazione dei figli e/o possono avere una visione di alfabetizzazione minima e meramente strumentale; nel caso di alcune famiglie questo si ripercuote soprattutto sulle figlie femmine (che possono limitare la loro presenza alla scuola dell’obbligo e/o finire per andare a scuola a singhiozzo tanto da assolvere a compiti domestici o restare a casa ad accudire il resto della famiglia anche per diverso tempo a fronte della partenza della madre), sebbene non manchino molti casi in cui le famiglie mostrano di cogliere il valore formativo e il potenziale di crescita sociale della scuola.
13 All’interno di una riflessione intorno a quel contributo fondamentale che la scuola potrebbe e dovrebbe corrispondere, si rendono necessarie sia una revisione dei programmi d’insegnamento, sia l’adozione di una prospettiva curricolare che sappia valorizzare gli effetti formativi delle singole discipline, ma anche del valore che assumono nella loro globalità (ciascuna disciplina è necessaria ma se presa da sola insufficiente): da un lato, le scuole – reputa Taylor (1998) – debbono modificare il “canone” (in cui rientrano autori e cultura) che si tende a trasmettere, allargandolo anche a produzioni di altre culture ponendo, così, il problema di un giudizio di merito e/o di valore attendibile e valido per far confluire nel canone produzioni culturali dei cui significati e della cui portata siamo ignari ovvero manchiamo di una profonda e onesta conoscenza (Cerrocchi, 2011); dall’altro, il curricolo dovrebbe riuscire a connettere l’intero sistema di saperi, interno ed esterno alla scuola, supportato – ricorrendo alle parole di Frabboni (2002) e di Baldacci (2006) – dalla definizione dei traguardi che si propone e dall’organizzazioni degli specifici saperi che prevede, per dare integrità e unità all’esperienza formativa ossia concorrendo a formare formae mentis capaci di pensiero logico-paradigmatico, tipico delle scienze esatte, e di pensiero narrativo, tipico delle scienze umane (Bruner, 2000; 2002), e in funzione di una conoscenza e di una coscienza che ineriscano ecologicamente ed eticamente il progresso scientifico e sociale.
14 Per esempio, essere di prima generazione è diverso da essere di seconda o terza generazione, come da essere figli di coppie miste, ecc.
15 Per esempio, essere cinesi è diverso da essere rumeni, tunisini, ecc., senza trascurare le ulteriori articolazioni interne di un gruppo etnico.
16 Nessun mezzo è neutrale poiché qualsiasi mezzo coincide con un fine procedurale che corrisponde alla padronanza del suo compito esecutivo; potremmo anche considerare che qualsiasi mezzo educa a un preciso modo di pensare, sentire e agire la realtà, pertanto oltre alla scelta dei fini risulta fondamentale quella dei mezzi. L’istruzione ha sempre un abito educativo poiché costituisce un mezzo per il fine dell’educazione, ossia di acquisizione della coscienza (di genere, generazione, profilo psico-fisico, classe sociale e gruppo etnico-linguistico). Ne consegue l’importanza di un consapevole e coerente rapporto tra fini e mezzi dell’educazione e dell’istruzione.

DOI: 10.14605/EI1621903


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ISSN 2420-8175. Educazione interculturale.
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