Quali significati assume l’analisi delle discriminazioni rivolte al genere femminile e al colore della pelle in uno scenario socio-politico dominato dalla marcata politicizzazione delle appartenenze etniche e da una volgarizzazione delle questioni di genere? Come avvicinarci alle “plurali forme di discriminazioni che assumono il rango di razzismo e sessismo” a fronte di pratiche e linguaggi pubblici che contribuiscono a normalizzare una crescente ostilità nei confronti della diversità?
Con tali questioni il volume Discriminazioni fra genere e colore. Un’analisi critica per l’impegno interculturale e antirazzista (edito da FrancoAngeli, 2018) vuole fare chiaramente i conti. Fin dalle prime pagine, le curatrici – Stefania Lorenzini e Margherita Cardellini – esplicitano infatti l’urgenza di reagire alle letture insoddisfacenti che prevalgono nel discorso pubblico attraverso un impegno critico orientato a “fare pressione” sulle categorie di senso comune. Un impegno sostenuto da una precisa consapevolezza che si evidenzia anche nell’impostazione del volume: la necessità di analizzare un fenomeno multidimensionale e complesso, attraversato da molteplici tensioni e contraddizioni, ricorrendo a differenti angolature disciplinari (storica, pedagogica, psicologica, sociologica) e a vocabolari e linguaggi plurali (non solo quelli scientifici ma anche quelli artistici e fotografici, per esempio).
Ad accompagnare la lettura dei tanti saggi che compongono il volume sono alcune cornici e argomentazioni comuni. In primo luogo, analizzando le categorizzazioni sociali e la costruzione discorsiva dell’Alterità ci addentriamo in un processo multiplo e contestato, in cui le discriminazioni possono manifestarsi in forme esplicite, se non feroci, ma anche esprimersi in modi ambigui, occulti, multi-sfaccettati. Questo sguardo critico è incoraggiato dalla molteplicità degli ambiti empirici che sono esplorati nei diversi contributi. Le riflessioni spaziano, infatti, dalle discriminazioni che si evidenziano nell’ambito lavorativo (discusse da Ojeaku Nwabuzo e Claudia Marà) alle rappresentazioni razzializzate dell’Altro e ai punti di vista critici espressi da bambini e bambine che frequentano le scuole primarie (indagate da Margherita Cardellini nel contesto bolognese e da Annalisa Frisina in Veneto); dalle esperienze delle donne coinvolte nella migrazione, in particolare provenienti dall’Africa sub-sahariana (nel contributo di Giovanna Campani), alle contraddizioni che emergono nelle pratiche dei figli di migranti e fra coloro che sono coinvolti in percorsi di adozione internazionale (nel saggio di Stefania Lorenzini), o ancora nelle traiettorie identitarie dei figli di ‘coppie miste” che presentano tratti somatici visibili (al centro dell’articolo di Cristina Sebastiani); dai linguaggi e diversi modi con cui “nominiamo” le diversità (su cui si cui focalizza Vincenza Perilli) fino alla corporeità e al corpo, inteso non solo come “oggetto” di rappresentazioni e proiezioni simboliche (evidente nel progetto fotografico illustrato da Francesca Zannuto e Bruna Wandekoken) ma anche come luogo in cui si iscrivono le categorizzazioni discriminanti e le gerarchie di potere (dimensione esplorata soprattutto da Alessandro Vaccarelli).
Quest’ultimo punto anticipa un altro filo conduttore del volume, orientato a mettere in luce i rapporti di forza che si articolano e stratificano nella relazione con l’alterità (anche se altrettanta attenzione non sempre è prestata alle soggettività e alle possibilità trasformative dei diversi attori sociali). A tale proposito, i contributi rendono conto di alcuni meccanismi con cui pregiudizi e stereotipi sociali vengono naturalizzati nel discorso comune (come Marta Rohani e Cinzia Albanesi evidenziano), portando alla luce quei processi storici che li ancorano profondamente al passato coloniale e al razzismo fascista italiano (ben evidenziati da Vaccarelli e Campani).
Un po’ sullo sfondo resta invece l’approccio intersezionale, che solo in alcuni casi viene messo in campo per leggere le pratiche e i discorsi che forgiano i processi discriminanti (e che chiamano in causa assi di differenza non solo legati alla razza e al genere ma anche alle condizioni sociali, materiali, giuridiche, generazionali, ecc.).
Un’ulteriore riflessione al centro del volume riguarda infine la necessità di scardinare un approccio celebrativo delle differenze (tanto nel senso comune quanto nelle prospettive pedagogiche, sottolinea Anna Aluffi-Pentini) e di decostruire costrutti etnocentrici e visioni essenzialiste dell’identità e cultura, pensate come entità fisse e immutabili (su cui giustamente insiste Massimiliano Fiorucci), non limitandosi a sostituire il discorso razzista con un paradigma anti-razzista (come esplicita Annalisa Frisina). Piuttosto dotandosi di lenti interpretative sofisticate per leggere le dinamiche discriminanti, tendenti all’inferiorizzazione e alla disumanizzazione dell’Altro, che possiamo prefigurare nuovi scenari sociali e dispositivi capaci di farsi carico della formazione di operatori coinvolti a diverso titolo in questioni educative e interculturali.
Per tali ragioni la lettura del volume è suggerita anche a insegnanti e educatori e, in generale, a tutti coloro che sono interessati a cimentarsi con la complessità di un campo, come quello delle discriminazioni rivolte al genere femminile e al colore della pelle, che Lorenzini e Cardellini qui interpretano come impegno critico, pedagogico e interculturale, in senso anti-razzista e anti-sessista.