Test Book

Sezione aperta / Open section

Zygmunt Bauman e il bisogno di educazione interculturale
Zygmunt Bauman and the need for intercultural education

Agostino Portera

Ordinario di Pedagogia Interculturale, Centro Studi Interculturali, Università di Verona


Autore per la corrispondenza

Agostino Portera
Indirizzo e-mail: agostino.portera@univr.it
Centro Studi Interculturali, Università di Verona, Via Vipacco, 7, 37129 Verona, Italia



Sommario

Le globalizzazioni e l’interdipendenza planetaria ingenerano radicali sfide e trasformazioni di ordine economico, politico, sociale, giuridico e culturale, da cui derivano anche profonde crisi. In particolare, si attesta una profonda crisi educativa che investe tutte le istituzioni esistenti, specie famiglia e scuola, da cui scaturisce anche una vasta crisi pedagogica. Tesi centrale del presente contributo è che, per superare le laceranti crisi attuali, occorre ricominciare proprio dalla cultura, dall’educazione e dalla pedagogia, intesa in maniera interculturale. Nell’articolo tali tesi sono fortemente supportate anche da Zygmunt Bauman, inventore del concetto di società liquida, nel corso di una intervista appositamente rilasciata.

Parole chiave

Globalizzazione, interdipendenza, educazione, pedagogia interculturale.


Abstract

Globalisation and world interdependence have caused drastic challenges at economic, political, legal and cultural levels, modifying the manner of generating and spending wealth, the political power of Nation States, and the identities and relational systems of individual citizens. As a result, huge crises have arisen in many areas of life, especially the aforementioned. In particular, a profound educational crisis is occurring within educational institutions such as family and school, which in turn gives rise to a broad pedagogical crisis within the academic fields which reflect on education. The central thesis of this article is that, in order to overcome many of the contemporary crises, there is a desperate need to start by reinvesting in culture, education and pedagogy from an intercultural perspective. In the following pages, this thesis will be firmly supported also with insights from an interview with the sociologist Zygmunt Bauman, inventor of the liquid society.

Keywords

Globalisation, interdependence, education, intercultural education.


Cambiamenti e bisogno di cultura, di educazione e di pedagogia

All’inizio del nuovo millennio sono subentrati radicali cambiamenti che hanno stravolto il modo di vivere di pressoché tutti gli abitanti della terra. Le trasformazioni più rilevanti sono di ordine economico, politico, sociale, giuridico e culturale. La globalizzazione e l’interdipendenza planetaria modificano radicalmente il modo di produrre e spendere ricchezza, il potere politico degli Stati nazionali, la cultura e le modalità di relazione dei singoli cittadini, con drastici aumenti di mobilità e di incontri-scontri fra donne e uomini differenti in termini di ricchezza economica, scolarizzazione, lingua, cultura e religione. Tali mutamenti non possono non incidere sull’idea di educazione. Nel tempo postmoderno, in seguito all’indebolimento dell’autorità e alla polifonia dei messaggi valoriali, e alla frammentarietà della vita, si attesta una profonda crisi educativa che investe tutte le istituzioni esistenti, in particolare famiglia e scuola. Da tale crisi educativa scaturisce anche una profonda crisi pedagogica.

Riflettendo su tale situazione, come ho esplicitato meglio in altra sede (cfr. Portera, 2007), la strada maestra per superare le cocenti crisi economico-finanziarie, politiche, ambientali e sociali, è investire nella cultura, nell’educazione e nella pedagogia, intese in maniera interculturale.

In ambito ellenico il valore della cultura, definita come «bene più prezioso che sia dato agli uomini», era costituita dall’eloquenza e dal sapere. La traduzione latina, ad opera di Marrone e Cicerone, di paidèia con humanitas ha aggiunto anche il significato moderno di civiltà e l’attributo di «forma personale della vita dello spirito». Nell’era dell’informazione, laddove i dati sono facilmente accessibili a tutti, il sapere e le conoscenze acquisite all’inizio della vita non possono essere considerati come fine, ma devono essere concepiti come mezzo, come strumento per giungere al vero traguardo: quello di sviluppare il piacere di imparare, conoscere, scoprire.

Considerando i rapidi cambiamenti, imparare a conoscere vuol dire anche saper usare metodologie idonee e detenere la facoltà di giudizio autonomo. In una società complessa, è indispensabile che fin dall’infanzia il soggetto riesca ad acquisire un’identità stabile e culturalmente ben radicata, ma anche aperta al confronto, all’interazione e al dialogo con tutti gli altri esseri umani, a prescindere dalle differenze sociali, economiche, linguistiche, religiose o culturali. Proprio nella stagione del pluralismo e della complessità occorre ricominciare dalla cultura, per riscoprire e promuovere l’amore per il sapere e per la conoscenza. Proprio nel tempo di internet e dei voli low cost, in cui risultati e scoperte si incontrano e si scontrano con velocità inedita, è necessario acquisire saperi fondanti, metodologie e principi orientativi (regole, etica, valori) che possano fungere da bussole per leggere le cartine che la vita ci propone costantemente. Oggi il pluralismo culturale (lingue, religioni, usi, costumi, norme, valori) impone attitudini e capacità radicalmente diverse, come quella di saper scegliere. Si tratta di riuscire a orientarsi nella giungla delle informazioni, distinguere fra saperi fondati e fantasticherie, maestri seri e ciarlatani, fonti attendibili o meno, intenti (in)formativi e manipolatori.

Per quanto concerne il valore dell’educazione, oggi, anche per favorire un adeguato arricchimento culturale, è necessario e urgente promuovere un’educazione radicata nella ferma convinzione circa l’educabilità di tutti gli esseri umani, a prescindere dal luogo in cui sono nati, dalle intelligenze ereditate, da tutte le caratteristiche etniche o culturali. Ogni essere umano, in ogni periodo storico e in ogni angolo della terra, è condannato all’educazione: senza la presenza fisica e il competente ruolo dell’educatore, scevro da un qualche aiuto esterno, il neonato non riuscirebbe neanche a sopravvivere.

Ogni buona educazione rappresenta una scorciatoia, nel senso di utilizzare al meglio il passato per costruire bene il futuro (per Goethe chi ignora gli ultimi tremila anni di storia non può capire il presente). Proprio nella società pluralistica e complessa, a fronte della crisi di valori e di orientamento, che sempre più spesso sfociano in atteggiamenti violenti, distruttivi e talvolta anche patologici, Pertanto, è indispensabile l’intervento educativo. Per riconoscere e gestire meglio i cambiamenti e le sfide della globalizzazione e dell’avvento della società multiculturale, per il raggiungimento di molti degli obiettivi culturali suddetti, è di precipua importanza ricominciare dall’educazione.

La vita e la crescita nelle società democratiche implicano ineluttabili periodi di istruzione. La libertà, la pluralità giuridica e le grandi occasioni insite nella democrazia necessitano di essere esplicitate. Le conoscenze circa le politiche democratiche non possono essere intuite, le regole e i limiti necessari a gestire i rapporti sociali non possono essere lasciati all’improvvisazione, le opportunità non si colgono nello spontaneismo: sono fondamentali educazione, istruzione e formazione. «La qualità del sistema educativo di una nazione sarà un fattore determinante, forse il fattore determinante, del suo successo nel nuovo secolo e oltre» (Gardner, 1999, p. 11). Le società democratiche non potranno sopravvivere senza la presenza di cittadini educati.

Movendo dal fondamentale bisogno educativo dell’essere umano, emergono l’importanza e l’urgenza di riflettere su tale atto, al fine di studiarne e scegliere obiettivi, contenuti, metodi e mezzi. Martha Nussbaum (2006) ricorda come, nonostante l’educazione e l’istruzione pubblica siano cruciali per mantenere in vita i sistemi democratici, scuola e università si concentrino maggiormente nella promozione delle discipline vicine alle scienze e alla tecnologia, piuttosto che promuovere negli studenti capacità critiche e creative. A tutt’oggi, pur nell’apporto interdisciplinare, il compito dell’educazione e della formazione di capacità critiche può essere svolto al meglio dalla pedagogia.

Fra tutte le scienze umane necessarie all’acquisizione culturale, per pensare adeguatamente l’intervento educativo, la pedagogia assume un ruolo peculiare. A mio parere, essa è da intendere come la Scienza dell’educazione, caratterizzandosi quale unica disciplina che pone al suo centro esclusivamente la riflessione sull’atto educativo. Oggi più che mai è necessario investire su una pedagogia (Laeng, 1992) che tenga conto di aspetti: (a) antropologici (soggetto: chi è l’uomo), comprende tutte quelle discipline dedite allo studio dell’essere umano, utili per la comprensione dell’uomo educabile, della persona dell’educando e dell’educatore, nonché del loro peculiare rapporto educativo (specie sociologia, psicologia, antropologia culturale, ma anche biologia, medicina, storia, filosofia); (b) teleologici (oggetto: chi deve essere l’uomo), tutte le riflessioni (proprie non solo della teologia, ma anche della morale filosofica, religiosa e laica) che riguardano i fini dell’educazione, intesi anche come ideali condivisi, valori (il piano assiologico; le abilità e virtù) da promuovere; (c) metodologici (metodo: quale strada percorrere), che costituisce «il corpo più cospicuo per mole»,e molti altri autori reputano «lo specifico» del discorso pedagogico, impiega tutte quelle discipline che concorrono a individuare al meglio i contenuti più utili, la comunicazione più efficace, le maniere migliori di convinzione (nel senso di vincere assieme), di interesse, di promozione; tutto ciò che serve a riflettere sugli aspetti generali (comunicazione), particolari (età, cultura) e speciali (handicap), sui mezzi da impiegare, sull’efficacia (tempo, errori), nonché sulle specifiche didattiche (piani, sistemi, tecniche particolari). Una pedagogia intesa in tale modo non potrà essere sostituita né dalla sociologia né dalla psicologia, diviene imprescindibile in una società complessa, che sceglie di reagire alla crisi di valori e di orientamento investendo sulla cultura e sull’educazione.

Infine, in una stagione di costante aumento di mobilità reale (immigrati, rifugiati, profughi, clandestini, turisti, ricercatori, industriali) e virtuale (televisione, cinema, internet), anche la pedagogia necessita di opportuni e indispensabili mutamenti. Se per secoli essa ha inteso l’educazione come inserimento, in maniera assimilatoria, in termini di lingua, cultura, valori o religione nazionali, nella stagione del pluralismo e dell’interdipendenza planetaria tale concetto va completamente ripensato. La pedagogia è chiamata a interrogarsi circa la forma di educazione migliore a fronte di così tante differenze. Quali saranno i valori da promuovere? A quale antropologia, teleologia e metodologia riferirsi? Quali saranno i contenuti da veicolare, i metodi da impiegare, gli obiettivi da perseguire, a fronte di tutte le diversità esistenti?

Attualmente, in Europa, la risposta pedagogica più idonea alla nuova situazione (la globalizzazione degli esseri umani e delle loro forme di vita, la crescente compresenza e la convivenza di più usi, costumi, lingue, modalità comportamentali e religioni) sembra essere contenuta nel concetto di pedagogia interculturale (cfr. Portera, 2013). Sorta solamente agli inizi degli anni Ottanta, a mio parere essa può essere considerata come rivoluzione pedagogica. Tale cambiamento di paradigma pedagogico è da definire rivoluzionario nella misura in cui ha permesso di superare le strategie educative a carattere compensatorio, dove l’emigrazione, lo sviluppo e la vita in contesto multiculturale erano intesi solamente in termini di rischio di disagio o di malattia. Per la prima volta nella storia educativa, in Europa, la scolarizzazione dei figli dei lavoratori emigrati negli Stati membri avveniva prendendo atto della continua evoluzione, della dinamicità delle singole culture e delle singole identità. Per la prima volta nella storia della pedagogia l’alunno straniero è considerato in termini di risorsa e si riconosce ufficialmente l’opportunità di arricchimento e di crescita personale che può scaturire dalla presenza di soggetti culturalmente ed etnicamente differenti.

Per la pedagogia interculturale concetti come identità e cultura non sono più intesi in maniera statica, bensì dinamica, in continua evoluzione; l’alterità, l’emigrazione, la vita in una società complessa e multiculturale non sono più considerate come rischi di disagio o di malattie, ma vengono concepite come delle opportunità di arricchimento e di crescita personale e collettiva. L’approccio interculturale, di fatto, tiene conto delle opportunità e dei rischi dei due modelli precedenti (multiculturale e transculturale), collocandosi tra universalismo e relativismo, ma li supera ambedue e li integra in una nuova sintesi: aggiungendo la possibilità del dialogo, del confronto e dell’interazione.

Laddove la multi e la pluricultura richiamano fenomeni di tipo descrittivo, riferendosi alla convivenza, più o meno pacifica, gli uni accanto agli altri, di persone provenienti da culture diverse, l’aggiunta del prefisso inter presuppone la relazione, l’interazione, l’attività nell’attività, lo scambio di due o più elementi.

 

Bisogno di cultura, di educazione e di pedagogia: il parere di Zymunt Bauman

Nel 2013 si è tenuto a Verona un convegno dal titolo Educazione e Counselling Interculturale nel mondo globale, organizzato dal Centro Studi Interculturali dell’Università di Verona, dall’Università di Toronto, dall’International Association for Intercultural Education e molte organizzazioni nazionali e mondiali.1 Dai contributi dei circa 160 relatori e 400 iscritti, provenienti da tutti i continenti e i più diversi Paesi del mondo, è emerso come il terzo millennio sia iniziato con una vera rivoluzione sul piano della convivenza umana. Lo scopo precipuo del convegno è stato di riflettere sul fatto che le enormi disparità, i fondamentalismi religiosi e politici, le guerre, lo squilibrio tra paesi ricchi e poveri, continuano a causare un crescente aumento di mobilità degli esseri umani. In tutto il pianeta si registra una crescente interdipendenza economica, scientifica, culturale e politica, che rende tutte le società sempre più multietniche e multiculturali. Da ciò scaturiscono inediti momenti di incontro, confronto (a volte scontro), ingenerando forti crisi e opportunità in tutti i settori della vita civile, dall’economia alla politica, all’assistenza psicologica e sociale.

A fronte di tale situazione, si è cercato di riflettere in maniera multidisciplinare (specie pedagogia, psicologia e sociologia), multiprofessionale (educatori, insegnanti, assistenti sociali, counsellor, infermieri, terapeuti) e multiculturale (cittadini di Stati diversi) sulle risposte più opportune da dare e sulle competenze interculturali da acquisire. Nel presente contributo vorrei riportare soprattutto il pensiero di Zygmunt Bauman che, oltre a tenere la relazione introduttiva al convegno, ha accettato di concedermi un’intervista esclusiva.

Da tale intervista emerge chiaramente come il sociologo polacco, inventore della società liquida, ribadisca il bisogno di cultura, di educazione e – con mio grande stupore e compiacimento anche – di competenze (pedagogiche) interculturali.

Fra tutte le minacce, inquinamento, consumismo, solitudine, nella società globalizzata la sfida più difficile – fa notare Zygmunt Bauman – è quella del misurarsi con la diversità culturale. Lo straniero, il diverso lo abbiamo in casa e non se ne andrà. La soluzione, allora, grazie alle competenze interculturali, è saper trasformare rischi e problemi in un'occasione di arricchimento reciproco. Come? Con la cooperazione e con il dialogo, specie se di tipo interculturale. Vista la preziosità delle risposte, come stimolo anche al bilinguismo e al decentramento, ritengo utile riportare dapprima l’intervista in originale e successivamente la trascrizione in italiano.

 

Thank you from hearth Prof. Bauman!!!

 

Intervista tradotta in italiano

  1. Caro Prof. Bauman, per prima cosa desidero ringraziarla per avere accettato di intervenire al nostro convegno internazionale Intercultural Counselling and Education in the Global World, tenendo la relazione di apertura. Grazie anche per il tempo per questa intervista (l’unica rilasciata). Come uno dei massimi esperti, vorrei innanzitutto chiederle, professor Bauman, quali sono a suo parere i rischi e le sfide maggiori della globalizzazione e della società liquida?

«Le sfide a cui si fa riferimento sono troppo numerose per citarle in una breve conversazione. Ma quelle che io considero più serie e gravide di conseguenze sono due. Innanzitutto l’aumento esponenziale di informazioni: negli ultimi trent’anni l’umanità ha prodotto così tante informazioni come in tutta la storia precedente dell’homo sapiens. Successivamente il venir meno, per gli educatori e i formatori professionali, del loro ruolo di guardiani del cancello della conoscenza. La prima sfida significa che il maggiore ostacolo all'acquisizione e alla divulgazione di una conoscenza affidabile non è più la scarsità d’informazione (come avveniva fino a pochi decenni fa), ma il suo eccesso. La maggior difficoltà, oggi, è come discernere la manciata di rilevante e affidabile conoscenza di cui si necessita dalla straripante montagna di informazioni prodotta da incerti e dubbiosi fonti, considerati autorevoli. La seconda sfida implica che gli insegnanti si trovano gettati in una competizione con altre infinite fonti di conoscenza e di sapere, la maggior parte delle quali scommettono sul valore seduttivo, con parole alla moda, dell'informazione offerta, anziché puntare sulla qualità, la rilevanza e la solidità di quanto dicono». 

  1. Nel libro Conversazioni sull’educazione (Bauman e Mazzeo, 2012), scritto assieme a Riccardo Mazzeo, lei afferma che nella modernità liquida si aggira il fantasma del superfluo. Stiamo vivendo in una civiltà caratterizzata da eccessi, sovrabbondanza, spreco; dall’effimero, dal volatile e dal precario. La cultura occidentale pare fondata su una fame di oggetti da consumare, indotta da un’economia consumistica, mentre noi viviamo in un modo egoistico e materialista. Che conseguenze ha tutto questo per l'ambiente? Come esseri umani, stiamo forse rischiando l'estinzione?

«Il libro a cui si riferisce è frutto di un mio lavoro congiunto con Riccardo Mazzeo. Qualsiasi mia affermazione è risultato della nostra conversazione e delle conclusioni tratte assieme. Detto questo, un aspetto della cultura del consumismo è una pianificata ma insaziabile fame di novità – attrazione e tentazione rispetto al nuovo, per la inedita esperienza sensuale che promette, appena la capacità seduttiva del vecchio lentamente decresce. Ma anche il nuovo con il tempo tende a mutare – diviene pallido e meno attraente – molto in fretta, con velocità crescente. Come ha osservato George Steiner, uno dei più acuti osservatori della cultura contemporanea, le offerte culturali oggigiorno sono valutate per il loro massimo impatto e l'immediata obsolescenza. Questa è un'atmosfera da bazar kawaitiano o da casinò, decisamente inadatta per un'accumulazione sistematica della conoscenza e per una comprensione profonda, che sono poi lo scopo e la ragion d'essere dell'educazione».

  1. Sul piano mondiale la politica diviene sempre più impotente: è impossibile governare fenomeni globali (inquinamento, guerre, migrazioni) mediante provvedimenti politici locali. In Italia la situazione è particolarmente complicata. Come pensa che sia possibile far capire ai responsabili politici e promuovere presso i cittadini la verità che, in tempi di globalizzazione e interdipendenza planetaria, o tutti vinciamo assieme o tutti perderemo, tertium non datur?

«Non mi sento competente al punto da suggerire un metodo, a prova di errore, per raggiungere questo risultato. Ma di una cosa sono certo: che, nel tentativo di arrivare a tale risultato, non possiamo e non dobbiamo fermarci. Questo perché mi sono convinto che adesso è quanto mai il momento di iniziare ad agire in armonia con tale convinzione. Sono d’accordo: è veramente una questione di vita o di morte per il genere umano. L'ignoranza e la negligenza, in questo caso, sono la ricetta per il disastro. Fra i loro effetti, è sufficiente citare la crescita di sentimenti neotribali e xenofobi, il progressivo esaurimento delle risorse planetarie che sono alla base della nostra sopravvivenza, il mucchio di danni collaterali provocati dal nostro insostenibile stile di vita. Uno stile di vita identifica il benessere e la felicità umani (individuali così come collettivi e condivisi) con una crescita economica senza limiti, la quale perpetua l'aumentare dei consumi. Ma la lista degli effetti disastrosi è molto più lunga, e quasi ogni giorno impariamo che è più lunga di quanto pensassimo il giorno prima».

  1. In forza della globalizzazione e dell’interdipendenza, nel tempo del neoliberismo e della standardizzazione anche l'istruzione è in crisi. La crisi emerge anche da un accesso non paritario alle università: una scuola basata sul business e riservata a una minoritaria e privilegiata élite. La commercializzazione del mondo scolastico rischia di portare a considerare le persone come oggetti. Qual è, secondo lei, la via d'uscita? 

«A prescindere se previsto o involontario, l’effetto della filosofia neoliberale – se applicata all'educazione e, in maniera più forte, all’istruzione scolastica e universitaria – produ­ce una modificazione del sape­re e una commercializzazione della sua distribuzione e della sua fruizione. Sono d’accordo con lei che l'effetto collate­rale di quei processi è rappresentato dall’aumento delle diseguaglianze sociali e dall'approfon­dimento delle divisioni socia­li, anziché – com'è stato sperato e promesso – dall'accrescimen­to delle opportunità e dallo stimo­lare la mobilità sociale verso l'alto. Scuole e università, istruite e forzate al gio­co della domanda e dell'offer­ta di mercato anziché alla coltivazione dei valori del miglio­ramento personale, mirano a modellare i propri studenti secondo prodotti formativi che sono attrattivi sul piano del business, esponendo così i loro allievi agli endemicamente imprevedibili e incontrollabili capricci e desideri delle forze del mercato. Il prezzo che attualmente paghiamo è un massivo gruppo di inoccupati, di diplomati altamente – ma come emerge ora inutilmente – laureati. Una generazione vittima di promesse disattese e di opportunità sprecate.

Lei mi chiede di dire quale potrebbe essere la via di uscita… Di un aspetto abbiamo bisogno di essere sicuri: di intraprendere veramente la via di uscita del cul-de-sac nel quale il sistema scolastico e universitario è stato manovrato. Per uscire dal caos attuale e dai conseguenti danni sociali, sviluppatisi come risultato di tali scelte, questa via di uscita necessita di ricollocare l’educazione e l’istruzione nei posti che gli spettano e gli appartengono: via dal ruolo di stazione di servizio ausiliare del mercato, per entrare nel regno delle politiche sociali. Quel regno dove le decisioni e le scelte politiche sono prese in funzione del tipo di mondo nel quale gli Sta­ti e le loro popolazioni voglio­no essere portati; laddove Stati nazionali e le loro popolazioni sono accompagnati e guidati nella scelta di valori da promuovere che aiutano a prendere tali decisioni».

  1. Nelle mie pubblicazioni considero l'educazione interculturale come la Ri­voluzione Copernicana (cfr. Portera, 2006; 2013) poiché l'identità e la cultura non sono viste come statiche, ma dinami­che e in costante evoluzione. La diversità, l'emigrazione, la vita in una società multiculturale non sono solo fattori di rischio ma rappresentano anche opportunità di arric­chimento e di crescita. L’approccio interculturale, posizionato tra universalismo e relativismo, li trascende entrambi e li organizza in una nuova sintesi, aggiungendo le oc­casioni di contatto, dialogo, scambio e in­terazione. Potrebbe dirmi la sua opinione al riguardo? Crede che tale approccio potrebbe essere adeguato a gestire le società liquide e la complessità attuale?

«Di nuovo, lei ha perfettamente ragione su questo. Noi siamo in effetti sottoposti a qualcosa che ricorda la Rivoluzione Copernicana. Suggerirei, anzi, che è addirittura qualcosa di più rivoluzionario di quella originale. Copernico rivoluzionò il nostro modo di vedere il mondo in cui abitiamo, mentre il passaggio che lei chiama educazione interculturale è sospinto non così tanto da un cambio di visuale, quanto da un cambio del mon­do in se stesso.

Per gran parte dell'era moderna noi supponevamo, a torto o a ragione, che la diversità culturale fosse un fastidio temporaneo da risolvere; un fasti­dio da lasciare indietro nell'ambito di quell'universalismo che noi credevamo fosse la maggiore delle conquiste dell'umanità. Noi pensavamo, inoltre, che questo effetto universalistico sarebbe stato pro­dotto dalla assimilazione: persone diverse da noi avreb­bero abbandonato la loro alterità per diventare come noi, partecipanti dello stesso modello di vita umana. Questo punto di vista non è più sostenibile a lungo; non già perché abbia­mo cambiato le nostre menti, ma a causa della continua diasporizzazione del pianeta: persone di differente appartenenza etni­ca, di differenti origini, lin­guaggi, fedi e scelte culturali ora vivono assieme e interagi­scono senza abbandonare le loro differenti identità e sen­za rinunciare al loro diritto di affermare se stesse.

I diversi modi di essere perso­na umana sono qui con noi e, con tut­ta probabilità, non se ne an­dranno via. Dobbiamo prepa­rarci alla prospettiva di vivere in un mondo culturalmente diversificato in modo permanen­te. Dobbiamo sviluppare e pra­ticare l'arte del convivere con la differenza e trarre benefi­cio da quel modo di vivere, fa­cendolo non malgrado le no­stre differenze, ma grazie ad esse. Noi possiamo davvero di­ventare tutti più saggi e più ric­chi e più umani, imparando ciascuno dai tesori di esperien­za e saggezza dell'altro...».

  1. Fra le competenze interculturali una delle più importanti è la gestione dei conflitti. Un'edu­cazione alla pace intesa non co­me assenza di contrasti (la pa­ce eterna dei cimiteri), non come una finzione diplomatica, non come un qualunquistico anything goes, non come espressione masochistica del mors mea vitae tua. Al contrario: come un'abilità attiva di gesti­re i conflitti. Poiché è impossibile eliminare i conflitti, specie nelle società complesse e multiculturali, è necessario imparare a gestirli, senza ricorrere a una schiac­ciante violenza o distruzione. Cosa ne pensa?

 «Concordo anche su questo. Vivere a contatto quotidiano l'un l'altro, conversare, interagire, cercare di conoscerci reciprocamente meglio e conoscerci in modo più profondo non significa asserire che tutto va bene. La mia convinzione è, invece, che cia­scuno di noi può allo stesso tempo guadagnare in qualità della vita attraverso la coope­razione con gli altri. Sono con­vinto che la formula di Richard Sennett di un’aperta e informale cooperazione indi­chi la strada per raggiungere quell'effetto. Tutti e tre gli aspetti selezionati in tale formula sono essenziali allo stesso modo. Informale significa rinunciare a fissare delle regole in anticipo ed esse­re disposti ad accettare che le regole emergano e si mettano alla prova nel corso dell'interazione. Aperto significa essere d'accordo sull’assumere, qualora ne sorga la necessità, sia il ruolo dell'insegnante sia quello dell'allievo. E la cooperazione ha di diverso dai soliti dibattiti che non mira a persuadere o costringere gli altri ad accettare il mio punto di vista e a rinunciare al loro, ma spinge tutti a condividere qualsiasi cosa sia giusta e utile all'esperienza dei partecipanti alla discussione. Nella cooperazione non ci sono vincitori e sconfitti: ognuno risulta vincitore, guadagnandone in saggezza… Que­sta è condizione indispensabile per un tipo di coesistenza che esclude le minacce gemelle sia dell'oppressione sia della reciproca indifferenza».

 

Appendice (intervista in lingua originale)

  1. Dear Prof. Bauman, first of all, thank you for accepting to give the first Keynote speech in the international conference Intercultural Counselling and Education in the Global World, to be held from April 15th-18th, 2013 in Verona. Thank you also for the time for this interview. First of all, as you are one of the greatest experts, please, could you tell us what the greatest risks are and what the challenges of globalisation are and the liquid society?

«The challenges about which you inquire are too numerous to name them all in one short conversation… But the two, which I consider gravest and the most consequential, are the exponential growth of information (in the last thirty years or so humanity has produced as much information as in the whole preceding history of homo sapiens) and the loss by the professional educators of their role of gatekeepers of knowledge. The first challenge means that the main obstacle to the acquisition and deployment of reliable knowledge is no longer the dearth of information (as it was still a few decades ago) but its excess… The major difficulty today is how to drain the handful of relevant and trustworthy knowledge out of the flood of information of uncertain authority. The second challenge means that teachers are cast in competition of infinite other sources of knowledge, most of which put their bets on the sexiness, seductiveness and/or buzz-word value of information they offer, instead of on its quality, relevance and solidity».

  1. In the Book conversation on Education (Bauman, Mazzeo, 2012), you assert that in liquid modernity there is the ghost of the superfluous. We are living in a civility of excess, superabundance, wastage; the ephemeral, the volatile and precarious. Our culture is based on a hunger for objects. Pushed by a consumerist economy, we behave in an egoistic and materialistic manner. What about the consequences for the environment? Aren’t we as humans

    in risk of extinction?

«The book you refer too is the joint work of Riccardo Mazzeo and myself, and whatever I am going to say is in a result of our conversation and jointly-drawn conclusions.

Having said that, one aspect of consumerist culture is a contrived, but insatiable hunger for novelty - tempting and enticing because of the new, untested sensual experiences it promises once the pleasing capacity of old pleasurable objects wears off. And it tends to wear off – pale and fade – very quickly, and at an accelerating pace. As George Steiner, one of the most acute observers of contemporary culture, put it – cultural offers are nowadays calculated for maximal impact and instant obsolescence. This is an atmosphere of a Kuwaiti bazaar or a casino – singularly unfit for the systematic accumulation of knowledge and deepening of comprehension, which is the purpose and raison d’être of education…». 

  1. Worldwide politics became impotent: it is impossible to govern global phenomena (pollution, wars, migrations) through local politics. In Italy, you know how especially difficult the political situation is. How do you think it can be possible, on a political level, to promote the truth that in times of globalisation either we all win together or we will all lose. Tertium non datur?

«I don’t feel competent to suggest a foolproof method of achieving such an effect, but I am sure that seeking it we cannot and wouldn’t stop – as becoming convinced that this is the case and starting to behave in accordance with that conviction is, literally, the matter of life and death of humanity… Ignorance and negligence in this case is a recipe for disaster; among their effects, it is enough to name the rise of neo-tribal, xenophobic sentiments, progressive depletion of the planetary resources which sustain our survival, and a host of collateral casualties of an unsustainable model of life, equating human welfare and happiness (individual as much as collective and shared) with unlimited economic growth and perpetually rising consumption. But the list of disastrous effects is much longer, and almost daily we learn that it is longer yet than we thought…»

  1. Through globalisation and interdependence, in times of neo-liberalism and standardisation (one size fits all), also education is in crisis. The educational crises emerge also in the unequal access to universities; in school education, based on business, to profit only a minority, a privileged elite. The marketing of school education risks considering people as objects. How do you see a way out?

«Whether designed or involuntary, the effect of neo-liberal philosophy when applied to education and enforced on school and universities is commodification of knowledge and commercialisation of its apportioning and acquisition. The by-products of those processes is, as you suggest, the contribution which the educational system makes to the rising social inequality and the deepening of social division, instead of – as it was hoped and promised – to the levelling up of chances and stimulating upward social mobility. Instructed and forced to subject themselves to the play of market demand and offer rather than cultivating the values of human self-improvement, schools and universities aim at moulding their students into commodities attractive for the business to buy – and exposing thereby their wards to the endemically unpredictable and uncontrollable vagaries and whims of market forces. The price we currently pay is a massively underemployed cohort of recent, highly - but as it now appears uselessly – qualified graduates, a generation of broken promises and wasted chances… You ask about a way out? One thing we may and need be sure of: to lead really out of the cul-de-sac into which the educational system has been manoeuvred and out of the resulting mess and prospective social dangers, such a way needs to bring back education where it belongs: back from the role of an auxiliary service-station of business into the realm of social policy – where political decisions are made about the kind of world into which the countries and their populations are to be ushered and value choices are promoted that agree with such decisions». 

  1. In my publications (cfr. Portera, 2006, 2013), I consider Intercultural education as a Copernican revolution since: a) identity and culture, are viewed not as static and nationalistic, but dynamically and in constant evolution; b) diversity, emigration, life in a multicultural society are not risk factors, but opportunities for enrichment and growth. The intercultural approach, placed between universalism and relativism, transcends them and builds up a new synthesis, with improved chances of dialogue, exchange and interaction. Could you please tell me your opinion about this?

«Again, you are absolutely right here! We are indeed undergoing currently something reminiscent of the Copernican Revolution – I’d even suggest yet more revolutionary than the original one. Copernicus revolutionised our view of the world we inhabit, but the passage to what you call intercultural education is prompted not so much by a change in views, but by the change in the world itself… Through most of the modern era we assumed, rightly or wrongly, that cultural diversity is a temporary irritant to be resolved and left behind in the course of the universalisation of what we believed were the highest achievements of humanity. We also believed that this effect would be the product of assimilation – people unlike us abandoning their otherness and becoming like us, participants in the same model of human life. This view is no longer sustainable not just because we’ve change our minds, but because of the on-going diasporisation of the planet: people of different ethnic origins, languages, faiths, and cultural choices living together and interacting without abandoning their different identities and surrendering their right to self-assert. The diversity of the ways of being human is here to stay and in all likelihood will not go away. We need to brace ourselves for the prospect of living permanently in a culturally diversified world. We need to develop and practice the art of living with difference and benefiting from such living – not in spite of our differences, but thanks to them. We can indeed all become wiser and richer and better humans by learning from each other’s treasuries of experience and wisdom…».

  1. Among intercultural competences one of the most important is conflict Education towards peace understood not as an absence of contrasts (the eternal peace of the cemetery), not as diplomatic fiction, not as a careless anything goes, not as the masochist expression mors mea vitae tua. Instead: as an active ability of conflict management. Since it is impossible to eliminate conflicts, (especially in the multicultural society) it is necessary to learn to manage them, without recourse to overwhelming violence or destruction. Could you give me your opinion on this?

«Agree again… Living in daily contact with each other, conversing, interacting, trying to know each other better and understand deeper, does not mean accepting that everything goes – but the belief that all of us simultaneously may gain in quality of life through our cooperation. I believe that Richard Sennett’s formula of informal, open cooperation points the road to such an effect. All three aspects selected in that formula are equally essential. Informal refers to the resignation from fixing the rules in advance and expecting the rules to emerge and prove themselves in the course of interaction. Open means agreeing to play, whenever the need arises, both the teacher and the learner role. And cooperation differs from usual debates in that interaction does not aim at persuading or coercing others to accept my view and surrender theirs, but at sharing whatever is right and useful in all participants’ experiences. In cooperation there are no winners and losers: everyone emerges victorious, carrying more wisdom… This is an indispensable condition for a kind of coexistence that excludes the twin threats of oppression and mutual indifference».

 

Bibliografia

Bauman Z. e Mazzeo R. (2012), Conversazioni sull’educazione, Trento, Erickson.

Bertolini P. (1988), L'esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata, Firenze, La Nuova Italia.

Corallo G. (1968), Pedagogia, 2 Voll., Torino, Sei.

De Bartolomeis F. (1953), La pedagogia come scienza, Firenze, La Nuova Italia.

Delors J. (1997), Nell’educazione un tesoro, Roma, Armando.

Erikson E.H. (1972), Infanzia e società, Roma, Armando.

Flores D’Arcais G. (1972), Preliminari di una fondazione del discorso pedagogico, Padova, Liviana.

Gardner H. (1999), Sapere per comprendere, Milano, Feltrinelli.

Laeng M. (1960), Problemi di struttura della pedagogia, Brescia, La Scuola.

Laeng M. (a cura di) (1992), Educazione. In Id., Enciclopedia pedagogica, Brescia, La Scuola.

Nussbaum M. (2006), Education and Democratic Citizenship: Capabilities and Quality Education, «Journal of Human Development», vol. 7, n. 3, November, pp. 385-395.

Portera, A. (2006), Globalizzazione e pedagogia interculturale, Trento, Erickson.

Portera A. (2007), Educazione e pedagogia nelll’era della globalizzazione e del pluralismo. In A. Portera, W. Böhm e L. Secco (a cura di), Educabilità, educazione e pedagogia nella società complessa: lineamenti introduttivi, Torino, Utet, pp. 57-102.

Portera A.  (20085), Tesori sommersi. Emigrazione, identità, bisogni educativi interculturali, Milano, FrancoAngeli (ed. or. 1997).

Portera A. (2013a), Manuale di pedagogia interculturale, Bari-Roma, Laterza.

Portera A. (a cura di) (2013b), Competenze interculturali, Milano, FrancoAngeli.

Rossi P. (1970), Il concetto di cultura, Torino, Einaudi.



Note

1 I risultati principali sono stati pubblicati in un numero monografico di «Intercultural Education», vol. 25, n. 4, 2014.

DOI: 10.14605/EI1611809


© 2018 Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A.
ISSN 2420-8175. Educazione interculturale.
Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione con qualsiasi mezzo effettuata, se non previa autorizzazione dell'Editore.

Indietro