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Approfondimenti / Insights

La rappresentazione scenica di matrice moreniana come veicolo di integrazione interculturale
Action methods as tools for intercultural integration

Daniele Reggianini

Presidente dell’ Associazione Italiana Psicodrammatisti Moreniani; attualmete membro del Comintato di Ricerca della The Federation of European Psychodrama Training Organisations (FEPTO), dani.reg@virgilio.it

Mascia Papi

È consulente aziendale e si occupa da oltre quindici anni di Risorse Umane. Direttore di Psicodramma Classico, svolge interventi di sviluppo e valutazione delle competenze relazionali anche grazie ai metodi attivi di matrice moreniana. Per AIPsiM Emilia-Romagna, associazione psicodrammatisti moreniani regionale, realizza cicli di sessioni aperte finalizzate alla diffusione del metodo sul territorio, masciapapi@gmail.com


Autore per la corrispondenza

Daniele Reggianini
Indirizzo e-mail: dani.reg@virgilio.it
Presidente dell’ Associazione Italiana Psicodrammatisti Moreniani; attualmete membro del Comintato di Ricerca della The Federation of European Psychodrama Training Organisations (FEPTO). Via Mondovì, 89, 41125 Modena



Sommario

L'identità si gioca tra due poli: l'individuo e la società. La declinazione dell'identità a livello individuale si manifesta come personalità. La declinazione dell'identità a livello sociale si realizza come cultura. L'essere dell'uomo sul palcoscenico della storia si esprime e si articola in una moltitudine di distinte personalità e di differenti culture. La nascita delle culture e la loro riproduzione, sin dalle origini, è sempre stata accompagnata e sostenuta da forme di rappresentazione e drammatizzazione. Jacob Levy Moreno, padre dello Pscicodramma Classico, a partire dal secondo decennio del secolo scorso, ha messo a punto diverse metodologie di studio e intervento a favore di processi, trasformativi e di integrazione, riguardanti le due distinte dimensioni, soggettiva e collettiva, dell'identità. Il presente studio riguarda i principi, la teoria e i metodi attraverso i quali Moreno ha perseguito il suo obiettivo, agendo sulle forze gruppali a beneficio tanto dell'identità dei singoli quanto di quella collettiva. Gli strumenti utilizzati sono ¬quelli della «messa in scena» mutuati dalle esperienze teatrali; del controllo e indirizzo delle dinamiche di gruppo appresi sul campo, in esperienze estemporanee di azione sociale; e, infine, quelli afferenti alla Sociometria.

Parole chiave

Identità, rappresentazione scenica, integrazione


Abstract

The identity is played between two poles: the individual and the society. The individual identity expression manifests itself as a personality. The social identity expression manifests itself as a culture. The present of man on the stage of history is expressed and divided into a multitude of distinct personalities and different cultures. From the beginning, the birth of cultures and their diffusion has always been accompanied and supported by representation and dramatization forms. The father of Classical Psychodrama, Jacob Levy Moreno, already in the second decay of last century developed several methods and processes to transform and integrate the two different identity dimensions: the subjective and collective one. This study concerns principles, theory and methods through which Moreno pursued his goal, by using the group forces for the benefit of both individual and collective identity. The tools used by Moreno are theatre performance, group dynamics, social action and Sociometry.

Keywords

Identity, acting, integration


Premessa

Lo studio che presentiamo è intenzionalmente e programmaticamente un lavoro di analisi e sistematizzazione teorica. Ci motiva, sostiene e guida la convinzione che, nell'affrontare ogni oggetto e campo di studio e intervento con un serio approccio scientifico, sia premessa necessaria innanzitutto produrre analisi lucide e coerenti; analisi che riguardano e investono sia i fenomeni oggetto del nostro intervento, sia il metodo operativo che intendiamo utilizzare. Da un lato riscontriamo la necessità di una «teoria del fenomeno», nel nostro caso la dimensione interculturale; dall'altro siamo convinti che sia necessario collegare le tecniche che compongono un metodo operativo, nella presente situazione ci riferiamo alla rappresentazione scenica, a un solido e chiaro corpo di teorie, le quali a loro volta discendono da un definito e specifico assunto epistemologico.

Anticipiamo che nel presente studio «teoria del fenomeno» e «teoria del modello operativo» trovano punto di incontro e comuni riferimenti per lo studio e l'indagine nelle tre parole chiave indicate: identità, rappresentazione scenica e integrazione. A queste tre parole chiave corrispondono e si associano concettualizzazioni teoriche che, nelle riflessioni che andremo a sviluppare, concorrono a spiegare e definire: come si strutturano le identità, sia individuali che gruppali, e quali principali dinamiche ne informano le interazioni; in che modo da definite idee e visioni dell'uomo, della società e della cultura discendono collegate modalità di intervento; come, infine, dette prassi operative possono attuarsi a beneficio delle interazioni e relazioni tra culture diverse. Le concettualizzazioni riguardanti l'Identità, l'Azione, il Ruolo, il Tele e l'Integrazione, interessano e spiegano al contempo, sia il fenomeno, l'interculturalità, sia il modello operativo di intervento, cioè l'uso della rappresentazione scenica.

L’identità

L’identità, il concetto guida del nostro lavoro, è una nozione diffusamente utilizzata in diverse discipline: antropologia, sociologia, psicologia, filosofia, ecc. All’interno dei vari campi di utilizzo, il concetto di identità è molto complesso e ha avuto nel corso del tempo diverse declinazioni correlate all’evoluzione del pensiero dominate del periodo. È stato spesso inteso come un insieme di caratteristiche oggettive dell’individuo, stabili nel tempo, come se tali caratteristiche facessero parte del bagaglio naturale di ognuno; altrimenti è stato inteso come purezza, unicità di appartenenza, distinzione o separazione da un’alterità minacciosa per l’integrità e la sopravvivenza dell’identità.

La prospettiva di identità che il nostro lavoro vuole proporre, guidata dal pensiero moreniano, non è una componente stabile di un individuo o di un gruppo, ma è frutto di un processo, di una continua negoziazione con la realtà circostante. L’identità non è quindi data in modo naturale o come elemento costituente dell’individuo, della sua sostanza, ma è il risultato, sempre provvisorio e in evoluzione, di un processo continuo di scambio con il mondo esterno e la realtà circostante. Ne deriva una concezione di identità che esula dal singolare e conduce, all’opposto, a una serie di identità o appartenenze plurali, secondo cui tutti saremmo composti da una molteplicità di Io. Di fatto l’identità è definita da tutti gli elementi che contribuiscono a crearla nel corso di un processo continuo di costruzione e trasformazione.

L'identità in senso psicologico

L’identità in ambito psicologico non viene considerata come un dato, ma come una produzione della memoria che, in funzione della fragilità o della forza di tale costruzione, determina la solidità della stessa. Tuttavia l’identità non viene concepita come una caratteristica che, una volta definita, rimane stabile nel tempo.

In ambito psico-sociale, il pensatore che maggiormente si è occupato dello sviluppo della persona e della sua identità è stato Erikson (1950), secondo il quale lo scopo fondamentale dell’uomo è la ricerca della sua identità che, seppur variando nel tempo, è contraddistinta dal bisogno di coerenza dell’Io che consenta un rapporto valido e creativo con l’ambiente sociale. Nelle tappe di sviluppo psico-sociale dell’individuo definite all’interno di quella che è forse la sua opera più famosa, Erikson (1950) parla infatti di tappe distinte che caratterizzano l’intero ciclo di vita all’interno un continuum che dura tutta l’esistenza. Ancora oggi il paradigma dominante dell’identità e delle sue espressioni è permeato dalla concezione che il comportamento, la percezione e la costruzione del Sé si fondano sulla «predisposizione ad agire il mondo molto più che a registrarlo» e a prenderlo come elemento dato, ovvero l’identità è il frutto di un di un processo di continua negoziazione con il mondo esterno.

L’identità in senso antropologico e sociologico

È con il contributo di Hegel che, dal XIX secolo, viene superato il concetto filosofico di identità che definisce «A» contrapposto all’esterno «non A», ovvero viene superata in sostanza la contrapposizione netta tra identità e alterità. Nella riflessione hegeliana (1960), infatti, identità e alterità assumono un rapporto dialettico nel quale la relazione con l’altro diviene una condizione costitutiva reciproca. In questa prospettiva è l’altro che permette al soggetto di definirsi anche nella propria differenza. Utilizzando le parole di uno dei più noti antropologi italiani «le entità, i soggetti storici [...] non se ne stanno distinti e separati, chiusi nei loro confini, ma si coinvolgono reciprocamente, si compenetrano, così come si compenetrano inevitabilmente l’identità e l’alterità» (Remotti, 2013).1

Remotti (1996), partendo dall’assunto che l’identità è molteplice e che si costruisce e cambia in un processo di separazione e assimilazione continuo nel tempo, arriva a sostenere che, proprio per questo processo, l’identità si nutre di alterità. Tale prospettiva aprirà poi la strada all’affermazione del concetto di identità come un’entità che si forma in un contesto sociale definito da attori che recitano su una scena. Secondo tale concezione l’interpretazione drammaturgica del contesto sociale non è circoscritta alla recitazione e rappresentazione ma, in una logica costruzionistica, le persone nella società, mentre agiscono sulla scena e interagiscono con l’altro, costruiscono immagini di sé (Goffman, 1969).

Teoria dell’Azione

L'azione è, dal punto di vista filosofico, l'intervento di un ente su un altro ente, in modo tale da modificarlo (Lamanna e Adorno, 1982). Nel presente studio con questa definizione riassumiamo e identifichiamo il complesso di elaborazioni concettuali che stanno alla base delle metodologie operative classificate come Action Methods, Metodi d’Azione.2 Per capire bene cosa Moreno intenda con questo termine, Azione, è indispensabile ricollegarci alla sua concezione dello Sviluppo dell’essere umano e alle connesse teorizzazioni circa le origini e le fasi evolutive dell’Identità individuale che, lo sottolineiamo, è Identità metacognitiva.

Nella teoria evolutiva moreniana, l’essere umano nei primi tempi della sua esistenza vive in una percezione di sé, degli altri e del mondo, indifferenziata, si trova all’interno di quello che Moreno chiama il «primo universo»; è questo il primo stadio dello sviluppo infantile; il bambino, in questo primo periodo, vive una condizione esistenziale caratterizzata da globalità e totalità, azione, percezione e vissuto sono un tutt’uno; al tempo stesso l’assorbimento nell’atto è totalizzante, l’«esserci» è compreso tutto nell’agire non è presente attività rappresentativa, almeno in forma compiuta.

Il piccolo dell’essere umano è tutto pervaso dalla «fame d’azione»; Moreno con questo termine sintetizza la sua idea di un essere umano sospinto da uno «spirito vitale» e dalla sua «volontà di potenza». In secondo luogo questo concetto, «fame d’azione», sta a indicare come il neonato viva in una dimensione temporale «immediata», del presente o del momento, tutto preso com’è dall’esserci in quanto azione, movimento. Nella concezione moreniana dell'Essere, non c'è discontinuità tra azione e pensiero, tra corpo e mente.

Questa idea trova attualmente conferme nelle più recenti scoperte del filone di ricerca identificato col termine di Neuroscienze: «La cognizione non è riducibile all'attività del cervello ma deve includere il corpo a cui quel cervello è vincolato. Il concetto di Sé può essere letto a diversi livelli di complessità, il livello minimale è il self minimo o core-self, il più complesso è il sé dell'Identità narrativa» (Gallese, 2014).3 L’azione si costituisce perciò come il riferimento fondamentale del modello epistemologico alla base dello Psicodramma, del Sociodramma e di tutti i metodi che rientrano nella categoria degli Action Methods. L'intervento, in ambito sia psicologico che sociale, attraverso i metodi d'Azione, si qualifica, di conseguenza, come un intervento capace di agire sui livelli originari, più profondi, della strutturazione dell'Identità.

Teoria del Ruolo

Alla Teoria dell’Azione si associa, in linea diretta e conseguente, la Teoria del Ruolo; potremmo anzi spingerci ad affermare che la seconda, la Teoria del Ruolo, può essere considerata come un corollario della Prima.

Come afferma Moreno (1961): «Il ruolo può essere identificato con le forme reali e percepibili che il Sé prende. Pertanto definiamo il ruolo come la forma operativa che l’individuo assume nel momento specifico in cui egli reagisce a una situazione specifica nella quale sono implicati altre persone od oggetti. La rappresentazione simbolica di questa forma operativa, percepita dall’individuo e dagli altri, è chiamata ruolo. La forma è creata dalle esperienze passate e dai modelli culturali della società in cui la persona vive, ed è sostanziata dalle caratteristiche specifiche delle capacità produttive della persona stessa. Ogni ruolo contiene una fusione di elementi sia privati che collettivi. Ogni ruolo presenta due aspetti, uno privato e uno collettivo» (p. 520).

Il concetto moreniano di ruolo trascende quello sociologico, che lo definisce come elemento fondante le organizzazioni sociali e fattore di collegamento e organizzazione nella relazione tra individuo e società. Nel sistema di pensiero su cui si fondano Psicodramma e Sociodramma, e nella collegata teorizzazione circa lo sviluppo della Personalità, il ruolo non si qualifica semplicemente in quanto attributo, manifestazione ed espressione di quest’ultima; al contrario è la Personalità che prende origine dal Ruolo e dalle dinamiche relazionali che lo riguardano; è questa che da esso prende origine e su di esso, il Ruolo, si sostiene nelle successive fasi del suo sviluppo e delle sue trasformazioni. «I ruoli non emergono dal sé; è il sé che emerge dai ruoli» (Moreno, 1985, p. 36).

I principi contenuti in questa originale ed articolata teorizzazione di Moreno sono portatori di grandi potenzialità per quanto riguarda ogni intervento operativo focalizzato sia sulla dimensione psicologica che su quella sociale; lavorare sui ruoli, e sulle relative attivazioni e interazioni che li possono riguardare, offre importanti e differenziate possibilità di intervento a beneficio dei singoli, dei gruppi, delle relazioni tra individui, dei rapporti tra individui e gruppo e, infine, delle relazioni tra gruppi diversi.

Teoria del Tele

«Se supponiamo che la vita abbia un’origine unitaria, che tutti gli esseri viventi derivino da un unico essere, è difficile ammettere che questi organismi derivati da un progenitore comune e sviluppatisi in specie e razze diverse abbiano potuto troncare del tutto i legami originari che li univano» (Moreno, 1964, p. 290).

Ci piace iniziare l’esplorazione di questa originale elaborazione di J.L. Moreno, che si riassume nel titolo di Teoria del Tele, partendo da questi suggestivi, quasi mitologici, pensieri coi quali il fondatore dei metodi d’azione immagina e ricostruisce l’origine filogenetica di questo fondamentale «fattore di identità», il Tele appunto. Crediamo di ritrovare contenuta in queste frasi l’idea per cui l’origine del Tele si fonda e coincide col momento in cui la filogenesi sfocia nell’ontogenesi, quando l’identità individuale, soggettiva, emerge e si emancipa, attraverso movimenti di separazione e individuazione, dall’identità gruppale, sociale.

Moreno immagina, altresì, i primi tempi dell’azione dell’uomo nel mondo, negli stadi sociali primordiali, come caratterizzati da contatti fisici molto stretti tra gli individui e da legami di interrelazioni molto intimi; a questa modalità di relazione si associano tipologie di comportamenti degli individui organizzate secondo il modello delle reazioni collettive. All’unitarietà e organicità dell’azione dei soggetti sociali corrisponde un’idea degli attori sociali, gli esseri umani, come corpo organico unico, massivo, piuttosto che come insieme organizzato, articolato di individui distinti.

All’unitarietà, sincretismo delle manifestazioni comportamentali, corrisponde un’identità gruppale, collettiva, organica ed indifferenziata, dove ogni individuo, invece di definirsi come incarnazione e concentrato di una distinta e individuata soggettività, è espressione ed ente depositario di una funzione specifica rispetto a un organico corpo sociale unico. L’evoluzione sociale si accompagna, seguendola, a un’evoluzione biologica a carico degli organismi individuali che, nella teorizzazione di Moreno, scaturisce e si sostiene sui processi di sviluppo cerebrali e neurologici; la moltiplicazione e specificazione individuale delle identità avviene grazie allo «sviluppo del telencefalo e dei telepercettori» (Moreno, 1964, p. 290).4

La scomposizione dell’originaria e assoluta identità collettiva comporta, e al tempo stesso è da questo resa possibile, il passaggio dall’unitarietà alla molteplicità, dal collettivo all’individuale, dalla omogeneità alla differenziazione, dalla fusione all’individuazione, dal gruppo alla persona. Lo spazio liberato dalla presa di distanza, gli uni dagli altri, da parte degli individui, non rimane però vuoto, si viene a definire come un campo d’azione, che qui identifichiamo col termine di Campo Telico, percorso da forze e qualificato dalla persistenza di legami; legami non contigui ma «a distanza», come suggerito dall’etimologia stessa del termine greco Tele.5

Riassumendo diverse concettualizzazioni date da Moreno a proposito di cosa si intenda per tele, e riunendo così le sue caratteristiche fondanti, possiamo definirlo come: «l’unità sociogenica che serve a facilitare la trasmissione dell’eredità sociale; esso nasce da un’organizzazione fisiologica, connessa a processi affettivi, e avente funzioni sociali» (Moreno, 1964, pp. 284-294). Sviluppando ed elaborando la definizione appena espressa: per tele intendiamo una fondamentale funzione umana, attiva a livello sia individuale che sociale. Si qualifica per essere al contempo psicogenica e sociogenica, in quanto partecipa alla formazione di entrambe le entità: la persona e il gruppo, generando al contempo identità individuale e socialità. Questa importante funzione origina e si sostiene su specifiche strutture biologiche, sviluppate dall’essere umano nel corso dell’evoluzione della specie; si tratta di dotazioni cerebrali e neurologiche che consentono l’emancipazione dell’individuo dal gruppo e l’organizzazione di articolate relazioni interpersonali che vanno a sostituirsi alla massiva identità gruppale originaria.

Il sistema di relazioni interpersonali che è emerso conseguentemente alla «rottura» dell’unità massiva originale, è caratterizzato da tensioni attrattive o repulsive, di intensità variabile, fino all’indifferenza, tra gli individui coinvolti; queste tensioni si associano a processi affettivi, cioè corrispondono a precise e definite attivazioni emozionali; sono proprio questi «movimenti emozionali» che permettono l’identificazione, il riconoscimento e la qualificazione delle tensioni citate. L’orientamento e la qualificazione delle tensioni interpersonali, attrattive e/o repulsive, sono «role based» (Blatner, 1994), cioè si riferiscono ai ruoli; sono questi ultimi, in virtù del loro potenziale di determinazione delle identità e di incarnare significati, a definire l’indirizzo, la qualità e l’intensità delle forze che caratterizzano il campo delle relazioni che si stabiliscono tra i diversi soggetti di un gruppo, tra un individuo e una particolare entità gruppale o, infine, tra gruppi diversi.

Le funzioni sociali del tele si declinano in diversi significati ed effetti: innanzitutto esso permette il persistere della coesione a beneficio delle entità sociali pur essendo queste composte da diversi e distinti individui; poi, attraverso lo stabilirsi e conformarsi di una definita e strutturata rete di legami interpersonali partecipa, assieme ai ruoli, a determinare la conformazione delle organizzazioni sociali, ai più diversi livelli di complessità; infine, grazie alla propria capacità di attivare e supportare comunicazioni «a distanza», contribuisce alla «trasmissione dell’eredità sociale», cioè alla produzione e riproduzione dei contenuti propri della tradizione culturale di ogni gruppo sociale. Nella sua scrupolosa e approfondita teorizzazione riguardante il tele, Moreno contrappone, con caratterizzazioni molto forti e antitetiche, questa idea al corrispettivo concetto elaborato dal pensiero psicoanalitico al fine di descrivere e spiegare alcuni fenomeni caratterizzanti le relazioni umane e i processi sia interpersonali che intragruppali; ci riferiamo, ovviamente, alla complessa e ricchissima teorizzazione riguardante il transfert. In estrema sintesi sottolineiamo qui come i due concetti, di cui forniamo un confronto sinottico a proposito delle specifiche caratterizzazioni (tabella 1), sono contrapposti e reciprocamente escludenti; nell’idea di Moreno il fenomeno del transfert emerge come soddisfazione disfunzionale, e in buona parte fallimentare, da parte del soggetto che si sviluppa, del proprio bisogno di separarsi, individuarsi e differenziarsi dal tutto di cui ha in origine fatto parte; in chiave specifica e psicologica identifichiamo questo tutto col grembo materno, in prospettiva generale e sociale esso coincide con la primordiale gruppalità indistinta.

 

Tabella 1

Caratteri distintivi di tele e Transfert

Telé

Transfert

Innato

Primario

Reale

Bidirezionale

Creativo

Adeguato

Modulabile

Reciproco

Attuale

Progressivo

Coesivo

Appreso

Secondario

Fantasmatico

Unidirezionale

Ripetitivo

Inappropriato

Stereotipico

Univoco/unilaterale

Passato

Regressivo

Disgregativo


A livello individuale il transfert consiste della traslazione sul presente di contenuti mentali afferenti alle primarie esperienze di vita, riferite essenzialmente alle relazioni familiari primarie, e si sostiene su meccanismi proiettivi. A livello gruppale la dinamica transferale è studiata e descritta molto efficacemente nel pensiero di W. Bion, riassunto nelle sue teorizzazioni concernenti i cosiddetti Assunti di Base (Bion, 1971); gli studi di Bion analizzano e descrivono come i gruppi sociali, in determinate condizioni di stress ambientale, mossi da angosce e relative difese psicotiche, si attivino secondo modalità regressive. 

In queste circostanze le modalità organizzative, riguardanti la struttura e l’azione del gruppo, si conformano secondo alcuni modelli definiti e riconoscibili, corrispondenti a successivi stadi evolutivi della storia della specie umana; questi modelli, di organizzazione della identità gruppale e di azione verso il mondo, sono tre e si identificano come dipendenza, attacco e fuga, accoppiamento; ad ognuno di questi corrispondono specifici contenuti mentali (rappresentazioni, pensieri, emozioni) che contribuiscono a definirne le specifiche modalità organizzativa e cultura.

Un gruppo sociale, che si trova nella fase operativa associata a un Assunto di Base, vive una condizione regressiva, permeata da fantasie arcaiche e caratterizzata da forme organizzative e modalità di azione, specifiche, stereotipate e ripetitive. Al gruppo «in Assunto», Bion contrappone la condizione «del gruppo di lavoro»; con questa definizione si intende un’entità sociale organizzata in aderenza al principio di realtà e in funzione di scopi e finalità attuali; il funzionamento mentale e l’organizzazione strutturale sono determinati da razionalità e consapevolezza e hanno come riferimento principale il perseguimento degli scopi che il gruppo specifico si dà nella propria interazione col mondo reale. Collegandoci alla Teoria del Tele possiamo affermare che un gruppo di lavoro si attiva e interagisce secondo e grazie a funzioni teliche; viceversa i gruppi in Assunto sono caratterizzati e dominati da processi transferali.

Le reti sociali: il loro studio e la loro modificazione attraverso l'indagine e l'intervento sociometrico

La società umana nel suo complesso è organizzata secondo forme e strutture di relazioni; lo stesso può dirsi per i sottosistemi che la compongono: popoli, organizzazioni, gruppi, formali e informali, di variabili dimensioni e complessità. Le strutture che costituiscono, al contempo definendola, la menzionata trama di rapporti e legami sociali compongono complessi modelli di rapporti interpersonali; la caratterizzazione di queste forme raramente è visibile in superficie, e in via immediata; esse sono conosciute e classificate nel pensiero moreniano con il termine di Reti Sociometriche.

La reale struttura psicologica della società umana, nei suoi diversi ordini e articolazioni, può essere studiata, ed eventualmente modificata. La sociometria, attraverso il proprio complesso apparato di strumenti di indagine e di tecniche di intervento trasformativo, si interessa dell’osservazione e dello studio della struttura non direttamente visibile di relazioni e di tensioni emozionali caratterizzanti ogni aggregato sociale; attraverso il proprio specifico bagaglio di tecniche l’intervento sociometrico favorisce l’emersione e l’esplicitazione di questa sotterranea trama di legami, cosicché i partecipanti al processo ne possano prendere coscienza.

Gli obiettivi di questa importante e delicata azione si possono riassumere nelle due seguenti categorie: consapevolizzazione e trasformazione. Le soggettività, sia individuali che gruppali, che vivono l’esperienza sociometrica prendono maggiore coscienza della propria e altrui identità e delle tensioni emozionali che le riguardano e connettono; viene in questo modo a prendere corpo un percorso di consapevolizzazione e riconoscimento sia delle reciproche similitudini o differenze, che dei rispettivi vissuti di vicinanza e distanza. Possiamo riassumere questi obiettivi nell’intenzionalità di ridurre le tensioni interpersonali e intergruppali transferali e disfunzionali, a beneficio dello sviluppo di relazioni teliche, consapevoli, articolate e reciprocamente definite.

La rappresentazione scenica: il lavoro in Semirealtà

Psicodramma e Sociodramma si definiscono per essere Metodi d’Azione: le attività e i processi in cui i partecipanti si trovano coinvolti non si limitano al racconto auto-espressivo e alla successiva e contestuale comune elaborazione riflessiva. L’interagire e il reciproco relazionarsi tra le persone, non si compongono esclusivamente di scambi verbali; nelle attività gruppali qui considerate ci si propone che il coinvolgimento nelle azioni comuni riguardi la persona nella globalità del suo essere, in tutte le sue parti costitutive e modalità espressive. Si attuano perciò modalità d’azione che si avvalgono della rappresentazione scenica in forma di dramma, cioè nel fare fra, e insieme agli altri.

Al fine di realizzare questo «coinvolgimento globale» delle persone nell’azione, essendo i contesti interattivi artificiali, appositamente costituiti, si rende necessaria, secondo un principio di consequenzialità, la creazione di una «dimensione altra» all’interno dello spazio fisico e relazionale dei setting allestiti ad hoc: si tratta di uno «spazio drammatico» al quale assegniamo il nome di semirealtà. Abbiamo appena definito la semirealtà come uno «spazio altro», esso si costituisce e struttura, in parallelo al sempre persistente «piano di realtà», grazie e attraverso il «mettere in scena», cioè attraverso attività di rappresentazione, drammatizzazione, interazione simbolica da parte dei partecipanti alle sessioni, che vengono così coinvolti in un gioco d’azione. Lo spazio d’azione, semireale, si struttura attraverso tecniche specifiche (come esternalizzazione, concretizzazione, e amplificazione) al fine di creare condizioni tali da coinvolgere la persona nel suo complesso: memoria, corporeità, sensorialità, emotività, facoltà immaginative e astrazione concettuale.

Tutte queste menzionate qualità permettono alla semirealtà di essere una condizione esistenziale sia reale (in relazione agli stimoli che la costituiscono), che vera (per le emozioni che suscita, veicola e contiene). Si tratta comunque allo stesso tempo di un gioco, di una costruzione fittizia, un «qui ed ora» inventato, realizzato secondo i criteri del «come se» e del «possibile», che mette le persone in comunicazione con i rispettivi (in parte comuni, in parte individuali e distinti) mondi dell’immaginario e del simbolico. La semirealtà si qualifica, inoltre, per essere una realtà fatta su misura dei bisogni, delle capacità e dei desideri degli individui, e dei gruppi, coinvolti nelle esperienze; per queste sue caratteristiche ben si presta al perseguimento degli obiettivi di azione e trasformazione che riguardino le strutture sia personali che sociali.

Psicodramma e Sociodramma

Moreno definisce il Sociodramma come «un metodo di ricerca, attivo e profondo, sulle relazioni che si formano tra i gruppi e sulle ideologie collettive» (Moreno, 1985, p. 416). Le tecniche utilizzate nel corso di un intervento sociodrammatico coincidono con quelle tipiche del repertorio proprio dello Psicodramma; non c’è da sorprendersi in quanto, trattandosi in entrambi i casi di esplicitazioni del metodo d’azione, fanno riferimento ai medesimi principi teorici e metodologici. Ciò che cambia in modo significativo è il focus dell’intervento, sia che esso abbia finalità di studio, sia che l’obiettivo riguardi intenzionalità di trasformazione dell’esistente.

Nello Psicodramma l’attenzione del direttore e degli altri partecipanti è centrata sulla dimensione individuale e sulle istanze, problematiche e non, che la riguardano; tutto l’intervento è perciò interessato a trattare la, e le, soggettività dei presenti; ogni individuo è oggetto di interesse e viene coinvolto negli accadimenti, con un’attenzione speciale a ciò che egli rappresenta in quanto identità singola e distinta da tutte le altre; il gruppo si caratterizza come gruppo privato, è un insieme di singoli individui, collettivamente riuniti per essere, di volta in volta, al servizio di ognuno dei membri, con finalità di utilità, nel senso di favorire il consolidamento, lo sviluppo, la trasformazione e l’espansione dell’identità individuale.

Nello psicodramma perciò l’azione collettiva è centrata sull’individuo; anche gli stessi elementi comuni tra tutti i partecipanti che emergono nel corso dell’esperienza vengono trattati ed elaborati secondo percorsi e direzioni che sono sempre indirizzati a realizzare effetti a beneficio delle singolarità dei partecipanti; le attività e l’identità del gruppo sono in funzione delle identità dei singoli. Il direttore, conduttore di una sessione di Psicodramma, si serve dell’azione gruppale, di e in gruppo, come di uno strumento per coinvolgere e trattare più individui in una stessa occasione. I principi cui si riferisce l’azione psicodrammatica sono perciò riassumibili nei termini di individualità, specificità, singolarità, privatezza.

All’opposto, nell’attività sociodrammatica le identità, e le azioni, dei singoli sono al servizio del gruppo e in funzione delle azioni focalizzate sull’identità di questo. I concetti guida dell’intervento sociodrammatico sono infatti: collettività, comunione, generalità/pluralità, pubblicità. Nello psicodramma i soggetti delle azioni che compongono e realizzano lo svolgimento della sessione sono tutti i singoli nella loro individualità. Nel sociodramma è il gruppo stesso il vero soggetto dell’azione e dell’intervento. Nello psicodramma il «protagonista» è l’individuo, il suo corrispettivo nel sociodramma è il gruppo.

Come nello psicodramma è un individuo che sulla scena mette in mostra e «agisce» la propria soggettività, nel contesto sociodrammatico è il gruppo, nel suo insieme, a occupare il palcoscenico per mostrare, condividere e offrire all’elaborazione comune, le proprie istanze: caratteri, bisogni, problemi. Gli individui che partecipano a un sociodramma sono condotti a identificare e rendere manifesti quegli aspetti comuni che li qualificano come appartenenti a una medesima compagine sociale e/o ambito culturale. Questi aspetti comuni, oggetto dell’attenzione del conduttore e dei partecipanti stessi, sono le dimensioni sociali e culturali delle identità implicate, in altre parole i ruoli sociali e culturali dei partecipanti; è verso queste categorie di ruolo, e le correlate dimensioni dell’identità, che si indirizza l’intervento. L’identità, tanto nella sua declinazione individuale quanto in quella sociale, si fonda, come abbiamo visto, sul concetto di ruolo; i ruoli, personali o sociali, non sono una mera espressione dell’Identità, ma rispetto a questa si caratterizzano come elementi costitutivi.

Le caratteristiche del ruolo ben si prestano, sia in ottica di studio sia in chiave applicativa e operativa, a distinguere e realizzare interventi in senso psicodrammatico, cioè focalizzati sull’individuo, da interventi sociodrammatici, centrati sul gruppo. Un aspetto, nel senso appena indicato, è particolarmente importante e significativo; ci riferiamo al fatto che l’«essere dell’individuo nel mondo» si definisce come esperienza privata, cioè riferita alla dimensione della soggettività individuale e delle relazioni più prossime e intime: l’agire per ciò che realizza e significa per il soggetto e per le persone direttamente implicate in quell’azione. Al contempo la sua partecipazione all’esistente si concretizza come esperienza pubblica: l’agire del soggetto individuale in quanto contributo di realizzazioni e significati implicati col contesto sociale e culturale.

I mondi che costituiscono la vita dei soggetti umani non sono mai completamente ed esclusivamente privati e personali, interagiscono continuamente con una molteplicità di altri mondi personali e privati, cosicché parti ed elementi comuni compongono una dimensione collettiva che si viene a sovrapporre alle dimensioni singole, personali. «Ogni ruolo è perciò una fusione di elementi privati e collettivi; ogni ruolo ha due lati, uno privato e uno collettivo» (Moreno, 1985, p. 416).

Lavorare su, e a beneficio, dell’Identità, in un contesto di Metodi Attivi, significa portare sulla scena, per rappresentarli, dei Ruoli; a seconda del particolare e specifico percorso di manifestazione ed esplicitazione dei ruoli verso cui ci indirizziamo, abbiamo l’opportunità di concentrarci su azioni e obiettivi riguardanti la sfera privata, personale o, viceversa, focalizzati su quella pubblica, sociale e culturale. Pensando, a titolo di esempio, al ruolo che fa riferimento alla categoria esistenziale «figlio», noi potremo accompagnare uno dei partecipanti all’esperienza psicodrammatica o sociodrammatica, a incarnare e rappresentare sulla scena il ruolo di «un figlio» o viceversa «del figlio».

Nel primo caso il soggetto coinvolto nell’azione rappresenterà sul palcoscenico una forma specifica dell’Essere, un figlio, caratterizzata da tutti quegli aspetti strutturali, e portatrice di quei significati, che fanno riferimento a una singola specifica esperienza di vita di quella precisa persona, l’attore stesso, protagonista di quella scena; realizzeremo così un intervento psicodrammatico. Nella seconda eventualità sulla scena verranno rappresentate, da uno o più soggetti agenti, le modalità operative, con le connesse determinazioni a livello di significati, riferite a come quello specifico ruolo (il figlio) si è venuto a definire secondo una dimensione comune e condivisa, in uno specifico ambito gruppale, sociale e culturale. I ruoli riferiti a specifiche, irripetibili nella propria soggettività ed unicità, esperienze individuali, rappresentano e fondano un’identità personale, e sono definiti ruoli psicodrammatici. I ruoli che rappresentano esperienze, esprimono idee e rimandano a significati collettivi e condivisi sono chiamati ruoli sociodrammatici.

La Catarsi

In entrambi i casi, psicodramma e sociodramma, Moreno individua come obiettivo dell’intervento la catarsi, distinguendo però una catarsi personale, tipica ed esclusiva del primo, dalla catarsi sociale, associata all’azione sociodrammatica.

La catarsi personale psicodrammatica è rivolta alla risoluzione di problemi personali e si è identificata originariamente, fin dalle esperienze drammaturgiche vissute e studiate nell’antica cultura greca, in azioni, e risultati, di liberazione e purificazione degli affetti e delle emozioni, vissute e considerate come ostacolanti, fastidiose e in ogni caso problematiche. Nel moderno sviluppo dell’azione di cura psicodrammatica, alla caratterizzazione abreativa dell’effetto catartico si è accompagnata sempre più, assumendo via via valore di prevalenza, una finalità integrativa della catarsi stessa. Con questa specificazione, catarsi di integrazione, intendiamo tutto un complesso di effetti e finalità che riguardano, a vario titolo, la strutturazione e la ristrutturazione dell’identità dei singoli: arricchimento, sviluppo, trasformazione, espansione, ecc.

Tornando alla dimensione sociodrammatica, ricordiamo come questo approccio tratti le dimensioni sociale e culturale costitutive di uno o più gruppi; il sociodramma tratta dimensioni e problemi sociali e culturali. Come avviene per la personalità, la società si sostiene e si organizza in ruoli, attribuiti ai diversi membri che la compongono; la stessa cultura è caratterizzata da una serie di ruoli che contribuiscono a strutturarla e a tramandarne i contenuti. È utile qui ricordare, e sottolineare, le due dimensioni che compongono il concetto di ruolo: la prima coincide con l’aspetto strutturale che va a identificare la forma costitutiva del ruolo stesso; il secondo aspetto concerne la sua dimensione simbolica, i significati cui rimanda, la capacità di generare, conservare e diffondere senso. Il ruolo si caratterizza perciò come elemento costitutivo e fondante gli ordini sociali e culturali sui quali basano la propria esistenza rispettivamente la società e la cultura.

L’intervento sociodrammatico è innanzitutto indirizzato a far emergere, attraverso la rappresentazione scenica e il bagaglio di strumenti tecnici collegati, l’ordine culturale proprio di uno o più gruppi sociali. La potenzialità catartica dei metodi d’azione profonda, a livello sociale, riuniti nella definizione di Sociodramma, si estende oltre l’intento esplorativo e palesante i contenuti caratterizzanti specifici gruppi sociali; l’azione sociodrammatica si presta ottimamente all’esplorazione e al trattamento in contemporaneità dei conflitti esistenti tra distinti e diversi ordini culturali.

Le simultanee attività di indagine, esplicitazione (attraverso la rappresentazione scenica), confronto e raffronto tra mondi culturali di gruppi diversi permettono ai rispettivi membri degli stessi di aggiungere elementi di conoscenza, e di sviluppare consapevolezza, in reciprocità; ne consegue l’aprirsi di possibilità trasformative a carico degli atteggiamenti mentali dei membri di ognuno dei gruppi culturali nei confronti degli altri. Il processo di elaborazione comune nel segno dell’Azione consente la Catarsi, la liberazione, da rappresentazioni stereotipate, gli uni degli altri, e da atteggiamenti pregiudiziali, consentendo e sostenendo dapprima la possibilità di integrazione di elementi reciproci di conoscenza e, successivamente, di creazione comune di strutture e significati.

Conclusioni

Il cammino di elaborazione e costruzione di eterogenee identità, individuali o sociali, è un cammino fatto di separazione e distinzione, e porta al costituirsi di differenze e specificità. Lo sviluppo, biologico, psichico, sociale e culturale si gioca in ogni caso e senza soluzione di continuità sul delicato e sensibile crinale che distingue appartenenza e separazione/distinzione. La moltiplicazione e la differenziazione si associano, per così dire in modo naturale, a valori di ricchezza e sviluppo; le identità, sia quelle personali che quelle collettive, sempre impegnate in processi di crescita e trasformazione, non sono immuni dal vivere emozioni di fragilità, insicurezza, angoscia associate a fantasie di disgregazione, dispersione, perdita e minaccia.

La diversità riferita a realtà «altro da sé» viene perciò facilmente percepita come ostile anziché come possibilità di arricchimento ed evoluzione. A livello individuale la relazione interpersonale opportunamente strutturata si viene facilmente a costituire e ridefinire come occasione di crescita e perfino di terapia. Allo stesso modo, la dimensione interculturale può essere adeguatamente esplorata e trattata, attraverso la reciprocità nelle manifestazioni, nella conoscenza e riconoscimento validante delle diverse entità sociali; l’obiettivo è quello di realizzare reali, liberi e profondi processi di Integrazione e costruzione del nuovo, oltre le chiusure, i timori, gli stereotipi e i pregiudizi.

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Note

1 F. Remotti, Identità, in Treccani.it: http://www.treccani.it/scuola/dossier/2013/parole/identita.html (ultimo accesso: 28/06/17).
2 I metodi attivi, che nascono dallo psicodramma classico, sono l’insieme di quegli approcci esplorativi e linguaggi espressivi che favoriscono l’emergere creativo e spontaneo di tutte quelle parti di sé e dei vissuti che spesso sono mascherati, poiché mediati dalla ragione (Schutzenberger, 1972).
3 V. Gallese (2014), Corpo e intersoggettività. Relazione al 18° Congresso SOPSI di Torino: https://www.youtube.com/watch?v=L53H8DCAolE (ultimo accesso: 28/06/17)
4 Interessante, e addirittura affascinante, osservare come queste immaginifiche intuizioni di Moreno possano essere perfettamente interpretate come anticipazioni delle più recenti scoperte, ad opera delle neuroscienze, e che fanno riferimento agli studi concernenti le origini e le fondamenta dell’empatia e il sistema dei «neuroni specchio» (Rizzolatti, 2006).
5 Dal greco tele («lontano») che ha come primo significato «da lontano» e si riferisce a operazioni che avvengono a distanza (Grammatica italiana, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma, 2012).

DOI: 10.14605/EI1521710


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ISSN 2421-2946. Educazione interculturale.
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