Sommario

Grazie alla legge della Regione Emilia Romagna del 9 maggio 2011, n. 3, recante “Misure per l’attuazione coordinate delle politiche regionali a favore della prevenzione del crimine organizzato e mafioso, nonché per la promozione della cultura della legalità e della cittadinanza responsabile”, abbiamo potuto avviare nel 2012 una ricerca che ha portato alla produzione di materiale didattico multimediale e a percorsi formativi per le scuole secondarie di secondo grado. Le finalità di tali percorsi consistono nella stimolazione di riflessioni e di approfondimenti relativi alla cultura mafiosa e nella generazione di comportamenti orientati alla responsabilità sociale e al rispetto dei diritti.

Parole chiave: legalità democratica, responsabilità sociale, educazione antimafia.

 

Introduzione[1]

Nel 2013, l’accordo di programma fra il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna e la Regione Emilia Romagna, per la realizzazione del progetto di ricerca denominato “La lezione della terra: dall’esperienza educativa delle cooperative di Libera terra alla formazione degli studenti della Facoltà di Scienze della Formazione e degli insegnanti delle scuole”, sanciva una collaborazione alla luce della legge 3/2011 e nella prospettiva di fornire un contributo pedagogico qualificato all’analisi delle metodologie didattiche e educative più appropriate per la diffusione della cultura della legalità. I risultati attesi erano la produzione di materiali audiovisivi e multimediali per la formazione, la documentazione delle attività formative dei campi di volontariato per ragazzi organizzati dalle Cooperative di Libera,[2] l’implementazione di percorsi didattici e la realizzazione di un sito web attraverso il quale diffondere una versione open del materiale prodotto.

Ai fini del raggiungimento degli obiettivi è stata fondamentale la collaborazione con Libera, con la quale nel 2006 l’Ateneo bolognese ha stipulato un accordo di collaborazione culturale che identifica nell’Università uno spazio privilegiato per approfondire e consolidare una cultura della legalità democratica capace di rispettare e ricostruire le regole nella società e motivare i giovani alla cittadinanza responsabile. Il progetto “La lezione della terra” ha visto anche la collaborazione del Gruppo Abele di Torino, che da anni è partner del Dipartimento di Scienze dell’Educazione per la realizzazione di iniziative formative nell’ambito del disagio sociale.

 

I presupposti pedagogici

I paradigmi educativi dai quali prende le mosse il progetto sono sostanzialmente tre: la cultura dei diritti, l’inclusione e la responsabilità sociale. Gli elementi di sintesi emergono dall’analisi dei materiali registrati nelle sedi dei beni confiscati durante le settimane di studio/lavoro con i ragazzi, dai momenti di condivisione con insegnanti e educatori, dalle attività con gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado svolte negli anni scolastici 2012/2013 e 2013/2014.[3] I temi di riferimento sono quelli propri dell’educare alla società democratica, intesa nel senso deweyano di partecipazione ai processi sociali e di cambiamento, di iniziativa personale e adattabilità (Dewey, 1916), che concordano con l’interpretazione recente di un ex magistrato italiano, ora impegnato nella formazione dei giovani, che persegue l’educazione all’appartenenza e al senso di comunità (Colombo, 2011) e con il messaggio educativo del giudice Morosini, attualmente giudice delle indagini preliminari al tribunale di Palermo e impegnato nell’opera di formazione al vivere democratico (Morosini, 2013).

Alla base dei concetti di democrazia c’è, in Dewey, l’assunzione del principio di responsabilità: a ciascuno è demandato il compito di offrire la propria collaborazione in relazione alle proprie competenze e per la costruzione di una società che abbia come fine il bene e la felicità comuni. L’educazione ha il compito di formare un cittadino alla dimensione proattiva, capace di assumere su di sé una funzione costruttiva sul piano sociale e di contribuire alla crescita della democrazia. In questo processo e nell’ottica deweyana, ogni diversità acquista dignità e va a formare la società democratica. La declinazione più moderna di questa teoria è la Pedagogia inclusiva, che si basa sul criterio dell’umanizzazione e sulla prospettiva della responsabilità sociale. In particolare, educare all’inclusione in questo contesto significa evitare situazioni di dipendenza per favorire autonomia di giudizio e maturità sociale (Canevaro, 2013).

Se la democrazia si fonda su una prassi inclusiva generata dalla condivisione di responsabilità, intesa come partecipazione attiva alla costruzione sociale, allora l’impegno dell’educazione deve essere orientato alla pratica riflessiva e allo sviluppo del pensiero critico e consapevole delle giovani generazioni, da mettere in atto in tutti gli ambiti di vita (individuale, gruppale, istituzionale, sociale).

La pedagogia dell’autonomia come fonte di cambiamento e di rinascita sociale è ispirata al messaggio di Freire e alla sua interpretazione relazionale e dialogica del rapporto educativo (Freire, 1972). L’educare organizzato collettivamente favorisce la presa di coscienza e quindi la problematizzazione. L’impegno concreto, operativo, può portare allo smascheramento di discriminazioni e sopraffazioni, al desiderio di ricostruzione. La responsabilità sociale, o co-responsabilità, è l’obiettivo al quale deve tendere ogni azione educativa. È questa la convinzione di don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, impegnato nella lotta contro le dipendenze e i soprusi delle mafie.

L’idea di supportare insegnanti, educatori e tutti gli operatori impegnati nella diffusione dei tre assi principali (cultura dei diritti, inclusione, responsabilità sociale) attraverso proposte didattiche esemplificative e l’attivazione di un contenitore (sito web), come fonte d’ispirazione didattica e archivio di materiali, spinge, supporta e determina le scelte e le azioni proposte nei percorsi didattici progettati per essere realizzati nelle scuole.

 

Le attività didattiche

Dopo la raccolta dei materiali documentali e delle testimonianze provenienti dai luoghi confiscati durante le settimane di scuola-lavoro, abbiamo prodotto due percorsi formativi per la fascia d’età 14-19, ispirandoci sia ai paradigmi pedagogici individuati, sia alla direzione di un’educazione all’antimafia che tenda a sollecitare e a rinforzare la possibilità di scegliere comportamenti ispirati alla cultura della legalità e alla convivenza democratica. Le finalità generali di quest’azione sono:

- promuovere la conoscenza delle mafie in Italia e nel loro territorio;

- collegare la conoscenza del macro-fenomeno mafioso ai comportamenti quotidiani collusivi;

- confrontarsi sull’importanza delle scelte nel proprio quotidiano e su come l’antimafia si basi anche su scelte individuali nei propri contesti di vita;

- conoscere le scelte di altri giovani nel contrasto alle mafie (Addio pizzo, Presidi studenteschi di Libera, ecc.);

- fare emergere i luoghi comuni e gli stereotipi sulle mafie attraverso metodologie e attività collaborative;

- rendere gli studenti produttori attivi di conoscenza sul fenomeno attraverso linguaggi comunicativi a loro più familiari;

- attivare gli studenti in attività di ricerca individuale e gruppale.

Partendo dalla conoscenza dei contenuti e dei comportamenti connessi al fenomeno mafioso, i percorsi formativi tendono ad approfondire tutto ciò che può essere collegato ai processi relazionali e sociali che promuovono l’illegalità. Attraverso il coinvolgimento diretto degli studenti alla produzione di conoscenza, si persegue l’obiettivo di offrire un’opportunità di riflessione e di confronto sulle piccole e grandi scelte d’impegno possibili all’interno della propria comunità scolastica e cittadina per divenire “moltiplicatori di legalità” nel quotidiano.

Gli studenti sono coinvolti in tutte le fasi del processo. Dopo un momento iniziale di stimolo per introdurre l’argomento, sono le scelte metodologiche a essere discusse con il gruppo di lavoro: l’organizzazione del percorso e le attività che lo caratterizzano vengono definite insieme e condivise. La partecipazione attiva a queste scelte è importante perché consente di coinvolgere tutti nell’ideazione del processo e di fare in modo che gli studenti sentano una maggiore responsabilità operativa nelle varie fasi del lavoro.

I passi successivi sono la rielaborazione dei contenuti emersi durante lo stimolo iniziale e l’organizzazione degli argomenti in categorie. Il tutto è funzionale alla distribuzione delle consegne operative individuali e di gruppo per sviluppare i temi emersi attraverso un lavoro di ricerca nel sito dedicato all’educazione antimafia e all’interno della rete internet. L’integrazione tra i contenuti iniziali e quelli selezionati nel lavoro di ricerca sarà il materiale finale che dovrà essere organizzato in modo sistematico, secondo le opzioni possibili scelte precedentemente dal gruppo (mappe concettuali, video, immagini, testi, ipertesti, ecc.), in una presentazione, intesa sia come momento di restituzione del lavoro svolto, sia come nuovo stimolo per altri approfondimenti e lo sviluppo di ulteriori progetti.

Il materiale prodotto e la presentazione sono anche orientati a verificare e valutare i risultati del processo. La valutazione è formativa, per dare impulso a ulteriori azioni coerenti con il percorso attivato, quali, ad esempio, l’attivazione di occasioni di peer education. In tali percorsi, gli studenti si possono sperimentare in situazioni d’informazione e formazione con altre classi o in momenti istituzionali più formali (come le assemblee o i seminari). Il momento conclusivo è rappresentato dalla pubblicazione dei lavori dei ragazzi sul sito, che costituisce un’occasione unica di condivisione e di visibilità per fornire nuovi spunti ad altri giovani che vorranno confrontarsi sui medesimi argomenti.

 

Attività 1: La pratica dei diritti (box 1)

L’attività si colloca all’interno di un processo di educazione alla legalità declinato sulla formazione di comportamenti sociali orientati alla co-responsabilità, per favorire la nascita di processi di rispetto delle diversità e di convivenza democratica. Attraverso l’analisi della cultura mafiosa e criminale si individuano i principi ispiratori di una convivenza basata sul rispetto dei diritti dell’uomo e si focalizza l’attenzione sull’importanza delle scelte nel proprio quotidiano e nei contesti di vita personale, a cominciare dal contesto scolastico. Lo scopo è rendere gli studenti consapevoli della responsabilità individuale di ciascuno e della possibilità di agire in gruppo per raggiungere il bene comune. Le attività sono orientate, inoltre, a sviluppare capacità di problem solving e di ricerca individuale e gruppale anche attraverso studi di caso. La durata complessiva è di 6 ore. La mappa del percorso è disponibile nella pagina “Attività” del sito www.educazione antimafia.unibo.it.

 

Attività 1: La pratica dei diritti

Obiettivi:

- riconoscere i principali elementi della convivenza democratica;

- riconoscere i principali elementi della cultura mafiosa e dell'illegalità;

- trovare soluzioni idonee alla convivenza democratica attraverso studi di caso.

 

Esempi di attività:

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Il percorso prende l’abbrivio da un passaggio di una lezione di Gherardo Colombo, videoregistrata e pubblicata nel sito. Colombo esprime così la relazione tra i cittadini e le regole:

Con una metafora, mi sono sentito a un certo punto come si sentirebbe un idraulico che viene chiamato da un signore che si sveglia la mattina, va in cucina per farsi il caffè, apre il rubinetto ma l’acqua non scende. L’idraulico arriva, guarda il rubinetto, tira fuori i ferri e si mette a lavorare, smonta di qua, rimonta di là, cambia questo, sostituisce quello, ma non c’è niente da fare… L’acqua non viene, allora pensa: ci sarà qualcosa da guardare prima del rubinetto per far venire l’acqua? Segue le tubature, arriva in cantina, si ritrova davanti al rubinetto centrale, alla saracinesca che porta acqua a tutto il condominio. Allora ritira fuori i ferri, si rimette a lavorare, lavora tanto, veramente tanto, ma alla fine torna in cucina, apre il rubinetto e l’acqua esce. Io ho fatto il magistrato per 33 anni e c’era una costante, la giustizia funzionava male, ha sempre funzionato male in questo paese. E allora a un certo punto mi sono chiesto: come mai per quanti sforzi si facciano la giustizia continua a funzionare male? Non è che ci sia da guardare qualcosa prima di tribunali, corti d’appello, giudici, pubblici ministeri, ecc.? Ho seguito le metaforiche tubature e mi sono trovato davanti alla serranda centrale. La serranda centrale è la relazione che esiste tra i cittadini/persone e le regole. Se non capiamo il perché delle regole, a cosa servono, qual è la relazione che intercorre tra loro (le regole) e noi, addio. Perché dovremmo osservarle? (Incontro con Gherardo Colombo, Facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Bologna, novembre 2010, http://youtu.be/DP3yLANLG54?list=).

 

La seconda attività consiste nella visione della famosa intervista di Enzo Biagi, nel 1989, al boss Luciano Leggio, con la richiesta di estrapolare dalle parole di Leggio le regole della cultura mafiosa. Si chiede di confrontare poi tali regole con i diritti dell’uomo espressi nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e di elaborare alcuni possibili temi per un’educazione civile. Si riportano di seguito alcuni passaggi dell’intervista a Leggio:

 

«Io non sono al servizio della Polizia. Io non sono al servizio di nessuno. La persona onesta si deve fare i fatti suoi. Io non faccio i nomi di nessuno perché io non sono tenuto a fare il poliziotto per nessun motivo al mondo».

«Questo dimostra che io non ero così potente come vogliono far credere. Perché altrimenti si sarebbero guardati bene dall’accusarmi di tutte queste cose, poiché mi sarei vendicato».

Biagi: «Che cosa non ha funzionato nella sua vita, per il fatto che sta qui dentro?». Liggio: «Niente, non ha funzionato l’onestà e lo zelo di chi è stato chiamato a giudicarmi».

«Non ho mai detto di essere un santo, sarebbe assurdo questo, e se un altro tenta di pestarmi i piedi, non mi piace. […] Gli dico di smetterla, non l’accetto questo discorso. E se non smette gli pesto il suo. È normale. Lei che fa, quello che dice Gesù Cristo: se uno gli dà uno schiaffo, ci metti l’altra guancia così. E a guance dove andrei io se dovessi dare la guancia sempre a uno che mi vuole dare uno schiaffo. Quante guance dovrei avere per tutti questi molluschi che credono di diventare uomini accanendosi su di me. Che la maggioranza di questi che si accanisce su di me sono l’ultimo anello fangoso della società. Molluschi, chi è pederasta, chi è licenziato dalla moglie, chi è […] allora credono di diventare duri, di diventare uomini scagliandosi su di me».

 

Alcuni temi che sono emersi alla fine dell’attività sono stati: vendetta vs giustizia secondo le leggi; calunnia e intimidazione vs rispetto della persona; oppressione e dominio vs libertà; indifferenza vs partecipazione; egoismo vs responsabilità sociale.

 

 Attività 2: Conoscere la mafia: bullismi e legalità

Attraverso questa azione formativa s’intende educare alla legalità e alla cittadinanza attiva, offrendo opportunità di riflessione attraverso stimoli concernenti i comportamenti nel gruppo e nella comunità. Inoltre, si vuole stimolare la conoscenza del territorio e delle sue dinamiche sociali, culturali ed economiche, facilitando la comprensione su come poter divenire agenti di cambiamento e diffusione di legalità, coscienza civile, inclusione.

 

Attività 2 Conoscere la mafia: bullismi e legalità

Obiettivi:

- acquisire conoscenze e strumenti critici (confronto) per una lettura critica del fenomeno mafioso: analisi della cultura, dei messaggi, della storia e delle modalità di azione e manifestazione del sistema mafioso;

- riconoscere le strutture, le istituzioni e le leggi che garantiscono i diritti dei cittadini;

- riflettere sul senso di cittadinanza, di giustizia e rispetto delle regole, norme e leggi;

- individuare gli aspetti operativi che caratterizzano il ruolo della società civile contro il fenomeno mafioso, mirando alla responsabilizzazione dei minori come cittadini;

- attivare un primo approccio al concetto di costruzione sociale democratica.

La metodologia prevede il coinvolgimento attivo dei partecipanti. Gli stimoli di riflessione e i percorsi operativi sono centrati sui processi d'inclusione. Si privilegia l’apprendimento per scoperta e la direzione didattica della classe rovesciata (flipped classroom), che prevede un ruolo di facilitatore/stimolatore dell’insegnante e l’allievo quale agente di produzione di contenuti e conoscenza che saranno organizzati in modo sistematico durante il percorso. Tra le tecniche utilizzate ci sono il brainstorming, le discussioni guidate, i lavori in gruppo, le ricerche online, la presentazione dei risultati del lavoro svolto, la produzione di cartelloni e materiali interattivi.

Il prodotto di sintesi del percorso rappresenta la traccia concreta del lavoro effettuato. Tutte le informazioni raccolte e organizzate sono sottoposte a verifica finale. L’attività di verifica si svolge collettivamente durante l’incontro conclusivo e riguarda l’attendibilità delle fonti e la completezza delle informazioni raccolte. Infine, si conclude con una discussione finale che ha lo scopo di fare emergere il cambiamento in termini di conoscenza generale, di capacità di mettere in relazione fenomeni e comportamenti, di confronto e riflessione in situazione collettiva. Il livello di approfondimento e problematicità è espresso nelle diverse forme di restituzione organizzata dei contenuti e nelle caratteristiche specifiche delle presentazioni che gli studenti scelgono al termine del percorso.

 

La struttura prevede 3 incontri di 2 ore, per un totale di 6 ore, così organizzati:

1° incontro: presentazione delle tematiche, brainstorming e associazioni libere, categorizzazione tematica, ricerca materiali sul web, costituzione gruppi di lavoro;

2° incontro: analisi dei materiali selezionati, organizzazione del materiale, verifica del lavoro individuale e di gruppo;

3° incontro: presentazione individuale e collettiva degli elaborati, azioni di verifica, valutazione finale del percorso.

 

È fondamentale che, tra un incontro e l’altro, l’insegnante curricolare promuova e sostenga il percorso fornendo spazi e tempi, supporto operativo e logistico. Senza tale disponibilità sarebbe impossibile svolgere questo percorso in 6 ore, dato che gli incontri rappresentano momenti di stimolo/organizzazione/rinforzo circa i contenuti e il processo. È necessario, quindi, coordinare preventivamente il lavoro con l’insegnante, non solo per gli aspetti burocratici e logistici, ma, soprattutto, per quelli metodologici e didattici.

 

Esito dei percorsi didattici

I percorsi sono stati organizzati in funzione delle caratteristiche della classe e presentati ai ragazzi attraverso una lezione frontale (presentazione delle tematiche). La prima fase operativa è stata dedicata alla ricognizione delle rappresentazioni del fenomeno mafioso (brainstorming e associazioni libere).

Si è constatato come tali rappresentazioni siano caratterizzate da stereotipi provenienti dai mezzi di comunicazione e dalle fonti informative informali (famiglia, amici, ecc.). Infatti, la conoscenza dell’argomento è basata sul sentito dire e, in particolare, sui prodotti televisivi e cinematografici. Si cerca allora d’integrare tale conoscenza attraverso l’attivazione di processi di analisi critica: mettere in relazione e operare collegamenti e confronti. Una volta messi in campo questi strumenti generali per una lettura critica del fenomeno mafioso e operata una prima sintesi, attraverso una categorizzazione tematica degli elementi emersi nel brainstorming, si passa alla fase di ricerca centrata sull’analisi della cultura, dei messaggi, della storia e delle modalità d’azione e manifestazione del sistema mafioso. A tal fine, vengono costituiti dei gruppi di lavoro eterogenei ai quali è dato il compito di sviluppare le categorie individuate attraverso l’attività di raccolta d’informazioni.

È importante sottolineare come il supporto delle tecnologie renda possibile fare un lavoro di ricerca e raccolta d’informazioni molto capillare e ampio in tempi estremamente contenuti. La rete internet rappresenta un “mare informativo” che, però, deve fare i conti con l’attendibilità delle fonti informative, e ciò rappresenta un ulteriore nodo di apprendimento trasversale attivato nel percorso.[4]

Il secondo incontro è centrato sull’organizzazione del materiale trovato e ogni gruppo si confronta sui temi scelti. Si comincia con il fare una prima analisi dei materiali selezionati in relazione agli obiettivi di conoscenza delle strutture della criminalità organizzata, delle istituzioni che la contrastano, delle figure significative che ne caratterizzano la storia e l’attualità, delle leggi che oggi ne rendono efficace il contrasto (antimafia sociale).

Dal punto di vista dei processi di apprendimento e delle metodologie ad essi collegate, il percorso si focalizza sull’apprendimento per scoperta, essendo orientato allo sviluppo di abilità e capacità di analisi e sintesi (pensiero convergente) e alla rielaborazione creativa del materiale (pensiero divergente). Il lavoro deve agire su diversi piani della conoscenza, teorica e pratica, al fine di incidere sullo sviluppo di competenze dei partecipanti, dato che s’intende stimolare l’operatività di comportamenti presenti e futuri in grado di tenere conto di questa esperienza.

In questo setting formativo tutto è condiviso, sia per quanto riguarda il contenuto, sia per ciò che concerne il processo di apprendimento; ciò rende possibile una forte circolazione della conoscenza e incrementa la partecipazione attiva dei soggetti più marginali in relazione alla motivazione e all’attivazione operativa nel gruppo.

Nell’ultima fase, il focus è la creazione di una presentazione da somministrare alla classe. Ogni gruppo progetta e realizza il proprio prodotto e lo presenta ai compagni. Quest’attività costituisce il momento conclusivo del percorso e la modalità di verifica dello stesso. Il nodo da verificare è lo scarto tra gli stereotipi iniziali e la conoscenza della realtà avvenuta nel processo di apprendimento, reso possibile grazie alle informazioni provenienti da fonti attendibili.

L’obiettivo di dare impulso al processo di presa di consapevolezza, circa il ruolo di ciascuno come soggetto protagonista nel modello democratico e nella vita territoriale, è raggiunto nell’osservazione della qualità dei prodotti finali e nella maggiore competenza manifestata nell’analizzare criticamente il fenomeno mafioso in generale e nel proprio territorio: si è messa in moto la presa di coscienza che tale situazione è più vicina di quanto si pensi, e che ognuno può fare la propria parte per contrastarla e dare un contributo attivo alla costruzione di una società più “pulita”.

Naturalmente, questi percorsi rappresentano solo l’inizio di un lavoro più ampio che andrebbe impostato, a nostro avviso, in modo puntuale, continuativo e capillare, prendendo a pretesto la nostra storia sociale e politica, per coinvolgere al suo interno la quotidianità dei nostri giovani, intesi come capitale umano protagonista indiscusso della qualità della società futura: il nostro compito di educatori allora non può che essere educare precocemente alla corresponsabilità, al rispetto delle regole e dell’altro, alla comprensione profonda di ciò che significano i termini democrazia, giustizia, convivenza, tolleranza, partecipazione, perché diventino comportamenti e azioni diffusi.

Le immagini rappresentate nelle figure 1-5 sono tratte da alcune presentazioni realizzate dai ragazzi.[5]

 

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Fig. 1 Alcune definizioni raccolte e presentate dai ragazzi.

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Fig. 2 Una mappa dei concetti principali collegati alla parola “mafia”.

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Fig. 3 Parte di una mappa concettuale.

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Fig. 4 Esempio di materiale documentale raccolto e presentato da un gruppo classe.

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Fig. 5 Esempio di materiale documentale raccolto e presentato da un gruppo classe relativo al concetto di oppressione.

 

  

La ricerca

La ricerca ha indagato l’ambito dell’educazione alla legalità, circoscritta alle attività collegate all’antimafia sociale, e ha perseguito il fine di individuare i principali paradigmi pedagogici di riferimento per un’educazione antimafia rivolta alle scuole secondarie di secondo grado. Il procedimento bottom-up ha consentito di attuare il passaggio prassi-teoria-prassi, portando all’identificazione di alcuni temi fondanti con una successiva ricaduta sulla prassi, arricchita dalla riflessione cognitiva. Il risultato finale è stato, infatti, l’elaborazione di materiali e percorsi didattici fondati sui paradigmi pedagogici individuati.

Abbiamo scelto di utilizzare l’espressione “educazione antimafia” consapevoli del rischio di incorrere in alcune critiche. Il concetto espresso al negativo porta con sé tutti i limiti relativi: pone l’accento su ciò che è “contro” mettendo in secondo piano il pensiero costruttivo e propositivo, inoltre può essere confuso con un approccio giuridico richiamando l’azione repressiva svolta dalla Magistratura e dalle forze dell’ordine. Abbiamo tuttavia valutato che l’espressione “antimafia” potesse focalizzare più chiaramente l’oggetto dell’azione didattica rispetto al concetto di “educazione alla legalità”, che si presta a interpretazioni molto ampie. Riteniamo inoltre utile il richiamo al lavoro della Magistratura, in quanto le due azioni, quella repressiva e quella educativa, possono e devono procedere parallelamente. Ripeteva spesso il giudice Caponnetto: «La mafia teme più la scuola della giustizia. L’istruzione taglia l’erba sotto ai piedi della cultura mafiosa».

La ricerca intrapresa, per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di programma stipulato con la Regione, ha indagato i temi dell’educazione alla legalità e alla cittadinanza responsabile attraverso l’osservazione dei percorsi educativi attivati da Libera nei beni confiscati alle mafie.

Il primo obiettivo è stato quello di individuare i paradigmi pedagogici dell’educazione alla legalità e all’antimafia. Un secondo obiettivo è stato la produzione di materiale multimediale utilizzabile per la didattica nelle scuole secondarie di secondo grado, con la conseguente ideazione e formalizzazione di attività didattiche specifiche. Siamo partiti dall’extrascuola per trovare punti di contatto con l’educazione scolastica più formalizzata.

Per fare ciò abbiamo osservato le attività organizzate durante le settimane di volontariato, quando gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado e dell’università, vivendo negli edifici confiscati alle mafie, lavorano nei terreni affidati alle cooperative e sono impegnati in azioni formative sui temi dell’antimafia. Siamo stati in tre regioni italiane, Piemonte, Emilia Romagna e Puglia, videoregistrando situazioni di studio/lavoro, interviste e momenti di vita quotidiana (Corazza, 2013).

Si è adottato l’approccio della ricerca-azione, con una forma d’indagine volta a sollecitare l’autoriflessione negli educatori coinvolti, per migliorare la razionalità delle pratiche e per giungere a una loro formalizzazione, consentendo di creare veri e propri percorsi didattici.

Le tecniche e gli strumenti utilizzati sono stati l’osservazione e la registrazione audiovisiva di percorsi formativi e di situazioni di vita quotidiana, interviste filmate, focus group con educatori e insegnanti collaboratori di Libera a Bologna.

I soggetti coinvolti nella ricerca, oltre allo staff tecnico-scientifico afferente al MELA, laboratorio di media education del Dipartimento di Scienze dell'Educazione dell'Università di Bologna, sono stati: 3 educatori di Libera impegnati nei campi, 3 esperti progettisti di attività formative del Gruppo Abele, 3 referenti istituzionali dei beni confiscati, una persona vittima di mafia, un familiare di vittima di mafia, 60 studenti coinvolti nel processo. Gli educatori e gli studenti hanno rappresentato una presenza attiva e hanno rivestito un ruolo importante nella ricerca, portando le loro testimonianze e riflessioni.

Per l’applicazione delle 2 attività didattiche progettate, sono stati coinvolti 42 studenti di scuola secondaria di primo grado e circa 160 studenti della scuola secondaria di secondo grado, nelle province di Bologna, Rimini e Reggio Emilia. Nelle scuole secondarie di secondo grado abbiamo realizzato il percorso formativo con gruppi di studenti provenienti da classi e scuole diverse. In alcuni casi, e per raggiungere il maggior numero possibile di interlocutori, al lavoro nelle classi abbiamo preferito il lavoro per gruppi di ragazzi, scelti sulla base dell’interesse personale e appartenenti a varie classi di scuole diverse, mettendoli nelle condizioni di diventare peer helpers a disposizione dei compagni, per dare peso e continuità nelle scuole all’impegno intrapreso da questo progetto.

 

I prodotti: un sito web e un film

Oltre ai percorsi didattici ampiamente descritti in precedenza, i risultati tangibili sono stati due. Innanzitutto un sito internet che raccoglie il materiale multimediale e le proposte formative.[6] Il sito è continuamente aggiornato grazie ai rapporti con le scuole, gli educatori e gli studenti dei presidi cittadini che collaborano alla produzione e alla diffusione di materiali utili alla didattica. Il sito raccoglie anche i lavori degli studenti che partecipano alle attività formative e che testimoniano la riflessione e la voglia di partecipare alla costruzione di una cittadinanza consapevole e impegnata. Accanto ai materiali multimediali, si ritrovano nel sito anche proposte di progetti didattici per le scuole attorno ai temi che la ricerca ha identificato essere preponderanti per l’educazione alla legalità e all’antimafia.

Un secondo risultato, raggiunto in maniera inattesa rispetto alle finalità del progetto e grazie alla collaborazione di un regista documentarista dottorando di ricerca presso il Dipartimento di Scienze dell'educazione, è stato il film Muro Basso, un film documentario che dichiara il punto di vista dell’antimafia e delle azioni educative e sociali.[7] La cornice storica del film è la contemporaneità, nella quale la legislazione italiana consente la confisca dei beni di reato e il loro riutilizzo per scopi sociali. L’analisi culturale comprende i concetti di decrescita e di economia sostenibile, la riflessione pedagogica acquisisce i paradigmi di spazio e tempo per rileggerli in chiave educativa e di crescita personale.

Alla cultura mafiosa, ben argomentata, anche se involontariamente, da Luciano Liggio intervistato da Enzo Biagi, viene associata la cultura della condivisione, della crescita, dell’aggregazione. Il documentario è frutto di ricerca e dichiara il suo punto di vista. Tuttavia non veicola un pensiero univoco, ma vuole rappresentare la complessità di temi e di prospettive che storicamente si sono intrecciati attorno al tema della mafia e dell’antimafia. Lo sguardo della telecamera doveva essere uno sguardo critico per uscire dai luoghi comuni e dagli stereotipi che troppo spesso hanno animato i racconti cinematografici su questi temi. La difficoltà del comprendere, propria di chi vuole andare a fondo e non rimanere intrappolato nella superficialità dell’analisi, si traduce in uno sguardo sfuocato, non sempre nitido e preciso della telecamera.

Spesso le risposte non sono facili e la realtà sorprende con la sua eterogeneità. Il ruolo della religione, ad esempio, è complesso e ha molte sfaccettature: nel film ci sono i tanti luoghi e i tanti simboli della cristianità che accompagnano da sempre la vita e l’organizzazione sociale delle famiglie mafiose; ci sono anche figure carismatiche, come don Luigi Ciotti e Papa Giovanni Paolo II, che hanno contribuito a creare coscienza critica e spirito di ribellione. La scelta delle immagini e delle inquadrature traduce nel linguaggio audiovisivo la volontà di guardare alla realtà in modo autonomo: tanti sguardi si accompagnano a tante sospensioni di giudizio, fuori dai canoni estetici tradizionali e quindi da visioni consolidate e stereotipate. In contrasto con la crudezza e all’immediatezza del linguaggio della mafia si offre allo spettatore la lentezza dell’azione educativa.

La strada per sostenere e mettere in pratica i principi che animano la condotta sociale orientata alla solidarietà, al rispetto dei diritti e della democrazia appare difficile e con molti ostacoli. Il film non ha voluto edulcorare una realtà così evidente e ha raccontato i tanti aspetti di un lavoro, quello educativo, che se richiede sempre tempo e costanza, in contesti contaminati da comportamenti mafiosi appare ancora più lento e faticoso. Dallo stridente contrasto fra le parole di Liggio, le testimonianze di coloro che hanno subito l’azione della mafia e le riflessioni degli operatori, degli educatori e dei ragazzi si può evincere che la cultura della mafia ha una sua pedagogia, in netta antitesi con quella di un paese democratico.

 

 

Per non concludere

La storia dell’antimafia italiana narra che il 13 settembre 1982 veniva approvata la legge n. 646, nota come “Legge Rognoni – La Torre”, che introduce per la prima volta nel codice penale la previsione del delitto di associazione a delinquere di tipo mafioso (articolo 416 bis) e la confisca dei beni alle organizzazioni criminali. Pio La Torre viene ucciso da Cosa Nostra in un agguato a Palermo il 30 aprile 1982. Nel 1992, un mafioso pentito, Leonardo Messina, rivela che Pio La Torre fu ucciso su ordine di Totò Riina, capo dei Corleonesi, a causa della sua proposta di legge riguardante i patrimoni dei mafiosi.

Grazie alla raccolta di firme promossa da Libera nel 1996, i parlamentari italiani votano all’unanimità la legge n. 109, che prevede che i beni confiscati siano destinati ai comuni per finalità istituzionali o sociali, con la successiva assegnazione in comodato a enti o associazioni del volontariato e della società civile.

La storia dell’educazione alla legalità nelle scuole è recente e segue anche gli episodi legislativi. Oggi sono molti gli educatori impegnati in queste attività. La sfida è quella di aggiornare continuamente metodi, tecniche e obiettivi per renderli compatibili con le caratteristiche e i bisogni formativi e cognitivi delle nuove generazioni.

Per questo si rende necessario porre al centro la continuità dell’impegno educativo nelle scuole, nei centri di aggregazione, nelle comunità territoriali, al fine di determinare processi evolutivi individuali e relazionali stabili e costanti fondati su solidi legami sociali capaci di generare, rigenerare e diffondere legalità, inclusione e solidarietà.

 

 

AUTORE PER CORRISPONDENZA

Laura Corazza

Dipartimento di Scienze dell’Educazione

Università di Bologna

Via Filippo Re, 6

40126 Bologna

E-mail: laura.corazza@unibo.it

 

Riferimenti bibliografici

Canevaro A. (2013), Scuola inclusiva e mondo più giusto, Trento, Erickson.

Ciotti L. (2011), La speranza non è in vendita, Milano, Giunti.

Colombo G. (2011), Democrazia, Torino, Bollati Boringhieri.

Corazza L. (2013), Antimafia nella didattica scolastica, «Studium Educationis», vol. 14, n. 3, pp. 21-31.

Dewey J. (1916), Democracy and education: An introduction to the philosophy of education, New York, Macmillan, trad. it. Democrazia e educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1992.

Freire P. (1972), La pedagogia degli oppressi, Milano, Mondadori.

Freire P. (2004), Pedagogia dell’autonomia. Saperi necessari per la pratica educativa, Torino, EGA.

Morosini P. (2013), Mafia e democrazia, in E. Gallina (a cura di), Vivere la democrazia, Torino, Gruppo Abele, pp. 120-130.

 

 

[1] Se l’esperienza è stata condivisa da entrambi gli autori, le responsabilità della relazione scritta sono suddivise in questo modo: di Laura Corazza i paragrafi 1, 2 (attività 1), 5; di Alessandro Zanchettin i paragrafi 2 (attività 2), 3, 4.

[2] Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie www.libera.it.

[3] Di seguito l’elenco delle scuole coinvolte: Istituto Comprensivo di Verucchio (RN); Istituto Comprensivo di Rubiera (RE); Liceo Scientifico “Niccolò Copernico”, Bologna; Liceo Classico “Luigi Galvani”, Bologna; Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri “Crescenzi Pacinotti”, Indirizzo Ragionieri, Bologna; Istituto Enrico Mattei, Liceo Scientifico, San Lazzaro di Savena (BO); Istituto di Istruzione Superiore “Ettore Majorana”, Indirizzo Meccanico, San Lazzaro di Savena (BO); Liceo Scientifico Fermi, Bologna; C.E.F.A.L. – Consorzio Europeo per la Formazione e l'Addestramento dei Lavoratori – Società Cooperativa, San Lazzaro di Savena (BO); Istituto Molari, Santarcangelo di Romagna (RN).

[4] A questo scopo abbiamo creato all’interno di questo progetto il sito http://educazioneantimafia.unibo.it.

[5] Si tratta di materiale originale senza correzioni o interventi da parte dell’insegnante.

[6] http://educazioneantimafia.unibo.it/.

[7] Film documentario del 2014, 53' ita, regia di Enrico Masi e Stefano Migliore. Produzione Caucaso in collaborazione con Laboratorio MELA Università di Bologna, Libera, Gruppo Abele. Alla sceneggiatura hanno collaborato Laura Corazza, Alessandro Zanchettin, Sara Donini.

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