Test Book

Approfondimenti

Superare l’emergenza: appunti per un progetto ambizioso e necessario

Andrea Canevaro


Abstract

The drowned migrants, the victims who are denied their rights, the victims of smugglers, who might in turn themselves be victims of the lucrative entrepreneurs of illegal work, which in turn is based on the ignorance of not knowing one’s rights... All these circumstances require us: to insert information on the rights and responsibilities of citizenship in a more structural and substantial way; to go beyond emergency and build a project; to do it together with those who escape from despair and who we might mistakenly believe ourselves to know better than or be freer from.



Sommario

Gli annegati dei barconi, le vittime della negazione dei diritti, vittime dei trafficanti, forse a loro volta vittime degli impresari dell’illegalità che vive sull’ignoranza dei propri diritti e sul lavoro nero… Tutte queste situazioni ci chiedono di: inserire in maniera strutturale e stabile le informazioni sulla cittadinanza fatta di diritti e di doveri; farlo insieme, chi scappa dalle disperazioni e noi, che potremmo credere, sbagliando, di essere liberi e di saperla lunga; fare uscire, chi fugge le disperazioni, dall’emergenza e costruire, con loro, un progetto.

Premesse

Parlare in prima persona scrivendo un contributo per una rivista potrebbe sembrare presuntuoso. Solitamente viene usato il noi, per indicare un ruolo di appartenenza e non volendo assumere quello del pensatore solitario. Ma qualche volta bisogna assumere la prima persona, per fare capire immediatamente che chi scrive è disposto a prendersi delle responsabilità in prima persona. Chiarito questo aspetto stilistico, vorrei evidenziare anche che quelli che seguono sono appunti per un progetto ambizioso che non posso realizzare da solo. Potrà sembrare un paradosso, ma più un progetto è ambizioso, più ha bisogno di umiltà, cioè voglia di chiedere a chi potrebbe sapere o potrebbe saper domandare a chi sa. Questi appunti potrebbero essere accusati di illuminismo, di ingenuità e di molti altri difetti. Chi può, oltre ad accusare, intervenga con proposte, idee e correzioni.

Appunti. Per un progetto. Questo significa che a volte indicherò temi che non svilupperò, ritenendo utile non soffermarmi ma cercare, almeno cercare, di rendere il respiro vasto del progetto. Che avrebbe l’ambizione — tenetevi! — di rovesciare in positivo quella globalizzazione che conosciamo soprattutto per i danni che fa. Farò, nelle pagine che seguono, degli esempi. Piccoli rispetto al disegno ambizioso appena dichiarato. Gli esempi sono un rischio, perché vorrebbero dare concretezza, ma escono come dettaglio da una prospettiva che l’estensore di questi appunti cerca di intravedere. Ma chi legge potrebbe, da quell’esempio di dettaglio, essere fuorviato ad andare in un’altra direzione. E questo rappresenta un rischio. Ma lo corro per un motivo che ritengo importante: il progetto deve utilizzare, facendo un lavoro di bricolage, tutto ciò che c’è, e non buttare via niente. Nella convinzione che le innovazioni reggono se molti vi riconoscono qualcosa che già conoscono. È come arrampicarsi su una parete di montagna: per avanzare bisogna avere saldi appoggi. Delineerei tre segmenti del progetto e alcune conclusioni, del tutto provvisorie. Va da sé che il tutto è in forma di appunti e, come tale, necessita di un perfezionamento da parte di chi se ne intende. Qualcuno mi permetto di chiamarlo in causa con qualche domanda, certamente poche rispetto alle tante che potrebbero essere formulate.

Devo avvertire i lettori che le pagine che seguono sono scritte con l’intenzione, non ho idea se almeno in parte realizzata, di non dare risposte all’immediato, ma di proporre una logica di progetto che esige tempo. La logica dell’immediato, o dell’emergenza, vuole subito, non accetta il tempo. Ma il tema che ci accompagna non è di quelli che possono essere affrontati con un colpo di teatro dell’immediato. Deve o vorrebbe avviare una dinamica evolutiva. Che ha bisogno di tempo. E questo dipende in buona parte da noi.

Viaggiare avendo un progetto

I viaggi di chi cerca rifugio, dalle guerre, dalle miserie, dall’assenza di futuro, fruttano ricavi di rapina non piccoli a organizzazioni illegali che fanno della violenza e dello sfruttamento la loro ricchezza. Basata sull’assenza di informazioni da parte dei rifugiati. Credo che il progetto debba quindi affrontare il tema delle informazioni. Sapendo che le informazioni non sono tutto, ma possono costituire un buon inizio. Il cattivo inizio dei deportati verso i campi di morte nazisti era un vagone piombato che portava verso una destinazione ignota, oscura, che qualcuno sperava fosse una nuova patria. E sarebbe stato solo l’inizio di una tragica mancanza di informazioni e, di conseguenza, una totale dipendenza da chi organizzava la vita dei deportati. Provo a ipotizzare un percorso:

  1. Il Mondo è affollato? Se guardiamo indietro, solo cent’anni fa l’espressione vai per il vasto mondo aveva un senso che oggi — 2015 dell’era cristiana — non ha più. E questo cambia il significato della parola cittadinanza, che non può più riferirsi a una determinata città, ma deve fare i conti con il mondo intero.

  2. Possiamo continuare a considerare questo — cittadinanza nel Mondo — unicamente un fatto straordinario, un’emergenza? Possiamo continuare a considerarlo un incidente legato al popolo dei barconi? O dovremmo piuttosto vivere il popolo dei barconi come l’aspetto tragico di un generale e inarrestabile movimento di persone? E se è così, non dovremmo proporre un’organizzazione attiva per favorire la legalità del fenomeno migratorio? E accompagnarlo da un movimento di idee?

  3. Proviamo a progettare un percorso CIC: Cittadinanza Informata e Consapevole, nel Mondo. Non nella dimensione drammatica dell’emergenza umanitaria, ma collocando questa in una pacifica dinamica di conoscenza reciproca.

  4. All’interno di questo ampio quadro, certamente occorre agire per chiudere l’emergenza del popolo dei barconi, dei TIR con doppiofondo, delle fughe a piedi con offerte criminali (passaporti taroccati, falsi permessi di soggiorno… schiavitù pagata e perpetuata a caro prezzo). Gli accordi eventuali con i Paesi dell’altra sponda del Mediterraneo sono stati mirati alla possibilità che quei Paesi compiano le azioni di trattenimento e dissuasione. Queste azioni hanno avuto risultati modesti e discutibili. Le vie di accesso, mediaticamente molto rappresentate, sono le vie marittime — barconi, carrette del mare, ecc. Ma le vie terrestri — TIR, celle frigorifere, nascondigli sotto i camion, ecc. — sono numericamente rilevanti. Con molte morti che sembrano sfuggire alla contabilità del comune cittadino. 

  5. Il percorso che propongo risulta così articolato: a) Individuare un numero ristretto di scuole superiori o centri educativi — licei, istituti professionali, centri di formazione professionali, centri religiosi aperti al dialogo ecumenico — compatibilmente con le situazioni che ciascun Paese vive, e valorizzando le presenze significative — di nuclei religiosi, Organizzazioni Non Governative (ONG), centri comunitari, ecc. b) Realizzare, con queste collaborazioni, un prototipo flessibile di percorso (CIC) che porti ad assumere una cittadinanza informata, consapevole e capace di sviluppare il dialogo. c) Attivare un rapporto di partenariato fra Università nei quattro Paesi, che dovrebbero assumere un ruolo di supervisione del percorso CIC. d) Attivare un percorso di alfabetizzazione alla cittadinanza, e renderlo praticabile dalle comunità coinvolte e aperto a coloro che ne facciano richiesta, per essere informati e consapevoli, avendo il desiderio di provare a sviluppare la loro vita in altri Paesi, di cui hanno forse notizie di seconda mano. Chi ha questo desiderio potrà aggregarsi e fare gruppo presso una sede riconoscibile anche per le relazioni già avviate con l’area geopolitica europea. Ad esempio: un centro di formazione professionale avviato da religiosi (ad esempio: salesiani); una ONG con le sue attività; un centro comunitario, ecc.

  6. Ipotizziamo che il percorso CIC permetta di tradurre in obiettivi specifici i punti che seguono: a) Conoscere la geografia politica e saperla leggere in funzione di un possibile percorso di mobilità, prestando attenzione sia alla condizione culturale ed economica, sia alle esigenze di carattere istituzionale, come documenti necessari, organizzazione del proprio portafoglio, condizioni abitative, ecc. b) Conoscere le condizioni di accoglienza — quote, contratti di lavoro, ecc. — dei diversi Paesi che sono nelle prospettive dei migranti. c) Favorire la realizzazione di reti sociali. d) Individuare i maggiori rischi e comprendere come farvi fronte. e) Cercare di capire le differenze legate al genere, presenti nelle diverse culture, e nei differenti Paesi. f) Individuare le competenze lavorative che possono essere premiate.Collegare il Progetto CIC all’economia reale, sia per avere apporti significativi nel percorso formativo CIC, sia per rappresentare un punto di riferimento nella prospettiva del Progetto.

  7. Per gli italiani coinvolti (Scuole, Enti di Formazione, Comunità), il Progetto CIC rappresenta una buona occasione per realizzare una buona formazione alla cittadinanza attiva, e di capire come entrare in contatto, come dialogare, con le istituzioni, con l’economia reale, con altri, di altre culture; e di capire l’importanza del proprio progetto di vita insieme ad altri, e non nonostante o anche contro gli altri. Facciamo un esempio non vincolante. Una classe di un Centro di Formazione Professionale formata da allievi provenienti da diverse parti del mondo, nel tempo della formazione, potrebbe realizzare — nell’orario di informatica e applicazioni tecnologiche — un prodotto informatico che permetta di giocare un gioco dell’oca della Cittadinanza Informata e Consapevole nel Mondo. Chi gioca tira un dado e muove la pedina in base al risultato del dado. Arriva in una casella che comporta una domanda sul tema, e la sua risposta, se giusta, determina un nuovo avanzamento della pedina; se sbagliata, dà come risultato una penalizzazione. La stessa costruzione del gioco informatico e la scelta delle domande permettono di imparare. In questo modo, quella classe ipotizzata potrà conseguire due obiettivi: a) La realizzazione del gioco informatico. b) E la conquista di conoscenze.

  8. Gli studenti possono essere interessati se si chiarisce quanto la conquista della Cittadinanza Informata e Consapevole nel Mondo sia collegata alla possibilità, che in questo modo cresce, di trovare una collocazione, anche lavorativa, rispondente al proprio progetto. E questo permette agli enti coinvolti di scalare le classifiche della qualità, con la conseguenza di poter meglio ottenere risorse da fonti come il Fondo Europeo, le Fondazioni Bancarie, ecc.

  9. Icaro TV — una piccola televisione con sede a Rimini — può rappresentare un possibile (auspicabile) esempio di intreccio virtuoso. Icaro TV ha prodotto, per la RAI, una serie di trasmissioni, Radici, che hanno come tema il ritorno al Paese d’origine di chi ha già un lungo soggiorno europeo e, in particolare, italiano. Come ritrovano il Paese da cui partirono? Come raccontano la loro esperienza di migranti? In ogni puntata si scopre una collettività che può rappresentare un collegamento con lo sviluppo dei contatti per la Cittadinanza Informata e Consapevole nel Mondo. Radici ci guadagna in spessore culturale, facendo quello che già fa e che diventa elemento spendibile senza aggiunte nel progetto di Cittadinanza Informata e Consapevole nel Mondo.

Dicevo che i viaggi di chi cerca rifugio, dalle guerre, dalle miserie, dall’assenza di futuro, fruttano ricavi non piccoli a organizzazioni illegali. Dovremmo impegnarci per sottrarre quelle risorse all’illegalità e incanalarle in una prospettiva sostenibile e nella legalità. Non è un’impresa facile, proprio perché il traffico illegale frutta alti guadagni. Per questo occorre convertire l’azione delle Forze Armate che in questo momento sono impegnate in azioni di salvataggio — e potrebbero, secondo auspici autorevoli, impegnarsi in azioni di distruzione dei barconi prima che vengano messi in mare — in azioni di protezione delle iniziative di informazione. Le Forze Armate non bastano. È necessaria un’azione diplomatica e delle Nazioni Unite.

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Domande a chi sa rispondere:

  • Quanto costa l’attuale azione di salvataggio? Quanto le azioni di sbarramento e di contenimento? E quanto i centri di raccolta? E i costi della giustizia?

  • Che provvedimenti ci vogliono e quali procedure politiche occorrono per convertire tali costi in un progetto di informazione consapevole?

  • Come coinvolgere nel progetto chi già fa informazione (e sovente contribuendo al formarsi di stereotipi…) perché partecipi al progetto di informare?

 

E domanderei a Bernardo Valli:[1]

  • Come fare a utilizzare, per il progetto, le tante esperienze e competenze di inviati speciali, di cui lui è uno degli esemplari più riusciti?

  • Chi di loro può costituire un embrione di comitato tecnico-scientifico di questa parte del progetto?

 

E ancora, domanderei a uno/a storico/a della lingua:

  • Come chiamare chi arriva essendo partito da luoghi di poche speranze? Migranti? Non sembra la parola giusta. Rifugiati? Neanche questa sembra una parola adeguata. Come?

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Cittadinanza informata e capace di dialogare[2]

Partire dal linguaggio del lavoro: l’immigrato conosce i vocaboli che riguardano il lavoro, e non i vocaboli dei servizi e della società organizzata, di cui non sa fare uso. Ricordo il Centro Multietnico di Montréal. Era nato perché un gruppo, coordinato dalla signora soave, che veniva dalla Calabria, se ricordo bene, aveva colto il problema di chi, cercando di costruirsi un futuro nel Canada francofono, e avendo in famiglia chi aveva una disabilità, non aveva capacità di organizzarsi non conoscendo che la lingua del lavoro; e, non conoscendo niente della situazione italiana riguardo alle disabilità, pensava di dover rinunciare a ogni progetto di ritorno, ritenendo di non trovare nell’Italia come la conosceva, le condizioni per chi, in famiglia, viveva una disabilità.

Chi scappa dalle disperazioni finisce vittima delle false informazioni che l’ottima organizzazione dell’illegalità fa credere vere. Ad esempio, se ti fai male, non rivolgerti a un pronto soccorso, perché rischi la galera. Oppure: accetta il lavoro nero, o il lavoro nell’illegalità — il piccolo spaccio, o simili — perché è l’unico lavoro che potrai fare. Chi scappa dalle disperazioni è immerso in queste informazioni. Non ne ha altre. O così è portato a pensare.

E le donne? Il ruolo delle donne, che sovente non conoscono la lingua, specie se non lavorano o lavorano come schiave dello sfruttamento, è doppiamente tragico. Donne e uomini ignorano quali siano le abitudini, per non parlare delle leggi, che, nel Paese in cui sono arrivati, costituiscono il sottotraccia dei rapporti fra i due sessi.

La comunicazione, che per mia deformazione professionale esemplifico nella comunicazione di una diagnosi, vive continui rischi, ingigantiti in un contatto interculturale:

  • vocaboli non conosciuti,

  • una meta-comunicazione diversa,

  • una punteggiatura non sintonica,

  • novità senza fondamenta, senza entroterra.

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 Domando a Matilde Callari Galli:[3]

  • Come migliorare la comunicazione?

  • Come formarci a una comunicazione che indicherei come non violenta?

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Vi è poi la ricerca identitaria che rischia di essere semplificata, come accade per chi vive la condizione di disabile e, credo, di immigrato-rifugiato… C’è il rischio di un’identità bloccata, cioè non evolutiva…

Per molti motivi, che, senza pretesa esaustiva, provo a elencare:

  • per difendersi e affermarsi sentendosi continuamente messo in discussione, ma anche disprezzato, negato;

  • per distinguersi;

  • per assimilarsi, negando l’identità originaria e cercando di assumere una nuova identità.

Credo che l’assenza di una rete sociale e la difficile costruzione di nuove reti sociali inclusive siano fonti di disagio sia per i vecchi residenti sia per i nuovi arrivati. I vecchi residenti possono essere portati a ritenere che, chiudendo la loro società, rinasca ciò che non c’è più. La costruzione di nuove reti sociali dovrebbe includere non soltanto i nuovi arrivati, ma anche le realtà da cui provengono. E in questo impegno vedo importante il ruolo delle associazioni, delle cooperative sociali, delle Organizzazioni Non Governative (ONG) e delle religioni. Non dovremmo trascurare il tema che riguarda i legami di appartenenza e il lasciapassare per l’appartenenza. Possono costituire importanti indicatori del processo, che potrebbe essere inevitabilmente lento almeno in alcune sue fasi, che questo progetto, se si attuasse, avvierebbe.

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Domanderei a Luciano Carrino[4] e a Gianfranco Alleruzzo[5] di aiutarci a coinvolgere in modo giustamente selettivo le cooperative sociali e le ONG, definendo i compiti e le modalità.

E domanderei a Gianfranco Ravasi[6] di aiutarci a coinvolgere le religioni.

 A tutti e tre domanderei quali studiosi possono costituire un embrione di comitato tecnico-scientifico di questa parte del progetto.

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Governare il mondo?

Non posso fingere di dimenticare che mi sono impegnato e mi impegno su tematiche che coinvolgono le persone con disabilità. L’inclusione vuole essere non un nuovo modo di dire, ma una realtà complessivamente disposta per la vita di tutte e di tutti, senza strutture speciali o progetti straordinari. L’inclusione è un diritto fondamentale ed è in relazione con il concetto di appartenenza. Le persone con o senza disabilità possono interagire come persone alla pari. Un’educazione inclusiva permette alla scuola regolare di riempirsi di qualità: una scuola dove tutti i bambini sono benvenuti, dove possono imparare con i propri tempi e soprattutto possono partecipare, una scuola dove i bambini riescono a comprendere le diversità e che queste sono un arricchimento. La diversità diventa, così, normale. E lo stesso per il lavoro, per i trasporti, per la vita sociale e culturale. Scopo dell’inclusione è quello di rendere possibile, per ogni individuo, l’accesso alla vita normale per poter crescere e svilupparsi totalmente.

 

Normalizzazione significa… un ritmo normale del giorno.

Ti alzi dal letto al mattino,

anche se hai una gravissima disabilità,

ti vesti ed esci

per andare a scuola o al lavoro: non resti a casa.

Al mattino prevedi quello che farai nella giornata,

alla sera ripensi a quello che sei riuscito a fare.

Il tuo giorno non è soltanto di 24 ore tutte uguali,

minuti monotoni, pomeriggi senza fine.

Mangi a ore normali e in modo normale,

non solo con il cucchiaio, se non sei più di un bambino,

non mangi a letto o in poltrona, ma a tavola,

e non ceni presto nel pomeriggio, per la comodità del personale.

 

Normalizzazione significa… un ritmo normale della settimana.

Abiti in un posto e vai a lavorare in un altro,

in un altro ancora passi il tuo tempo libero.

Programmi i divertimenti del fine settimana

E non vedi “l’ora”di tornare a scuola o al lavoro,

il lunedì mattina.

 

Normalizzazione significa… un ritmo normale dell’anno.

Una vacanza per rompere la routine, con il cambiamento

delle stagioni che porta con sé cambiamenti nel lavoro,

nei cibi, nello sport, nello svago e in tante altre cose della tua vita.

 

Normalizzazione significa… Le esperienze normali di sviluppo nel ciclo di vita.

I bambini, e solo i bambini, vanno in colonia.

Nell’adolescenza ti curi molto del tuo aspetto,

dei tuoi capelli,

pensi alla musica e ai ragazzi e alle ragazze.

Da adulto lavori e ti senti responsabile.

Da vecchio hai i tuoi ricordi da rivivere

e la saggezza dell’esperienza.

 

Normalizzazione significa… avere desideri e fare scelte rispettate dagli altri.

Gli adulti hanno la libertà di decidere

dove vogliono vivere, che lavoro preferiscono

e che amici frequentare,

se stare in casa a guardare la televisione

o andare a concerto, o a passeggiare in città.

 

Normalizzazione significa… vivere in un mondo di due sessi diversi.

I bambini e gli adulti hanno relazioni con l’altro sesso, o con lo stesso.

Da adolescente cerchi di avere la ragazza o il ragazzo,

da adulto puoi decidere se sposarti e avere dei figli.

 

Normalizzazione significa… il diritto a una situazione economica normale.

Tutti abbiamo il nostro reddito e le nostre responsabilità,

anche se abbiamo la pensione di invalidità,

dobbiamo avere i nostri soldi

e decidere come spenderli: nel superfluo e nel necessario.

 

Normalizzazione significa… vivere in una casa normale, in un quartiere normale e non in una grande istituzione con 100 persone disabili o anziane.

Normalizzazione significa… non essere isolato dalla società

È possibile, credo, leggere queste righe allargandone il senso a tutte e tutti, e non solo a chi ha una disabilità. In questo modo, l’interdipendenza eco-sistemica abbraccia il mondo. Ed esige strumenti e strutture per governare il mondo. È utopia? Ciascuno dovrebbe rispondere a qualche domanda…

Fino a che punto chi insegna tollera le differenze di colei o colui che deve imparare? Fino a che punto chi insegna tollera le differenze di procedure per conoscere che vede o intuisce nell’altro se l’altro è alunno? Eppure le differenze possono essere feconde. Gardner indica cinque intelligenze, che, prese in considerazione, possono essere cinque chiavi per il futuro: l’intelligenza disciplinare, quella sintetica, quella creativa, quella rispettosa e quella etica. E non aprirsi a queste pluralità, a queste possibilità, secondo Gardner, significa praticare un’estrema intolleranza (Gardner, 2007, p. 123). In queste possibilità ci sono le possibilità degli essere umani. Anche quelle di chi cerca rifugio, dalle guerre, dalle miserie, dall’assenza di futuro.

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Domanderei a Sabino Cassese[7] e a Gustavo Zagrebelsky:[8]

  • Quale strutturazione giuridica ipotizzare per un governo del mondo che garantisca partecipazione, trasparenza ed efficacia?

  • Come evitare che il governo del mondo non diventi mettere il mondo sotto un padrone? È possibile, o i rischi sono troppo grandi?

  • Che ruolo potrebbe assumere l’Assemblea delle Nazioni Unite? E l’Europa?

  • Quali studiosi del pensiero politico giuridico possono costituire un embrione di comitato tecnico-scientifico di questa parte del progetto?

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Conclusioni provvisorie

Queste note per un progetto chiedono contributi per diventare un autentico progetto. Chiedo di attingere non tanto al pensiero calcolante quanto piuttosto al pensiero progettante. Non calcolare su ciò che è già conosciuto, ma tentare di scommettere si ciò che sta nel futuro. I miei appunti per un progetto scommettono sull’informazione. Cerco di spiegare il perché. L’informazione è una potente energia, che può provocare un processo di interscambio diffuso e capace di creare simbiosi evolutive. Qualcosa di simile alla fotosintesi. Cioè una trasformazione operata da microorganismi. Questo comporterebbe, realizzandosi, un naturale processo distributivo delle popolazioni, perché ciascuno, grazie alla scommessa sull’informazione, saprebbe dove poter andare senza provocare reazioni di rigetto. Le simbiosi evolutive sono proprio questo: un processo di trasformazione sostenibile.

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Domanderei a Roberto Napoleone:[9]

  • Dal suo osservatorio di direttore de “Il Sole 24ore”, può aiutarci ad attingere al pensiero progettante coinvolgendo il mondo dell’informazione?

  • Quali esperti di quel mondo indicherebbe perché possano essere consulenti di questo progetto?

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Domanderei a chi ha letto questi appunti di progetto:

Un ornitologo americano dell’inizio del XIX secolo, Mac Millon, si domandò se i condor non avrebbero dovuto essere protetti dai cowboys che sparavano a qualsiasi cosa si muovesse. Bisogna salvare i condor non solo perché, nell’ecosistema in cui viviamo, abbiamo bisogno di loro, ma anche perché abbiamo bisogno di sviluppare le qualità umane necessarie non tanto per proteggerli, quanto piuttosto per salvarli. Sono le stesse qualità di cui abbiamo bisogno per salvare noi stessi.

Escludendo la distruzione, salvare o proteggere? È una questione di informazione?

 

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Riferimenti bibliografici

Alleruzzo G.F. (2004), L’impresa meticcia, Trento, Erickson.

Carrino L. (2005), Perle e pirati, Trento, Erickson.

Gardner H. (2006; 2007), Cinque chiavi per il futuro, Milano, Feltrinelli.

 

[1] Un grande inviato speciale e scrittore. Scrive su “la Repubblica”.

[2] Anche per poter tornare, volendo.

[3] Una delle più importanti studiose di antropologia culturale.

[4] Psichiatra, è Presidente dell’Iniziativa “Knowledge, Innovations, Policies and Territorial Practices for the United Nations Millennium Platform” e Vice presidente del Gruppo dell’OCSE/DAC per la lotta contro la povertà.

[5] Presidente della cooperativa sociale “Il Labirinto”, di Pesaro. È autore di diversi saggi.

[6]Cardinale, arcivescovo cattolico e biblistaitaliano, teologo ed ebraista. Dal 2007 è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra e del Consiglio di Coordinamento fra Accademie Pontificie. È autore di numerosi libri di divulgazione biblica e di esegesi.

[7] Nominato giudice costituzionale dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi il 4 novembre 2005. Attualmente è professore emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa dove insegna Storia delle Istituzioni Politiche. Insegna anche al Master of Public Affairs di Sciences-Po a Parigi e al Master in International Public Affairs della School of Government della LUISS.

[8] Docente di Diritto costituzionale e Teoria generale del diritto pubblico presso il Dipartimento di Giurisprudenza di Torino e docente a contratto presso l'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli.

[9] Direttore del quotidiano “Il Sole 24ore”.

 

 

 



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