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I migranti e l’Europa: una sfida per il futuro dell’identità europea

Gustavo Gozzi

Professore di Storia delle dottrine politiche nell’Università di Bologna, dove insegna Diritti umani e Storia del diritto internazionale. Nella stessa Università è direttore del Master in Diritti Umani, Migrazioni, Sviluppo. Con il Mulino ha pubblicato, tra gli altri, Diritti e civiltà. Storia e filosofia del diritto internazionale, 2010, Bologna, e Umano, non Umano. Intervento umanitario, colonialismo, «primavere arabe», 2015, Bologna.


Abstract

This paper analyses the difficulties of a European response to the challenge posed by the flow of migrants who are pressing at its borders. It highlights above all the lack of a unified response, despite the guidelines set by the Treaty on the Functioning of the EU about the need to create a common asylum policy and a condition of solidarity between Member States also regarding the financial plan. Furthermore, it puts emphasis on the lack of a European policy that appreciates the migration-development nexus, through the representation of the migrant as a transnational actor who is capable of promoting the development of the country of origin and the host country. It also stresses how the reception of migrants is not a utility problem, but rather about justice. Finally, the crisis of Europe is also demonstrated by the inadequacy of its current intergovernmental approach in the field of migration policy.



Sommario

Il testo analizza le difficoltà da parte dell’Europa a fornire una risposta alla sfida rappresentata dai flussi dei migranti che premono alle sue frontiere. Emerge soprattutto la mancanza di una risposta unitaria, malgrado gli orientamenti espressi dal Trattato sul funzionamento dell’UE in merito alla necessità di dare vita a una comune politica di asilo e a una condizione di solidarietà tra gli Stati membri anche sul piano finanziario. Viene altresì evidenziata l’assenza di una politica europea in grado di valorizzare il nesso migrazioni-sviluppo, attraverso la rappresentazione del migrante come attore transnazionale in possesso dei requisiti per favorire lo sviluppo sia del Paese d’origine che di quello di accoglienza. Il testo sottolinea inoltre come l’accoglienza dei migranti rappresenti un problema non di utilità, bensì di giustizia. Infine la crisi dell’Europa si manifesta anche attraverso l’inadeguatezza della sua attuale logica intergovernativa nel campo della politica migratoria.

 

L’attuale destabilizzazione del Nord Africa e del Medio Oriente e gli spostamenti epocali di masse di persone migranti alla ricerca di sicurezza e di condizioni di vita dignitose fanno del Mediterraneo e delle rotte balcaniche un’area cruciale dello scenario geopolitico internazionale. Quale potrebbe e dovrebbe essere la risposta dell’Unione Europea alle richieste di solidarietà avanzate da persone migranti in condizioni di estrema fragilità e vulnerabilità? Le considerazioni esposte in questo saggio intendono affrontare la sfida che le migrazioni rappresentano per l’identità stessa dell’Europa.

L’emergenza umanitaria

All’origine di questa emergenza ci sono molte cause e, tra queste, anche le responsabilità europee. Le cifre richiedono un’attenta riflessione. Secondo l’UNHCR (United Nations High Commissioner for Refugees), dall’inizio dell’anno fino alla metà del mese di novembre 2015, sono stati 820.318 i migranti arrivati in Europa attraverso il Mar Mediterraneo o seguendo le rotte balcaniche e più di 3.400 hanno perso la vita, molti nelle acque del Mediterraneo.[1] Ma l’UNHCR ha ricordato che la crisi dei migranti è ben lungi dall’essere giunta alla conclusione in quanto, entro il 2016, 1.400.000 richiedenti asilo potrebbero attraversare il Mediterraneo (Merlo, 2015).

Nei primi nove mesi di quest’anno 121.500 migranti sono arrivati sulle coste dell’Italia e 25.000 hanno fatto richiesta di protezione internazionale. Occorre sottolineare che, nei primi 5 mesi dello scorso anno, le persone che hanno presentato richiesta di protezione internazionale sono state 65.000. In Germania nel 2014 sono state accettate 40.560 richieste di asilo, in Svezia 30.650, in Italia 20.580, in Francia 14.815. Ma queste cifre, che spaventano l’Europa, sono una quantità minima rispetto all’entità di una questione mondiale: nel 2010 43.700.000 migranti sono fuggiti da condizioni di guerra o di miseria, nel 2014 il numero di queste persone è salito a 54.900.000. Queste persone stanno fuggendo da guerre nella riva sud del Mediterraneo, dalla Libia, dalla Siria, dall’Iraq, dall’Afghanistan, dalla Nigeria o da dittature, come in Eritrea. In molti casi le guerre sono la conseguenza di interventi occidentali, come in Afghanistan, Iraq, Libia, Repubblica Centro Africana e Mali. Le cause più profonde delle migrazioni di queste persone sono l’eredità del colonialismo occidentale, che ha creato un Medio Oriente artificiale, inesistente, che si sta irrimediabilmente dissolvendo, con la conseguenza di un’accresciuta insicurezza, inasprimento di conflitti etnico-religiosi, guerre civili e un inarrestabile movimento di popolazioni migranti.

L’eredità coloniale dovrebbe ulteriormente farci riflettere sul fatto che, come ha scritto Fanon (1962, p. 57), «l’Europa è letteralmente la creazione del Terzo Mondo», e che queste persone migranti chiedono solo di poter condividere ciò che noi abbiamo loro sottratto. Queste considerazioni comportano, come conseguenza, il fatto che l’accoglienza dei migranti debba essere considerata un problema di giustizia, non un problema di utilità. Occorre tuttavia evidenziare che l’atteggiamento dell’Europa di fronte alla sfida rappresentata dalle richieste dei migranti non è unitario, ma profondamente diviso.

L’assenza di una politica europea comune

Il problema dell’assenza di una politica europea comune, come appare evidente, è strettamente connesso alla ridefinizione delle relazioni euro-mediterranee, soprattutto dopo le trasformazioni prodotte dalle «primavere arabe» e dall’attuale disgregazione dell’intero Medio Oriente.

La disciplina sull’immigrazione dell’UE è enunciata dal Trattato sul funzionamento dell’UE, come risulta in seguito alle modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1° dicembre 2009. Nell’ articolo 78 (ex articolo 63, punti 1 e 2, e articolo 64, paragrafo 2, del TCE) si può leggere: «1. L'Unione sviluppa una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un Paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento». Inoltre si può leggere, al comma 2, che il Parlamento europeo e il Consiglio avrebbero realizzato «il partenariato e la cooperazione con Paesi terzi per gestire i flussi di richiedenti asilo o protezione sussidiaria o temporanea». Infine l’art. 80 stabilisce che: «Le politiche dell'Unione di cui al presente capo e la loro attuazione sono governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario». Come sappiamo, purtroppo nulla di quanto era stato enunciato è stato realizzato.

Le urgenze successive, soprattutto le trasformazioni in Nord Africa e Medio Oriente, hanno sollecitato nuovi orientamenti e progetti da parte dell’UE. Il documento della Commissione europea del novembre 2011, dedicato a The Global Approach to Migration and Mobility (GAMM) (Commissione Europea, 2011), dichiarava che la primavera araba e gli avvenimenti nell’area del Mediterraneo del Sud avevano imposto all’UE la necessità di una politica migratoria coerente e di vasto respiro. In questa prospettiva l’UE, dando seguito alle conclusioni del Consiglio Europeo del 23/24 giugno 2011, aveva avviato un dialogo sui temi della migrazione, mobilità e sicurezza con Tunisia e Marocco e si era proposta le stesse finalità anche con Egitto e Libia.

Il GAMM dovrebbe essere basato su quattro pilastri: 1. l’organizzazione e la facilitazione della migrazione e mobilità legale; 2. la prevenzione della migrazione irregolare e del traffico di esseri umani; 3. la promozione della protezione internazionale e il rafforzamento della politica dell’asilo; 4. la massimizzazione dell’impatto della migrazione e della mobilità sullo sviluppo. Il GAMM dovrebbe essere migrant-centered, ossia basato sul principio che il migrante dovrebbe essere al centro dell’analisi e di tutte le azioni, e dovrebbe essere empowered, allo scopo di avere la garanzia di una mobilità sicura. I diritti umani dei migranti dovrebbero rappresentare il criterio da porre alla base dei quattro ambiti individuati dal documento. Il GAMM dovrebbe rafforzare il rispetto per le libertà fondamentali e i diritti umani dei migranti all’origine, durante il loro tormentato e rischioso percorso, così come nei Paesi di destinazione. Il primo aspetto si riferisce alla facilitazione della mobilità dei giovani, degli studenti, dei ricercatori e alla semplificazione del rilascio dei visti, così come al monitoraggio e alla circolazione delle informazioni inerenti le opportunità offerte dal mercato del lavoro. Il secondo obiettivo riguarda, invece, non solo il potenziamento della lotta al traffico di esseri umani attraverso il rafforzamento del controllo delle frontiere, ma anche la realizzazione di iniziative per assicurare una migliore protezione ed empowering delle vittime del traffico.

La terza finalità mira ad accrescere la solidarietà nei confronti di rifugiati e displaced persons. La UE dovrebbe — così si legge nel documento — incrementare la cooperazione con i Paesi non europei allo scopo non solo di rafforzare i loro sistemi di asilo e le loro legislazioni sociali sull’asilo ma anche di adeguarli agli standard internazionali. Ciò potrebbe consentire a questi Paesi di offrire un più alto standard di protezione internazionale per i richiedenti asilo che rimangono nella regione d’origine dei conflitti o delle persecuzioni. L’UE dovrebbe incoraggiare i suoi Paesi partner a incorporare questa dimensione nelle loro strategie di riduzione della povertà. Il 12 giugno del 2013 il Parlamento europeo ha approvato l’Asylum Package, che costituisce il quadro normativo per la realizzazione di un comune sistema di asilo per l’Europa. Successivamente il 26 giugno il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato il regolamento n. 604, detto Dublino III, che, pur introducendo nuove misure soprattutto a tutela di minori (art. 8), ha ribadito quanto già stabilito dal precedente regolamento del 2003, n. 343, denominato Dublino II[2], che enunciava, all’art. 13: «Quando lo Stato membro competente per l'esame della domanda d'asilo non può essere designato sulla base dei criteri enumerati nel presente regolamento, è competente il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata».[3] Ma l’enorme afflusso di persone migranti rende ormai del tutto superato anche questo nuovo regolamento.

I 28 paesi dell’Unione dovrebbero condividere lo stesso sistema per garantire il diritto d’asilo e un numero maggiore di Paesi dovrebbe assumere la responsabilità per offrire protezione ai richiedenti che si rivolgono all’Europa (Malmström, 2013). Ma come sappiamo, siamo ancora ben lontani da questo risultato. Su questo punto occorre effettuare un’ulteriore riflessione. La convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e il protocollo del 31 gennaio 1967 relativi allo status dei rifugiati, e gli altri trattati pertinenti dichiarano, all’art. 1, che il termine di rifugiato è applicabile «a chiunque per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 e nel giustificato timore di essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori del suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi».[4] Come appare evidente, la Convenzione fa riferimento a una rappresentazione del rifugiato per motivi razziali, religiosi, politici, ma non considera la figura del rifugiato per motivi economici. Ritengo, invece, che la rappresentazione della figura del rifugiato dovrebbe comprendere anche chi cerca di sottrarsi a condizioni economiche estreme che ne rendono impossibile la sopravvivenza vitale.

Infine il quarto obiettivo si riferisce a un più forte coinvolgimento della diaspora e di gruppi di migranti nei processi di sviluppo del loro Paese d’origine. L’UE dovrebbe anche contribuire a rafforzare, attraverso programmi di cooperazione, i processi di capacity-building nei Paesi partner. Inoltre i migranti dovrebbero essere considerati un fattore importante nei processi di sviluppo all’interno di politiche settoriali (agricoltura, salute, educazione, ecc.). La troppo spesso limitata consapevolezza, tra gli operatori, del rilievo del contributo dei migranti per lo sviluppo dovrebbe essere un tema fondamentale da affrontare in tutti i Paesi dell’Unione Europea. In realtà l’UE non ha espresso ancora la volontà di realizzare un approccio globale ai fenomeni migratori e alla mobilità e sembra piuttosto orientata a perseverare nelle politiche di repressione e controllo dei migranti (Lavenex e Stucky, 2011).

Inoltre malgrado i tentativi del Summit di Tampere del 1999 e del Trattato di Amsterdam del 1997 di conseguire una comune politica migratoria europea[5], dobbiamo riconoscere che le politiche migratorie europee sono ancora essenzialmente nazionali. I Paesi dell’area Schengen hanno infatti reintrodotto i controlli alle frontiere in almeno 70 occasioni da quando i controlli sono stati eliminati nel 1995. Occorre precisare che, nel Consiglio Europeo del 24 giugno 2011, i capi di Stato o di governo hanno affrontato il problema delle migrazioni con l’intento di rinegoziare i principi che sono alla base dell’area Schengen. Nelle conclusioni si ipotizzava la possibilità di introdurre «una clausola di salvaguardia per autorizzare la reintroduzione eccezionale dei controlli alle frontiere interne in una situazione realmente critica, in cui uno Stato membro non sia più in grado di adempiere i propri obblighi nell’ambito delle regole Schengen» (Consiglio Europeo, 2011, p. 8). Del resto il Codice 526 sui confini di Schengen (Schengen Borders Code-Regulation) del 2006 ammette la possibilità di reintrodurre controlli ai confini nel caso di «seria minaccia alla politica pubblica o alla sicurezza interna» e pertanto le conclusioni del Consiglio Europeo miravano essenzialmente a rendere ancora più facili i controlli alle frontiere di fronte alle «minacce» rappresentate dalle migrazioni.

Le posizioni dei Paesi europei sono tra loro profondamente difformi, in quanto si estendono da quelle dei Paesi nordeuropei, che ritengono che i confini di Schengen non garantiscano sufficiente sicurezza, agli orientamenti espressi dai Paesi dell’Europa del sud, che vorrebbero introdurre delle eccezioni alla Dublin regulation sull’asilo, che stabilisce che essi dovrebbero accogliere tutti i migranti che approdano sulle loro coste, alle posizioni dei Paesi dell’Europa orientale, che mirano a impedire che i migranti possano attraversare i confini europei. Queste difformità sono all’origine dell’impasse dell’Europa di fronte alle profonde trasformazioni che stanno avvenendo nei Paesi del Nord Africa, in Medio Oriente, nell’Africa sub-sahariana e nel Corno d’Africa, e della sua incapacità di elaborare una politica coerente e condivisa di fronte ai flussi migratori, che consenta di affrontare una situazione che non è più espressione di un’emergenza, ma è destinata a protrarsi indefinitamente in assenza di una visione che sia in grado di ripensare radicalmente le relazioni euro-mediterranee e che consideri i migranti come attori transnazionali in grado di contribuire allo sviluppo dei Paesi che li accolgono e di quelli da cui provengono.

Dobbiamo inoltre comprendere l’importanza dei migranti per i sistemi di sicurezza sociali. Un rapporto dell’UE dichiara che oggi in Europa ci sono circa 4 persone in età lavorativa (ossia tra 15 e 64 anni) per ogni persona non più attiva. Nel 2050 ci saranno solo 2 persone in età lavorativa per 4 inattivi. Le alternative sono o ridurre il numero delle pensioni di anzianità oppure accrescere il numero delle persone che possano versare i contributi per il sistema di sicurezza sociale. In questa prospettiva l’accettazione e l’integrazione dei migranti rappresentano le reali condizioni per garantire l’attuale standard di vita della popolazione europea. È esattamente l’opposto della rappresentazione dei migranti come soggetti che riducono la possibilità di lavoro per gli Europei. Ma l’accoglienza dei migranti dovrebbe in ogni modo prescindere da queste considerazioni sulla loro utilità per i sistemi di sicurezza sociali europei, essendo invece essenzialmente, come ho già precisato, un problema di giustizia, le cui cause rinviano in larga misura alle responsabilità europee e, più ampiamente, un problema di etica, ossia di tutela della dignità di ogni essere umano.

L’Europa come civil power

L’Europa rappresenta se stessa non come potenza militare, ma come potenza civile, ossia come un’Unione di paesi che sono fondati su valori fondamentali, come rule of law, democrazia e diritti umani. Ma di fronte ai migranti che fuggono dalla guerra e dalla fame i Paesi europei appaiono profondamente divisi. Com’è stato osservato, 25 anni dopo la caduta del muro di Berlino, un nuovo muro è stato costruito tra Ungheria e Serbia e altri sono minacciati o in via di costruzione.

Il muro è stato costruito come conseguenza del timore di presunti «nuovi barbari», che provengono dall’esterno e che potrebbero mettere in pericolo la nostra pace e benessere. In realtà il rifiuto dei migranti è il rifiuto dell’idea dei diritti umani, che sono posti a garanzia della dignità di ogni essere umano. Dignità significa umanità. Rifiutare di accettare i migranti significa rifiutare la loro umanità, considerandoli diversi o perché musulmani o perché etnicamente differenti. Ma il rifiuto dei loro diritti umani significa respingere l’idea stessa su cui è stata costruita l’Europa e potrebbe pertanto rappresentare l’inizio della crisi e della disgregazione dell’Unione Europea. Il rifiuto dei diritti umani dei migranti non approfondisce solo la distanza tra i Paesi europei, ma è destinato anche ad accrescere l’instabilità e l’insicurezza dell’Europa, in quanto è impossibile arrestare l’enorme movimento di popoli che fuggono dalla guerra e dalla miseria.

Gli europei dimenticano la storia dell’Europa. Dopo la Seconda guerra mondiale 16 milioni di persone lasciarono l’Europa per cercare aiuto e solidarietà in tutto il mondo, in USA, in Canada e in Australia. Dal 1873 al 1973 27 milioni di italiani hanno lasciato l’Italia come migranti cercando lavoro, sicurezza e benessere per se stessi e per le loro famiglie. Nel 1956, dopo l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Unione sovietica, 250.000 ungheresi lasciarono l’Ungheria — che oggi erige muri e barriere — cercando aiuto e asilo politico (Valli, 2015). Dal 1980 al 2000 2 milioni di polacchi, che oggi sono così riluttanti di fonte alle richieste di accoglienza, hanno lasciato la Polonia come migranti. Ma ora molti europei rifiutano la solidarietà che essi stessi hanno ricevuto, soprattutto i paesi dell’Europa Orientale dopo la fine dell’Unione sovietica. Com’è stato scritto, essi rifiutano l’idea di una società multiculturale, perché pensano di proteggere e difendere la loro integrità etnica. Al contrario i migranti sono sempre stati un elemento di progresso, in quanto il progresso è fondato sulla sfida rappresentata dall’eterogeneità e non da una società omogenea, che finisce con l’essere una società immobile e regressiva.

Abbiamo assistito alla resistenza e al rifiuto da parte dei Paesi dell’Europa Orientale del piano presentato dal Presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, che ha proposto di ridistribuire 160.000 migranti in tutti i Paesi dell’UE: una cifra peraltro risibile e del tutto insufficiente rispetto all’entità del problema. Malgrado l’insufficienza di questo piano europeo di redistribuzione dei migranti, in occasione del vertice di Malta del 12 novembre 2015, il presidente Juncker ha dichiarato che, dei previsti 160.000 migranti, solo 732 erano stati accolti. Ma anche in Italia vi è stato un incremento del rifiuto di attribuire lo status di rifugiato politico dal 29% nel 2013 ad almeno il 49% nei primi mesi del 2015, che equivale a un aumento del 40% di risposte negative in soli due anni (Boato, 2015).

In realtà occorre avere la consapevolezza delle reali dimensioni del problema. Nel 2014, secondo l’UNHCR la maggior parte dei 54.900.000 migranti sono stati accolti dai Paesi vicini: Pakistan, Turchia, Libano, Iran, Etiopia, Giordania, Kenya, Ciad, Uganda e Sudan. Essi hanno accolto circa 8.200.000 migranti. Il loro prodotto interno lordo è circa un decimo di quello dei Paesi europei più ricchi (Svezia, Finlandia, Danimarca, Regni Uniti, Olanda, Belgio, Germania, Austria, Francia e Italia). In proporzione, se la disponibilità di questi Paesi europei fosse la stessa di quella dei Paesi confinanti più ricettivi, l’Europa avrebbe dovuto accogliere almeno 41 milioni di migranti! Circa il 63% dei rifugiati è accolto dai Paesi del Sud del mondo, mentre meno del 10% dei rifugiati è accolto in Europa e meno del 3% in Italia[6]. I flussi di migranti verso l’Europa sono diminuiti da un milione di persone negli anni 2000-2010 a meno di 400.000 dal 2010 al 2015. In realtà i Paesi dell’UE hanno bisogno della presenza dei migranti a causa della loro decrescita economica: nei prossimi decenni la popolazione della Germania diminuirà da 81 milioni a 63 milioni alla fine del secolo e i Paesi dell’Est Europa decresceranno dagli attuali 95 milioni a 55 milioni alla fine del secolo. Ma ribadisco ancora una volta che queste considerazioni sono del tutto irrilevanti rispetto all’obbligo che abbiamo, in termini di giustizia e di etica, di accogliere queste persone che chiedono il nostro aiuto.

Una nuova politica migratoria per l’Europa

Per le ragioni enunciate la questione delle migrazioni deve essere un comune problema europeo. È inaccettabile la Dublin Regulation III che stabilisce che il primo Stato membro dell’UE in cui giungono i migranti dovrebbe essere responsabile per la valutazione delle richieste di asilo e per l’accoglienza dei soggetti in possesso dei requisiti. È inaccettabile ipotizzare che, di fronte all’entità del problema, solo pochi Stati dell’UE possano fronteggiare l’enormità dei flussi dei migranti. È necessaria una redistribuzione dei migranti e delle loro famiglie secondo precisi standard, che debbono essere introdotti secondo equi parametri (entità del PIL, dimensioni della popolazione, ecc.). Occorre avere gli stessi criteri per definire il concetto di Paese terzo sicuro. Si deve avere una uniforme legislazione europea in materia di asilo. È importante ribadire il diritto inalienabile alla libera circolazione degli esseri umani, come enunciato dalla Carta di Bolzano. Sono soprattutto necessari un sistema di asilo europeo e un piano di integrazione che prevedano numeri superiori rispetto a quelli irrisori previsti dall’UE. Ma la complessità del problema delle migrazioni e dell’accoglienza dei migranti ha evidenziato anche la necessità di ripensare la struttura istituzionale dell’UE. La crisi che sta affrontando l’Europa ha messo in luce che occorrere procedere oltre la logica inter-governativa dell’UE nel campo della politica migratoria, che consiste in una successione di decisioni prese da capi di governo, poi da ministri dell’interno, poi da ministri degli esteri e dall’High Representative for the Foreign Policy of the EU, e stabilire invece la centralità della Commissione Europea e del Parlamento Europeo.

La necessità di adottare una nuova forma di governo comune dell’Unione Europea costituisce un aspetto molto importante del problema. L’attuale crisi prodotta dalla sfida lanciata dagli enormi spostamenti di masse umane rappresenta la condizione per la realizzazione di un mutamento istituzionale. Una nuova forma di governo dovrebbe essere espressa come un governo collegiale fondato sulla base di una cooperazione rafforzata, le cui decisioni dovrebbero poter essere imposte ai membri riluttanti. Per un controllo democratico sarà necessaria una cooperazione inter-parlamentare attraverso la costituzione di organismi comuni composti da deputati europei e nazionali (Manzella, 2015). Inoltre è necessario, da un punto di vista culturale, come abbiamo sottolineato, comprendere l’importanza del nesso migrazione-sviluppo e il fondamentale contributo che i migranti possono dare allo sviluppo dei Paesi d’accoglienza. Ma occorre anche di comprendere che l’apporto dei migranti al processo di sviluppo dipende dalla loro integrazione (OECD, 2015) nel Paese di accoglienza e che, in questa prospettiva, una formazione inter-culturale degli operatori sociali e degli insegnanti nelle scuole rappresenta un’assoluta necessità.

In questo quadro così complesso, il rafforzamento e l’estensione dei programmi di cooperazione con i Paesi dai quali provengono i migranti detengono un’importanza strategica per assicurarne i processi di sviluppo. Siamo di fronte a una sfida straordinaria. Allo scopo di fronteggiarla dobbiamo modificare la nostra mentalità e, di conseguenza, le nostre politiche e le nostre istituzioni, anche livello locale, dando vita a una riorganizzazione delle strutture amministrative locali e delle modalità dell’accoglienza, facendo del momento dell’integrazione il centro di una politica volta alla costruzione di una nuova società aperta al riconoscimento e al contributo della diversità.

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Valli B. (2015), Nell’Ungheria del Muro di Orbán, «la Repubblica», 16 settembre 2015.

 

[1]http://data.unhcr.org/mediterranean

[2] Regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio dell’Unione Europea, del 18 febbraio 2003.

[3] Cfr. Regolamento (CE) 343/2003, art. 13. Il nuovo regolamento n. 604/2013 stabilisce all’art. 13: «Quando è accertato, sulla base degli elementi di prova e delle circostanze indiziarie di cui ai due elenchi menzionati all’articolo 22, paragrafo 3, del presente regolamento, inclusi i dati di cui al regolamento (UE) n. 603/2013, che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un Paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale. Detta responsabilità cessa 12 mesi dopo la data di attraversamento clandestino della frontiera».

[4]Convenzione sullo statuto dei rifugiati conclusa a Ginevra il 28 luglio 1951.

[5] Si veda il Trattato di Amsterdam, parte I, articolo 2, (15), che modifica la parte terza del trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare il titolo III bis (Visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone), Artt. 73 I, 73 J e 73k.

[6] Caritas, Cittalia, Fondazione Migrantes, Rete Sprar e Anci, Rapporto 2015, «Il Manifesto», 23 settembre 2015, p. 3.



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